RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Venezia, in data 2 novembre 2023, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione di sentenza di condanna della stessa Corte, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Treviso, con cui Me.Re. era stato condannato in ordine al delitto di violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.) in danno di Me.Fa. (commesso tra il 15 e il 25 agosto 2011), ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e ridotto la pena ad anni 3 e mesi 4 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
1.1. Il processo ha ad oggetto il reato di violenza sessuale posto in essere nei confronti di una donna che, all'epoca dei fatti, lavorava come badante dell'anziana suocera dell'imputato, residente in un'abitazione di campagna adiacente a quella di Me.Re.
Il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità dell'imputato e lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione, alle pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale per la durata della pena, oltre che alle pene accessorie di cui all'art. 609 nonies comma 1 e 2 cod. pen.; con la stessa sentenza l'imputato era stato condannato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile liquidati in Euro 30.000.
La Corte di Appello, in parziale riforma di tale sentenza, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena inflitta in anni 3 e mesi 4 di reclusione, revocato la pena accessoria della interdizione legale e sostituito quella della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea per anni cinque, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Tale ultima sentenza era stata annullata dalla Corte di Cassazione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, con il quale era stata eccepita la nullità della pronuncia territoriale per difetto assoluto di motivazione: in particolare, la Suprema Corte aveva rilevato che la Corte di appello si era limitata ad una pedissequa operazione di "copia e incolla" della sentenza di primo grado, senza effettuare alcuna concreta disamina delle censure dedotte in sede di impugnazione.
2. Avverso la sentenza, l'imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della penale responsabilità.
Il difensore censura il giudizio di attendibilità della deposizione della parte civile Me.Fa. e la mancata considerazione da parte della Corte di Appello di contraddizioni palesi interne al racconto della vittima, nonché fra tale racconto e le testimonianze assunte, con travisamento del significato di tali ultime testimonianze.
In particolare:
-con riferimento al momento iniziale dell'aggressione, Me.Fa. aveva riferito che, mentre dormiva, si sarebbe svegliata a seguito dei toccamenti subiti e avrebbe trovato l'imputato accanto a sé completamente nudo, il quale, dopo essere salito sopra di lei e averla bloccata con la forza, l'avrebbe costretta a subire un rapporto sessuale. Tale versione non era coincidente con quanto emerso dalle altre testimonianze.
Secondo la teste Ma.Ch., nipote dell'imputato, Me.Fa. le avrebbe riferito che quella notte aveva trovato l'imputato già disteso, nudo nella camera da letto;
secondo la teste Fu.Ma., rappresentante della CGIL, la parte offesa le avrebbe riferito che, mentre stava dormendo, si era trovata un uomo sopra di lei;
secondo la teste Za.Da., operatrice del "Telefono Rosa", Me.Fa. le avrebbe detto di aver sentito, non sapeva dire se nel dormiveglia o nel sonno profondo, il corpo dell'uomo sopra di lei.
Tali deposizioni - secondo il difensore- smentiscono la successione cronologica dei fatti resa in dibattimento da Me.Fa. e riproposta dalla sentenza di -secondo grado, secondo cui ella si sarebbe svegliata in quanto accortasi dalla presenza "accanto a lei" di Me.Re., che solo successivamente le sarebbe salito sopra;
- con riferimento alla circostanza della avvenuta (o meno) penetrazione, la persona offesa nulla aveva detto al riguardo a Ma.Ch., Fu.Ma. e Pa.Ma., psicologa presso il "Telefono Rosa", né erano stati acquisiti riscontri esterni;
- con riferimento all'avvenuta all'eiaculazione e alla complessiva ricostruzione cronologica delle condotte attraverso cui si è dipanata l'aggressione, la parte civile aveva riferito una simultaneità di condotte poste in essere dall'imputato che, mentre la teneva bloccata all'altezza delle spalle, impedendole qualsiasi reazione, con le mani contemporaneamente non solo riusciva a toccarla "dappertutto", anche all'altezza delle parti intime, ma anche a spostarle le mutandine: la Corte aveva ritenuto tale racconto plausibile, in spregio di ogni criterio di ragionevolezza. Anche l'incertezza sulla data in cui si sarebbe consumata la violenza sarebbe, secondo il giudice d'appello, non solo minima e dunque trascurabile, ma, altresì, del tutto coerente con il travaglio che aveva scandito detto lasso temporale, travaglio che, tuttavia, mai era stato oggetto di riscontro.
