Corte d'Appello di Napoli, 24 giugno 2024, n. 6974 - Presidente Terzi, Consiglieri Vecchione e Paone
In tema di lesioni gravissime e concorso in aggressione, segnaliamo la sentenza n. 6974/24 della Corte d'Appello di Napoli, che ha confermato la condanna a sei anni e sei mesi di reclusione per due imputati, accusati di aver aggredito la vittima con spranghe di ferro, causandone la perdita della milza.
La Corte ha ritenuto inattendibili le obiezioni difensive in merito al riconoscimento degli imputati da parte della vittima e ha confermato la sussistenza dell’aggravante dell’uso di armi improprie.
Svolgimento del processo
Gli imputati, condannati in primo grado con la sentenza innanzi indicata, hanno proposto appello per il tramite del difensore.
All'udienza odierna le parti hanno illustrato le proprie conclusioni ed il collegio, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, ha pronunciato la presente sentenza, mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.
Motivi della decisione
Alla condanna si giungeva sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, dell'atto di ricognizione effettuato in udienza, delle annotazioni di servizio e della documentazione acquisita dal Collegio, delle dichiarazioni rese dai testi esaminati e dell'esame dell'imputato Fe.Yo..
Emergeva che la vittima, Bo.Je., venditore ambulante di fazzolettini di carta, nel tardo pomeriggio del 15.1.2012, mentre si trovava a lavorare al casello autostradale di San Vitaliano, era stato aggredito da tre persone, tra cui riconosceva solo gli attuali imputati, ovvero i fratelli Fe.Yo.
Lo Yo. gli era già noto in quanto alcuni giorni prima gli aveva intimato di andare a lavorare altrove, rivendicando che il posto in cui vendeva il Bou. era suo.
Non conosceva invece l'Ab., avendo appreso solo durante il suo ricovero, da amici che erano andati a trovarlo, che era il fratello del primo.
Dai suoi connazionali aveva saputo altresì l'indirizzo dello Yo., che forniva agli inquirenti.
Quanto alla dinamica dell'aggressione, i tre si erano presentati nella baracca adiacente al casello dove la parte offesa custodiva la sua merce, Yo. gli aveva ribadito che doveva andarsene e quindi tutti lo avevano aggredito con spranghe di ferro lunghe circa un metro.
Non ricordava molto perché era svenuto quasi subito per i colpi subiti, ma aveva poi appreso che il proprietario della baracca, un certo Mario, aveva chiamato la polizia stradale, mentre un suo connazionale, Mohammed, lo aveva soccorso e aveva fatto intervenire l'ambulanza.
Era stato sottoposto a intervento chirurgico per l'asportazione della milza e aveva altresì riportato lesioni al pancreas e al rene e la frattura del bacino. Il ricovero era durato quindici giorni, trascorsi i quali era stato dimesso e se ne era tornato in Marocco per circa tre mesi in ragione dei postumi del pestaggio e dell'evento.
In sede di ricognizione ex art. 213 c.p.p. riconosceva senza esitazione i fratelli Fe.Yo. quali autori dell'aggressione.
Il fatto storico, come ricostruito dalla vittima, trovava riscontro nell'annotazione della P.G. intervenuta sul posto e nelle risultanze del referto di Pronto Soccorso dell'Ospedale di Nola.
Fe.Yo. si protestava estraneo ai fatti, negando di aver mai venduto fazzolettini di carta. In realtà, lavorava quale muratore con regolare contratto a Salerno, essendo impegnato per tutto il giorno, fino alle 18,30/19,00, dal lunedì al venerdì e talvolta anche il sabato e la domenica. Depositava busta paga relativa al mese di gennaio 2012.
Conosceva alcuni suoi connazionali che vendevano fazzolettini nel posto in cui lavorava Ja.
Tra costoro vi era il suo coinquilino Ab.Na., che gli somigliava moltissimo e che ora non si trovava più in Italia in quanto espulso per motivi di giustizia. Neppure il fratello, attualmente residente a Modena, aveva mai svolto l'attività di venditore ambulante.
