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La violenza sessuale di gruppo richiede la partecipazione attiva e simultanea di più persone

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 13/06/2024, n.28723

Il reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.) richiede che più persone riunite partecipino alla commissione di atti di violenza sessuale, configurando una fattispecie autonoma e necessariamente plurisoggettiva.
1. La pluralità di agenti è elemento costitutivo del reato, comprendendo anche il caso in cui gli autori siano solo due.
2. La contemporanea presenza di più aggressori accresce la lesività del fatto, determinando una maggiore capacità di intimidazione verso la vittima e un più grave attentato alla sua libertà sessuale.
3. Non è necessario che ogni compartecipe compia direttamente atti di violenza sessuale: è sufficiente un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, purché non si limiti a una mera presenza passiva o da spettatore.
4. Ai fini della configurabilità del reato, è essenziale la contemporanea ed effettiva presenza dei compartecipi nel luogo e nel momento della consumazione del fatto, a differenza del mero concorso di persone nel delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 13/12/2023, il Tribunale di Napoli, in parziale accoglimento dell'appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto dal Pm presso il Tribunale di Benevento avverso l'ordinanza emessa in data 10/08/2023 dal Gip dello stesso Tribunale, applicava a Ve. Gi. e Zi.An. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto di violenza sessuale di gruppo aggravata, contestato al capo 1) dell'imputazione provvisoria, e confermava il rigetto della richiesta cautelare con riferimento agli ulteriori reati di cui all'imputazione provvisoria (capi 2 e 7- reato di cui all'art. 615-bis, comma 3, cod. pen., capo 3- reato di cui all'art. 348, commi 1 e 3 cod. pen., capi 5 e 8-reato di cui all'art. 612-ter cod. pen.). 2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento e gli indagati, Ve. Gi. e Zi.An., articolando i motivi di seguito enunciati. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 125,266,273,270 cod. proc. pen. e 615-bis cod. pen. e vizio di motivazione in relazione ai capi 2) e 7) dell'imputazione provvisoria. Argomenta che il Tribunale erroneamente e in difformità dai dettami di cui alle SU Floris, riteneva che le captazioni acquisita in altro procedimento penale non costituivano corpo del reato di cui all'art. 615 cod. pen., essendo i file (video e immagine) di per sé lesivi del precetto penale del predetto articolo e costituenti anche dal punto fenomenico il prodotto del reato in conformità al disposto dell'art. 253, comma 2, cod. proc. pen. Con secondo motivo deduce violazione degli artt. 125,266,273,270 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 348 e 612-ter cod. pen. e vizio di motivazione con riferimento ai capi 3), 5) e 8) dell'imputazione provvisoria. Argomenta che il Tribunale del riesame, nel rigettare la richiesta cautelare con riferimento ai capi 3-5 e 8, aveva omesso una esplicita motivazione sul punto; se il riferimento era da intendersi alla inutilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento penale ai sensi dell'art. 270 cod. proc. pen., la valutazione era erronea, trovando applicazione la normativa in vigore dal 31.8.2020 al 9.10.2023; i reati di cui ai capi 5) e 8) erano utilizzabili ai sensi del primo comma ed il reato di cui al capo 3) era utilizzabile perché delitto commesso da pubblico ufficiale in danno della pubblica amministrazione punito con la reclusione non inferiore nel massimo ad anni cinque (sia ai sensi dell'art. 266 comma 1 lett. b) cpp che ai sensi dell'art. 266, comma 2-bis cpp); inoltre, il Tribunale ometteva del tutto di pronunciarsi in ordine alla procedibilità del reato di cui al capo 8)- procedibile d'ufficio ai sensi del comma 4 dell'art. 348 cod. pen. - e di valutarne complessivamente la sussistenza del fatto; infine, era del tutto assente la motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari relative al rischio di reiterazione dei delitti di cui ai capi 3) e 5). Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata relativamente ai reati di cui ai capi 2),3),5),7),8). Ve. Gi., a mezzo del difensore di fiducia, propone tre motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 270, commi 1 e 1-bis, e 266, comma 2-bis, cod. proc. pen. Argomenta che il Tribunale del riesame aveva errato nella interpretazione ed applicazione dell'art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen. in relazione all'art. 270, comma 1 e 266 comma 2-bis cod. proc. pen., ritenendo utilizzabili le captazioni ambientali effettuate tra presenti con captatore informatico mobile per l'accertamento dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza e, quindi, per il contestato reato di cui all'art. 609-octies cod. pen.; il comma 1-bis dell'art. 270 cod. proc. pen. deve essere, invece, interpretato in maniera restrittiva e tassativa, attesa la duplice specialità rispetto al comma 1 dell'art. 270 cod. proc. pen. e la natura particolarmente invasiva dello strumento captativo e, quindi, l'applicazione deve essere limitata ad un tipo limitato di delitti (reati contro la PA, di criminalità organizzata e di terrorismo) ai fini della prova dei "reati diversi". Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 609-bis e 609- octies cod. pen. e vizio di motivazione. Argomenta che il Tribunale del riesame aveva ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria basandosi su una captazione ambientale con frasi frammentarie che non erano sufficienti a dimostrare la partecipazione del coindagato all'azione incriminata, che veniva tratta erroneamente da una conversazione telefonica tra soggetti diversi; non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato di violenza sessuale di gruppo in quanto il ricorrente aveva effettuato visite cardiologiche senza esondare in altre forme moleste; inoltre, le persone offese non erano state identificate e l'episodio al quale si riferiva la captazione ambientale era carente e frammentaria; deduce che potrebbe al più configurarsi la condotta di cui all'art. 615-bis cod. pen. o il meno grave delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen., procedibili entrambi a querela di parte.; infine, risultava indimostrata la qualifica del ricorrente quale pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 273 e 274, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Argomenta che il Tribunale del riesame aveva ritenuto sussistenza le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione, in difetto di prova della attualità e concretezza del periculum, non considerando che si trattava di condotta risalente all'ottobre 2022 ed eventualmente realizzata da soggetti che da tempo avevano interrotto ogni contatto e/o frequentazioni; inoltre, era inadeguata e sproporzionata la misura cautelare applicata e sul punto la motivazione era carente in ordine alla adeguatezza di misure alternative, ad es. di tipo interdittivo o prescrittivo. Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con riferimento a quanto statuito un relazione al capo 1) della rubrica. Zi.An., a mezzo del difensore di fiducia, propone tre motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione degli art. 270 comma 1 bis e 266 comma 2-bis cod. proc. pen. Argomenta che il Tribunale del riesame aveva erroneamente interpretato le norme succitate, non tenendo conto l'art. 270 cod. proc. pen. è norma eccezionale correlata all'esigenza di accertamento dei reati di maggiore gravità e che il secondo comma ne perimetra ulteriormente i limiti di utilizzabilità, con riferimento alle intercettazioni tra presenti mediante captatore informatico inserito in dispositivo elettronico portatile, consentendoli solo per un limitato catalogo di reati. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione dell'art. 609-octies cod. pen. Argomenta che erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 609-octies cod. pen., procedibile d'ufficio, in quanto il materiale probatorio non consentiva di valutare compiutamente la condotta del compartecipe che, non compiendo materialmente l'atto sessuale in danno della persona offesa, sia stato comunque presente sul luogo del delitto. Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., lamentando che il Tribunale aveva ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione senza tenere nel debito conto che il ricorrente era immune da pregiudizi penali e non aveva rapporti con il coindagato, le modalità ascritte erano riferibili ad un'unica condotta verificatasi in data 13.10.2022 e che il ricorrente viveva in provincia distante da quella ove si erano verificati i fatti e non svolgeva attività sanitaria. Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con riferimento ai profili summenzionati. 3. I difensori degli indagati ricorrenti hanno chiesto la trattazione orale dei ricorsi. Il difensore di Ve. Gi. ha depositato memoria ex art. 611 cod. proc. pen. nella quale ha dedotto in ordine al ricorso del Pm e concluso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata con riferimento alle statuizioni relative al reato di cui al capo a) dell'imputazione provvisoria. Il PG ha depositato memoria ex art. 611 cod. proc. pen., nella quale ha concluso chiedendo che vengano rigettati i ricorsi proposti nell'interesse di Ve. Gi. e Zi.An. e, in subordine, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 270 comma 1-bis cod. proc. pen., nella parte in cui esclude la utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni mediante captatore informatico in procedimenti diversi relativi a delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza; che l'ordinanza impugnata venga annullata limitatamente ai capi 2), 3), 5), 7), e 8) dell'imputazione con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento è fondato. 1.1. Con riferimento al primo motivo, afferente al reato di cui all'art. 615-bis, comma 3, cod. pen., contestato ai capi 2) e 7) dell'incolpazione provvisoria, deve osservarsi che la motivazione che esclude che i file (immagine e video) captati attraverso l'intercettazione in modalità attiva sul telefono cellulare dell'indagato Zi.An. costituiscano corpo del reato è assertiva e, quindi, apparente. Il Tribunale (vedi p 10 dell'ordinanza impugnata) si limita ad affermare che i file e le immagini non esauriscono la prova del fatto, senza precisare gli elementi di fatto e le ragioni di diritto fondanti tale affermazione. La motivazione, pur meramente assertiva, è, comunque, anche errata in diritto. Corpo del reato è l'oggetto (cose "sulle quali"), lo strumento (cose "mediante le quali") o il risultato (cose "che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo") dell'illecito da accertare e a tali fini riveste intrinseco e meritato valore probatorio, tanto da essere passibile, da subito, di sequestro (art. 253 comma 2 c.p.p.) e, a processo instaurato, di originaria e indisponibile allegazione al fascicolo per il dibattimento (art. 431 comma 1 lett. h cod. proc. pen.). È evidente che i file oggetto di captazione (immagine e video attinenti la vita privata delle persone offese) costituiscono lo strumento o il prodotto del reato di cui all'art. 615-bis cod. pen. ("Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita provata svolgentesi nei luoghi indicati dall'art. 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni"). Va richiamata, quanto alla configurabilità del reato, la sentenza della Sez. 3 n. 27990 del 11/06/2020, Rv. 280280 - 01, che ha affermato che integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che, mediante strumenti di ripresa visiva, si procuri immagini delle parti intime di una paziente sottoposta ad esame diagnostico all'interno di uno studio medico privato. Si è precisato, in particolare, che il bene tutelato dalla norma incriminatrice attiene alla riservatezza rispetto alla tipologia di atti che la persona svolga nella vista privata e che "il concetto di vita privata si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato"(Sez.5, n. 22221 del 10/01/2017, Rv.270236 - 01); ne consegue che "deve essere incluso tra questi atti un accertamento medico da compiersi in studio medico, seppur privato, rispetto al quale la persona ha diritto alla riservatezza sulla propria persona e sulla tipologia dell'atto da compiere". Va richiamata anche la sentenza della Sez.3, n. 47123 del 24/05/2018, Rv. 274419 - 01, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 615 bis cod. pen., l'ambulatorio di un ospedale deve qualificarsi come luogo di privata dimora, essendo il suo uso riservato al personale e ai singoli pazienti che vi sono ammessi ed essendo irrilevante la circostanza che ad usare il locale sia anche l'autore dell'indebita interferenza (Nella fattispecie è stata ritenuta immune da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di cui all'art. 615 bis cod. pen. nel caso di videoriprese effettuate da un dipendente ospedaliero ai danni dei pazienti o di colleghi di lavoro all'interno di una stanza adibita momentaneamente