RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello di Napoli - Sezione Minorenni ha confermato quella, resa il 16 giugno 2020, con la quale il Tribunale per i Minorenni di Napoli aveva dichiarato C.L., responsabile dei reati di usura (capo a), di tentato omicidio di I.R., di quello di lesioni ai danni della germana I.A., (capo c), nonché dei connessi reato d'illecita detenzione e porto di più armi (capo d).
Applicata la disciplina della continuazione tra i reati e la diminuente della minore età, il primo giudice aveva condannato l'imputato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione, disposto la confisca per equivalente nei limiti della somma di 1.000,00 Euro, infine la confisca delle ogive e dei bossoli in sequestro.
2. Secondo la conforme ricostruzione dei giudici di merito, le sorelle R. e I.A., mentre si trovavano all'interno delle rispettive abitazioni, situate al secondo e al terzo piano di uno stesso stabile, erano raggiunte da numerosi colpi di arma da fuoco provenienti dalla strada, come imponeva di ritenere il rinvenimento di ventitre' bossoli di diverso calibro e di due ogive, che consentiva altresì di ritenere l'utilizzo di almeno tre armi.
La causale dell'azione era ricollegata al prestito a tasso usurario che I.R., aveva chiesto e ottenuto da I.R. e dalla figlia, C.A.; pattuizione che oltre ad essere riferita dalla vittima, era ritenuta obiettivamente riscontrata da un documento, sequestrato presso l'abitazione della persona offesa, recante l'elencazione dettagliata sìa degli importi delle rate mensilmente effettuate, sia di quelle ancora insolute.
Incaricati alla riscossione erano la stessa C., i germani di questa A. e G., talvolta I.R. e, nell'ultimo periodo, il nipote di quest'ultima C.L..
Questi era solito giungere presso l'abitazione della debitrice, sovente in data anteriore a quella concordata e, ove questa si dichiarava non in grado di versare l'importo, la avvertiva che si sarebbe recata da lei personalmente "la nonna".
L'evento delittuoso era stato preceduto da numerose condotte di minaccia, ricevute tanto dall' I., quanto dal suo compagno G.D., fattesi via via più allarmanti e sfociate nelle percosse di quest'ultimo.
Nel giorno dei fatti, l'azione era stata preceduta da più "ronde" presso l'abitazione della debitrice da parte dei creditori o di appartenenti al loro nucleo familiare: dapprima vi era stato il passaggio di I., di C.A., e della sorella M. a bordo di un auto; successivamente C., unitamente ad altri soggetti (trai cui erano riconosciti F., S., C. e G. C.), alcuni con il volto travisato da caschi da motocicletta, avevano fatto andirivieni, per circa un ora, sulla strada antistante all'abitazione per circa un ora, mentre voci femminili gridavano: "levatevi i debiti".
Era, quindi, seguita l'esplosione di reiterati colpi di arma da fuoco, da parte di più soggetti e, tra questi, C.L. era visto con un'arma in pugno, nell'atto di sparare. Contestualmente anche I.A., che si era avvicinata alla finestra a causa dei rumori, era ferita.
3. Con riferimento alla posizione processuale di C.L., i giudici di merito ritenevano incontrovertibilmente accertato che questi, dopo essere transitato intorno al fabbricato, a bordo di un motoveicolo, unitamente ai complici, avesse partecipato alla sparatoria, poiché era stato visto dalla stessa vittima impugnare una pistola e fare fuoco in direzione del balcone dell'immobile ove si trovava, sebbene il proiettile che l'aveva attinta provenisse dall'arma in possesso di G. C..
La configurabilità del reato di tentato omicidio ai danni di I.R., sotto il profilo dell'elemento psicologico, era ritenuta in considerazione della particolare aggressività delle armi utilizzate, della pluralità dei colpi (per la maggior parte esplosi in direzione del terrazzo), della distanza ravvicinata dalla quale furono sparati, nonché della sede corporea attinta, prossima al torace, sede di organi vitali. Di contro, si reputava configurabile il diverso reato di lesioni aggravate dall'utilizzo dell'arma per quanto riguardava il ferimento di I.A., per le concrete modalità dell'episodio che portavano ad escludere l'animus necandi.
Ritenuti altresì configurabili gli ancillari reati contestati al capo d), in relazione al delitto di usura la consapevolezza e la volontarietà del giovane di concorrere nella percezione di interessi usurari era desunta sia da legami di parentela intercorrenti con gli imputati, sia dall'evidente inserimento nel contesto delinquenziale, sia infine dalla decisa negazione di avere ricevuto somme di denaro dalla persona offesa, nonostante le dichiarazioni di quest'ultima e di quelle del compagno di lei, valutate attendibili.