All'epoca dei fatti era commesso in un negozio di frutta e verdura dove lavorava tutti i giorni, mattina e pomeriggio, tranne la domenica in cui era impegnato per mezza giornata.
Non sapeva spiegarsi le ragioni per le quali la parte offesa lo accusasse. Non lo conosceva affatto, neppure di nome.
Mo.Sa. riferiva di non essere stato presente all'aggressione di Bo., ma di essere intervenuto solo quando lo aveva visto a terra sofferente, adoperandosi per soccorrerlo.
Conosceva bene gli imputati, suoi connazionali, provenienti dalla sua stessa città. Non sapeva che vendessero fazzolettini di carta e non li aveva visti sul luogo del pestaggio.
Sulla base di tali elementi il Collegio ha ritenuto provata la responsabilità dei Fe.Yo. per il reato loro ascritto in concorso.
Ha formulato un giudizio di piena attendibilità della parte offesa, escludendone ogni interesse a mentire e valorizzando la circostanza che l'iniziale costituzione di parte civile non era stata poi coltivata nel corso del giudizio di primo grado, con ciò emergendo l'assenza di qualsivoglia finalità lucrativa.
Quanto al contenuto, ha ritenuto certa l'identificazione dei responsabili, prima compiutamente indicati e descritti, quindi riconosciuti con sicurezza e ha ritenuto il fatto è riscontrato da tutte le emergenze documentali e da quanto caduto sotto la diretta percezione dei verbalizzanti intervenuti nell'immediatezza. A fronte di tali risultanze, il Tribunale ha considerato inidonea a incrinare il quadro probatorio la versione resa dal Fe.Yo.
Ha infatti argomentato che la sua attività lavorativa, provata con la busta paga, gli avrebbe comunque consentito di essere a San Vitaliano nel tardo pomeriggio del 15.1.2012, visto che di regola rientrava a casa tra le 18,30 e le 19,00 e che il giorno dei fatti era peraltro un sabato, giorno in cui si deve ritenere che tornasse anche prima.
Anche a voler concedere che né lui né il fratello vendessero fazzolettini, non si può escludere che fossero in qualche modo coinvolti nel commercio svolto da connazionali e che per questo si fossero creati screzi con la vittima o che avessero agito al fine di tutelare gli interessi del coinquilino dello Yo., il quale potrebbe essere stato proprio il terzo aggressore rimasto ignoto.
Quanto al possibile scambio di persona, il fatto che il coinquilino fosse stato rimpatriato impediva qualsiasi verifica a riscontro.
Il giudice di primo grado ha poi ritenuto sussistente l'aggravante dell'uso dell'arma, essendo i colpi inferti con la sbarra di ferro compatibili con le lesioni riscontrate ed essendo la sbarra un'arma impropria.
Ha ritenuto che si trattasse di lesioni gravissime, attesa la perdita dell'organo della milza.
Ha negato a entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi meritevoli di favorevole valutazione.
Avverso la sentenza hanno proposto appello gli imputati per il tramite dei loro difensori.
Il difensore di Fe.Yo. con il primo motivo chiede la rinnovazione dell'istruttoria attraverso l'escussione dei soggetti che, secondo la ricostruzione della vittima, erano presenti sul luogo dell'aggressione, ovvero Sa.Al. e La.Ab.
Il loro esame sarebbe tanto più indispensabile alla luce delle dichiarazioni rese dall'altro teste presente, Sa.Mo., il quale avrebbe smentito la versione della vittima sia sulla dinamica del fatto sia sul presunto movente.
Sul punto, il rigetto della richiesta ex art, 507 c.p.p. sarebbe inspiegabile e immotivata.
Chiede altresì l'esame del datore di lavoro dell'imputato, Pi.Ma. al fine di verificare quali fossero gli orari di lavoro del dipendente e a che ora avesse finito di lavorare il giorno dei fatti.
