RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentènza emessa dal GUP del Tribunale di Napoli, ha assolto We.Ch., dai reati di cui all'art. 572 cod. pen (capo B) e di cui all'art. 582-585 cod. pen. (capo C) perché il fatto non sussiste, ed ha confermato la responsabilità dell'imputato in relazione al reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. (capo A), per aver costretto con violenza e minaccia la compagna convivente Kr.Aq. a subire un rapporto sessuale completo, rideterminando la pena, previa concessione dell'attenuante di cui all'art. 609 Lire/'s, comma terzo, cod. pen., in anni due di reclusione.
2. Avverso la sentenza in epigrafe indicata, l'imputato ricorre per cassazione, affidando il ricorso ad un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità per carenza dell'elemento psicologico del dolo, vertendo l'imputato in una condizione di errore scusabile sul dissenso.
L'imputato è stato indotto in errore in ordine alla sussistenza del dissenso all'atto sessuale in quanto ingannato dalle parole di amore manifestate dalla compagna durante l'atto sessuale, la quale ha proferito le parole "ti amo". Emerge evidentemente dalla lettura delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio, allegate al ricorso, che la donna ha acconsentito al rapporto intimo, ha ammesso di averlo assecondato e persino ha detto di amare il compagno. Là ricostruzione dei fatti cosi come descritta nel capo di imputazione non ha, quindi, trovato puntuale riscontro nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio all'udienza del 25 giugno 2020. Sebbene la persona offesa abbia dichiarato di aver detto tali parole d'amore solo in quanto dettate dalla paura e per mera finzione, ciò nonostante, nell'ottica della prova della sussistenza dell'elemento psicologico del dolo, il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che tale comportamento, per quanto fittizio, ha tratto in inganno l'imputato impedendogli di percepire la reale volontà della compagna.
Costituisce riscontro di tale condizione soggettiva di errore sul dissenso della persona offesa il fatto che l'imputato, all'indomani dell'episodio in contestazione, ha scritto una frase del tipo: "se tu mi dicevi di no io ti lasciavo stare", affermazione indicativa del convincimento che il rapporto sessuale con la compagna fosse consenziente.
Evidenzia altresì che la persona offesa ha riconosciuto che l'atto sessuale costituisce un unico episodio che si inserisce in un contesto di convivenza protratta per oltre dieci anni, dunque duratura, complessivamente serena, da cui sono nati due figli. Dalla medesima deposizione della persona offesa non è emerso neppure un clima di sopraffazione e di vessazioni reiterate e protratte nel tempo, come dimostra il fatto che i giudici di merito hanno assolto l'imputato per il reato di cui al capo B) relativo ai maltrattamenti in famiglia e per quello di cu al capo C). Ne segue che il rapporto sessuale non si inserisce in un preesistente contesto relazionale connotato né di violenza né da coartazione, sicché egli non poteva ritenere implicito un dissenso.
2. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
3. La parte civile ha depositato memoria con la quale ha evidenziato il clima di violenza e sopraffazione in cui si è realizzato il rapporto sessuale, chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Deposita decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
4. Con memoria difensiva, il ricorrente ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso, replicato alla requisitoria del Procuratore Generale e rassegnato le proprie conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Preliminarmente, si osserva che, in tema di violenza sessuale, il dissenso della vittima costituisce Un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice e, pertanto, il dubbio o l'erroneo convincimento della sua sussistenza investe la configurabilità del fatto - reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, Rv. 274417). Il dissenso, quale elemento oggettivo della fattispecie, deve vertere sugli atti sessuali. Sotto il profilo soggettivo del reato, la valutazione della coscienza e della volontà della condotta da parte del soggetto autore del delitto di violenza sessuale si manifesta innanzitutto nella consapevolezza del dissenso della persona offesa.
Va tuttavia rilevato che non è ravvisabile in alcuna fra le disposizione legislative in materia di delitti sessuali un qualche indice normativo che possa imporre a carico del soggetto passivo del reato, onde ritenerne sussistenti gli elementi costitutivi, un onere di espressione del dissenso all'estromissione di soggetti terzi nella sfera sessuale; al contrario si ritiene, proprio in ragione dell'intimità della dimensione personale attinta, che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell'esclusione delle offensività della condotta, una manifestazione consenso del soggetto passivo che, quand'anche non espresso, presenti segni chiari e ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita. Si è quindi affermato, in giurisprudenza, che è irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato dalla persona offesa, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, Rv. 268186 - 01), purché, comunque, la parte che lamenta di essere in errore, alleghi elementi utili che consentano una verifica di tale assunto difensivo (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, Rv. 274417 - 03). E poiché la dimensione della sessualità non può ritenersi confinata ad una estrinsecazione soltanto fisica, involgendo al contrario anche la dimensione psichica come quella emotiva, ne consegue che è, come già affermato da questa Sezione, la valutazione dell'atto, al fine di apprezzarne l'incidenza sulla libertà di autodeterminazione della persona offesa, debba tener conto della condotta nel suo complesso, rapportandola cioè all'ambito specifico in cui si è svolta, alle modalità in cui si è in concreto estrinsecata, estese anche a quelle che l'hanno preceduta o seguita, al rapporto intercorrente fra i soggetti coinvolti e ad ogni altro dato fattuale che valga a connotarlo (Sez.3, n.43423 del 18/09/2019, Rv.277179; Sez.3, n.38926 del 12/04/2018, Rv.273916). Invero, allorquando si tratti, come nel caso di specie, di violenza sessuale per costrizione, la violenza o la minaccia non devono necessariamente essere contestuali all'atto sessuale né perdurare per tutta la durata del rapporto sessuale, dall'inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta (Sez. 3, n. 16609 dei 24/01/2017 Ud., dep. 04/04/2017, Rv. 269631).
