RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto di citazione a giudizio, emesso in data 28 marzo 2017 in seguito ad opposizione a decreto penale di condanna, Ru.Ci. è stato tratto a giudizio per il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare nei confronti del figlio minore, commesso in D., dal mese di luglio 2015 al 7 settembre 2016, (capo 1), e per il reato di molestie in danno della ex convivente, commesso in D. nelle date del 15 e 16 ottobre 2015 (capo 2).
2. Il Tribunale di Verbania, con sentenza emessa in data 18 ottobre 2018, ha assolto l'imputato dal reato contestato al capo 2) e lo ha condannato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare nei confronti del figlio minore alla pena sospesa di due mesi di reclusione e al risarcimento in favore della parte civile costituita.
3. Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, che ha condannato al pagamento delle spese processuali e delle spese di rappresentanza e assistenza nei confronti della parte civile costituita.
4. L'Avvocato Giuseppe Mosca, nell'interesse del Ru.Ci., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente censura l'omessa assunzione di prova decisiva, lamentando la mancata escussione di Ge.Si., datrice di lavoro dell'imputato, cui lo stesso avrebbe chiesto di pagare gli straordinari, dell'ammontare di 3.000 euro, direttamente alla madre del figlio.
Ad avviso del difensore, il reato non sussisterebbe, in quanto l'imputato avrebbe ceduto il proprio credito di tremila euro nei confronti del datore di lavoro Ge.Si. alla compagna del Ru.Ci., e, dunque, la mancata percezione dell'assegno di mantenimento per il figlio minorenne sarebbe dovuta non già ad un inadempimento dell'imputato, bensì della Ge.Si.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. richiesta con i motivi nuovi di appello.
La Corte di appello non avrebbe considerato che l'imputato nel dicembre del 2015 aveva disposto due bonifici di cento euro ciascuno nei confronti del figlio e che, comunque, aveva consegnato danaro e generi di prima necessità alla madre, a titolo di mantenimento del figlio, come dichiarato dalla madre e dalla sorella del Ru.Ci.
L'inadempimento si sarebbe protratto solo per undici mensilità e, dunque, non avrebbe assunto carattere di abitualità ; dopo tale lasso di tempo l'imputato, peraltro, avrebbe integralmente versato l'assegno di mantenimento e avrebbe versato anche l'importo omesso nel lasso di tempo oggetto del presente giudizio.
5. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con memoria depositata in data 18 gennaio 2024, l'Avvocato Giuseppe Mosca ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 23 gennaio 2024, il Procuratore generale, Giuseppe Riccardi, ha chiesto di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Con conclusioni depositate in data 1 febbraio 2024, l'Avvocato Massimiliano Testore, nell'interesse della parte civile costituita, ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
2. Con il primo motivo il ricorrente censura l'omessa assunzione di prova decisiva, lamentando la mancata assunzione della testimonianza di Ge.Si., datrice di lavoro dell'imputato, cui lo stesso avrebbe chiesto di pagare gli straordinari direttamente alla madre del figlio.
3. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la prova testimoniale richiesta non è decisiva, essendo estranea al thema probandum.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità , ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il soggetto obbligato in sede di separazione legale dei coniugi non ha la facoltà di sostituire, di sua iniziativa, la somma di denaro stabilita dal giudice civile a titolo di contributo per il mantenimento (Sez. 6, n. 23017 del 29/05/2014, P., Rv. 259955 - 01, con riferimento alla sostituzione arbitrari della somma di danaro stabilita dal giudice civile con "regalie" di beni voluttuari o, comunque, inidonei ad assicurare il quotidiano soddisfacimento delle esigenze primarie; Sez. 6, n. 8998 del 11/10/2010, B., Rv. 246413-01, con riferimento alla sostituzione dell'erogazione dell'assegno di mantenimento della prole con "cose" o "beni" che, secondo una scelta arbitraria dell'imputato, meglio corrispondano alle esigenze del minore beneficiario).
Integra, dunque, il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare la condotta del genitore che, obbligato con provvedimento del giudice civile a versare una somma di denaro a titolo di contributo per il mantenimento di un figlio minore, gli conferisce altro bene, quando tale prestazione sia inidonea ad assicurare una concreta e rapida disponibilità economica ad un soggetto privo di capacità reddituale (Sez. 6, n. 23599 del 23/04/2013, S., Rv. 256627-01, con riferimento al conferimento del diritto di nuda proprietà su di un immobile).
La Corte di appello ha, dunque, fatto buon governo di tali consolidati principi, ritenendo la prova testimoniale richiesta non decisiva, in quanto l'obbligo di mantenimento nei confronti del figlio minore non può essere assolto dal genitore a mezzo della cessione dì un credito verso un terzo, peraltro di complessa escussione e di incerta realizzazione.
Pur ritenendo perfezionata la cessione del credito vantato dall'imputato nei confronti della Ge.Si. in favore del figlio, infatti, il reato sarebbe consumato per effetto dell'inottemperanza del ricorrente all'obbligo di provvedere direttamente e personalmente a garantire i mezzi di sussistenza al proprio figlio.
4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 -bis cod. pen., richiesta con i motivi nuovi di appello.
5. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo una pronuncia, la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto non si applica al reato di omesso versamento del contributo al mantenimento dei figli minori previsto dall'art. 570 cod. pen., essendo l'abitualità del comportamento ostativa al riconoscimento del beneficio e non rilevando la particolare tenuità di ogni singolo inadempimento (Sez. 6, n. 20941 del 20/04/2022, Rv. 283304, che, in motivazione, ha precisato che si tratta di un reato "a consumazione prolungata" in cui ciascuna omessa contribuzione aggrava l'offesa al bene giuridico tutelato).
La giurisprudenza prevalente ritiene, tuttavia, che la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, a condizione che l'omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità (Sez. 6, n. 16847 del 09/01/2019, Rv. 275547, con riferimento ad una fattispecie relativa al mancato pagamento di tre mensilità dell'assegno divorzile stabilito dal giudice civile in favore dei figli minori; Sez. 6, n. 5774 del 28/01/2020, P., Rv. 278213 - 01, che ha escluso la causa di non punibilità con riferimento ad una condotta di inadempimento protrattasi per due anni).
La Corte di appello ha, tuttavia, escluso, non certo illogicamente, la mera occasionalità della condotta inottemperante dell'imputato, in quanto la stessa si è protratta per oltre un anno; l'imputato ha, infatti, omesso integralmente il versamento dell'assegno di mantenimento disposto in favore del figlio minore in assai tenera età dal mese di luglio 2015 sino al 10 marzo 2016 e da questa data sino al 7 settembre 2016 ha posto in essere versamenti solo parziali.
Il vizio denunciato è, dunque, insussistente.
6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
L'imputato deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Sa.Ri., che si liquidano in complessivi euro 1.844,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Sa.Ri., che liquida in complessivi euro 1.844,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, l'8 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2024.