Con il secondo motivo chiede l'assoluzione per non aver commesso il fatto. La parte offesa sarebbe intrinsecamente inattendibile per le seguenti ragioni:
- Si contraddice sulla presenza dei connazionali nella baracca in cui sarebbe stata raggiunta dagli aggressori e sul fatto che costoro avessero o meno assistito al pestaggio. Comunque, è smentita dal Sa.;
- Riferisce che il Fe.Yo. vendeva fazzolettini a tutte le ore del giorno, circostanza smentita dalla busta paga prodotta dall'imputato.
- La partecipazione del Fe.Yo. alla spedizione punitiva è incompatibile con il suo orario di lavoro.
La ricognizione effettuata in udienza è processualmente inutile, visto che la parte offesa conosceva la persona da riconoscere.
Con gli altri motivi chiede escludersi le aggravanti contestate, in assenza di un accertamento tecnico che avrebbe potuto ricondurre le ferite riportate dalla vittima all'aggressione descritta e provare l'utilizzo dell'arma impropria di cui alla contestazione; riconoscersi le circostanze attenuanti generiche e ridursi la pena inflitta, con concessione dei benefici di legge.
Il difensore di Fe.Yo. chiede con il primo motivo la declaratoria di nullità delle ordinanze emesse dal Tribunale alle udienze del 6.2.2019 e del 23.5.2019 e la conseguente declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per violazione del diritto di assistenza dell'imputato ai sensi degli artt. 178 e 179 c.p.p. Questi gli argomenti addotti:
- Con l'ordinanza del 6.2.2019 veniva revocata l'ordinanza ammissiva dei testi della difesa Sa.Al. e La.Ab. perché sconosciuti e irreperibili. In realtà la difesa aveva dato prova del tentativo di citarli e delle richieste inviate all'Ufficio Anagrafe Comunale per accertarne l'attuale residenza. Non solo, il Tribunale non motivava sulla irrilevanza delle prove in questione, pure precedentemente ammesse.
- Con l'ordinanza del 23.5.2019 il giudice di primo grado rigettava la richiesta avanzata ai sensi dell'art. 507 c.p.p. di escutere il datore di lavoro dell'imputato, Ma.St., erroneamente motivando sull'acquisizione della prova documentale del rapporto di lavoro, che riguardava la posizione del coimputato.
Con il secondo motivo chiede la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mercè l'escussione dei testi S. ed altri (…).
In particolare:
- I primi due erano presenti al momento dell'aggressione e possono riferire in merito agli autori. Possono anche chiarire chi avesse detto alla vittima che insieme allo Yo. c'era suo fratello.
- Il Ma. può riferire sull'impegno lavorativo dell'imputato.
Con il terzo motivo chiede l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto.
Adduce l'inattendibilità della parte offesa.
Evidenzia sul punto come non sarebbe stato possibile, da parte degli amici andati in visita all'ospedale e non presenti al fatto, riferire al denunciante che a far parte del gruppo degli aggressori vi fosse il fratello di Yo.
Svaluta l'atto ricognitivo deducendo che esso non era stato preceduto dalla descrizione del soggetto da riconoscere.
Sottolinea che nell'immediatezza la parte offesa non faceva il nome dei suoi aggressori.
Con gli altri motivi chiede escludersi l'aggravante dell'uso dell'arma, in assenza di consulenza tecnica che ne attesti la compatibilità con le lesioni riportate dalla vittima, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta.
L'appello è infondato.
La sentenza impugnata contiene un'esposizione esaustiva e puntuale degli elementi acquisiti ed una ricostruzione dell'accaduto logica e aderente a detti elementi. Le valutazioni operate dal giudice di primo grado, proprio perché aderenti agli elementi di prova acquisiti ed accurate nell'individuazione del significato probatorio di questi elementi, sono pienamente condivisibili e per gran parte offrono già risposta alle critiche mosse con l'atto di impugnazione.
Condivisibile è il giudizio sull'attendibilità intrinseca della parte offesa per le ragioni che seguono.
Bo. fornisce una versione dei fatti articolata, coerente e tenuta ferma nel corso del processo, vuoi quanto alla dinamica dei fatti, vuoi quanto alla causale sottesa.
