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Violazione degli obblighi familiari: l’obbligo di mantenimento retroagisce alla nascita del figlio

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 22/06/2023, n.40698

Ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'obbligo del genitore naturale di procurare i mezzi di sussistenza ai figli minori sorge con la nascita degli stessi, anche nel caso in cui il riconoscimento dello "status" consegua all'accertamento giudiziale definitivo, che produce, pertanto, retroattivamente i propri effetti. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio, per l'insussistenza del fatto, la decisione con la quale l'imputato era stato prosciolto da tale delitto per esito positivo della messa alla prova e non nel merito, per essersi ritenuto provato il suo "status" genitoriale in base al contenuto di una sentenza non definitiva emessa in sede civile).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Milano ha dichiarato non doversi procedere nei riguardi di D.F.S. in ordine al reato previsto dall'art. 570 c.p. per esito positivo della messa alla prova. All'imputato è contestato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, omettendo integralmente di corrispondere alla madre della minore denaro o altre utilità idonee al soddisfacimento dei bisogni primari della prole nonché di essersi strenuamente opposto al riconoscimento della paternità ponendo in essere una serie di condotte abusive nell'ambito del procedimento civile. 2. Ha proposto ricorso per cassazione D.F. articolando tre motivi. Ricostruito il processo penale e il procedimento civile avente ad oggetto il riconoscimento della paternità dell'imputato, assume l'imputato che, anche all'esito della messa alla prova, il Tribunale avrebbe dovuto prosciogliere l'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste. Si rappresenta che: - all'udienza del 9.9.2021 il Tribunale rigettò la richiesta di sospensione del processo penale per la pregiudiziale questione riguardante il riconoscimento dello stato di padre dell'imputato, che era stato accertato dal Tribunale e dalla Corte di appello solo con sentenza non irrevocabile, attesa la pendenza del giudizio per cassazione; - all'udienza del 17.1.2023, dopo l'ammissione dell'imputato alla messa alla prova, fu depositata la sentenza n. 472 del 11.1.2023 con cui la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la pronuncia della Corte di appello avente ad oggetto il riconoscimento giudiziale di paternità; - nel corso della stessa udienza l'imputato chiese che fosse emessa una sentenza di proscioglimento nel merito ovvero che fosse disposta la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 3 c.p.p.; nell'occasione il Pubblico Ministero non si oppose alla richiesta di sospensione ma il Tribunale ritenne di non sospendere il processo ed emise la sentenza impugnata. 2.1. In tale contesto con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p.. Il Tribunale, si argomenta, avrebbe rigettato la richiesta di sospensione del processo sulla base di tre argomenti: a) l'essere stata già compiuta, al momento dell'ammissione alla messa alla prova, la valutazione relativa alla insussistenza delle condizioni per l'assoluzione nel merito; b) la non rilevanza della sentenza della Corte di cassazione civile, essendo il caso in esame analogo a quello già definito dalla Corte di cassazione penale con la sentenza n. 10091 del 10.10.2018; c) l'essere stato disposto l'annullamento da parte della Corte di cassazione civile per la violazione di una norma processuale posta a tutela non del genitore convenuto nel giudizio di riconoscimento della paternità ma dello stesso minore. Osserva invece il ricorrente: 1) quanto al primo punto, che dalla lettura della ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova emergerebbe come, in realtà, nessuna valutazione fosse stata all'epoca compiuta quanto alla possibilità di addivenire ad un proscioglimento nel merito; 2) quanto al secondo punto, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe apparente, essendo la sentenza della Corte di cassazione richiamata dal Tribunale relativa ad un caso "opposto" a quello in esame. Nel precedente richiamato dal Tribunale, infatti, l'imputato non aveva contestato la paternità ma assumeva che l'obbligo alla corresponsione del mantenimento decorresse non dalla nascita ma dalla irrevocabilità della sentenza che aveva accertato la paternità; nel caso in esame, invece, la situazione sarebbe diversa e non era stato apposto nessun obbligo di corresponsione di denaro nei confronti dell'imputato, che aveva sempre contestato in tutte le sedi di essere il genitore della minore; 3) anche quanto al terzo punto, la motivazione sarebbe