Tribunale Napoli sez. VII, 08/06/2012, (ud. 25/05/2012, dep. 08/06/2012), n.2697
In tema di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), il reato si configura quando l'autore esercita una violenza fisica per impedire il compimento di atti d'ufficio da parte del pubblico ufficiale, indipendentemente dall’effettivo ostacolo o esito dell’azione. Tale reato può concorrere con quello di lesioni personali (art. 582 c.p.) quando la violenza eccede il minimo necessario per la resistenza, causando lesioni a uno o più soggetti coinvolti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di arresto operato il 20.5.2012 per il reato indicato in epigrafe, C.V. è stato, il giorno successivo, tratto a giudizio innanzi a questo Giudice per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo.
Convalidato l'arresto, avendo il difensore dell'imputato chiesto un termine ai sensi dell'art. 558 co. 7 c.p.p., è stato disposto il rinvio del processo all'udienza del 25.5.2012.
A tale udienza era presente l'imputato - sottoposto con ordinanza emessa all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G. - che ha chiesto di procedere al giudizio col rito abbreviato. Il Giudice, acquisito il fascicolo del P.M. e ritenuta la decidibilità del procedimento allo stato degli atti, ha ammesso l'imputato al rito richiesto, senz'altro invitando le parti a formulare le rispettive conclusioni, rassegnate come riportate in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il giudicante che dalle risultanze emergenti dall'udienza di convalida dell'arresto e dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento si tragga piena prova della colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.
All'udienza di convalida, nell'esporre le circostanze che lo indussero a trarre in arresto il C.V., CA.F., appuntato dei Carabinieri in servizio presso il Nucleo Operativo Radiomobile di Napoli, ha riferito che la sera del 20.5.2012 si recò, su segnalazione della centrale Operativa, alla via L.M. e subito notò una ragazza in stato di agitazione che gli indicò un giovane in fuga; inseguitolo lo raggiunse in breve tempo invitandolo a calmarsi e a fornire le proprie generalità, ma il giovane reagì sferrandogli calci e pugni e solo grazie all'aiuto del suo collega di pattuglia, prontamente sopraggiunto riuscì a farlo entrare nella macchina di servizio. Qui tuttavia il giovane, che era in evidente stato di ebbrezza, continuò a mostrare segni di estrema insofferenza, dando testate nel finestrino, sicché fu necessario richiedere l'intervento di un'altra pattuglia. Il CA.F. - che all'udienza di convalida dell'arresto aveva una visibile fasciatura alla mano destra - ha poi dichiarato che all'atto in cui aveva fermato il giovane, poi identificato in C.V., questi, nel tentativo di non farsi ammanettare, lo aveva ripetutamente colpito, provocandogli delle contusioni alle gambe e un trauma al primo dito della mano destra, come gli fu poi diagnosticato dai sanitari dell'ospedale San Paolo dove nella stessa serata si recò, unitamente al collega R.F. per farsi medicare.
Ad attestare tali lesioni risultano acquisite al fascicolo i relativi referti medici, oltre che quelli redatti in relazione alle lesioni subite da F.C., altro militare componente della seconda pattuglia intervenuta sul posto lesioni anch'esse riportate come si legge nel verbale di arresto (atto pienamente utilizzabile atteso il rito prescelto) - nel corso della colluttazione avuta con il C.V. una volta giunti nei pressi della caserma.
Lo stesso imputato, nel corso dell'interrogatorio reso all'udienza di convalida dell'arresto, ha ammesso di avere avuto un litigio con una ragazza che abita nel suo stesso palazzo e di avere reagito violentemente all'atto dell'arrivo dei Carabinieri, spiegando che subito prima aveva assunto sostanze alcoliche, sicché non era affatto lucido, tant'è che aveva un ricordo impreciso degli accadimenti;
Tali essendo le risultanze acquisite, deve ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dell'imputato in ordine ad entrambi i reati ascrittigli.
Il reato di cui all'art. 337 C.p., oggetto dell'imputazione sub a), si realizza, infatti ogni qualvolta il soggetto attivo eserciti un'energia fisica per impedire al pubblico ufficiale il compimento dell'atto che questi sta eseguendo, ponendo al tempo stesso in pericolo la sua incolumità fisica e ciò indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti (cfr. da ultimo Cass. Pen., sez. 6, sentenza n. 3970 del 13.1.2010).
Nel caso di specie è indubbio che la condotta realizzata dall'imputato abbia costituito un impedimento concreto alla regolarità del compimento di un atto d'ufficio dei Carabinieri, i quali erano accorsi in seguito alla richiesta di intervento ricevuta per il litigio verificatosi tra il C.V. e la sua condomina; né può ragionevolmente dubitarsi, per ciò che attiene al profilo psicologico, del tatto che egli abbia compreso del motivo dell'intervento dei verbalizzanti e, quindi, della sua intenzione di opporsi con la propria condotta alla legittima attività di servizio in quel momento in atto, dovendosi in merito evidenziare che l'accertato stato di ebbrezza in cui si trovava non è idoneo a scriminare la sua condotta.
Deve poi sicuramente ritenersi provata la sussistenza del delitto di cui all'art. 582 c.p., correttamente contestato come posto in èssere con più azioni, ex art. 81 c.p., in ragione del fatto che più sono i soggetti - tutti Carabinieri - ai quali il C.V. provocò delle lesioni, colpendoli con calci e pugni; ed è appena il caso di evidenziare al di là dell'oggettiva compatibilità della condotta posta in essere dall'imputato con la tipologia delle lesioni subite da F.C., Ca.F. e R.F., quali attestate dai referti medici acquisiti al fascicolo dibattimentale come lo stesso imputato, pur non incordando nel dettaglio gli accadimenti, abbia ammesso di avere usato violenza contro coloro che tentavano di fermarlo. Deve, peraltro, rilevarsi come tra i reati in contestazione sia pienamente ammissibile il concorso; ed infatti il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse e non già quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali; in tal caso l'ulteriore delitto di lesione; stante il suo carattere autonomo, concorre con quello di resistenza (cfr.: Cass. Pen., sez. 6, sentenza n. 27703 del 15.4.2008). Ed anzi, nel caso di specie, essendo i reati stati posti in essere con un'unica condotta, ricorrono le condizioni di cui all'art. 81 comma 1 c.p., per ritenere la sussistenza del concorso formale eterogeneo;
Tutto ciò premesso, l'imputato va ritenuto colpevole di entrambi i reati ascrittigli, unificati, in concorso formale sotto la più grave fattispecie, da individuarsi in quella di cui all'art. 337 c.p.; quanto alla pena da irrogare in concreto, valutati i criteri di qui all'art. 133 c.p., ritenuto il C.V., sia in ragione dell'atteggiamento assolutamente collaborativo da lui assunto al dibattimento sia per la sua palese estraneità a contesti criminali, sicuramente meritevole delle attenuanti generiche da porsi in giudizio di equivalenza con la recidiva contestata, si reputa equo determinarla, applicata la diminuente connessa al rito prescelto, nella misura di mesi sei di reclusione (pena base per il reato di cui all'art. 337 c.p.: mesi sette di reclusione, aumentata ex art. 81 c.p. a mesi nove di reclusione, poi ridotta nella misura concretamente inflitta per la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p.).
Consegue ex lege la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Letti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara C.V. colpevole dei reati ascrittigli, uniti in concorso formale, e, riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva contestata ed applicata la diminuente per il rito, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione. oltre al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Napoli, udienza del 25.5.2012