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Il dissenso nella violenza sessuale si desume da rifiuti espliciti o da inerzia dovuta a sopraffazione

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 16/02/2024, n.13222

In tema di violenza sessuale, la mancanza di consenso può essere desunta da un rifiuto verbale chiaramente espresso dalla vittima o dalla sua inerzia e paralisi psicologica, determinate da una situazione di soggezione o sopraffazione. L'interpretazione del dissenso da parte dell’autore come ritrosia "di facciata" non può rilevare per escludere la configurabilità del reato, quando le circostanze e la condotta della vittima denotano una chiara mancanza di consenso.
Il giudice, nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, deve:
1) Motivare l’intrinseca coerenza e costanza delle dichiarazioni, anche considerando eventuali comportamenti favorevoli all’imputato riferiti dalla vittima.
2) Evitare riferimenti stereotipati, come la vis grata puellae, che possono risultare privi di rilevanza probatoria, e concentrarsi sull’eventuale condotta coercitiva e sulle circostanze che hanno impedito alla vittima di opporsi attivamente.
3) Valutare in modo univoco il dissenso manifestato, senza interpretazioni che contraddicano i dati probatori.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23/06/2022, la Corte di appello di Palermo, in riforma integrale della pronuncia di condanna emessa dal giudice di primo grado, ed in accoglimento dell'appello dell'imputato, ha assolto Fu.Ca., con revoca delle statuizioni civili, per i reati di cui agli artt. 81,609 bis cod. pen. (capo d'imputazione sub A), di cui agli artt. 582,585 cod. pen. (capo di imputazione sub B), consistiti nell'aver costretto Mi.He. a subire plurimi rapporti sessuali, in data 11 agosto 2016, in orario notturno, prima in una zona isolata, all'interno del proprio furgone, e successivamente in un'abitazione nella sua disponibilità, approfittando del fatto di averle offerto un passaggio al rientro da una serata trascorsa in discoteca, a fronte delle rimostranze manifestate dalla persona offesa, che chiedeva di essere riaccompagnata a casa, ed avendole provocato ecchimosi, escoriazioni e lesioni personali. Il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 12/02/2020, aveva dichiarato colpevole Fu.Ca. per i reati a lui ascritti al capo sub A) e sub B) della rubrica, assolvendolo dal reato di cui al capo C), relativo al reato di cui all'art. 605 cod. pen., in quanto la privazione della libertà personale non si era protratta oltre il tempo necessario per il compimento del reato di violenza sessuale, e considerato che la prima parte del viaggio era stata effettuata su richiesta della medesima parte offesa e che, sia pure per pochi minuti, la persona offesa era rimasta da sola in macchina con gli sportelli non chiusi a chiave. 2. La persona offesa Mi.He. ricorre per cassazione avverso la sentenza di assoluzione in epigrafe indicata ai soli fini della responsabilità civile dell'imputato, formulando un unico motivo di ricorso, con il quale deduce violazione di legge, contraddittorietà e vizio della motivazione nonché il travisamento della prova in ordine alla valutazione della inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. La ricorrente ha, in particolare, evidenziato l'illogicità della motivazione della sentenza assolutoria laddove ha riconosciuto un ruolo decisivo, ai fini dell'affermazione della credibilità della persona offesa, a quanto dichiarato da Ca.Mo. su circostanze marginali della vicenda, relative alla fase antecedente alla violenza subita e concernenti la circostanza in cui la persona offesa, rimasta sola, senza le amiche e il fidanzato, con il quale aveva litigato, aveva cercato un passaggio per poter rientrare a casa. La Corte territoriale ha ribaltato l'esito del giudizio del primo grado sulla base di quanto riferito dal Ca.Mo., che ha affermato che la richiesta di essere accompagnata a casa in piena notte provenisse dalla persona offesa e non dall'imputato. La ricorrente evidenzia altresì la contraddittorietà della sentenza impugnata posto che la Corte d'appello ha più volte evidenziato l'assenza di una reazione fisica della persona offesa nonché l'assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, facendo richiamo alla anacronistica massima della vis grata puellae, assunto in base al quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell'uomo, non essendo sufficiente manifestare un mero dissenso. Inoltre, è illogica la motivazione laddove il giudice territoriale non ha considerato che la mancata fuga da parte della persona offesa, rimasta nell'auto da sola per circa due minuti sotto la casa della nonna dell'imputato, mentre egli andava a prendere le chiavi, non sia da ricondurre ad uno stato di prostrazione psichica tale da inibirle qualunque forma di reazione concreta ed attiva. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. La parte civile costituita deposita conclusioni e nota spese CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le doglianze prospettate dalla ricorrente sono fondate. In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che, come nel caso in disamina, riformi totalmente la decisione di primo grado, sostituendo alla pronuncia di condanna quella di assoluzione dell'imputato, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dimostrandone in modo rigoroso l'incompletezza o l'incoerenza (Sez. U, 12/07/2005, Mannino). Nel caso in disamina, la Corte territoriale non solo non ha confutato le argomentazioni della sentenza di primo grado, a sostegno della assoluzione, ma non le ha nemmeno analizzate, ribaltando l'epilogo decisorio sulla base di un iter logico - giuridico del tutto avulso dal percorso argomentativo seguito dal giudice di prime cure Per di più, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità. La Corte territoriale si è infatti limitata ad affermare dubbi relativi alla volontarietà o meno dei diversi rapporti sessuali consumati tra i giovani, alimentati dal fatto che il teste Ca.Mo. ha riferito di aver offerto alla persona offesa un passaggio fino a casa, visto che le amiche con cui la giovane si era recata in discoteca erano andate già via e considerato che, a seguito di una lite con il fidanzato, la Mi.He. era rimasta sola. Tuttavia, il teste ha riferito che la Mi.He. aveva poi rifiutato il passaggio e riferito che sarebbe andata via con Fu.Ca. . Inoltre, al termine della serata, il teste Ca.Mo. ha dichiarato di aver incontrato i due giovani nei pressi della casa della persona offesa e si era avvicinato per riferire che le due amiche la stavano cercando. Il teste ha dichiarato che in quel frangente la Mi.He. e il Fu.Ca. apparivano sereni e che in particolare la ragazza era sorridente, anzi rideva, ma che poi quando il Fu.Ca. se n'era andato, si era messa a piangere e gli aveva raccontato di aver subito una violenza sessuale. Il giovane si era mostrato incredulo ed aveva suggerito alla persona offesa di dimenticare tutto, rimproverandola persino di non aver lasciato il suo attuale fidanzato, tale Gi.Gr. . L'apparato giustificativo del decisum non può però ridursi alla semplice riproduzione delle risultanze acquisite, dovendo il giudice elaborare il materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni delle parti (Sez.6, 11/02/2008, Rv. 34042/07, Napolitano). Il giudice a quo avrebbe dunque dovuto chiarire le ragioni per le quali egli abbia ritenuto inattendibili le deposizioni della persona offesa e, in particolare, le ragioni per le quali non ha ritenuto attendibile il pianto della ragazza nell'immediatezza dei fatti allorquando, appena scesa dalla macchina del Fu.Ca. . manifestava al Ca.Mo. tutto il suo disagio, mettendosi a piangere e raccontando di essere stata violentata. La valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni processualmente rilevanti, da qualunque parte provengano, esige infatti un'accurata disamina, anche in ordine ai rapporti tra i protagonisti della vicenda sub iudice, agli interessi e ai moventi che possono aver mosso un testimone a rendere una dichiarazione di un determinato tenore e a tutte le circostanze che abbiano eventualmente influito sulla deposizione (Sez. U, 4/02/1992, Ballan). Occorre, in questa prospettiva, tener presente, in particolare, come la deposizione della persona offesa dal reato, pur potendo certamente rientrare nello spettro cognitivo e valutativo del giudice, in sede decisoria, vada riguardata con ogni cautela, considerato che la parte lesa è portatrice di un interesse contrapposto a quello dell'imputato (Cass. 13/05/1997, Di Candia, Rv. 208229). Sulla base di tali criteri, il giudice di merito avrebbe poi dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali e verificando se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass. 25/06/1996, Cotoli, Rv. 206131). In questa prospettiva, non può non rilevarsi come difetti, in particolare, una disamina della tematica relativa al rinvenimento di indumenti intimi, appartenenti alla persona offesa, che sono stati acquisiti in giudizio e che risultano lacerati e alle ragioni per le quali la persona offesa, al termine della serata, appena incontrato l'amico Ca.Mo. e scesa dall'auto del Fu.Ca. . una volta rimasta sola, si sia messa a piangere e abbia affermato, nell'immediatezza, di essere stata violentata, confermando il giorno successivo il racconto anche alla madre, alle numerose amiche (in particolare si richiama la teste Ca.An.) e successivamente alla psicologa. La Corte territoriale non ha neppure adeguatamente e compiutamente confutato i riscontri alla valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa che il giudice di primo grado aveva richiamato a conforto, costituiti, oltre che dagli indumenti intimi lacerati e dalle dichiarazioni testimoniali, dalle comunicazioni intercorse tra i due protagonisti della vicenda appena il giorno dopo i fattive il Fu.Ca., pur confermando il contesto e i tratti essenziali della vicenda e sostenendo di non ricordare bene cosa fosse successo, contesta di aver usato violenza e riferisce che a un certo punto della serata la ragazza si era spaventata, ammettendo di essere leggermente nervoso. Orbene, occorre tener presente che le sezioni unite hanno stabilito che il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Troise, Rv. 27243). La Corte d'appello, dunque, avrebbe dovuto spiegare in maniera puntuale le ragioni per le quali ha ritenuto di addivenire ad una pronuncia di segno opposto rispetto a quella di primo grado, che aveva evidenziato come l'imputato, convinto che si fosse creata una situazione favorevole e forte del pregiudizio secondo cui la Mi.He. era una ragazza" facile", mosso dal desiderio maturato da tempo di avere un rapporto sessuale con lei, ha disatteso i segnali di dissenso che la stessa aveva manifestato. Contraddittoria è poi l'affermazione del giudice territoriale ove, da un lato afferma l'inattendibilità della persona offesa in ordine al dissenso ai rapporti sessuali, dall'altro, afferma che il semplice rifiuto verbale ai rapporti sessuali, comunque manifestato dalla persona offesa, potesse essere interpretato dal Fallii come ritrosia, meramente formale e "di facciata", di una donna alle iniziative erotiche del partner. Non si comprende poi quale rilievo probatorio e argomentativo abbia, nel contesto dell'apparato giustificativo della decisione impugnata, il riferimento alla vis grata puellae, a fronte di una problematica inerente ad un atteggiamento coercitivo o meno dell'imputato. Al riguardò il giudice di primo grado aveva evidenziato la intrinseca attendibilità delle dichiarazioni rese darla persona offesa che ha reiterato in modo costante, coerente e lineare il nucleo essenziale dei fatti senza mai entrare in contraddizione e riferendo anche circostanze favorevoli all'imputato. La giovane ha infatti riferito di essersi sempre opposta agli atti sessuali, chiedendo ripetutamente di essere riaccompagnata a casa e che per lei si trattava solo di un passaggio. La persona offesa ha anche riferito di essere rimasta sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all'interno del furgone in zona isolata e in piena notte, ove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga. La tematizzazione di tali profili è del tutto estranea al tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, onde non può affermarsi che i giudici di secondo grado siano pervenuti alla riforma della sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della correttezza logica, e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti (Sez. U, 25/11/1995, Facchini, Rv.203767). Il giudice a quo avrebbe dunque dovuto chiarire le ragioni per le quali egli abbia ritenuto inattendibili le deposizioni della persona offesa. La valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni processualmente rilevanti, da qualunque parte provengano, esige infatti un'accurata disamina, anche in ordine ai rapporti tra i protagonisti della vicenda sub iudice, agli interessi e ai moventi che possono aver mosso un testimone a rendere una dichiarazione di un determinato tenore e a tutte le circostanze che abbiano eventualmente influito sulla deposizione (Sez. U, 04/02/1992, Ballan). Anche se, in questa prospettiva, occorre tener presente, in particolare, come la deposizione della persona offesa dal reato, pur potendo certamente rientrare nello spettro cognitivo e valutativo del giudice, in sede decisoria, vada riguardata con ogni cautela, considerato che la parte lesa è portatrice di un interesse contrapposto a quello dell'imputato (Cass. 13/05/1997, Di Candia, Rv. 208229). E le Sezioni unite, pur ribadendo che le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della declaratoria di responsabilità dell'imputato, hanno sottolineato la necessità di una attenta verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella alla quale vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Nel caso poi in cui la persona offesa si sia costituita parte civile può essere opportuno procedere al riscontro delle sue dichiarazioni mediante altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). 2. Si impone, pertanto, un pronunciamento rescindente. La sentenza impugnata va dunque annullata rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per.questo grado di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Così deciso il 16 Febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2024.
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