-con riferimento all'assenza in capo a Me.Fa. di una determinazione a querelare maturata nell'immediatezza dell'affronto subito, la Corte non avrebbe tenuto conto che la donna aveva trattenuto con sé i fazzoletti mediante i quali Me.Re. (o lei stessa) avrebbe pulito le tracce organiche dell'avvenuto contatto sessuale:
tale gesto non poteva che essere spiegato con la volontà di precostituirsi una prova da utilizzare nei confronti di Me.Re.
La stessa operatrice del "Telefono Rosa", Za.Da., aveva precisato che Me.Fa. aveva sempre manifestato l'intenzione di denunciare l'accaduto; Ma.Ri., pure, aveva riferito di essere stato contattato da Me.Fa., il giorno dopo il suo licenziamento, e che in quell'occasione la donna gli aveva detto che sarebbe andata dalla Polizia o dai Carabinieri;
- con riferimento alla esclusione della rilevanza del movente economico, la Corte avrebbe omesso di considerare che Me.Fa. un anno prima dei fatti, nel 2010, aveva interrotto una relazione extraconiugale intrattenuta per dieci anni con il signor Bi., il quale aveva sempre provveduto a mantenerla e, quindi, si era trovata in ristrettezze economiche; che il teste Za.Di. aveva riferito che, in più occasioni, la persona offesa gli aveva confidato di "volere un uomo con i soldi" e che il Ma.Ri. aveva confermato l'ossessione della donna per il denaro.
La Corte, più in generale, avrebbe travisato i risultati probatori oggettivamente derivanti dagli elementi addotti dalla difesa. Tutti i testimoni della difesa, invero, avevano reso delle dichiarazioni convergenti tra loro e comprovanti la linea difensiva del ricorrente in ordine ai fatti per cui è causa e, a fortiori, l'assenza di credibilità di Me.Fa.
La teste Sp.Vi. aveva raccontato di essere stata denunciata dalla parte civile in relazione a lesioni inesistenti; la teste Ca.Ni., presso la quale la parte civile aveva in passato lavorato come badante, l'aveva definita come persona non onesta, abituata a mentire.
Sulla vicenda dell'assicurazione della autovettura di Me.Fa. il cui premio era stato pagato dal figlio dell'imputato, la Corte non avrebbe tenuto conto che la parte civile era caduta più volte in contraddizione, dichiarando di aver scoperto che le era stata pagata l'assicurazione il giorno che era uscita da casa (e, quindi, un mese dopo l'episodio di asserita violenza) e, in altro passaggio, di avere ricevuto il tagliando della nuova assicurazione prima dei fatti denunciati.
Infine la Corte non avrebbe tenuto conto che in un primo tempo Me.Fa. aveva spiegato di aver rassegnato le dimissioni a seguito di quanto accaduto, salvo poi, emersa la questione dell'assicurazione, ammettere che se ne era andata per non dovere restituire i soldi relativi al premio assicurativo.
2.2.Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis, comma 3, cod. pen.
Il Giudice a quo non avrebbe adeguatamente valutato nella sua interezza il fatto, commesso in danno di una donna adulta, pienamente capace d'intendere e di volere e non avrebbe tenuto conto che non era stata acquisita in giudizio alcuna prova di un danno psichico e di uno stato traumatico, a fronte del comportamento tenuto dalla donna successivamente ai fatti (e in particolare del suo essersi allontanata da casa un mese dopo), indicativo, al contrario, dell'assenza di qualsivoglia trauma.
2.3. Con il terzo motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Invero la norma speciale di cui all'art. 609 nonies, comma 1, cod. pen. in caso di reati sessuali, così come formulata all'epoca dei fatti, limitava la sanzione dell'interdizione agli uffici attinenti alla tutela, alla curatela, e all'amministrazione di sostegno.
Né d'altra parte può affermarsi che la Corte abbia in realtà inteso riferirsi al diverso disposto di cui all'art. 609 nonies, comma 1 n. 4, cod. pen., introdotto dall'art. 4, comma 1, della Legge 1 ottobre 2012 n. 172, che prevede l'applicazione dell'interdizione dai pubblici uffici (complessivamente intesi) cumulativamente alla pena accessoria di cui al n. 2 della medesima norma, posto che il principio di legalità della pena e quello di applicazione, in caso di successione di leggi penali, della legge più favorevole, operano anche con riguardo alle pene accessorie.
