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Violenza sessuale aggravata su minori di dieci anni: la competenza passa alla Corte d'Assise

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 14/06/2024, n.28485

A seguito della modifica introdotta dall'art. 13, comma 2, lett. b), l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019, competente per materia a giudicare del reato di violenza sessuale aggravata a norma dell'art. 609-ter, ultimo comma, c.p., ove il fatto sia stato commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è la Corte d'assise e non il Tribunale in composizione collegiale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 ottobre 2023, la Corte appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 10 gennaio 2023, appellata da An.Gi., riduceva la pena al medesimo inflitta a 14 anni di reclusione, confermando nel resto l'appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia (capo 1) nonché dei reati di violenza sessuale ai danni della moglie (capo 2) e dei due figli minori di anni 10 (capi 3 e 4) e del reato di produzione di materiale pedopornografico utilizzando la figlia minore di anni 16, contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nelle imputazioni. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale attesa l'incompetenza per materia del Tribunale di Caltanissetta e della Corte d'Appello di Caltanissetta, in quanto competente a decidere in primo grado era la Corte d'assise e, in appello, la Corte d'assise d'appello della stessa città. In sintesi, si premette che il reato di violenza sessuale, ove commesso ai danni di minori di anni 10, è attualmente punito con la pena della reclusione nel massimo di anni 24. Poiché in base all'articolo 5 del codice di procedura penale, la Corte d'assise è competente, per quanto qui di interesse, per i reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, nel caso di specie, a giudicare avrebbe dovuto essere la Corte d'assise in primo grado e, di conseguenza, la Corte d'assise d'appello in secondo grado. Richiamato il principio statuito da Sez. U. n. 3821/2006, si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da nullità assoluta per incompetenza per materia dei giudici che l'hanno, nei rispettivi gradi, emessa e parzialmente confermata, atteso che, nel presente processo, erano stati emessi la richiesta di giudizio immediato e il decreto di giudizio immediato nel luglio 2021, dunque in epoca di piena vigenza della novella normativa. Trattandosi di nullità assoluta, riconducibile all'articolo 179 del codice di procedura penale, detta nullità sarebbe rilevabile ed eccepibile per la prima volta anche in sede di legittimità. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in quanto la parte civile avrebbe dovuto rivestire la qualità di coimputata e/o di imputata in procedimento connesso o collegato. In sintesi, premesso che la parte civile venne sentita in incidente probatorio dal gip, si osserva come la stessa aveva ammesso di essere andata via di casa per coltivare una delle sue tante relazioni sentimentali, pur avendo già contezza degli abusi del marito sui due figli. Alla luce del suo ammesso timore, si sarebbe dovuto fermare l'esame ai sensi dell'articolo 63 del codice di procedura penale ed invitarla a nominare un difensore, con tutte le conseguenze processuali del caso, a partire dalla necessità di individuare un riscontro a quanto testimoniato, nel caso in cui fosse scaturita un'indagine o un processo a suo carico. Lasciare casa ed i figli in balia di un uomo considerato autore di tutti i reati per cui è processo, avrebbe postulato la responsabilità della madre ai sensi dell'articolo 40 del Codice penale, per non avere impedito che il marito abusasse dei figli, sicché andava indagata e poi processata sulla base di quanto da lei stessa raccontato. 2.3.Deduce, con il terzo motivo, il vizio di mancanza della motivazione per non essere stato rispettato il principio dell'ogni oltre ragionevole dubbio. In sintesi, si sostiene che il giudice avrebbe dovuto fare i conti con il dato assai curioso di una testimone, madre, unica teste relativamente alle violenze subite personalmente e dai figli, che più volte aveva sostenuto e ribadito che il marito aveva abusato davanti ai suoi occhi dei minori e che, nonostante ciò, aveva più volte, dopo la scoperta di tali abusi, abbandonato i figli in compagnia del padre. Si censura, in particolare, l'assoluta assertività della motivazione sulla credibilità della testimone in quanto in entrambe le sentenze ci si sarebbe limitati a definirla come credibile a dispetto della sua condotta di vita. L'inadeguatezza della motivazione deriverebbe dall'assenza di confronto del giudice con tale incoerenza, disapplicando la regola di giudizio secondo cui la responsabilità penale è possibile solo quando la colpevolezza emerga al di là di ogni ragionevole dubbio. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 3 maggio 2024, ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza. Rileva il PG che il ricorrente, con motivo di ricorso a carattere assorbente, lamenta violazione della normativa processuale in tema di attribuzione della competenza, atteso che è contestato al capo 4) il reato di violenza sessuale per il quale ha riportato condanna - commesso in danno di persona minore di anni dieci nell'anno 2006 - e ai fini della determinazione della competenza - con la modifica introdotta dall'art. 13, lett. b), della legge n. 69 del 2019, è stata attribuita la cognizione di fatti di tale gravità alla Corte di assise. La competenza per materia a giudicare per il delitto di cui all'art. 609-bis c.p. appartiene al Tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis, lett. c, cod. proc. pen.), rinviando, quanto alla determinazione della pena, ai criteri fissati dall'art. 4 cod. proc. pen.; ed alla stregua di tale ultima norma, ai fini della determinazione della competenza, occorreva tener conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, altresì delle circostanze aggravanti, per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato, nonché delle aggravanti ad effetto speciale, tali ultime essendo quelle circostanze aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo (art. 63 cod. pen.). E poiché, nella specie, è stata contestata l'aggravante di cui all'art. 609-ter c.p., la quale è in grado di comportare il raddoppio della pena prevista (da sei a dodici anni di reclusione), la competenza a giudicare i reati spettava alla Corte di assise. Se anche il fatto, nella sua materialità, è stato commesso in epoca antecedente alla modifica normativa, è applicabile la regola secondo cui non rileva l'epoca di consumazione del reato, in quanto l'individuazione del giudice competente va effettuata sulla base della normativa vigente al momento in cui il Pubblico Ministero esercita l'azione penale in una qualsiasi delle forme previste dal sistema processuale. In applicazione del principio "tempus regit actum" che governa la successione nel tempo delle norme processuali, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il P.M. esercita l'azione penale e la competenza, cosi determinata, rimane ferma in forza dell'ulteriore principio della "perpetuatio juri-sdictionis", anche in caso di sopravvenuta modifica della normativa, a meno che la nuova legge non introduca una specifica disciplina transitoria. Resta peraltro salva l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatone più favorevoli al reo, in considerazione della data di consumazione del reato, ai sensi dell'art. 2, comma terzo, cod. pen. (Fattispecie in tema di modifiche introdotte all'art. 186 C.d.S. dal D.L. n. 151 del 2003 conv. in L. n. 214 del 2003 - Sez. 1, Sentenza n. 12148 del 02/03/2005, Rv. 231844; Sez. U, Sentenza n. 3821 del 17/01/2006, Rv. 232592). 4. In data 13 giugno 2024, il difensore Avv. Laura Alfano, in difesa di Fi.Lo., costituita parte civile ed ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte. 5. In data 13 maggio 2024 l'Avv. Andrea Di Salvo, nell'interesse del ricorrente, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, insistendo per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di trattazione orale ex art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, è inammissibile. 2. Il primo motivo è inammissibile. Ed invero, risulta che l'eccezione di incompetenza per materia è stata dedotta per la prima volta davanti a questa Corte e che la stessa, integrando un'ipotesi di nullità assoluta è deducibile per la prima volta anche in sede di legittimità. Che si tratti di nullità assoluta non vi è infatti motivo di dubitare, atteso che al ricorrente sono contestati sia al capo 3) che al capo 4) i reati di violenza sessuale per i quali il ricorrente ha riportato condanna - commessi entrambi in danno di persona minore di anni dieci dal 2015 al 2018, quanto al reato sub 3) e nel corso dell'anno 2016, quanto al reato sub 4) - e ai fini della determinazione della competenza - con la modifica introdotta dall'art. 13, lett. b), della I. n. 69 del 2019, è stata attribuita la cognizione di fatti di tale gravità alla Corte di assise. La competenza per materia a giudicare per il delitto di cui all'art. 609-bis