RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 dicembre 2022 la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Urbino il 20 ottobre 2020, con cui La.Ni. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 570 cod. pen., commesso ai danni dei figli.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, che ha dedotto l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge, per avere la Corte territoriale trascurato che l'imputato difettava di capacità economica e, quindi, versava in una persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti; peraltro, non era sussistente l'elemento soggettivo del reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il ricorrente ha reiterato censure già sollevate con l'atto di appello e adeguatamente disattese dalla Corte territoriale, che ha affermato che l'imputato aveva i mezzi economici necessari per adempiere agli obblighi inerenti alla propria qualità di genitore.
La menzionata Corte, dopo avere ricordato che l'imputato aveva ricevuto la somma di euro 220.000,00 a titolo di risarcimento del danno tra il 2006 e il 2017, ha condiviso la valutazione del Giudice di primo grado, secondo cui l'imputato, vuoi per imprudenza, vuoi per precise scelte di vita, non solo non aveva preservato un capitale di non modesta entità ma non l'aveva nemmeno impiegato, nell'immediatezza della sua riscossione, in favore di tutti i suoi figli.
Quanto al dolo, la Corte di appello ha rimarcato che "nella condotta dell'imputato erano riconoscibili il margine di scelta volontaria e la suitas della condotta (con conseguente esclusione della forza maggiore, che, invece, postula un fatto imponderabile, esulante del tutto dalla condotta dell'agente) nel momento in cui l'inadempimento, penalmente sanzionato, maturava inesorabilmente mese per mese, pur avendo l'imputato avuto a disposizione una somma di ben 220.000 euro".
3. Siffatte argomentazioni sfuggono a ogni rilievo censorio, essendo logiche e in linea con quanto già affermato da questa Corte (Sez. 6 n. 53173 del 22/05/2018, R., Rv. 274613 01; Sez. 6, n. 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301 - 01), secondo cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'impossibilità di far fronte agli adempimenti, sanzionati dall'art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti.
Si è precisato che è onere dell'imputato allegare gli elementi dai quali possa desumersi la sua impossibilità di adempiere all'obbligazione, senza che valga a tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà.
4. Alla stregua dei principi richiamati deve rilevarsi che la pronuncia impugnata ha valutato in maniera puntuale e approfondita la sussistenza degli elementi integrativi del reato di cui all'art. 570 cod. pen. mentre l'imputato non ha neppure dedotto circostanze atte a comprovare che le difficoltà economiche fossero tali da non consentire l'adempimento dei propri obblighi di assistenza familiare.
5. In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) - al versamento della sanzione pecuniaria, equitativamente determinata in euro 3.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza del 29 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2024.