a spogliatoio per ragioni servizio). Ciò posto, trova applicazione il principio di diritto affermato da Sez.U, n. 32697 del 26/06/2014, Rv.259776 - 01, secondo cui, in tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata costituisce corpo del reato unitamente al supporto che la contiene, in quanto tale utilizzabile nel processo penale, solo allorché essa stessa integri ed esaurisca la condotta criminosa. Nella specie, la captazione del file (immagine e video attinenti la vita privata delle persone offese) ha ad oggetto il corpo del reato contestato (vedi anche Sez. 5, n. 10166 del 2011, in motivazione; nonché Sez. 5, n. 17408 del 22/02/2008, in motivazione) e la ripresa di immagini della vita privata altrui, sanzionata dall'art. 615 bis cod. pen., integra ed esaurisce la condotta criminosa contestata (.. si procuravano, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva, immagini attinenti la vita privata di....). Vertendosi, dunque, in ipotesi di intercettazioni aventi ad oggetto il corpo del reato di cui all'art. 615-bis cod. pen esse sono utilizzabili nel processo penale e non trovano, pertanto, applicazione le limitazioni probatorie previste dall'art. 270 cod. proc. pen. 1.2. Con riferimento al secondo motivo, afferente ai reati di cui agli artt. 348, commi 1 e 3 e 612-ter, commi 3 e 4, cod. pen., contestati ai capi 3) 5) e 8) dell'incolpazione provvisoria, deve osservarsi che la motivazione risulta carente in ordine alle ragioni della inutilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento penale: il Tribunale in poche righe afferma, in maniera generica, che i reati contestati (ad eccezione di quello di cui al capo 1 art. 609-octies cod. pen) non prevedono l'arresto obbligatorio in flagranza e che, quindi, le intercettazioni risultano inutilizzabili in procedimento diverso, senza distinguere in ordine al tipo di captazione, al singolo reato interessato ed alla norma concretamente applicabile. Come allegato in ricorso dal Pm e riportato nella stessa ordinanza impugnata (vedi pp 4 e p 7) i risultati dell'attività tecnica svolta nel proc. R.GNR n. 2298/2022 Mod, 21 incardinato presso la Procura della Repubblica di Potenza sono plurimi: intercettazioni telefoniche sull'utenza telefonica intestata a Zi.An. e varie intercettazioni telematiche in modalità attiva dell'utenza telefonica suddetta (conversazioni telematiche-messaggistica whatsApp; file video, colloqui tra presenti; conversazione ambientale). Orbene, come correttamente rilevato dal Pm: il reato di cui all'art. 612-ter, commi le 3, cod. pen. rientra nel novero dei reati di cui all'art. 266 lett. a) cod.proc. pen. e, quindi, rientrerebbe nella deroga al divieto di utilizzazione prevista dal primo comma di cui all'art. 270, comma 1, nella formulazione applicabile ratione temporis; il reato di cui all'art. 348, comma 3, cod. pen. rientra sia nel novero dei reati di cui all'art. 266 lett. b) cod. proc. pen. rilevanti per la deroga prevista dall'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., che nel novero dei reati di cui all'art. 266, comma 2 bis cod. proc. pen. richiamato dall'art. 270, comma 1-bis cod. proc. pen. Va, poi, rilevato che entrambi i procedimenti interessati (quello incardinato presso la Procura della Repubblica di Potenza e quello oggetto di ricorso) risultano iscritti dopo il 31 agosto 2020 e prima del 9.10.2023 e, pertanto, trova applicazione il testo dell'art. 270 cod.proc.pen introdotto dal di n. 161/2019 conv. in I n. 7/2020 (Sez. 6, n. 9846 del 24/11/2022, dep.08/03/2023, Rv. 284256 -01; SU 18 aprile 2024, informazione provvisoria n. 7/2024). Il Tribunale, con motivazione assertiva e, dunque, apparente, non ha esaminato compiutamente la questione della inutilizzabilità delle intercettazioni, omettendo di argomentare in maniera specifica in ordine alla tipologia delle captazioni ed ai reati interessati e di individuare la norma concretamente applicabile. 1.3. L'ordinanza impugnata, pertanto, risulta inficiata da vizi motivazionali ed errori di diritto e va, pertanto, annullata con rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi 2), 3),5),7) ed 8). Il Tribunale, in sede di rinvio, dovrà tener conto dei principi di diritto suesposti ed analizzare ed esaminare il tipo di captazione acquisita, individuando il relativo regime di utilizzabilità in relazione al singolo reato interessato e procedere, altresì, ove necessario, in caso di più captazioni (alcune utilizzabili ecl altre inutilizzabili) alla prova di resistenza. 