2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alle statuizioni civili. La corte lagunare aveva ritenuto congrua la somma liquidata in via equitativa dal collegio trevigiano, pur in assenza di documentazione medica attestante il grado di turbamento e di disturbo post- traumatico asseritamente subito.
3. Nel corso della discussione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. contestato all'imputato, consumato tra il 15 e il 25 agosto 2011, risulta prescritto. Esso, all'epoca di commissione, era punito con pena massima di anni dieci di reclusione, sicché la prescrizione minima, ex art. 157 e ss cod. pen., è pari ad anni dieci e quella massima è pari ad anni 12 e mesi 6 (il raddoppio del termine per tale delitto è stato introdotto dalla art. 4 comma 1 lett. a) della L. 1 ottobre 2012 n. 172 e, quindi, in epoca successiva rispetto ai fatti). Al termine massimo di prescrizione devono essere aggiunti 60 giorni a causa della sospensione del corso della prescrizione a seguito del rinvio per legittimo impedimento del difensore disposto dal Tribunale all'udienza del 5 febbraio 2013, onde il reato si è prescritto il 15 aprile 2024.
2. La non manifesta infondatezza del ricorso (con particolare riferimento al motivo inerente l'applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, in ragione della previsione di cui all'art. 28 u.c. cod. pen.) ha consentito la valida instaurazione del rapporto di impugnazione davanti a questa Corte di legittimità e, dunque, determinato la rilevanza del fatto estintivo.
La sentenza, deve, pertanto essere annullata agli effetti penali senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
3. La pronuncia di prescrizione, a fronte della condanna nei precedenti gradi di giudizio dell'imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, comporta che questa Corte, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., debba decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (con esclusione, dunque, della trattazione dei motivi che attengono alla pena).
In tal senso, il ricorso deve essere rigettato.
3. Il primo motivo, attinente alla affermazione della responsabilità, è inammissibile, poiché costruito in fatto.
La doverosa premessa è che, nel caso cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218).
Quanto alla natura del ricorso in cassazione, si è affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584).
Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
3.1. A fronte di doppia sentenza conforme di condanna, le censure del ricorrente sono la riproposizione delle questioni già dedotte e valutate dai giudici di merito in maniera conforme nel doppio grado di giudizio. L'affermazione della responsabilità del ricorrente è stata fondata su una logica e compiuta valutazione del compendio probatorio ed in particolare all'esito dello specifico vaglio delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
La Corte si è soffermata sui profili di credibilità oggettiva e soggettiva della vittima e si è soffermata, altresì, sulle discrasie fra il suo racconto e le confidenze in ordine all'episodio precedentemente rese alle testimoni Ma.Ch., Za.Da. e Fu.Ma., rilevando come le stesse fossero trascurabili e tutte ampiamente giustificate dalla diversità dei contesti nei quali dette narrazioni avevano avuto luogo e dallo stato psicologico della donna (pagg. 12 e ss. della sentenza impugnata).
La Corte, nel dettaglio, ha esaminato le ipotizzate divergenze e ne ha fornito una giustificazione rispondente ai canoni della ragionevolezza, chiarendo che:
- la deposizione di Ma.Ch. ben poteva essere conseguente ad una rievocazione scarsamente affidabile della confidenza ricevuta, anche in ragione dell'atteggiamento della Ma.Ch. orientato ad edulcorare i fatti;
- la deposizione di Za.Da. era coincidente con quella della vittima quanto al nucleo essenziale dei fatti, e così pure, nella sostanza quella di Fu.Ma.;
- mai la parte offesa aveva escluso, prima della escussione dibattimentale, che nel corso della violenza vi fosse stata penetrazione; vero è che, secondo quanto riferito da Ma.Ch., con lei la persona offesa aveva fatto riferimento solo ad avances, ma, in disparte dalla valutazione sulla piena attendibilità di tale testimonianza, ben poteva essere che Me.Fa., parlando con una parente dell'imputato, non avesse voluto scendere nel dettaglio;
- la dinamica complessiva della violenza riferita dalla persona offesa non presentava carattere di inverosimiglianza, specie ove si consideri l'effetto sorpresa;
- la minima incertezza nella collocazione temporale dei fatti doveva essere considerata coerente con il travaglio che aveva scandito il periodo intercorso fra la violenza e la presentazione della denuncia;
- dall'istruttoria nel suo complesso era emersa l'iniziale indecisione della persona offesa in merito alla presentazione della denuncia;
- nessuna contraddizione poteva essere ravvisata nella narrazione della persona offesa a proposito della marginale "questione" del pagamento del premio dell'assicurazione dell'auto (pag. 18 in cui sono riportati fedelmente tutti i relativi passaggi della deposizione).
