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Violenza sessuale: sulla valutazione della prova indiziaria

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 15/09/2021, n.44348

In tema di valutazione della prova indiziaria nei reati sessuali, non è possibile ritenere, con ragionamento circolare, che i sintomi siano la prova dell'abuso e che quest'ultimo sia la spiegazione dei sintomi, in quanto non è consentito da un indizio, sicuro in fatto, ma equivoco nell'interpretazione, concludere per la certezza dell'evento che rappresenta il tema probatorio, trasformandosi diversamente l'oggetto della prova in criterio di inferenza.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 28 settembre 2020, la Corte di appello di Cagliari ha sostanzialmente riformato la precedente sentenza del 19 ottobre 2018 con la quale il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato la penale responsabilità di U.P. in ordine al reato di cui all'art. 609-bis c.p., per avere egli, in diverse occasioni fra il luglio del 2008 ed il dicembre del 2010, usato violenza sessuale in danno di T.G., figlia della sua convivente (all'epoca dei fatti infraquattordicenne) e lo aveva, pertanto, condannato, oltre che al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, alla pena di anni 6 di reclusione oltre accessori. La Corte di appello, nel riformare integralmente la sentenza del giudice di primo grado, ha, in sintesi, ritenuto non sufficientemente attendibile il narrato accusatorio riportato dalla persona offesa, ed ha, altresì, osservato che le aporie presenti in tale racconto non potevano considerarsi emendate dalla esistenza di tranquillanti riscontri esterni; ha, pertanto ritenuto, visto l'art. 530 c.p.p., comma 2, che non vi fossero elementi adeguati per la conferma della sentenza di condanna adottata dal giudice di primo grado. Avverso la sentenza in esame ha interposto ricorso per cassazione, tramite la sua difesa fiduciaria, la costituita parte civile, articolando a tal fine 5 motivi di impugnazione. Con il primo motivo la ricorrente parte civile ha contestato il fatto che la Corte di appello sarda, senza valutare la intrinseca attendibilità delle accuse mosse dalla persona offesa all'imputato, abbia escluso la responsabilità di questo osservando che tali accuse erano prive di riscontri esterni, in tal modo facendo cattiva applicazione dei principi consolidati in materia di valutazione della prova costituita dalle dichiarazioni della persona offesa, per la cui rilevanza accusatoria non vi è la necessità di riscontri esterni. Con il secondo motivo, logicamente subordinato al precedente, la difesa della parte civile ha denunziato la contraddittorietà ed incompletezza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto, onde supportare la attendibilità delle dichiarazioni accusatore della persona offesa, del fatto che il CTP, con argomentazioni scientifiche volte a chiarirne le ragioni, avesse riferito su atteggiamenti della ragazza e su comportamenti maltrattanti dell'imputato, in modo che gli stessi non potevano più apparire contrastanti con la veridicità di quanto dalla persona offesa dichiarato contro l'imputato. Il terzo motivo attiene alla violazione del criterio giurisprudenziale della valutazione frazionata della prova dichiarativa, costituita nell'occasione da quanto riportato dalla persona offesa; in sostanza si afferma che, considerato il fatto che l'esistenza di una riscontrata non veridicità nel racconto di un teste non mina necessariamente la attendibilità del resto del racconto, làcircostanza, data per ammessa ma non riconosciuta come tale, che la ragazza non abbia detto la verità allorché ha dichiarato di avere fatto cenno alla madre del fatto che il patrigno le riservasse della morbose attenzioni fin dal 2011, circostanza questa non riconosciuta dalla madre della T., non è di per sé - trattandosi di vicende fra loro autonome e prive di una reciproca interferenza fattuale e logica - tale da mettere in dubbio la veridicità della restante parte del racconto. Il quarto motivo attiene, non diversamente dal precedente, al vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui non considera validi riscontri delle dichiarazioni della persona offesa, le dichiarazioni rilasciate dalla madre di questa, ritenute non attendibili a causa di marginali discrasie riscontrabili in esse. Infine con il quinto motivo di impugnazione, la ricorrente parte civile ha contestato la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha, in sintesi, valutato quali validi riscontri delle dichiarazioni della persona offesa quanto riferito da soggetti terzi rispetto ad essa, adducendo motivazioni non rilevanti, quali il fatto che si tratti di testi de relato ovvero di persone che abbiano appreso le circostanze riferite successivamente alla avvenuta denunzia della ragazza in danno del padre. Si tratterebbe, secondo la parte civile di applicazione di criteri discretivi illogici in quanto, date le modalità di verificazione dei fatti, le testimonianze non potevano essere che de relato mentre la posteriorità delle dichiarazioni fatte a terzi rispetto al momento della denunzia dei fatti alla Autorità costituita non è elemento che possa incidere sulla loro veridicità. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non è risultato fondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato. Osserva, infatti, il Collegio come, a partire dal primo dei motivi di impugnazione presentati dalla ricorrente parte civile, tutte le sue doglianze abbiano come comune punto di riferimento il giudizio che la Corte di appello ha reso sulla scarsa attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa. Si rileva, al proposito che poco incide, al riguardo, il fatto che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della affermazione della penale responsabilità dell'imputato è elemento dimostrativo sufficiente il contenuto delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa; un tale principio, infatti oltre ad essere in parte da ridimensionare rispetto alla schematica versione che di esso ne è stata data dalla parte ricorrente, atteso che questa Corte ha osservato che, in particolare laddove la persona offesa si sia costituita parte civile, vi può essere la opportunità di corroborare le sue dichiarazioni da riscontri esterni, sebbene questi possano essere costituiti da qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Corte di cassazione, Sezione V penale, 15 maggio 2019, n. 21135) - non può essere applicato disgiuntamente dalla ordinaria regola secondo la quale la valutazione della attendibilità dei testi, dal novero dei quali non va certamente espunta, allorché sia sottoposta ad esame testimoniale, la stessa persona offesa, è questione che attiene al fatto ed è riservata alla cognizione del giudice del merito, non essendo censurabile in sede di legittimità, salvo il caso in cui la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (per tutte: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 16 marzo 2020, n. 10153). Nel caso in esame la Corte di merito, nel ribaltare il giudizio che al riguardo era stato formulato dal Tribunale di Cagliari - ed al riguardo è appena il caso di rammentare che la regola di rinnovazione istruttoria imposta dall'art. 603 c.p.p., comma 3-bis si applica al solo caso della riforma in pejus della sentenza assolutoria in primo grado e non anche nella ipotesi in cui il giudice del gravame ribalti in melius la precedente decisione - ha evidenziato che il racconto della stessa persona offesa, come detto privo di attendibili riscontri, si palesava autonomamente scarsamente attendibile, posto che lo stesso presentava delle distonie evidenti rispetto a quanto la teste T.J., madre della persona offesa e, all'epoca dei fatti, persona convivente con l'imputato, dichiara di avere appreso dalla figlia ed, in parte, di avere direttamente percepito, distonie che hanno, plausibilmente, indotto i giudici della Corte cagliaritana a ritenere non adeguatamente dimostrata la attendibilità di entrambi i testi e, pertanto, non sufficientemente provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell' U.. Ritiene, altresì, questa Corte, con specifico riferimento al secondo motivo di impugnazione, che abbia una qualche rilevanza ai fini della affermazione della contraddittorietà motivazionale della sentenza impugnata il fatto che in essa non sia stato correttamente valutato il dato storico che l' U. ha ricevuto una condanna, divenuta definitiva, per maltrattamenti in famiglia; diversamente, infatti, da quanto affermato in sede di ricorso, la Corte di Cagliari ha preso atto della indicata circostanza ma ha, con motivazione sicuramente scevra dalla manifesta illogicità, rilevato che il dato in questione esauriva i suoi effetti dimostrativi nei limiti degli episodi aventi rilevanza nella sentenza in questione, non costituendo la condotta di abuso sessuale ora in questione "una necessaria e pacifica conseguenza e/o componente" delle ulteriori condotte ivi accertate. Va, peraltro, segnalato che è la Corte, semmai, a porre in evidenza una condotta attuata dalla persona offesa che è logicamente inspiegabile, peraltro in un ambito familiare autonomamente caratterizzato da forti dissapori, se esaminata nel medesimo contesto dei denunziati abusi sessuali; riferisce, infatti, la Corte territoriale come la T. abbia continuato a frequentare l'imputato, non nelle minime e del tutto occasionali modalità da lei stessa ammesse, ma con atteggiamenti apparentemente sereni e persino di spontanea familiarità, anche dopo l'avvenuta