3. Ricorre C., per cassazione e deduce cinque motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione
in punto di affermazione di responsabilità per il reato di usura.
I giudici del merito - trascurando le dichiarazioni dell'imputato che si è protestato innocente e inconsapevole dell'esistenza di un rapporto usurario tra le coimputate C. (madre) e I., (nonna) e la persona offesa I.R., ne hanno affermato la responsabilità sulla scorta della sola circostanza che egli fosse a conoscenza del fatto che lo zio, G. C., anch'egli coindagato e la cui posizione processuale è stata giudicata separatamente, gravitasse in ambienti criminali, dunque sulla base del solo rapporto di parentela.
La motivazione avrebbe, invece, dovuto vertere sulla prova della consapevolezza del patto usurario, laddove colui che riceve l'incarico di recuperare il credito risponde esclusivamente di favoreggiamento o, al più, di estorsione.
3.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità per i reati di cui al capo c) e di sussistenza del dolo di omicidio.
Dopo aver richiamato ampia giurisprudenza di legittimità in tema di animus necandi, la difesa ha affermato che "alla luce di quanto dedotto, la Corte di merito è incorsa palesemente nel vizio di motivazione - vizio incidente sulla parte fondamentale del discorso logico giustificativo posto sostegno delle condotte contestate al capo c) della rubrica" e, pertanto, ha invocato l'annullamento dell'impugnata decisione.
3.3. Con il terzo motivo lamenta violazione dell'art. 238-bis cod. proc. pen e vizio di motivazione in punto di ritenuta insussistenza del contrasto tra giudicati con la sentenza n. 3787 del 2016 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata nei riguardi degli imputati maggiorenni.
Con tale sentenza il fatto è stato diversamente qualificato poiché si è espressamente chiarito che "l'azione di fuoco posta in essere dall'imputato, diretta in punti non vitali della persona offesa, era finalizzata all'intimidazione all'affermazione del potere criminale dell'agente, ma non sicuramente sorretta da volontà di uccidere".
3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in punto di omessa valutazione dell'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, a sua volta carente di motivazione relativamente al capo d).
La Corte di merito ha omesso di considerare la doglianza difensiva contenuta nell'atto d'appello in ordine alla nullità della sentenza di primo grado che, con riferimento ai reati di detenzione porto di arma, si era limitata a indicare la fonte di prova sulla cui base è stato ritenuto sussistente reato, senza un'analisi approfondita degli elementi costitutivi dello stesso e motivare in ordine alla negatività dell'esito dell'esame stub svolto sullo ricorrente.
3.5. Con il quinto motivo lamenta violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p..
La difesa, richiamando i principi espressi in sede di legittimità in tema di "pena giusta" e "riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche", ha lamentato l'apodittica motivazione del giudice di appello che ha trascurato circostanze che avrebbero indotto al riconoscimento delle attenuanti generiche e al contenimento della pena entro il minimo edittale.
4. Il Sostituto Procuratore generale, Assunta Cocomello, con requisitoria scritta depositata in data 28 novembre 2022, ha prospettato la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nessuna delle censure contenute nel ricorso supera il vaglio di ammissibilità.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, in punto di responsabilità per il reato di usura, che replica il pedissequo motivo di appello e per il cui superamento non è superfluo richiamare, sia pur sinteticamente, i parametri giurisprudenziali di valutazione della prova indiziaria, ai quali strettamente si lega la consequenziale verifica della loro corretta applicazione, da parte della decisione impugnata, rispetto alla concreta vicenda processuale.
2.1. L'indizio è un fatto certo dal quale, per inferenza logica, basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si giunge alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario.
Allorché, come di regola accade, da un fatto accertato sia logicamente desumibile una pluralità di fatti non noti, può pervenirsi alla loro selezione, al fine di sciogliere l'alternativa decisoria tra l'esistenza e l'esclusione della responsabilità, con l'applicazione della regola metodologica fissata nell'art. 192 c.p.p., comma 2.
Costante e', al riguardo, l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità (fra molte, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941-01; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321-01), secondo cui il giudice di merito, a fronte della concorrenza degli indizi, lungi dal limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei medesimi, e dal procedere alla mera loro sommatoria, deve valutare, anzitutto, i singoli elementi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti), saggiarne l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica) e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio" e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale.