1.2. Dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e dall'esame delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio, allegate dal medesimo ricorrente, emerge tuttavia in termini di incontrovertibilità, che gli atti sessuali siano stati preceduti da violenza e minaccia. Infatti, la dichiarazione di amore - che la persona offesa ammette di aver proferito - si è manifestata solo durante il rapporto sessuale, ma è stata preceduta da plurime, chiare e risolute manifestazioni di dissenso, accompagnate dalla lamentela per un dolore all'orecchio allo scopo di sottrarsi alle richieste sessuali. Muovendo dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale secondo la quale la scriminante putativa del consenso dell'avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l'approvazione della persona che può validamente disporre del diritto (Sez.3, n.37166 del 18/05/2018- dep. 07/09/2016, B e altri, Rv.268311), l'iniziale esternazione del rifiuto da parte della donna priva di qualunque fondamento la tesi difensiva, sulla quale non incide la circostanza che poi la vittima abbia finito con il cedere alle pulsioni sessuali del compagno, assecondando le sue richieste per il timore delle sue violente reazioni. Emerge invero dalle dichiarazioni della persona offesa che prima dell'amplesso l'uomo le era salito sopra, le aveva messo le mani alla gola mentre lei diceva "mi devi lasciare stare", replicando "devi stare zitta, sennò ti ammazzo", e che solo allora costei ha acconsentito per paura: ciò è quanto risulta dal verbale stenografico dell'incidente probatorio, allegato allo stesso ricorso per cassazione, con il quale la difesa omette ogni confronto. Ne segue che l'imputato -invocando l'errore sul consenso determinato dalle parole della compagna- ha isolato un segmento della sequenza dei fatti, concernente la sola fase conclusiva dell'atto sessuale, ormai in atto, trascurando di rappresentarne il completo svolgimento fin dall'inizio, allorquando la persona offesa era stata presa per la gola e immobilizzata con il braccio, e la condotta era stata accompagnata dalla minaccia di farle del male se lei non avesse acconsentito al rapporto.
A nulla, dunque, rilevano le affermazioni dell'imputato del giorno dopo, che vorrebbero comprovare la sussistenza dell'errore sul dissenso, posto che costui era ben consapevole che la compagna voleva sottrarsi al rapporto sessuale, come dimostra il ricorso alla violenza fisica e alla minaccia allorquando la donna aveva lamentato un dolore fisico e si era rifiutata.
Nè vale reiterare in questa sede il fatto che l'imputato sia stato assolto dal reato di cui al capo B), atteso che la mancanza di abitualità delle condotte vessatorie all'interno del rapporto intercorrente, configurante la ragione della ritenuta insussistenza della fattispecie criminosa di cui all'art. 572 cod. pen., non interferisce sulla configurabilità del delitto in esame, circoscritto all'unico episodio in contestazione. Al netto del rilievo che i maltrattamenti, seppur sporadici nell'arco di un rapporto decennale, non sono stati affatto ritenuti insussistenti dai giudici di appello che hanno invece escluso, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la sussistenza dell'elemento costitutivo del reato sub B) sulla base delle stesse dichiarazioni della persona offesa, è proprio sulla testimonianza di quest'ultima, configurando il fulcro del compendio istruttorio, che si fonda la condanna confermata dai giudici distrettuali per il reato di cui al capo sub A).
Del resto, la deposizione della vittima si configura come una prova astrattamente idonea a fondare di persona, senza cioè dover essere assistita da elementi esterni di riscontro, la dimostrazione del fatto rappresentato, postulando la mancata previsione da parte del legislatore di alcuna deroga della capacità testimoniare della persona offesa, il riconoscimento implicito che la stessa non sia considerata di per sé portatrice di un interesse inquinante, pur nel maggior rigore richiesto nell'indagine della sua credibilità oggettiva e soggettiva rispetto a quella a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, tanto la sua posizione astrattamente confliggente con quella dell'imputato. Da ciò deriva che, in difetto di specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto sulla credibilità del teste, il giudice deve presumere che questi riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come è vero, per sua diretta conoscenza, è quello che emerge da altre fonti di prova e di eguale valenza (Sez.4 n.6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv.255104; Sez.4, n.35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830).
La Corte partenopea ha condotto ritualmente il vaglio di attendibilità intrinseca della vittima osservando sagacemente come proprio la frase di amore da costei proferita durante l'amplesso fosse volta in realtà a porre termine al più presto ad un rapporto sessuale al quale era stata costretta con modalità fisiche e verbali tanto brutali, nel tentativo di sottrarsi la conseguenze fisiche più dolorose ai quali sarebbero state presumibilmente quelle cui si sarebbe esposta mantenendo la condotta oppositiva inizialmente manifestata. Valutazione questa che non è stata affatto confutata dalla difesa che, nell'invocare l'errore sul consenso, ha isolato un segmento della sequenza degli accadimenti, concentrandosi sulla sola fase conclusiva del rapporto sessuale e così proponendone una lettura che incorre alla radice nella censura di inammissibilità.
2. Alla declaratoria dell'inammissibilità consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro tremila, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. A carico del ricorrente vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile in relazione alle quali, stante la sua ammissione al gratuito patrocinio, può essere pronunciata nella presente sede di legittimità la sola condanna generica in favore dell'Erario, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115, mentre è rimessa al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione dei relativi importi mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt.82 e 83 del citato D.P.R. (Sez. U, n.5464 del 26/09/2019, De Falco, Rv.277760).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Napoli con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2024.