Non emerge alcun intento calunniatorio nei confronti degli imputati, neppure da essi adombrato, tenuto conto che il Fe.Yo., a specifica domanda, ha riferito di non sapere perché la vittima lo accusasse.
Né risulta un interesse economico all'accusa, stante la rinuncia alla richiesta di risarcimento dei danni e l'assenza di enfatizzazione in merito ai postumi delle gravissime lesioni subite "anche dopo ha avuto problemi di salute?" "adesso no, il dottore ha detto non bevi Coca Cola, non bevi alcool, tutti i gasati non bere".
Viene alla luce, piuttosto, la continenza delle accuse, ove si tenga conto che la vittima riferisce di non essere in grado di riconoscere il terzo aggressore. Il riconoscimento effettuato all'udienza del 23.5.2019 è spontaneo e immediato, credibilissimo. La parte offesa, prima ancora che gli venga posta alcuna domanda indica con certezza i due imputati, indicandone la collocazione tra altri due soggetti chiamati a fare da "birilli".
La circostanza addotta dai difensori per minarne l'attendibilità, ovvero che la vittima già conoscesse i due imputati è priva di pregio, ove si tenga conto che l'atto ricognitivo giunge all'esito di indicazioni puntuali e specifiche sull'identità degli aggressori e che ne rappresenta il completamento e la conferma. Peraltro, la pregressa conoscenza riguardava la sola persona del Fe.Yo., laddove il Bo. non aveva mai visto il Fe.Yo. prima della sera dei fatti. La mancata pregressa descrizione non inficia l'atto ricognitivo, a fronte di un'individuazione talmente rapida da non lasciare spazio a verifiche preliminari. Neppure colgono nel segno le ulteriori argomentazioni difensive sorrette dal medesimo intento di screditare la versione del dichiarante, nessuna delle quali, peraltro, assume decisività tale da minare la nettezza e attendibilità del narrato della vittima e dell'atto ricognitivo. Invero.
A fronte di indicazioni puntuali e di un riconoscimento univoco, non rileva la circostanza relativa al rapporto di parentela tra i due imputati e di come il Bo. ne fosse venuto a conoscenza, se, cioè, a dirglielo fossero stati i soggetti presenti all'aggressione o altri amici nel corso di una visita in ospedale. A prescindere dal fatto che i due fossero o non fossero fratelli, resta il dato che anche Fe.Yo. venne riconosciuto come uno dei due aggressori. A queste considerazioni deve aggiungersi che nella piccola comunità dei venditori extracomunitari di fazzolettini di carta le notizie dovevano circolare rapidamente e che è del tutto plausibile che persone non materialmente presenti la sera del 15.1.2012 avessero ricevuto dai presenti un resoconto dettagliato di quello che era un evento detonante, vuoi per le ragioni che lo avevano generato, vuoi per le conseguenze che aveva prodotto.
Priva di pregio è la mancata indicazione dei nomi degli aggressori nell'immediatezza dei fatti, dal momento che nel referto di pronto soccorso si parla di riferita aggressione da persone sconosciute.
La parte offesa, innanzitutto non conosceva ancora il nome del Fe.Yo. e perciò non poteva farlo, ma soprattutto, non era nelle condizioni di fornire informazioni, tenuto conto della gravità delle lesioni che aveva riportato, come riferito dall'Assistente Capo della Polizia Stradale Ma.Ma., intervenuto sul luogo dell'agguato, all'udienza deH'8.11.2018 ("era in stato confusionale non ha potuto riferire da chi era stato aggredito ") e come confermato dal teste della difesa Sa.Mo. all'udienza del 6.2.2019 ("ti ha detto chi è che gli aveva fatto male?", "no, perché stava male").
Non è vero, poi, che la vittima sia caduta in contraddizione sulla dinamica dell'aggressione e sulle persone presenti al fatto.