2.1 ricorsi di Ve. Gi. e Zi.An. vanno dichiarati inammissibili. 2.1. Il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, con il quale si contesta, con riferimento al reato di cui al capo 1)- art. 609-octies cod.pen-., la valutazione del Tribunale in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico è inammissibile per genericità. Il Tribunale (vedi pp 7 e 8) ha valutato la sussistenza della gravità indiziaria relativa al reato di cui al capo 1) esaminando plurime risultanze processuali: oltre ai colloqui tra presenti vengono posti a fondamento del giudizio anche i file-immagini estrapolati dal telefono cellulare dell'indagato Zi.An. e tutte le conversazioni telefoniche intercettate. La doglianza è, quindi, priva della necessaria specificità perché è formulata senza in alcun modo prospettare a questa Corte la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza degli elementi asseritamente inutilizzabili sulla complessiva motivazione posta a fondamento della contestata affermazione di responsabilità. Questa Corte, con orientamento (Sez.2, n.7986 del 18/11/2016, dep.20/02/2017, Rv.269218; Sez.6,n. 18764 del 05/02/2014, Rv.259452;Sez. 4, n. 18764 del 5.2.2014, rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento. 2.2. Il secondo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, relativo alla configurabilità ed alla gravità indiziaria del reato contestato è inammissibile. Va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte si è da tempo consolidata nell'affermare che in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell'art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono, di per sè, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Rv. 202002; Sez. 2, n. 28865 del 14/06/2013, Rv.256657; Sez.2, n.12851 del 07/12/2017, dep.20/03/2018, Rv.272687). La valutazione allo stato degli atti in ordine alla "colpevolezza" dell'indagato, per essere idonea ad integrare il presupposto per l'adozione di un provvedimento de liberiate, deve, quindi, condurre non all'unica ricostruzione dei fatti che induca, al di là di ogni ragionevole dubbio, ad uno scrutinio dì responsabilità dell'incolpato, ma è necessario e sufficiente che permetta un apprezzamento in termini prognostici che, come tale, è ontologicamente compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi elementi. La valutazione della "prova" in sede cautelare rispetto a quella nel giudizio di cognizione si contraddistingue non in base alla differente intrinseca capacità dimostrativa del materiale acquisito, ma proprio per l'aspetto di provvisorietà del compendio indiziario che, in una prospettiva di evoluzione dinamica, potrà essere arricchito (Sez.l, n 13980 del 13/02/2015, Rv. 262300 - 01). Ed è stato precisato che, ai fini dell'applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, è ancora sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l'art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen. (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente il terzo e il quarto comma dell'art. 192, ma non il secondo comma che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità, degli indizi: ne consegue che essi, in sede di giudizio de liberiate, non vanno valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.- che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi-come si desume dall'art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen., che richiama i commi terzo e quarto dell'art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma secondo dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (Sez.4, n.37878 del 06/07/2007, Rv.237475; Sez.5, n.36079 del 05/06/2012,Rv.253511; Sez.6, n.7793 del 05/02/2013, Rv.255053; Sez.4, n. 18589 del 14/02/2013, Rv.255928; Sez.2, n.26764 del 15/03/2013, Rv.256731; Sez.4, n.22345 del 15/05/2014, Rv.261963; Sez.4, n.53369 del 09/11/2016, Rv.268683; Sez.4, n.6660 del 24/01/2017, Rv.269179; Sez.2, n.22968 del 08/03/2017, Rv.270172). Va, poi, evidenziato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi all'applicazione di misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez.6, n.49153 del 12/11/2015, Rv.265244). La funzione di legittimità è, quindi, limitata alla verifica della adeguatezza del ragionamento e della valutazione adottata