c.p. appartiene al Tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis, lett. c, cod. proc. pen.), rinviando, quanto alla determinazione della pena, ai criteri fissati dall'art. 4 cod. proc. pen.; ed alla stregua di tale ultima norma, ai fini della determinazione della competenza, occorre tener conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, altresì delle circostanze aggravanti, per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato, nonché delle aggravanti ad effetto speciale, tali ultime essendo quelle circostanze aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo (art. 63 cod. pen.). E poiché, nella specie, è stata contestata l'aggravante di cui all'art. 609-ter c.p., la quale è in grado di comportare il raddoppio della pena prevista (da sei a dodici anni di reclusione), la competenza a giudicare i reati spetta in effetti alla Corte di assise, essendo prevista nel massimo la pena di anni 24 di reclusione, rientrante nella competenza della Corte d'assise ex art. 5, cod. proc. pen., non essendo peraltro stata prevista dalla citata I. 69 del 2019 una normativa transitoria come, invece, avvenuto, ad esempio, in relazione all'attribuzione della competenza per materia al Tribunale per i delitti "comunque aggravati" di cui all'art. 416-bis, cod. pen. (per il quale, in caso di associazione armata, come è noto, la pena è della reclusione di anni 26: art. 2, co. 1, D.L. n. 10 del 2010, conv. con modd. in I. 52 del 2010). Se anche il fatto, nella sua materialità, è stato commesso in epoca antecedente alla modifica normativa, è peraltro applicabile la regola secondo cui non rileva l'epoca di consumazione del reato, in quanto l'individuazione del giudice competente va effettuata sulla base della normativa vigente al momento in cui il Pubblico Ministero esercita l'azione penale in una qualsiasi delle forme previste dal sistema processuale. Nella specie, la richiesta di giudizio immediato risulta depositata dal PM in data 15/07/2021, mentre il decreto di giudizio immediato è stato emesso dal GIP del Tribunale di Caltanissetta in data 30/07/2021. In applicazione del principio "tempus regit actum" che governa la successione nel tempo delle norme processuali, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il P.M. esercita l'azione penale e la competenza, così determinata, rimane ferma in forza dell'ulteriore principio della "perpetuatici juri-sdictionis", anche in caso di sopravvenuta modifica della normativa, a meno che la nuova legge non introduca una specifica disciplina transitoria. Resta peraltro salva l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatone più favorevoli al reo, in considerazione della data di consumazione del reato, ai sensi dell'art. 2, comma terzo, cod. pen. (Fattispecie in tema di modifiche introdotte all'art. 186 C.d.S. dal D.L. n. 151 del 2003 conv. in L. n. 214 del 2003: Sez. 1, n. 12148 del 02/03/2005, Rv. 231844; Sez. U, n. 3821 del 17/01/2006, P.G. in proc. Timofte, Rv. 232592). 3. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: "A seguito della modifica introdotta dall'art. 13, comma 2, lett. b), I. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019, competente per materia a giudicare del reato di violenza sessuale aggravata a norma dell'art. 609-ter, u. co., cod. pen., ove il fatto sia stato commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è la Corte d'assise e non il Tribunale in composizione collegiale". 4. Nel caso di specie, tuttavia, tale principio non può trovare applicazione, in quanto si versa nell'ipotesi di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, disciplinata dall'art. 15, cod. proc. pen. Non v'è dubbio, infatti, che per le residue imputazioni, diverse da quelle per le quali vi è la competenza della Corte d'assise, la competenza spettava al Tribunale in composizione collegiale. Tuttavia, trattandosi di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, trova applicazione la norma di cui all'art. 21, comma 3, cod. proc. pen., a norma del quale l'incompetenza derivante da connessione, tra cui rientra l'ipotesi dell'art. 15, cod. proc. pen., "è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini previsti dal comma 2", ossia "prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1". Trattandosi, nel caso di specie, di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, in base al disposto del comma 3 dell'art. 21 cod. proc. pen. il ricorrente è decaduto dalla possibilità di eccepirla, avendola sollevata per la prima volta dinanzi a questa Corte, né è consentito al Collegio di rilevarla d'ufficio, essendo ciò precluso dalla