denunzia presentata a suo carico. Non significativo e', ancora, il rilievo secondo il quale la Corte di merito non avrebbe dato il giusto peso alle dichiarazioni rese dalla teste D., psicologa consulente di parte della persona offesa; al riguardo, invece, la Corte ha dato atto di quanto dalla stessa riferito, osservando che le sue dichiarazioni hanno messo in evidenza un contesto familiare ed un vissuto personale della persona offesa piuttosto problematico, le cui conseguenze non appaiono deporre in termini univoci per la pregressa esistenza di una situazione di abuso sessuale ai suoi danni, potendo le stesse avere una ben diversa eziologia che prescinda da quelle. E', d'altra parte, da ribadire la regola di giudizio secondo la quale la esistenza di una situazione di abuso sessuale non è ricavabile dalla esistenza di una condizione di disagio psicologico; come è stato, infatti, osservato, proprio in questa materia, in tema di valutazione della prova indiziaria nei reati sessuali, non è possibile ritenere che i sintomi siano la prova dell'abuso e che quest'ultimo sia la spiegazione dei sintomi (cosiddetto ragionamento circolare), in quanto non è consentito da un indizio sicuro in fatto, ma equivoco nell'interpretazione, concludere per la certezza dell'evento che rappresenta il tema probatorio, trasformandosi diversamente l'oggetto della prova in criterio di inferenza (Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 gennaio 2015, n. 3394; idem Sezione III penale, 9 ottobre 2007, n. 37147). Neppure è decisivo il rilievo contenuto nel ricorso in ordine alla ritenuta omessa valutazione della giurisprudenza di questa Corte in tema legittimità della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa; nel caso in esame, infatti, la Corte ha evidenziato non tanto la interna contraddizione del racconto della persona offesa, quanto il fatto che lo stesso, in particolare con riferimento al fatto che della esistenza degli abusi la persona offesa avesse messo al corrente la madre sin da epoca ampiamente anteriore a quella di presentazione della denunzia, si sia posto in insanabile contraddizione con quanto la madre di costei ha sostenuto, cioè di avere ignorato della esistenza degli abusi sino al 2013. E' il contrasto fra le due versioni ad avere indotto la Corte di merito a dubitare della fondatezza di quanto riferito dalla persona offesa. Evidentemente esulante rispetto alla competenza di questa Corte di legittimità è il tema agitato con il quarto motivo di ricorso, afferente alla contraddittorietà del giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni della madre della persona offesa, essendo chiaramente compito esclusivo dei giudici del merito, non sindacabile in sede di legittimità se non nei termini della manifesta illogicità, quello afferente alla selezione dei fattori di contraddizione esistenti nel corpo delle dichiarazioni testimoniali e della loro valutazione ai fini del giudizio di attendibilità del teste che tali dichiarazioni abbia reso. Privo di pregio e', infine, anche il quinto motivo di impugnazione, con il quale è censurata la svalutazione delle testimonianze rese in giudizio dai testi de relato; e', infatti, ben vero che nei reati aventi ad oggetto la violazione della libertà sessuale le fonti dichiarative dirette sono, il più delle volte, rappresentate esclusivamente dalla persona offesa, essendo le restanti fonti, laddove esse riferiscano specificamente dell'episodio di violenza, per lo più fonti de relato le cui informazioni sono state alimentate dai racconti del teste diretto, appunto costituito dalla persona offesa. Tale indubbio rilievo non deve però valere come elemento idoneo ad attribuire, inspiegabilmente, alla fonte de relato in una fattispecie quale è quella ora in esame un valore probatorio più ricco di quello che è ad essa abitualmente riservato, presentando la medesima, trattandosi una fonte, per così dire, di secondo grado, gli stessi eventuali limiti di attendibilità che sarebbero attribuibili alla fonte informativa che ha fornito ad essa la materia sulla base della quale il teste de relato ha acquisito le proprie conoscenze. Si vuole con ciò intendere che quanto riportato da un teste de relato che riferisca una informazione poco attendibile da lui assunta dalla persona offesa, non può costituire un elemento atto a rafforzare l'attendibilità di tale informazione, solo perché di regola nella tipologia di reati cui le informazioni pertengono scarseggiano i testi diretti. In definitiva la impugnazione proposta dalla parte civile deve essere rigettata e la ricorrente va condannata, alla luce dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 15 settembre 2021. Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021
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