RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 7 maggio 2021, il G.U.P. del Tribunale di Monza, riconosciute le attenuanti generiche, condannava Ur.Ca., detto (…), alla pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato continuato di cui agli art. 81 e 609-bis cod. pen., a lui contestato per avere indotto Zo.Gi., classe 1997, a compiere e a subire atti sessuali, avendo l'imputato abusato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica in cui si trovava il minore, che considerava Ur.Ca. non solo un insegnante di musica, ma anche il padre che non aveva mai avuto; fatti commessi in Solaro in epoca compresa tra l'aprile 2014 e il gennaio 2017. L'imputato veniva altresì condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, subiti dalle parti civili Zo.Gi. e Co.Cl., in favore delle quali venivano riconosciuti, a titolo di provvisionale, gli importi, rispettivamente, di 50.000 euro per il primo e di 25.000 euro per la seconda.
Con sentenza del 19 giugno 2023, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva la pena a carico dell'imputato a 3 anni e 2 mesi di reclusione, riducendo altresì l'importo delle provvisionali nella seguente misura: 40.000 euro in favore di Zo.Gi. e 15.000 euro in favore di Co.Cl., confermando nel resto la pronuncia del Tribunale.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello lombarda, Ur.Ca., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato, censurando in particolare la valutazione di attendibilità della persona offesa, che ha denunciato i fatti di causa con la querela sporta il 9 marzo 2018, quindi quasi all'età di 21 anni, assumendo di avere subito negli anni precedenti abusi sessuali da parte di Ur.Ca., con cui aveva interrotto ogni rapporto dall'estate del 2017, essendo stato acclarato nel corso dell'istruttoria che il giovane ha iniziato nel gennaio 2017 un percorso di psicoterapia, nel corso del quale non vi è stata alcuna esperienza di un reminiscenza inconscia, ovvero di un "ritorno del rimosso" che sarebbe riemerso con la terapia, i cui unici effetti sarebbero stati l'interpretazione dei fatti e la volontà di Zo.Gi. di condividerli con figure importanti. Per fare chiarezza sulla vicenda, la difesa aveva chiesto la rinnovazione della istruttoria finalizzata ad accertare la capacità di testimoniare della persona offesa, ma tale sollecitazione è stata respinta dalla Corte territoriale, in base all'erroneo presupposto secondo cui la capacità della vittima di fornire una versione coerente dei fatti comporti come conseguenza un giudizio di attendibilità del racconto, mentre in realtà "coerente" non è affatto sinonimo di "veritiero", perché affermare che un soggetto è idoneo a rendere testimonianza significa solo che egli, se vuole, è in grado di dire la verità, non necessariamente che quanto che ha dichiarato è vero; nello stesso modo, infatti, il dichiarante può riferire il falso.
A ciò si aggiunge che l'affermazione della dr.ssa St.Gr. secondo cui Zo.Gi. aveva un "ottimo livello cognitivo" non è stata supportata da alcuno strumento psicometrico (per esempio la ed. Wais), che possa dare per certo questo dato.
Non è stato considerato, peraltro, che quando a fine 2017 il denunciante ha affermato che per lui era impensabile che Ur.Ca. avesse abusato di lui, si sta parlando di un uomo che aveva compiuto già venti anni e aveva avuto esperienze sentimentali precedenti e successive alla frequentazione con l'imputato.
Un elemento assurdo nella narrazione di Zo.Gi. è costituito peraltro dall'arco temporale dei due episodi di abuso che sarebbero avvenuti uno nel 2014 e uno nel 2017, dovendosi ragionevolmente ritenere che, se davvero l'intento di Ur.Ca. fosse stato quello di abusare sessualmente del denunciante, egli lo avrebbe fatto anche nelle altre occasioni in cui il giovane si è fermato a dormire a casa sua.
I giudici di merito, peraltro, hanno ritenuto credibile ciò che, come era stato illustrato nei motivi di appello, è fisiologicamente impossibile, essendo noto che esistono quattro fasi del sonno, tre fasi Nrem e una fase Rem, insegnando la scienza empirica che si passa da un sonno molto leggero a un sonno profondo, per poi passare nuovamente da fasi meno profonde e finire nella fase leggera del sonno, in cui è facilissimo svegliarsi con uno stimolo esterno. Dunque, quando Zo.Gi. afferma di essersi svegliato al mattino, ciò significa che egli aveva concluso il proprio sonno, per cui è impossibile che egli, accortosi del toccamento di Ur.Ca. quando era sveglio e cosciente, sia immediatamente ricaduto nel sonno profondo, come pure è significativo che il giovane abbia riferito che, risvegliatosi per la seconda volta, era tutto normale, non potendo escludersi che egli abbia sognato. Mancherebbe dunque la prova che i fatti narrati siano realmente accaduti, non potendosi per altro verso ignorare che Zo.Gi., lungi dal subire coercizioni da Ur.Ca., si è autonomamente distaccato da lui e dal gruppo musicale per motivi che non attengono ai presunti abusi, che egli peraltro chiamava "coccole".