Quest'ultima deve ritenersi sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299; Sez. 4, n. 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274:358-01; Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Giampà, Rv. 247449).
La prova logica, raggiunta all'esito del corretto procedimento valutativo degli indizi come sopra connotato, non costituisce, del resto, strumento meno qualificato rispetto a quella diretta o storica (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271228) ed è necessario e sufficiente che essa sia conseguita con la rigorosità metodologica innanzi illustrata; l'unica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).
2.2. Ciò posto, la lettura della sentenza impugnata evidenzia come il giudice non si sia discostato da tale corretta impostazione epistemologica, avendo operato l'opportuna valutazione, sia unitaria che globale, dei dati raccolti e avendo proceduto al loro logico raccordo, tale da superare la parzialità del singolo elemento informativo, permettendo di giungere all'affermazione della penale responsabilità di C.L., nel rispetto dello standard probatorio di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1, che già la decisione di primo grado aveva ritenuto integrato.
Il ragionamento giudiziale muove dagli elementi processualmente inconfutabili (e, sul punto, non contestati) della condotta attiva del ricorrente (armato e visto nell'atto di esplodere colpi di arma da fuoco all'indirizzo del balcone della debitrice I.R.) nel giorno della spedizione punitiva, nonché del ruolo più volte da questi svolto di esattore del credito e, ove non possibile per problemi di mancata liquidità, di latore di un'imminente visita personale di I.R..
E' in tale cornice che la Corte ha opportunamente valorizzato, in punto di consapevolezza della natura usuraria della pattuizione posta a monte di quel debito, l'illogicità della versione alternativa fornita da C., secondo la quale egli si era reiteratamente prestato alla riscossione del credito senza mai domandarsi quale fosse la relativa causale, salvo però a partecipare attivamente alla gravissima spedizione punitiva armata aì danni della debitrice e a negare, sintomaticamente, di avere mai ricevuto dalla persona offesa somme di denaro.
Si tratta di motivazione affatto rispettosa dei principi giurisprudenziali espressi in sede di legittimità in tema di concorso nel reato di usura del quale ove la stessa sia realizzata con condotta frazionata ovvero a consumazione prolungata - risponde certamente il soggetto che, in un momento successivo alla formazione del patto usurario, ricevuto l'incarico di recuperare il credito, riesca a ottenerne il pagamento (Sez. 5 n. 42849 del 24/06/2014, Lagala, Rv. 262308).
E' appena il caso di porre in rilievo, quanto poi alle dichiarazioni dell'imputato, come - una volta che questi abbia offerto al contraddittorio la propria versione dei fatti, non esercitando il proprio diritto al silenzio correttamente la Corte le abbia vagliate, rilevandone l'intrinseca illogicità e il contrasto con le altre emergenze probatorie, valorizzando altresì il contesto parentale del gruppo criminale che, sebbene limitatamente allo zio G. C., C. aveva pacificamente ammesso di conoscere.
3. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, per l'evidente connessione delle questioni trattate.
La generica censura con cui sì lamenta l'assenza di prova dell'elemento psicologico del dolo di uccidere con riferimento alla condotta perpetrata ai danni di I.R., non si confronta con la congrua motivazione svolta dalla Corte territoriale (p. 9 e s. della sentenza impugnata).
La sussistenza dell'animus necandi è stata ineccepibilmente inferita, secondo il corretto approccio della prognosi postuma (Sez. 1 n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, Miletta), richiamando il contesto della spedizione punitiva, organizzata in più tempi e con una pluralità di soggetti isgtti, la natura pacificamente offensiva delle più armi adoperate, l'impressionante numero di colpi esplosi, infine la parte del corpo attinta, sede di organi vitali.
Ne' giova alla tesi del ricorrente il richiamo, per vero svolto anche nella sentenza di appello, alla sentenza n. 3787 del 2016 con la quale il Tribunale di Torre Annunziata ha giudicato i coimputati maggiorenni e secondo cui il fatto sarebbe stato diversamente qualificato essendosi ritenuto che "l'azione di fuoco posta in essere dall'imputato, diretta punti non vitali della persona offesa, era finalizzata all'intimidazione all'affermazione del potere criminale della gente, ma non sicuramente sorretta da volontà di uccidere".
