Tribunale Napoli sez. VII, 16/01/2018, (ud. 05/01/2018, dep. 16/01/2018), n.95
Il reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) si configura quando un’azione violenta, pur non mirata specificamente a causare un danno fisico, determina un'alterazione anatomica o funzionale dell’organismo. Ai fini del dolo è sufficiente l’intenzione di infliggere una violenza fisica, senza necessità di prevedere o volere il danno specifico. La colpevolezza può essere basata su riconoscimenti fotografici informali, utilizzabili come prova in virtù del libero convincimento del giudice.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione diretta emesso dal P.M. il 19.1.2016, B.N. è stato, unitamente a A.G., tratto innanzi ad altro Giudice di questo Tribunale per rispondere dell'imputazione trascritta in epigrafe.
All'udienza del 21.2.2017, fissata con tale decreto, era personalmente presente il B., il quale, a mezzo del suo difensore, ha formalizzato la richiesta di definizione del processo con il rito abbreviato; il Giudice procedente, quindi, ammessa la costituzione di parte civile di M.M., ha disposto lo stralcio della posizione del B., ordinando, in ottemperanza alle disposizioni tabellari vigenti, la trasmissione del relativo fascicolo al Presidente Coordinatore del Dibattimento Penale per la nuova assegnazione.
Con provvedimento emesso dal Presidente Coordinatore il 10.3.2017 - reso noto alle parti alla pubblica udienza del 28.11.2017 - è stata disposta l'assegnazione del processo a questo Giudice, innanzi al quale la prima udienza è stata celebrata il 1.12.2017, data in cui esso è stato senz'altro rinviato al 5.1.2018.
A tale udienza, cui, nell'assenza dell'imputato, ha invece presenziato il difensore della parte civile, in ragione del rito prescelto è stato acquisito il fascicolo del P.M. e, valutata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 438 e ss. c.p.p., l'imputato è stato ammesso al giudizio abbreviato: quindi raccolte le conclusioni delle parti, rassegnate come riportate in epigrafe, è stata emessa la sentenza, resa pubblica mediante la lettura del dispositivo.
Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento - pienamente utilizzabili, atteso il rito prescelto - si evinca piena prova della colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.
I fatti in contestazione emergono in maniera chiara ed inequivocabile dalla denuncia sporta da M.M. il 22.6.2015, dal referto di pronto soccorso e dalle ulteriori certificazioni mediche ad essa allegati, dall'annotazione di servizio dell'U.P.G. della Questura di Napoli del 29.3.2015 e dai verbali di sommarie informazioni rese nella fase delle indagini dallo stesso M., da A.G., da A.V. e da P.M.C., e possono così ricostruirsi.
La sera del 28 marzo 2015 M.M. partecipò a una festa di laurea di alcune amiche organizzata presso il locale C.C.F., sito in via (omissis...) a N., e quando, al termine della serata, verso le successive 2,30, le festeggiate si recarono alla cassa per pagare il conto, ebbero un diverbio con i responsabili del locale che, a loro dire, avevano richiesto un prezzo superiore a quello concordato. Il M. intervenne nella discussione per sollecitare l'uomo che era alla cassa a rivedere il conto e mentre discuteva con questi fu avvicinato da un giovane, da lui in precedenza già notato alla cassa, il quale, dopo averlo strattonato ed avergli intimato con tono minaccioso di uscire, alle sue rimostranze circa il modo ineducato con cui gli si era rivolto, lo colpì al viso con una testata. Allora il M., portatosi all'esterno del locale, richiese l'immediato intervento di una pattuglia della Polizia che, prontamente accorsa (v. annotazione di servizio delle ore 3,00 del 29.3.2015), raccolse le dichiarazioni del richiedente e delle sue amiche, identificate in A.V. e P.M.C., e la descrizione da loro fornita dell'aggressore (individuato come un uomo dalla corporatura normale, con una T-shirt di colore nero e numerosi tatuaggi alle braccia, che probabilmente si chiamava "N.", essendo questo il nome con cui era stato chiamato nel corso della serata), provando a rintracciarlo all'interno del locale, dove tuttavia non era in quel momento presente.
