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Violazione degli obblighi familiari: l’incapacità economica colpevole non esclude il reato

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 03/04/2023, n.16465

L'assoluta incapacità economica dell'obbligato, quando derivi da una sua colpevole scelta di vita, a partire dal non attivarsi per trovare un lavoro per adempiere ai propri obblighi genitoriali, non è idonea ad escludere la configurabilità del reato.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Genova ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Savona aveva condannato C.A., per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alle figlie minorenni dal settembre 2017. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge in relazione all' art. 27 Cost. e art. 6, comma 2, CEDU per avere la Corte di appello accertato la responsabilità penale del ricorrente ritenendo che non avesse fornito la dimostrazione di versare in condizioni di assoluta impossibilità di adempiere così imponendo una prova diabolica, invertendo l'onere probatorio gravante sul pubblico ministero e violando la presunzione di non colpevolezza. Infatti, C., aveva dimostrato gli adempimenti parziali e dunque la volontà di corrispondere il dovuto. 2.2. Vizio di motivazione della sentenza impugnata che ha valorizzato gli insulti del ricorrente nei confronti della persona offesa a fronte delle sue richieste di denaro che, invece, esprimevano soltanto il rancore per la fine della relazione. Inoltre, la Corte di appello ha qualificato come lauto lo stipendio di cuoco di C., circostanza smentita dall'essere stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. 2.3. Violazione di legge in quanto gli importi versati sono del tutto coerenti con il magro reddito percepito dal ricorrente, pari ad Euro 8223,07 nel 2019, corrispondente al cosiddetto minimo vitale, qualificato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 97 del 1968 come ciò che è sufficiente a soddisfare i bisogni elementari della vita, e la cui entità varia annualmente in corrispondenza della quantificazione dell'assegno sociale nei termini di cui all'art. 545 c.p.p., comma 7. Il ricorrente ha dunque dimostrato di avere contribuito nei limiti di quanto poteva tanto da escludersi il dolo richiesto dalla norma. 2.4. Vizio di motivazione in ordine all'applicazione dell'art. 131-bis c.p., in quanto la Corte di appello ha omesso la pronuncia in ordine alla sussistenza della causa di non punibilità richiesta. 3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2.11 primo motivo, sull'assoluta incapacità economica ad adempiere del ricorrente, è infondato. Le censure, oltre a replicare quelle già-rimesse all'esame della Corte di appello, che le ha analizzate e disattese con corretti e puntuali argomenti, sono destituite di fondamento. Il ricorrente, infatti, a fronte di due figlie minorenni e di una moglie rimasta disoccupata sino all'aprile del 2020, ritiene di avere ottemperato al proprio obbligo genitoriale con il versamento di sporadiche e minimali somme in assenza di propri sufficienti mezzi economici che consentissero il versamento del dovuto. Del tutto errata è la lettura offerta dal C. non solo della fattispecie penale, ma anche degli obblighi su di sé gravanti in qualità di padre tenuto, per ciò solo, al mantenimento delle figlie minorenni. E' incontroverso che nel lungo periodo preso in considerazione dall'imputazione (dal settembre 2017) i versamenti operati dal ricorrente a favore delle figlie fossero del tutto insufficienti rispetto alla cifra fissata dall'autorità giudiziaria civile (da settembre 2017 ad aprile 2019 aveva versato Euro 550), anche tenendo presente che C. è obbligato, oltre a corrispondere l'assegno di mantenimento, a contribuire per il 50 % alle spese straordinarie. I giudici di merito, infatti, con una puntuale argomentazione, di cui non sono stati in alcun modo prospettati elementi di illogicità o incompletezza, hanno chiarito come il ricorrente nel periodo dell'inadempimento avesse svolto l'attività di cuoco, sia in (Omissis) che in (Omissis), e, a fronte delle legittime e doverose richieste della madre delle bambine di provvedere ai suoi obblighi di padre, la insultasse e la definisse "pezzente", così dimostrando di disconoscere e sottrarsi deliberatamente alla necessità di contribuzione. Del tutto eccentrico, e totalmente disancorato dal pacifico orientamento di questa Corte oltre che dal precetto costituzionale che all'art. 30 Cost., comma 1, impone a ciascun genitore di corrispondere il dovuto, il motivo proposto relativo all'onere della prova gravante sul pubblico ministero di dimostrare la capienza economica dell'imputato che si sottrae agli obblighi previsti. L'impossibilità del minorenne di provvedere a sé stesso in modo autonomo, stante il dovere costituzionale del genitore di mantenerlo rende l'inadempimento sempre integrativo del reato di cui all'art. 570 c.p. a meno che l'imputato non dimostri di essere nell'impossibilità assoluta di provvedervi. Il ricorrente ha corrisposto, solo parzialmente e a proprio piacimento il dovuto, senza mai giustificarsi o preoccuparsi per il mantenimento delle