nel provvedimento sottoposto al suo esame, che deve manifestare con chiarezza ed esaustività quale argomentazione critica lo abbia sorretto nel pervenire alla ricostruzione dei fatti, tenendo conto di tutti gli elementi, sia contro che a favore del soggetto sottoposto al suo esame (Sez.6, n 40609 del 01/10/2008, Rv.241214; Sez,6, n. 18190 del 04/04/2012, Rv.253006; Sez.6,n. 27928 del 14/06/2013, Rv.256262). Nella specie, il Tribunale, in aderenza alle risultanze istruttorie, ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria del reato contestato al capo 1), rimarcando che i due indagati, erano presenti entrambi nel pomeriggio del 13/10/2022 nella sala ambulatoriale dell'ospedale Fatebenefratelli di Benevento e che il Ve. Gi., medico cardiologo, durante la visita medica, compiendo atti del tutto estranei all'operato medico, palpeggiava i seni delle pazienti mentre Zi.An., accreditato falsamente dal cardiologo come un collega, riprendeva la scena ed i corpi nudi delle ignare pazienti (tre delle quali venivano identificate) e procedeva a sua volta a toccamenti al seno in danno di una paziente; Il Tribunale evidenziava, altresì, che i due indagati approfittavano del contesto ospedaliero e della condizione di fragilità fisica e psichica che investe il paziente al momento della visita medica, con abuso della qualifica e della autorità di Ve. Gi. e con inganno delle pazienti circa l'identità e le qualità personali di Zi.An. La motivazione è congrua e non manifestamente illogica e si sottrae al sindacato di legittimità. A fronte di un siffatto adeguato percorso argomentativo, i ricorrenti propongono rilievi in fatto, preclusi in sede di legittimità, alla luce dei principi di diritto suesposti. Nè coglie nel segno la doglianza circa la configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo contestato. Va ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella "partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609- bis", in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo (Sez.3, n.36036 del 18/07/2012, Rv.253687; Sez.3, n.3348 del 13/11/2003, dep.29/01/2004, Rv 227496; Sez 3 del 11.10.1999, n. 11541, ric. Bombaci ed altri) . Ed è stato precisato che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo l'espressione "più persone" contenuta nell'art.609-octies cod pen. comprende anche l'ipotesi che gli autori del fatto siano soltanto due (Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003,dep.29/01/2004,Rv.227496 - 01). La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l'incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione. Non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, nè è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest'ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo (Sez.3, n.6464 del 05/04/2000, Rv.216978; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 29/01/2004, Pacca ed altro, Rv. 227495; Sez.3, n.11560 del 11/03/2010, Rv.246448). Il concetto di "partecipazione", quindi, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un'attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell'art. 609-bis cod. pen.), dovendo invece - secondo un'interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore - ritenersi estesa la punibilità (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero "spettatore", sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva (Sez.3, n.15089 del 11/03/2010 Rv.246614; Sez.3, n.44408 del 18/10/2011,dep.30/11/2011, Rv.251610). Ed è stato precisato che il delitto di violenza sessuale di gruppo si distingue dal concorso di persone nel delitto di violenza sessuale, perché non è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, l'accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la contemporanea ed effettiva presenza dei predetti nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile (Sez 3 n. 12004 del 25/01/2023, Rv.284457 - 01). Nella specie, in linea con i suesposti principi di diritto, il Tribunale ha correttamente ritenuto configurabile il reato di violenza sessuale di gruppo, essendo emerso che entrambi gli indagati, previo accordo diretto alla consumazione degli abusi, erano presenti nel luogo e durante la consumazione dei reati; in particolare, il Ve. Gi., nella quasi totalità degli episodi, compiva materialmente gli atti sessuali in danno delle pazienti, mentre lo Zi.An., presente, li filmava