Nonostante sia stato bersagliato, nel corso dell'esame dibattimentale, da domande ripetitive, suggestive e a tratti quasi nocive, Bo.Ja. ha ricostruito gli eventi con estrema puntualità, chiarendo che la "baracca" in prossimità della quale era avvenuto il pestaggio era in realtà una semplice tettoia, priva di chiusura ("a quella baracca non c'è porta, non c'è niente" udienza del 20.12.201S), che insieme a lui c'erano altre persone, pure dedite alla vendita dei fazzolettini, ma che non erano suoi amici, piuttosto amici degli imputati, cui li legava la provenienza dalla stessa zona del Marocco, e che non poteva dire se costoro avessero visto gli aggressori ("erano paesani di loro, non erano paesani miei forse hanno visto domanda tu, udienza del 20.12.2018).
Destituito di fondamento è l'argomento relativo all'asserita incompatibilità del pestaggio con l'attività lavorativa svolta dagli imputati.
E difatti il pestaggio si verifica nel tardo pomeriggio del 15.1.2012, dopo le 18,30 dunque in un orario nel quale entrambi gli imputati potevano essere liberi dal lavoro, tenuto conto che Fe.Yo. ha riferito di tornare a casa, di regola, proprio per quell'ora e che l'Ab. non ha indicato i suoi orari di lavoro di garzone di fruttivendolo, senza dire che nel tardo pomeriggio d'inverno le rivendite di frutta sono chiuse e, in ogni caso, non effettuano consegne.
Pure inconferente è l'incompatibilità dell'attività lavorativa svolta dallo Yo. con la vendita dei fazzolettini di carta.
Diversamente da quanto addotto dalla difesa, il commercio in prossimità del casello autostradale si svolgeva in maniera sregolata ed estemporanea quanto ai "turni di servizio", cosicché l'imputato avrebbe potuto tranquillamente conciliare il lavoro regolare e il lavoro "extra".
Così la parte offesa all'udienza del 20.12.2018: "Si, Yo. lavorava.
Ci sta la gente là, non una sola persona che lavora là, ci stanno anche dieci persone che lavorano là, Sali e scende persone, ci stanno tre posti dove lavorare, solo tre posti, se ci stanno dieci persone o di più, aspettano loro che tu scendi e loro salgono". Così all'udienza del 23.5.2019: "si, dipende, la sera, il giorno, la notte, ci stanno un sacco di persone, uno o due volte lavoro questo, lavoro l'altra, là non c'è il tempo, non ci sta l'orario, quando ci sta sale".
Né il fatto che l'imputato fosse dedito all'attività per la quale era entrato in competizione con la vittima può ritenersi smentita dalle dichiarazioni del teste della difesa Sa.Mo., il quale ha negato di aver mai visto gli imputati vendere fazzolettini.
La sua attendibilità appare invero fortemente defedata.
E' evidentemente reticente sul luogo in cui si trovava al momento dell'aggressione (asseritamente lontano dalla vittima) e sulle altre persone presenti al fatto, che dice di conoscere appena e che indica solo sommariamente, nonostante la comune e lunga militanza nella medesima attività lavorativa.
Il suo unico obbiettivo è quello di far passare il messaggio che non sa nulla e che non ha visto nulla.
Un atteggiamento che si spiega con quanto riferito dalla parte offesa circa i rapporti di amicizia che legavano tutti gli astanti - Sa. compreso - agli imputati e che trova conferma nelle sue stesse ammissioni di provenire dalla stessa città del Marocco di cui sono originari i fratelli Fe.Yo.
Senza dire del più che probabile timore indotto dalla feroce "lezione" che era stata data al povero Ja.
Tanto premesso, non sono necessarie le integrazioni istruttorie sollecitate dalla difesa.
Il rapporto di lavoro di Fe.Yo. è stato documentato e pure il datore di lavoro del coimputato nulla potrebbe dire riguardo alla sera dei fatti, stante la loro risalenza, a meno di non voler immaginare la precostituzione tardiva di un alibi posticcio. Va sul punto evidenziato che, anche la richiesta al Tribunale, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., veniva formulata quando erano trascorsi oltre sei anni dalla vicenda. Quanto agli altri testi, non vi sono elementi pei li tenere che essi siano in grado di dare indicazioni sugli autori e sulla dinamica delle lesioni giacché è lo stesso Bo. a manifestare incertezze sul punto.