Con il secondo motivo, è stata eccepita l'erronea applicazione dell'art. 609 bis, comma 2, n. 1 cod. pen., osservandosi che la Corte di Appello non ha chiarito in cosa sarebbe consistita la condotta di persuasione sottile e subdola che avrebbe perpetrato l'imputato nei confronti della persona offesa per carpirne la fiducia, dovendosi piuttosto rilevare che, nel contesto del rapporto instaurato tra Zo.Gi. e Ur.Ca., non si ravvisa alcun profilo di inferiorità tale da viziare il consenso, essendo stato Zo.Gi. a introdurre il tema della correlazione del rapporto tra le parti con il legame tra Socrate e Alcibiade, fermo restando che, dopo l'asserita violenza sessuale, è stato il giovane a proseguire la frequentazione con Ur.Ca., continuando a recarsi presso la sua abitazione, condotta stridente con i presunti abusi subiti.
Né può essere sottaciuto il dato della piena capacità di autodeterminarsi di Zo.Gi., il quale evidentemente ha scelto di coltivare liberamente il rapporto con l'imputato, ciò a riprova del fatto che non vi fu alcuna induzione da parte di Ur.Ca.
La Corte di Appello ha invero tratto dalla repentinità delle azioni, asseritamente avvenute in fase di dormiveglia, un'assenza di consenso subdolamente aggirata dalla fiducia instillata dall'imputato alla persona offesa, ma, nel fare ciò, ha esplicitamente sovrapposto l'induzione alla presunta violenza, senza in alcun modo vagliare il caso concreto, non solo nell'antecedente valutazione delle condotte di Zo.Gi., ma anche rispetto alle condotte successive dello stesso, allorquando egli ha continuato a frequentare coscientemente il suo compito di insegnante di musica.
Il terzo motivo è infine dedicato alla mancata applicazione dell'attenuante della minore gravità, rilevandosi in proposito che, sebbene l'imputazione indichi un lasso temporale esteso dall'aprile 2014 al gennaio 2017, i fatti in esso descritti sono essenzialmente due e sono avvenuti a distanza di tre anni l'uno dall'altro, a fronte della persistente frequentazione tra le parti nell'arco temporale di riferimento, essendo altresì emerso che è stato sempre e solo Zo.Gi. a introdurre argomenti di natura relazionale tra le parti e che, all'esito del primo episodio, è stato il giovane a protrarre la frequentazione con Ur.Ca., incidendo ciò sulla valutazione del fatto. Peraltro, affermare che vi sia stata una capacità invasiva da parte dell'imputato, tale da creare una forma di soggezione della vittima, contraddice apertamente la descrizione di natura psicologica di Zo.Gi. elaborata in sentenza anche con il richiamo alle sommarie informazioni della dr.ssa St.Gr.
2.1. Con articolata memoria trasmessa il 26 marzo 2024, il difensore delle parti civili Zo.Gi. e Co.Cl. li ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, evidenziando che, nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato non ha mai chiesto che il Tribunale disponesse una perizia sulla capacità a testimoniare della persona offesa, né in sede di incidente probatorio, né attraverso una richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'acquisizione della prova; ciò premesso, si osserva che tutti e tre i motivi di ricorso sarebbero inammissibili, perché non consentiti dalla legge, in quanto, per un verso, aspecifici, posto che sono generici e non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato, e, per altro verso, reiterativi delle medesime censure inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale probatorio già affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale. Si tratterebbe, in definitiva, di mere doglianze di fatto, finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità di questa Suprema Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di essere affrontati unitariamente, perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato non presenta alcun vizio di legittimità.
Deve al riguardo premettersi che le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi in un apparato motivazionale unitario, hanno innanzitutto operato un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, valorizzando in particolare il racconto compiuto dal giovane Zo.Gi., classe 1997, prima nella querela sporta il 9 marzo 2018, poi L'11 aprile 2018 in sede di sommarie informazioni e infine il 4 dicembre 2018 in sede di incidente probatorio. Il denunciante riferiva in tali occasioni di aver subito molestie sessuali, tra il 2014 e il 2017, dal suo insegnante privato di pianoforte, Ur.Ca., detto (Omissis), che egli conosceva da quando aveva 7 anni e che ha frequentato negli anni, intensificando nel tempo le lezioni private, giunte anche a 4 in una settimana.