e, in un'occasione, su sollecitazione del Ve. Gi., compiva anch'egli materialmente atti sessuali, consistiti nel palpeggiamento del seno di una delle pazienti. Va ricordato che questa Corte ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 609-octies cod. pen. in fattispecie nella quale il compartecipe aveva fornito un contributo causale alla commissione del reato, nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell'autore dei comportamenti tipici di cui all'art. 609-bis cod. pen., mediante riprese, con telefono cellulare, di parte degli atti sessuali posti in essere, sulla persona offesa, dal coimputato (Sez.3, n. 16037 del 20/02/2018, Rv.272699 - 01). 2.3. Il terzo motivo dì ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, relativo alle esigenze cautelari è manifestamente infondato. Va ricordato che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, la disciplina di cui all'art. 275 comma 3 cod. proc. pen. stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti ivi considerati- tra i quali è ricompreso il contestato delitto di cui all'art. 609-octies cod. pen.- una duplice presunzione relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari (art della cautela) e alla scelta della misura (quomodo della stessa). In presenza di tali reati, come rammentato dal Giudice delle Leggi (cfr. sentenza 231 del 2011), il Giudice deve considerare sussistenti le esigenze cautelari (e l'adeguatezza della carcerazione cautelare) ove non consti la prova della loro mancanza, secondo uno schema di prova di tipo negativo e secondo un modello che, sul piano pratico, si traduce in una marcata attenuazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere che si traduce nell'onere di dar semplicemente atto dell'inesistenza di elementi idonei a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari; solo nel caso in cui l'indagato abbia allegato elementi di segno contrario, l'obbligo motivazionale diviene più pregnante in quanto il Giudice sarà tenuto a giustificare la ritenuta inidoneità degli stessi a superare la presunzione. Questa Corte ha anche precisato che la presunzione dii sussistenza delle esigenze cautelari, di cui all'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall'art. 274 cod. proc. pen. e che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (cfr Sez.l, n. 21900 del 07/05/2021, Rv. 282004 - 01; Sez.5, n. 91 del 01/12/2020, dep.04/01/2021, Rv.280248 - 01; Sez.5, n. 26371 del 24/07/2020, Rv.279470 - 01;Sez.3, n.33051 del 08/03/2016, Rv.268664; Sez.l, n. 5787 del 21/10/2015, dep.11/02/2016, Rv.265986 - 01). Nella specie, il Tribunale ha ritenuto, in sostanza, non vinta la presunzione (relativa) in ordine alla esistenza di esigenze di tutela della collettività, prevista dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., evidenziando anche, a conferma, elementi di fatto dimostrativi di una attualità e concretezza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma primo lett. c) cod. proc. pen. (modalità insidiose del fatto e meticolosa organizzazione anche con travestimento idoneo a trarre in inganno le vittime, attualità del rapporto lavorativo del Ve. Gi.). Quanto alla adeguatezza della misura applicata ha, invece, ritenuto adeguata la misura degli arresti domiciliari, idonea a fronteggiare il pericolo di recidivanza, in considerazione del fatto che, attese le modalità del fatto (insidiosità della condotta e approfittamento delle condizioni di inferiorità in cui si trovavano le pazienti nel corso delle visite mediche), misura meno gravi non sarebbero state in grado di inibire la commissione di ulteriori, gravi condotte. La motivazione è congrua e non manifestamente illogica e si sottrae al sindacato di legittimità. 3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Ve. Gi. e Zi.An. Essendo i ricorsi inammissibili e, iri base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. In accoglimento del ricorso del PM annulla l'ordinanza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 2), 3), 5), 7) ed 8) dell'incolpazione provvisoria e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Dichiara inammissibili i ricorsi di Ve. Gi. e Zi.An., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg esec. cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 13 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2024.
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