La Corte di appello si è fatta, dunque, carico di esplorare tutti i temi sollevati dal ricorrente e in maniera approfondita ha replicato alle relative censure, adottando un percorso argomentativo logico, coerente e esente da qualsivoglia profilo di travisamento. Quest'ultimo, invero, deve intendersi, non già quale errata interpretazione della prova, ma quale palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 Maggio, Rv. 255087; Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belluccia, Rv 244623; Sez.5. n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola, Rv 238215; Sez. 1, n. 24667, del 15 giugno 2007, Musumeci, Rv 237207; Sez. 4, n. 21602 del 07 aprile 2007, Ventola, Rv 237588).
Anche la censura in ordine alla eventuale omessa valutazione della prova esistente agli atti, deve essere, comunque, accompagnata dalla prospettazione della decisività dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117).
Nel caso in esame, la Corte non ha attribuito alle prove assunte un significato diverso da quello loro proprio, ma le ha valutate, appunto, con canoni di ragionevolezza e, dunque, in maniera non censurabile, senza incorrere, anche nella disamina delle prove dedotte dalla difesa dell'imputato, in omissioni che, a fronte del motivato giudizio di piena attendibilità e credibilità della persona offesa, potessero incrinare il ragionamento probatorio.
4. Il secondo motivo, attinente al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 609 bis u.c. cod. pen. (che il collegio prende in esame, in quanto incidente sulla quantificazione del risarcimento del danno e, dunque, rilevante ai fini civili), è infondato. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la minore gravità del fatto deve risultare dalla sua valutazione complessiva, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, in modo da accertare che la libertà sessuale non sia stata compressa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima un danno grave, anche in termini psichici (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L., Rv. 277615). Con orientamento costante si è infatti affermato chetai fini del diniego della stessa attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità per escludere l'applicazione della circostanza attenuante (Sez. 3, n. 8735 del 24/11/2022, dep. 2023, B., Rv. 284203 - 01; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272). Nel caso di specie, la Corte di appello ha fondato il rigetto della richiesta difensiva valorizzando la gravità del fatto sotto il profilo della natura degli atti sessuali imposti e quindi della radicalità della compressione della sfera sessuale, il contesto lavorativo nel quale i fatti erano stati posti in essere, caratterizzato da posizioni asimmetriche delle parti, e le conseguenze psicologiche del reato come emerse attraverso le testimonianze di Fu.Ma., Za.Da. e Pa.Ma.
La valutazione in tal modo compiuta, in quanto coerente e non illogica, non si presta ad essere censurata. Contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente, la Corte ha operato un apprezzamento complessiva del fatto, traendone argomenti nel senso della insussistenza della minore gravità, e ha desunto la significatività del danno cagionato alla vittima da precise fonti di prova debitamente indicate.
4.Il quarto motivo, attinente alla quantificazione del risarcimento del danno, è infondato.
La Corte di appello, in replica ad analoga censura, ha rilevato che, in difetto di documentazione sanitaria specificamente valorizzabile, il primo giudice aveva fatto ricorso al criterio equitativo e aveva declinato tale criterio in modo ragionevole e aderente all'entità del documento psicologico arrecato dalla grave compromissione della sfera sessuale della vittima, come1 data desumere dalle condizioni di marcata sofferenza descritte dalle testimoni Fu.Ma. Za.Da. e Pa.Ma.
Dal canto suo la Corte ha rilevato che le modalità esecutive della grave violenza consumata e, più in generale, il contesto, nel quale si erano svolti i fatti erano elementi che deponevano per la congruità del ristoro riconosciuto, che doveva, pertanto, essere confermato.
Si tratta di percorso argomentativo, che in quanto coerente e non illogico, appare esente da censure. Deve ribadirsi, in via generale, che, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la valutazione del giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (in tal senso Sez. 5. n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P. Rv. 280495 - 02; Sez 5 n. 35104 del 22/06/2013, R.C. Istituo Città Studi, Rv 257123; Sez. 6 n. 48461 del 28/11/2013, Fonata, Rv 258160).
5. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Il ricorso deve, invece, essere rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili
Così deciso in Roma il 17 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2024.