Sin dall'inizio il legame tra i due era stato molto affettuoso, avendo Zo.Gi. individuato in Ur.Ca. una sorta di padre, avendo il ragazzo sofferto la mancanza del padre biologico, che si era disinteressato di lui dopo il divorzio dalla madre.
Allo stesso modo l'imputato, accortosi del talento del giovane, lo trattava come il suo allievo prediletto, anche al cospetto degli altri studenti, spronandolo a lasciare gli studi di musica classica per quelli di jazz, senza informare di ciò la madre Zo.Gi. a un certo punto entrò anche a far parte di una band di cui Ur.Ca. era l'arrangiatore e, a partire dalla Pasqua del 2014, il denunciante iniziò talora a dormire a casa dell'imputato (che aveva allestito uno studio di registrazione presso la sua abitazione), condividendo con lui il letto matrimoniale.
In una di queste occasioni, nell'estate 2014, Zo.Gi., al momento del risveglio, si accorse che Ur.Ca. gli stava toccando il pene, avendogli infilato la mano sotto il pigiama, salvo poi ritirarla non appena il ragazzo gli chiese spiegazioni, avendo l'imputato prima risposto che si trattava di un gesto dimostrativo, che se si fosse ripetuto avrebbe dovuto indurlo a lasciare la stanza, mentre poi a colazione gli disse che, se pure i due avessero avuto dei rapporti sessuali, non ci sarebbe stato nulla di male, in virtù del legame che si era instaurato tra loro; tale legame peraltro tra il 2014 e il 2017 divenne ancora più intenso, fino a quando, agli inizi del 2017, Zo.Gi., in un'altra occasione in cui aveva dormito a casa di Ur.Ca., notò al risveglio, con sorpresa, che questi, dopo avergli abbassato i pantaloni, gli stava massaggiando la zona del pube, sostenendo che vi fossero dei noduli che egli avrebbe sciolto con le mani, al che il giovane lo fermò prima di riaddormentarsi. In quel periodo, peraltro, più volte l'imputato gli aveva massaggiato varie parti del corpo, affermando che ciò gli serviva per allentare la sua rigidità muscolare.
Nel gennaio 2017 Zo.Gi., turbato da alcuni sogni a sfondo sessuale, avviava un percorso di psicoterapia analitica e alcuni mesi dopo assistette alla visione di un film riguardante la rivelazione di un abuso subito dalla figlia ad opera del padre.
Fu in quel momento che il giovane Zo.Gi. realizzò di aver subito molestie da parte dell'imputato, per cui, dopo aver informato prima la sua fidanzata Bo.Be., e poi la madre Co.Cl., decise di sporgere querela a carico di Ur.Ca.
1.1. Orbene, all'esito di un'ampia rassegna delle fonti dimostrative acquisite, sia il G.U.P. che la Corte di Appello hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni di Zo.Gi., rimarcandone la precisione, la costanza, l'assenza di enfatizzazioni o di espressioni di rancore, oltre che la spontaneità, essendo in tal senso significativa la genesi del racconto, in quanto il disvelamento degli abusi è avvenuto ad anni di distanza dai fatti, a seguito di un percorso di natura psicoanalitica che ha consentito al giovane di acquisire consapevolezza del proprio vissuto, ciò peraltro in una fase in cui si era già allontanato dal ricorrente.
La narrazione di Zo.Gi., già intrinsecamente credibile, ha trovato poi significative conferme, in particolare rispetto al suo particolare rapporto con Ur.Ca. e al trauma dell'acquisizione della consapevolezza di aver subito molestie sessuali, nelle convergenti dichiarazioni della madre Co.Cl., della fidanzata Bo.Be., oltre che della psicoterapeuta St.Gr., la quale ha seguito il giovane dal gennaio 2017, riscontrando sì un quadro ansioso con tratti depressivi e aspetti ossessivi, ma in un contesto soggettivo connotato da un ottimo livello cognitivo, che ha consentito al giovane di elaborare la realtà in modo adeguato, pur con la difficoltà di dover gestire una delicata fase emotiva.
Proprio alla luce delle dichiarazioni della dottoressa St.Gr., oltre che della mancata sussistenza di patologia idonee a incidere sulla capacità di deporre di Zo.Gi., peraltro già ampiamente maggiorenne quando è stato escusso, la Corte di Appello ha legittimamente ritenuto di non accogliere la richiesta difensiva di disporre perizia al fine di accertare la capacità di testimoniare del denunciante, tanto più che alcuna sollecitazione in tal senso era stata formulata in primo grado. Tale decisione risulta immune da censure, dovendosi richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266820), secondo cui la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il Giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, come adeguatamente esposto nel caso di specie.