apparente: il Tribunale non avrebbe valutato le conseguenze dell'affermata carenza di legittimazione processuale della madre nel procedimento civile e ciò atterrebbe alla fondatezza della domanda, attesa l'assenza di un consenso valido della figlia alla prosecuzione del processo. Il Tribunale, si aggiunge, avrebbe omesso di valutare glì atti della indagine difensiva, depositati nel fascicolo del Pubblico Ministero e poi confluiti nel fascicolo del dibattimento, non solo al momento della valutazione della ammissibilità della richiesta di messa alla prova, ma, come detto, anche successivamente. Sotto ulteriore profilo il Tribunale avrebbe errato nell'applicazione della legge penale ritenendo la minore figlia naturale dell'imputato, senza tuttavia considerare che la minore non sarebbe nata in costanza di matrimonio e neppure di una convivenza. 2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla ritenuta mancanza di serietà della questione pregiudiziale di cui si è già detto; si tratta di una questione ulteriormente sviluppata soprattutto quanto alla rilevanza della sentenza di annullamento della Corte di cassazione e alla valutazione compiuta dal Tribunale sulla incidenza di detta sentenza sul presente processo. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 238 bis c.p.p.; il tema attiene alla utilizzabilità delle due sentenze non irrevocabili di riconoscimento di paternità, emesse nel giudizio civile. Secondo il ricorrente dette sentenze sarebbero state utilizzate non come meri documenti ma ai fini della prova dei fatti in esse accertati (si richiama pag. 6 della sentenza impugnata); il Tribunale avrebbe fatto in particolare riferimento alla prova della paternità oggetto di accertamento nel giudizio civile. 3. E' pervenuta una memoria nell'interesse dell'imputato con cui si riprendono e si sviluppano ulteriormente i motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso, i cui motivi possono essere valutati congiuntamente, è fondato. 2. In punto di fatto emerge che: - B.C.M.G., madre della persona offesa, con atto del 30.5.2013 aveva convenuto in giudizio l'imputato al fine di vedere riconoscere la paternità di questi nei riguardi della figlia minore A.; - con sentenza depositata il 24.7.2019 il Tribunale aveva dichiarato che B.A. è figlia dell'odierno ricorrente; - con sentenza depositata il 14.1.2021 la Corte di appello di Milano aveva confermato la indicata sentenza del Tribunale; - il 9.9.2021, dopo la sentenza della Corte di appello, il Tribunale aveva rigettato la richiesta di sospensione del presente processo ai sensi dell'art. 3 c.p.p. per difetto del requisito della serietà della questione dedotta e relativa all'accertamento giudiziale in corso della paternità dell'imputato,, di cui si è detto, "atteso che in ben due gradi di giudizio è stato accertato che l'odierno imputato è padre di B.A." (così testualmente il Tribunale nell'ordinanza); - all'udienza del 7.3.3022 l'imputato veniva ammesso alla messa alla prova; - all'udienza del 17.1.2023, l'imputato, preso atto dell'esito positivo della messa alla prova, depositava la sentenza dell'11.1.2023 con cui la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza con cui era stata dichiarata giudizialmente la paternità dell'imputato; - la Corte di cassazione, in particolare, aveva annullato la sentenza per la violazione dell'art. 273 c.c., attesa la mancanza del consenso della minore ultraquattordicienne al promovimento ovvero al proseguimento dell'azione finalizzata al riconoscimento della paternità; - nel corso della stessa udienza l'imputato aveva chiesto che fosse emessa una sentenza di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p. ovvero, nuovamente, che fosse disposta la sospensione del processo ai sensi dell'art. 3 c.p.p.. 3. Sulla base di tale articolato quadro di riferimento, il Tribunale con la sentenza impugnata ha ritenuto di non sospendere il processo e di non emettere una sentenza di proscioglimento nel merito ritenendo invece provata la paternità dell'imputato della minore sulla base del contenuto delle sentenze emesse nel giudizio civile da cui si evinceva che l'accertamento della paternità era "avvenuto all'esito della prova scientifica (teste DNA) eseguita nel corso del giudizio di primo grado" (così testualmente il Tribunale a pag. 6 della sentenza impugnata). Dunque una prova tratta dalla sola lettura delle sentenze che facevano riferimento agli esiti della prova del Dna assunta in sede civile. 4. Si tratta di un ragionamento viziato. L'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio ha origine al momento della nascita di questi, anche se la procreazione sia successivamente accertata con sentenza; la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti costitutivi del riconoscimento ex art. 254 coda civ. e comporta per il. genitore, ai sensi dell'art. 