sue bambine nonostante: a) dell'assegno disposto dal giudice civile non risulti essere stata mai chiesta la riduzione; b) la madre fosse disoccupata e, successivamente, fosse stata costretta a svolgere una modesta attività di pulizie. La sentenza impugnata, con argomenti logici e aderenti alla giurisprudenza di questa Corte, ha esaminato in modo completo le circostanze indicate nel ricorso che, in questa sede, vengono riproposte in modo reiterativo. C., non ha fornito la prova di versare in una situazione di impossibilità oggettiva, perdurante, assoluta e incolpevole di far fronte al proprio obbligo genitoriale a favore delle figlie minorenni. Infatti, dalla sentenza risulta che il ricorrente, tossicodipendente ed alcolista, dunque in grado di fare fronte economicamente a detta sua costosa condizione, avesse svolto l'attività di cuoco, notoriamente ben retribuita, e ciononostante non avesse versato quanto dovuto per il mantenimento delle bambine, rimaste sempre a totale carico della madre che aveva avuto bisogno del sostegno dei propri genitori. E', dunque, il complesso delle condotte inadempienti di C., protrattesi per anni senza soluzione di continuità, unitamente all'essersi disinteressato della vita delle figlie sotto il profilo dell'istruzione, dell'educazione e della loro stessa crescita e dell'avere ingiuriato la loro madre per il solo fatto che lo mettesse di fronte alle sue responsabilità di padre, a comprovare che la sua omissione non sia dipesa da impossibilità incolpevole. Si tratta, infatti, di una precisa ed ostinata deliberazione che nulla ha a che vedere né con la sua condizione di tossicodipendenza, che non gli ha precluso di lavorare come cuoco e di rifornirsi di quanto necessario per assecondarla, né con l'avere ottenuto l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in forza della mera autodichiarazione di un reddito di Euro 8223,07, a fronte del quale non risulta essere stato operato alcun controllo che costituisce, per questo, un dato meramente formale. E' opportuno richiamare il pacifico orientamento di questa Corte secondo cui l'assoluta incapacità economica dell'obbligato, quando derivi da una sua colpevole scelta di vita, a partire dal non attivarsi per trovare un lavoro per adempiere ai propri obblighi genitoriali, non è idonea ad escludere la configurabilità del reato (Sez. 6, n. 49979 del 09/10/2019, G., Rv. 277626; Sez. 6, n. 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301). Il fatto che C., anziché addurre elementi di fatto volti a dimostrare di avere tentato quanto possibile per contribuire interamente al dovuto e fruire di ulteriori fonti di reddito (ad esempio anche presentando domande di lavoro o chiedendo aiuto ad amici e parenti o vendendo propri beni) per adempiere in qualsiasi modo ai propri obblighi genitoriali, come fatto invece dalla madre delle bambine, e anziché giustificare la sua assenza, anche morale con le sue figlie, è arrivato al punto di ingiuriare la donna e di rivendicare il proprio minimale ed inadeguato apporto persino come sufficiente, condotte che hanno costituito, correttamente, per i giudici di merito, la prova che il ricorrente non si trovasse in una condizione assimilabile all'indigenza ed escludere la responsabilità (Sez. 6, n. 13144 del 01/03/2022, R., Rv. 283055). 3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che non motivi su una specifica deduzione prospettata con l'appello quando ne risulti il rigetto dalla motivazione complessivamente considerata (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096). Tale assunto vale anche rispetto alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., da ritenersi implicitamente disattesa dal giudice quando richiami elementi idonei ad escludere una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097) e valorizzi indici del disvalore significativo della vicenda criminosa, pur in mancanza di espresso riferimento a tale causa di non punibilità (Sez. 2, n. 41544 del 15/07/2022, Deng, non massimata). Alla luce di detti principi, la Corte territoriale ha evidenziato che non solo l'imputato ha fatto mancare i mezzi di sussistenza alle due figlie minorenni, pur svolgendo un'attività di lavoro particolarmente remunerativa, ma ha insultato la ex moglie quando avanzava le proprie richieste, così mostrando di disconoscere i propri doveri, ed imponendole notevoli sacrifici ed apprensione (pagg. 4-5 della sentenza). A fronte di un tale giudizio, volto ad escludere in radice la tenuità e la minima offensività della condotta, eventuali considerazioni difensive, a prescindere dalla loro fondatezza o meno, non potevano comunque trovare accoglimento. A ciò si aggiunge che l'atto di appello aveva chiesto in termini generici e privi di qualsiasi motivazione l'applicazione della menzionata causa di non punibilità, tale da non adempiere all'onere di specificità posto a carico dell'appellante nei termini indicati da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli. 4. Dagli argomenti che precedono consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 3 aprile 2023. Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023
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