RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 22 giugno 2022 ha parzialmente riformato - per quanto attiene la pena inflitta, ridotta a mesi nove di reclusione - quella di primo grado del Tribunale di Monza che ha condannato F.R.L. in relazione al reato di cui alla L. n. 898 del 1970, artt. 81 c.p. e 12 sexies in relazione all'art. 570 c.p. - ora art. 570 bis c.p. - per non avere versato, in tutto o in parte, le somme poste a suo carico, a titolo di assegno divorzile e per il mantenimento dei figli, oltre ai 3/4 delle spese straordinarie, dal Tribunale civile di Monza con sentenza del 2008 (querela dell'aprile 2014, in permanenza).
2. Avverso la sentenza di appello ricorre, a mezzo del proprio difensore, l'imputato deducendo tre motivi. Con il primo motivo si censura la condanna in relazione all'omessa considerazione che il mancato versamento - parziale - delle somme contestate è dipeso dall'incolpevole stato di indigenza in cui si trovava l'imputato che, fin quando ha potuto, ha sempre ottemperato totalmente e poi ha comunque cercato, nei limite delle sue possibilità, di adempiere. Con il secondo motivo si deduce che la Corte milanese non ha tenuto conto che dall'istruttoria è emersa l'assenza del necessario elemento psicologico del dolo, come peraltro dimostrato dalla circostanza che per fatti analoghi, e di poco precedenti a quelli oggetto della condanna, F. è stato assolto dal Tribunale di Monza proprio per la carenza dell'elemento psicologico di fattispecie (si allega la pronuncia in questione). Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena - negata in modo illogico sulla base della presunzione di recidivanza non fondata su elementi obiettivi - e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anch'esse denegate facendo ricorso a clausole di stile.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto non si confronta con le adeguate motivazioni della sentenza impugnata che si saldano con quelle, conformi, della pronuncia del Tribunale.
1.1 Invero, nel caso di specie si è di fronte alla c.d. "doppia conforme" situazione che ricorre, appunto, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
1.2. Va ancora rilevato che questa Sezione ha avuto modo di precisare che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935).
1.3. Infine, è opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 - dep. 2021, F., Rv. 280601).
2. Tutto ciò premesso, rileva la Corte, in riferimento ai primi due motivi di ricorso, che dalla sentenza impugnata emerge con chiarezza che l'omesso versamento di quanto dovuto - peraltro protratto per un lunghissimo periodo di tempo - non è dovuto a fatto incolpevole. Sul punto, la Corte territoriale dà atto che F. ha certamente subito una drastica riduzione delle proprie entrate - a causa del fallimento della propria florida impresa - ma rileva che dall'istruttoria è emerso che il predetto si è fatto licenziare da un impiego che aveva ottenuto per mancato rispetto degli obblighi lavorativi e che circolava alla guida di macchine di lusso mantenendo un elevato tenore di via, al contempo negando il necessario per i figli).
2.1. In merito alla dedotta circostanza che l'imputato ha - sia pur parzialmente - comunque provveduto nei limiti delle proprie possibilità a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei figli minori, va ribadito che "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, oggi trasfuso nella fattispecie di cui all'art. 570-bis c.p., è integrato non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicché l'inadempimento costituisce di per sé oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza" (Sez. 6, n. 4677 del 19/01/2021, M., Rv. 280396 - 01), risultando dunque chiaramente sussistenti gli estremi materiali del reato.
2.2. Per quanto concerne poi l'elemento psicologico, il ricorrente si è richiamato al più recente orientamento giurisprudenziale di questa Sezione secondo cui "l'impossibilità assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570-bis c.p., che esclude il dolo, non può essere assimilata alla indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilità di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza (In motivazione la Corte ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarità del caso concreto, e, in particolare, dell'entità delle prestazioni imposte, delle disponibilità reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all'occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessità per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento)" (Sez. 6, n. 32576 del 15/06/2022, F., Rv. 283616).
2.3. Nella specie, la sentenza impugnata (pag. 5) rileva, da un lato, che l'incapacità economica dell'appellante non può essere ricondotta alla perdita del lavoro, che risulta tutt'altro che incolpevole; dall'altro lato, che l'assegno di mantenimento non è stato pagato regolarmente né in epoca precedente al licenziamento dell'imputato, né in epoca successiva alla riduzione da parte del giudice civile; concludendo che l'imputato, "omettendo scientemente di versare quanto dovuto, attuava dolosamente una violazione penalmente sanzionata". Conclusione ineccepibile anche alla luce del principio affermato dalla sentenza sopra riportata.
2.4. In riferimento, poi, alla dedotta rilevanza della pronuncia assolutoria per fatti analoghi a quelli oggetto della sentenza impugnata, giustamente il Procuratore generale presso questa Corte nelle sue conclusioni scritte ha evidenziato, oltre alla circostanza che non vi è prova che la sentenza in questione sia divenuta irrevocabile, che in quel caso il mancato versamento aveva ad oggetto un ridottissimo periodo (dal 1 gennaio al 9 febbraio del 2012), peraltro di oltre due anni precedente alla contestazione, in un contesto, invece, caratterizzato da puntuali e completi versamenti di quanto dovuto.
3. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza impugnata argomenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, oltre che per la durata e sistematicità dell'inadempimento, anche in ragione di una precedente condanna per il delitto di rapina a mesi undici di reclusione in ordine alla quale F. aveva ottenuto la sospensione condizionale. La negazione delle attenuanti generiche si è basata sulla mancanza di elementi positivamente valutabili, peraltro neppure dedotti dalla difesa. Motivazione, sotto entrambi gli aspetti, certamente non illogica e quindi insindacabile in questa sede.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non emergendo alcun profilo da cui dedurre l'assenza di colpa nella proposizione del ricorso. - alla sanzione, ritenuta congrua, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.
Infine, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del d.lg. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2023