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell'art. 148 c.c. (C:ass. civ., Sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass. civ., Sez. 1, 10/04/2012, n. 5652; Cass.", Sez. 1, 20/12/2011, n. 27653; Cass., Sez. 1, 3/11/2006, n. 23596). L'obbligazione, come si è chiarito (Cass., Sez. 3, 16/02/2015, n. 3079), trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio (fra le molte conformi, Cass., sez. 1, 6/11/2009 n. 23630), per cui l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale. Dunque, anche nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita (Cass. civ., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass. civ., sez. 1, 10/04/2012, n. 5652; Cass., sez. 1, 20/12/2011, n. 27653; Cass., sez. 1, 3/11/2006, n. 23596). E tuttavia, lo si ripete, è l'accertamento dello status di figlio naturale che costituisce il presupposto per l'esercizio dei diritti connessi a tale status, perché prima di tale momento non vi è pronuncia sullo status (cfr., Cass. civ., Sez. 1, n. 8762 del 28/03/2023, Rv. 667563; Cass. civ., Sez. 1, n. 16916 del 25/05/2022, Rv. 664947). Ai sensi dell'art. 258 c.c. il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto; l'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore e queste indicazioni, qualora siano fatte, sono senza effetto. Dunque, un sentenza dichiarativa dello status di genitore, dal cui accertamento definitivo conseguono effetti costitutivi e l'obbligo - anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, cioè sin dalla nascita - a mantenere, istruire ed educare il figlio. Alla luce dei principi indicati, deve essere rivista l'affermazione, pure presente nella giurisprudenza penale della Corte, secondo cui, invece, ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 570 c.p. l'obbligo di procurare i mezzi di sussistenza ad un figlio minore sussiste indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale (Sez. 6, n. 10091 del 10/10/2018, dep. 2019, D., Rv. 275160; Sez. 6, n. 53123 del 19/11/2014, R, Rv. 261667). Si tratta, di una affermazione che deve essere esplicitata: il genitore è obbligato sin dalla nascita nei riguardi del figlio, indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale, ma è dal riconoscimento del suo status, cioè dall'accertamento definitivo giudiziale del suo stato di genitore che l'obbligo nasce. 5. Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. A seguito dell'annullamento disposto dalla Corte di cassazione, lo status di genitore dell'imputato non è stato definitivamente accertato nel procedimento civile di riconoscimento giudiziale di paternità. Il Tribunale, pur in assenza di un accertamento definitivo dello stato di genitore del ricorrente e dunque del suo obbligo di contribuire al mantenimento della minore, ha tuttavia ritenuto, da una parte, di non sospendere il processo ai sensi dell'art. 3 c.p.p. e, quindi, di non aspettare l'esito del giudizio civile e, dall'altra, di non procedere nemmeno ad un accertamento autonomo nel processo penale dello status di genitore, limitandosi a valorizzare, al fine della prova della paternità del ricorrente, solo il contenuto delle sentenze emesse dai giudici di merito nel procedimento civile non ancora definitive- che facevano riferimento agli esiti della prova del DNA - peraltro nemmeno acquisita- nei riguardi dell'imputato. Un ragionamento obiettivamente viziato, atteso che, ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., non potevano essere utilizzate a fini probatori le sentenze non divenute irrevocabili emesse nel giudizio civile. La Corte di cassazione ha già spiegato che le sentenze pronunciate in procedimenti civili e non ancora divenute irrevocabili, legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento nel contraddittorio fra le parti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., possono essere utilizzate come prova limitatamente alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti (cfr., Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, dep. 2020, Commissione Nazionale per le società e la borsa, Rv. 278389). Dunque, nel caso di specie non è stato affatto accertato che il ricorrente, in quanto genitore, fosse obbligato a mantenere la minore. Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvia atteso che il Tribunale, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., avrebbe dovuto prosciogliere l'imputato perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ‘perché il fatto non sussiste. Così deciso in Roma, il 22 giugno 2023. Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023
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