1.2. Alcuna criticità si ravvisa anche rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti. Al riguardo deve premettersi che il reato è stato contestato sia nella forma costrittiva di cui all'art. 609-bis, comma 1, cod. pen., sia nella forma induttiva ex art. 609-bis, comma 2, n. 1 cod. pen., ciò con riferimento all'abuso da parte di Ur.Ca., in forza del ruolo rivestito, della condizione di inferiorità del suo allievo.
In realtà la prima contestazione deve ritenersi già pertinente rispetto agli episodi avvenuti nel letto matrimoniale dell'imputato, atteso che la dinamica descritta da Zo.Gi. è quella di una costrizione attuata senza che il ragazzo fosse in grado di opporsi ai toccamenti della sfera pubica compiuti mentre egli stava dormendo.
In tal senso, la Corte territoriale ha correttamente rimarcato sia la natura sessuale degli atti, sia la loro repentinità, essendo gli stessi avvenuti quando la vittima si trovava nel dormiveglia ed era impossibilitato a prestare un valido consenso.
Viceversa, la contestazione dell'art. 609-bis, comma 2, n. 1, cod. pen. si attaglia alle altre condotte poste in essere da Ur.Ca. che, con il pretesto di dover sciogliere i muscoli per migliorare le sue prestazioni musicali, ha indotto Zo.Gi. a subire vari toccamenti in zone erogene, in ciò approfittando non solo della posizione di preminenza connessa con il suo ruolo di insegnante (il fatto che fosse un docente privato non rileva, secondo gli insegnamenti della sentenza delle Sezioni Unite n. 27326 del 16/07/2020, Rv. 279520), ma anche della fiducia e della deferenza che l'allievo nutriva nei confronti di colui che egli considerava come un padre.
In tal senso il giudizio sulla configurabilità del reato si pone in sintonia con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 44171 del 19/09/2023, Rv. 285289-02), secondo cui, in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l'induzione a compiere o a subire atti sessuali, rilevante a norma dell'art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen. si realizza quando l'agente, con un'opera di persuasione spesso, ma non necessariamente, sottile o subdola, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente quest'ultima non avrebbe compiuto, avvalendosi consapevolmente delle condizioni in cui essa si trova al momento del fatto.
1.3. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni coerenti con le acquisizioni probatorie e scevre da aspetti di irrazionalità, la valutazione dell'attendibilità della persona offesa compiuta nelle due conformi sentenze di merito non presta il fianco alle censure difensive, che si articolano, peraltro in termini non adeguatamente specifici, nella sostanziale proposta di una lettura alternativa (e frammentaria) del materiale istruttorio, operazione questa non consentita in questa sede, dovendosi ribadire che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal Giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), essendosi in tal senso precisato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre diversa conclusione del processo, sicché non sono consentite tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747). Di qui l'infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al terzo motivo.
Ed invero, per quanto concerne il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 609-bis comma 3 cod. pen., deve rimarcarsi che, in senso ostativo alla configurabilità dell'ipotesi di minore gravità rispetto ai fatti contestati, la Corte di Appello (pag. 10 della sentenza impugnata) ha ragionevolmente valorizzato, nell'ambito di una valutazione complessiva della vicenda, il non lieve grado di compromissione della libertà sessuale del giovane Zo.Gi., il quale, dopo aver scoperto il significato degli abusi sessuali subiti dal suo insegnante di musica, ha avuto difficoltà ad avere una sana relazione intima con la fidanzata, tanto da arrivare a rinunciare a lei dopo l'emersione del trauma per le molestie subite, molestie che sono state reiterate e tali provocare, pur se non particolarmente invasive, un profondo turbamento nella vittima, e tanto anche e soprattutto in ragione dell'affetto e della fiducia che egli provava nei confronti dell'imputato.
Ciò posto, deve ritenersi che la mancata applicazione dell'attenuante ex art. 609-bis ultimo comma cod. pen. sia immune da censure, essendosi posti i giudici di merito in piena sintonia con la consolidata affermazione di questa Sezione (cfr. Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, Rv. 277615 e Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196), secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che è stato escluso nel caso di specie all'esito di un percorso argomentativo tutt'altro che illogico, non potendosi peraltro sottacere che, in ragione della natura e del numero degli atti compiuti, la pena a carico di Ur.Ca. è stata ridotta in appello da anni 4 e mesi 2 ad anni 3 e mesi 2 di reclusione.
3. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse di Ur.Ca. deve essere rigettato, con condanna al ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate nei termini e nei modi di cui dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Zo.Gi. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi degli art. 82 e 83 D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Co.Cl., che liquida in complessivi € 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 12 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2024.