stessa disposizione processuale ("è rilevata o eccepita"). Ciò, del resto è confermato da quella giurisprudenza assolutamente dominante (salva l'isolata pronuncia di Sez. 1, n. 40879 del 03/10/2012, Rv. 253473 - 01), secondo la quale, nei procedimenti con udienza preliminare, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche quando la stessa incida sulla competenza per materia, può essere proposta o rilevata d'ufficio subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, a condizione che la parte abbia già formulato senza successo la relativa eccezione dinanzi al giudice dell'udienza preliminare (da ultimo: Sez. 1, n. 30964 del 28/05/2019, Rv. 276439 - 01). Ne consegue, pertanto, che, una volta superato lo sbarramento temporale individuato dal comma 2 dell'art. 21, cod. proc. pen., richiamato dal comma 3 della stessa disposizione, l'incompetenza per materia derivante da ragioni di connessione non può più essere né eccepita né rilevata d'ufficio. 5. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: "L'incompetenza per materia o per territorio derivante da connessione, ai sensi degli artt. 15 e 16 cod. proc. pen., non rilevata d'ufficio od eccepita prima della conclusione dell'udienza preliminare o, quando questa manchi, subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, non può essere né eccepita né rilevata per la prima volta in sede di legittimità, ostandovi il disposto dell'art. 21, comma 3, cod. proc. pen.". 6. Anche il secondo motivo è inammissibile. È sufficiente a tal fine richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante (dunque, a maggior ragione, quelle rese dinanzi al GIP in sede di incidente probatorio, svolto nel contraddittorio tra le parti), non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, posto che la garanzia di cui all'art. 63, comma 1, cod. proc. pen. è posta a tutela del solo dichiarante (da ultimo: Sez. 2, n. 28583 del 18/06/2021, Rv. 281807 - 01). In tal senso si è anche chiarito che in tema di prova dichiarativa, le dichiarazioni aventi contenuto anche autoindiziante rese innanzi alla polizia giudiziaria da persona non sottoposta ad indagini - quando ancora non sussistano elementi per ritenere la medesima indagabile - non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, atteso che la qualità di teste-parte offesa del reato in relazione al quale si indaga, prevale rispetto a quella di possibile coindagato in reato connesso (Sez. 2, n. 23!':i94 del 11/06/2020, Rv. 279804 -01). Ne discende, pertanto, la piena utilizzabilità nei confronti del ricorrente di quanto riferito dalla persona offesa, quand'anche la stessa avesse reso dichiarazioni contra se, secondo la ipotetica ricostruzione difensiva. 7. Infine, anche il terzo motivo è inammissibile. La censura, sotto l'apparente deduzione del vizio di mancanza della motivazione, tende in realtà a proporre una rivalutazione in fatto della vicenda, censurando la valutazione espressa dai giudici territoriali di attendibilità del narrato della persona offesa. La violazione del principio dell'ogni oltre ragionevole dubbio è dunque evocata senza alcuna ragione giuridica apprezzabile, in quanto il "dubbio" prospettato, non riguarda certo la colpevolezza del ricorrente quanto, piuttosto, l'attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa, ciò che rende all'evidenza inammissibile il relativo motivo. Del resto, questa Corte ha già affermato che in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278237 - 01). E, nella specie, la prospettazione è all'evidenza meramente ipotetica e congetturale, se pur in astratto plausibile. 8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione. 9. Quanto alla condanna alle spese relative all'azione civile, non ricorrono le condizioni per disporla, essendo state tardivamente depositate le conclusioni per via telematica, ossia solo il 13 giugno 2024, giorno antecedente l'udienza. In tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, il termine del quinto giorno antecedente all'udienza, per il deposito delle conclusioni nel giudizio di legittimità, previsto dall'art. 23, comma 8, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha natura perentoria, sicché la parte civile che presenti le proprie conclusioni oltre tale termine non può ritenersi ritualmente costituita in detto giudizio (Sez. 6, n. 13434 del 26/01/2021, Rv. 281148 - 01; v. anche Sez. 1, n. 35305 del 21/05/2021, Rv. 281895 - 01). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso, il 14 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2024.
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