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La violenza sessuale si configura anche senza finalità di piacere, tutelando la libertà personale

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 07/02/2024, n.18027

Il reato di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) tutela la libertà sessuale della persona, intesa come libertà assoluta e incondizionata di disporre del proprio corpo.
Ai fini della configurabilità del reato:
a) Non è necessario che la condotta sia finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente.
b) È sufficiente che l’agente sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo.
c) L’eventuale concorrente finalità ingiuriosa, ludica o di umiliazione della vittima non esclude la connotazione sessuale dell’azione, purché essa comprometta la libertà sessuale della persona offesa (Sez. 3, n. 20459/2019; Sez. 3, n. 3648/2018; Sez. 3, n. 21020/2015).
La valutazione della natura sessuale dell’atto avviene sul piano oggettivo e non su quello soggettivo delle intenzioni dell’agente.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22/05/2023, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza pronunciata in data 20/10/2022 dal Tribunale di Bergamo, con la quale Ra.Al., all'esito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile dei reati di maltrattamenti e violenza sessuale commessi in danno della compagna convivente e condannato alla pena di anni quattro di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile con liquidazione di provvisionale. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Ra.Al., a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 609-bis, comma 1 e ult. comma, cod. pen. e vizio di motivazione. Argomenta che le risultanze istruttorie, costituite dalle dichiarazioni della persona offesa, evidenziavano che gli atti posti in essere dall'imputato erano indirizzati a parti intime e sessualmente rilevanti, ma gli stessi si inserivano nel più ampio quadro delle condotte maltrattanti e non avevano avuto come finalità il soddisfacimento di un bisogno sessuale, essendo, invece, estrinsecatesi come condotte morbose indirizzate ad avere un controllo manicale sulla vita della persona offesa; le modalità e le connotazioni degli atti in questione, inoltre, evidenziavano come non vi fosse stata una significativa compromissione della libertà sessuale della persona offesa, tanto da configurarsi l'attenuante della minore gravità del fatto. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della circostanza aggravante della minorata difesa, lamentando che la Corte di appello non aveva valutato in concreto l'idoneità delle problematiche di salute della persona offesa a determinare una situazione di ostacolo alla privata difesa. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., lamentando che la Corte di appello si era limitata a ritenere la richiesta intempestiva e non avente ad oggetto un risarcimento integrale, senza considerare le varie corresponsione di somme di denaro operate nel corso del giudizio in favore della persona offesa, pari alla provvisionale liquidata, e la mancata quantificazione del danno da parte della persona offesa. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, lamentando che la Corte di appello si era limitata a fondare il diniego sulla gravità dei fatti e sulla personalità dell'imputato, senza considerare la spontanea ammissione delle proprie responsabilità da parte dell'imputato, le condotte riparatone attuate, la scelta di intraprendere un percorso terapeutico e la positiva condotta post delictum. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Con memoria del 22/01/2024 il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, ha formulato richiesta di sospensione del procedimento con richiesta di ammissione ai programmi di giustizia riparativa ex art. 129 bis cod. proc. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In via preliminare, va rilevata l'inammissibilità dell'istanza di sospensione del procedimento con richiesta di ammissione ai programmi di giustizia riparativa ex art. 129 bis cod. proc. pen, proposta dal difensore dell'imputato nella memoria del 22/01/2024. Va osservato che, a norma del nuovo art. 129-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150 del 2022, in ogni stato e grado del procedimento, l'Autorità giudiziaria può disporre, anche d'ufficio, l'invio della persona indicata come autore dell'offesa e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento (cioè a quello del luogo o ad altro da lei stessa indicato) per l'avvio di un programma di giustizia riparativa. L'art 45-ter disp. att. cod. proc. pen. (disposizione introdotta dall'art., 41, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150 del 2022) consente di individuare l'Autorità giudiziaria competente in ordine all'accesso alla giustizia riparativa. Tale competenza spetta: in fase di indagini preliminari, al pubblico ministero, che vi provvede con decreto motivato; dopo l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio e fino al momento in cui questo, unitamente al fascicolo, è trasmesso al giudice del dibattimento ai sensi dell'art. 553, comma 1, cod. proc. pen., al giudice per le indagini preliminari, che vi provvede con ordinanza; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 590 cod. proc. pen., al giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Risulta, pertanto, normativamente previsto che durante la pendenza del ricorso per cassazione l'istanza per l'avvio di un programma di giustizia riparativa non deve essere proposta al giudice di legittimità ma al giudice; che ha emesso il provvedimento impugnato, il quale, nella specie, va individuato, non in questa Corte di cassazione, ma nella Corte di appello di Brescia. 2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il reato di violenza sessuale non necessita, in alcun modo, ai fini della configurabilità, dell'esistenza di uno specifico requisito soggettivo, consistente nel soddisfacimento sessuale dell'agente. Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie prevista dall'art. 609-bis cod. pen. è, infatti, la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali, una libertà assoluta ed incondizionata, che non incontra limiti nelle intenzioni che il soggetto agente possa essersi prefisso. Ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, dunque, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale dell'agente, in quanto è sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, mentre l'eventuale concorrente finalità ingiuriosa o minacciosa dell'agente non esclude la connotazione sessuale dell'azione (Sez. 3, n.20459 del 24/01/2019, Rv.275965 - 01; Sez.3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, Rv. 272449 - 01; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep.21/05/2015, Rv.263738 - 01). In definitiva, va ribadito che l'atto deve essere definito come "sessuale" sul piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell'agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l'atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude (Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007, Rv. 236964; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, Rv. 237294). Nella specie, pertanto, incontestata l'oggettiva valenza come atti sessuali delle condotte poste in essere dall'imputato (toccamenti della vagina posti in essere con violenza fisica ed abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto), in quanto idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona offesa e ad invaderne la sua sfera sessuale, risulta irrilevante la direzione finalistica dell'azione. Quanto alla ulteriore censura con la quale si lamenta ii diniego della circostanza attenuante speciale delia minore gravità di cui all'art. 609, ultimo comma, cod. pen. va osservato quanto segue. La Corte di appello ha escluso la ricorrenza dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 609 bis ult. comma cod. pen., evidenziando, con ampie e diffuse argomentazioni, quali elementi ostativi preponderanti sia l'estrema gravità delle condotte che gli effetti psicologici sulla persona offesa (pp, 9, 10 e 11 della sentenza impugnata). La motivazione è adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità. Va ricordato che questa Corte ha affermato che, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai finì del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 46461 del 16/05/2017, Rv. 271348 - 01; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 22/02/2016, Rv.266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, Rv. 263821; Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196; Sez. 3, n. 5002 del 07/11/2006, dep. 07/02/2007, Rv. 235648). 3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va ricordato che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 5, cod. pen., occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzarle (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all'età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorché non impossibile, concretamente ostacolata (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Rv.282095 - 01; Sez. 2, n. 6608 del 14/11/2013, dep. 2014, Rv. 258337; Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Rv. 279302). Nella specie, la circostanza aggravante in questione è stata contestata e riconosciuta sussistente con riferimento al fatto che la vittima si trovasse in precarie condizioni psicologiche e ridotta a vivere chiusa in casa senza alcun rapporto con altre persone, condizioni che avevano concretamente favorito e facilitato la condotta illecita dell'imputato, determinando, in concreto, una particolare situazione di vulnerabilità della persona offesa (cfr pag. 12 della sentenza impugnata). La motivazione è congrua e non manifestamente illogica ed in linea con il principio di diritto suesposto e si sottrare, pertanto, al sindacato di legittimità. 4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Il motivo prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente ed in maniera critica con le argomentazioni svolte (p. 12, ove si evidenzia non solo l'intempestività dei pagamenti ma anche la non integralità del risarcimento) nella sentenza impugnata, confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 cod. proc. pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (Sez. 6, n.20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181). Trova, dunque, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 2, n.19951 del 15/05/2008, Rv. 240109; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez. 2, n.11951 del 29/01/2014, Rv. 259425). La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità del ricorso (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596). 5. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha denegato l'applicazione nella massima estensione delle già concesse circostanze attenuanti generiche (come prevalenti rispetto alla contestata aggravante), richiamando la gravità dei fatti, le modalità dell'azione, la protrazione nel tempo delle condotte illecite e l'aggravante della minorata difesa riconosciuta; in tal modo ha, con argomentazioni congrue e logiche, assolto al relativo obbligo di motivazione. Al riguardo, va richiamata la condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante in sede di giudizio di bilanciamento, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Sez. 3, n. 13210 del 11/03/2010, Rv. 246820; Sez. 4, n.48391 del 05/11/2015, Rv. 265332); inoltre, è stato anche affermato che la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall'imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza -come avvenuto nella specie -, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 7, n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; Sez. 2 n. 17347 del 26/01/2021, Rv. 281217 - 01). 6. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 7. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 7 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2024.
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