Si tratta, invero, di sentenza che, per quanto consta (non essendo stata prodotta dalla difesa, come avrebbe dovuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso), non è ancora divenuta irrevocabile, talché l'invocato contrasto tra giudicati non è in questa sede rilevabile e potrà, ove effettivamente realizzatosi, essere risolto con lo strumento della revisione, a ciò deputato.
Sotto altro aspetto, va qui rimarcato come il ricorso si profili su tale punto aspecifico, non essendo sufficiente invocare un contrasto di motivazione in tema di qualificazione giuridica del fatto, essendo invece necessario specificare quale sia stato il diverso percorso motivazionale che ha portato alla difforme decisione e, soprattutto, imprescindibile indicare le ragioni per le quali dette motivazioni dovrebbero valere anche per il ricorrente; ciò che il ricorrente non ha fatto.
4. Non consentito, siccome dedotto per la prima volta in sede di legittimità, il quarto motivo di ricorso.
Con i motivi di appello, lungi dall'eccepire la nullità della sentenza per violazione degli artt. 546 e 192 c.p.p. per mancanza di motivazione, la difesa si era limitata a invocare l'assoluzione dell'assistito dal reato di cui al capo d) per la duplice ragione che non era stata trovata l'arma nella sua disponibilità e per l'esito negativo dello stub; censura cui la Corte territoriale ha adeguatamente risposto, richiamando come la prova del reato riposasse sulla credibile parola della persona offesa.
In tema di ricorso per cassazione, la regola desumibile dal combinato disposto degli artt. 606 c.p.p., comma 3, e art. 609 c.p.p., comma 2, - secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello - trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo a un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame, punto su cui, quindi, il giudice di secondo grado abbia correttamente omesso di pronunziarsi in quanto esso non era stato devoluto alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577 01; Sez. 4, n. 10611 del 4/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv. 256631 - 01).
In tal senso, il limite desumibile dalla disciplina indicata, in ordine alla non deducibilità con il ricorso per cassazione di questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di gravame, è posto per evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento a un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per il solo fatto che lo stesso sia stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316), salvo che la proposizione delle questioni non sollevate prima non costituisca l'effetto della diretta controdeduzione agli argomenti nuovi, enunciati "a sorpresa" dal giudice dell'impugnazione di merito in funzione risolutiva, allorché, per l'assoluta imprevedibilità della loro rilevanza, tali questioni rientrino tra quelle non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, come tali oggetto di ammissibile delibazione dalla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2, (Sez. 3, n. 35494 del 17/06/2021, Razzauti, Rv. 281852 - 01).
5. Convenientemente motivato e', infine, il punto della sentenza concernente il trattamento sanzionatorio.
Le censure in proposito articolate si palesano in fatto e meramente confutative, poiché la difesa non specifica quali siano le circostanze che avrebbero consentito il riconoscimento delle attenuanti generiche e il contenimento della pena entro il minimo edittale.
Quanto al primo aspetto, la sentenza impugnata ha escluso il beneficio sulla scorta della gravità dei fatti reato, non mancando di sottolineare l'assenza di sintomi di resipiscenza ovvero di altri elementi, rinvenibili negli atti ovvero allegati dalla difesa, suscettibili di positiva valutazione.
Con tale valutazione la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (ex multis Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590). Peraltro, la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto, rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo. (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737).
Quanto al secondo aspetto, si osserva che la Corte di appello ha adeguatamente motivato la congruità sia il quantum di pena base, individuato in sette anni di reclusione, ossia in misura pari a quello stabilito dal giudice di primo grado, facendo riferimento alla gravità del fatto, sia degli aumenti ex art. 81 c.p., comma 2, decisamente contenuti.
Il relativo motivo d'impugnazione, dunque, oblitera il principio, secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalità che al riguardo la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., (Cass. Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243; Cass. Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Cass. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri, Rv. 239754). Una valutazione siffatta è insindacabile in sede di legittimità, purché sia argomentata e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza che ciò comporti la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trattandosi di ricorso proposto da soggetto minorenne e dovendo, pertanto, applicarsi in via analogica la disciplina di favore, per i minori, della dispensa dalle spese processuali, positivamente stabilita dal D.Lgs. n. 272 del 2009, art. 29, in relazione alle sentenze di condanna (tra le altre Sez. 1, n. 48166 del 26/11/2008, P., Rv. 242438; Sez. 1, n. 26870 del 03/10/2014, S. Rv. 264025; Sez. 1, n. 12340 del 20/02/2020, M., Rv. 278702).
In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno conseguentemente, omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023