Tale considerazione soverchia il dato - pure rilevante - che la loro identificazione è sommaria e che non risulta la loro presenza sul territorio dello Stato.
Ma, soprattutto, il quadro accusatorio, come costruito e composto, non richiede ulteriori elementi.
Un'ultima osservazione sulla dedotta nullità delle ordinanze del Tribunale che inficerebbe l'intera sentenza di primo grado.
L'eccezione è evidentemente infondata, non essendosi realizzata alcuna lesione del diritto di difesa, essendo stati i provvedimenti pronunciati nel pieno contraddittorio e afferendo le doglianze a ragioni di merito riproposte e - per come appena detto - respinte nel giudizio di appello.
Le lesioni riportate dalla persona offesa, consistite, tra l'altro, nell'asportazione della milza, resasi necessaria a seguito dei colpi inferii, fondano l'aggravante contestata, stante la continuità cronologica e clinica tra l'aggressione e l'intervento e l'assenza di processi autonomi e indipendenti dall'azione dei colpevoli che abbiano potuto interrompere il nesso di causalità tra l'azione lesiva e l'evento. Chiara è sul punto la documentazione medica in atti che ha reso giustamente superfluo un accertamento peritale.
Sussiste l'aggravante delle armi, alla luce delle dichiarazioni della persona offesa, che ha riferito di tre persone armate di spranghe di ferro e che trovano riscontro, appunto, nella profondità e vastità delle numerose ferite riportate.
Condivisibile è il diniego delle circostanze attenuanti generiche. Come è noto, le circostanze attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati e non preventivabili, che appaiono però in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena. La ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62 bis c.p. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, al fine di assicurare il rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e di finalità rieducativa della pena. Dette attenuanti, quindi, presuppongono l'esistenza di elementi "positivi", intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall'applicazione dell'art. 133 c.p.
In concreto, questa valutazione può essere fatta tenendo conto sia degli elementi indicati nell'art. 133 c.p. che di altri parametri di giudizio (Cass. pen., Sez. I, 1/10/1986-Esposito; Cass. pen. 4 marzo 2019, n. 9299, rv. 275640), ma non è comunque necessaria nemmeno una valutazione di tutti i possibili elementi, purché vengano individuati con ragionevolezza i parametri che si ritengono più rilevanti (Sez. I 6/10/1995-Biondo). È comunque da escludere che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche costituisca un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto (v. assenza di precedenti penali); essa richiede sempre elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parole (Sez. I C.c. 22/9/1993-Stelitano, ma cfr. anche sez. I 19/10/1992 Gennuso che ha riaffermato l'insussistenza nel nostro ordinamento di una presunzione di meritevolezza delle attenuanti generiche; v. anche Cass. pen. 30 agosto 2017, nc 39566, rv. 270986; 21 giugno 2021, n. 24128, rv. 281590).
Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data pei scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza (cfr. Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini già Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillaci Rv. 245241 e più di recente Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). Nel caso in esame non emergono elementi positivi da valorizzare per mitigare il trattamento sanzionatorio.
La pena inflitta dal giudice di primo grado è congrua rispetto alla gravità del fatto, connotato da violenza non comune, originato da bieche logiche di controllo di un'attività clandestina ed esitato in postumi invalidanti.
La sentenza di primo grado deve essere dunque integralmente confermata con condanna degli appellanti alle spese.
Il carico dell'Ufficio impone di indicare in giorni trenta il termine per il deposito dei motivi.
P.Q.M.
letto l'art. 605 c.p.p., conferma la sentenza n. 1622/19 emessa dal Tribunale di Nola in composizione collegiale in data 6.6.2019, nei confronti di Fe.Yo. e Fe.Yo., appellata dagli imputati che condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Indica in giorni trenta il termine per il deposito dei motivi.
Così deciso in Napoli il 7 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2024.