Nella stessa nottata il M. fu soccorso da un'autoambulanza e accompagnato presso l'Ospedale San Paolo di Napoli dove, visitato in pronto soccorso, gli fu diagnosticata la frattura dell'apice della piramide nasale, patologia nell'immediatezza giudicata guaribile in venticinque giorni (v. referto medico n. 12476/2015 in atti) e per la quale, nel corso di successive visite eseguite presso il reparto di otorinolaringoiatria dell'Ospedale Pellegrini, gli fu consigliato l'intervento chirurgico (v. certificato del 30.3.2015 e attestazione di prenotazione di ricovero del giorno successivo).
La denuncia fu poi formalizzata dal M. il 22.6.2015, data in cui, avendo visionato alcuni noti siti di social network, egli era riuscito ad individuare il suo aggressore, riconoscendolo in una fotografia che lo effigiava accanto al noto calciatore S.B. ed era venuto a conoscenza del fatto che si trattava del fratello di questi, N.; detto riconoscimento fu poi confermato dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni rese il 4.7.2015 alla P.G. delegata dal P.M..
In pari dati fu altresì sentito a sommarie informazioni A.G., il quale, affermando di essere l'amministratore della B. s.r.l. proprietaria del locale C., indicò come ulteriori soci M.C., A.A., R.P. e B.N.; nel confermare poi la discussione avuta con alcuni clienti la notte del 29.3.2015 e la presenza alla serata anche del B., l'A. affermò tuttavia di non avere assistito all'aggressione fisica di cui era rimasto vittima il M..
Il successivo 10 luglio furono poi sentite a S.I.T. anche P.M.C. e A.V. e mentre quest'ultima si limitò a confermare che il suo amico M. la notte tra il 28 e il 29 marzo era stato di forza accompagnato fuori dal locale C. da tale "N.", riconoscendo quest'ultimo nella foto pubblicata su Instagram che riproduceva l'immagine dell'odierno imputato B.N., la A. affermò altresì di avere visto quest'ultimo (anche da lei riconosciuto in foto) sferrare la testata al volto del suo amico.
Tali essendo le risultanze acquisite, in alcun modo contraddette dall'imputato, deve ritenersi pienamente provata la sua colpevolezza in ordine al reato ascrittogli.
Deve innanzitutto darsi atto della documentata - e incontestata - sussistenza del reato di lesioni di cui la notte del 29.3.2015 rimase vittima M.M. all'esito di un litigio verificatosi nel locale C. di via (omissis...).; tale litigio è stato compiutamente descritto dalla stessa persona offesa e da coloro che ebbero modo di assistervi - ivi compreso il socio del B., A.G. - e le sue conseguenze sono attestate dalle certificazioni mediche in atti, da cui si evince che quella stessa notte al M. fu diagnosticata la frattura dell'apice della piramide nasale, patologia pienamente compatibile con la testata al volto a lui nell'occasione inferta.
Il contestato reato previsto dall'art. 582 c.p. punisce, infatti, la condotta di colui che, con un atto di violenza fisica consapevole e voluto, causi ad altri una malattia nel corpo o nella mente (cfr.: Cass. Pen., sez. 1, 29.11.1979, n. 10149), dovendosi per tale intendere qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, ancorché localizzata e non influente sulle condizioni organiche generali (cfr., ex multis: Cass. Pen., sez. 5, sentenza n. 5258 del 6.6.1984). Nella già evidenziata palese sussistenza, nel caso di specie, del nesso di causalità tra la patologia rilevata dai sanitari sulla persona di M.M. ("frattura dell'apice della piramide nasale") e la testata al volto da lui subita, secondo il preciso e dettagliato racconto reso ai componenti della pattuglia di Polizia accorsa subito dopo i fatti, appare opportuno sottolineare come per integrare il dolo del reato di lesioni non sia necessario che la volontà dell'agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, essendo sufficiente l'intenzione di infliggere all'altrui persona una violenza fisica (cfr.: Cass. Pen., sez. 1, sentenza n. 6773 del 4.7.1996).
Pienamente provata appare, altresì, la riconducibilità della condotta delittuosa in parola in capo all'imputato, riconosciuto in foto sia dallo stesso M. che da A.V. come l'autore dell'aggressione e riconosciuto, altresì, da P.M.C. - che non ebbe modo di assistere alla testata - come il "N." che, presente all'interno del C. nel corso dell'intera serata, quando si era poi verificato il diverbio tra i gestori di detto locale e le festeggiate si era rivolto in malo modo al M., intervenuto a spalleggiare queste ultime.
D'altronde la visura camerale in atti e le dichiarazioni di A.G., amministratore unico della B. s.r.l., società che gestisce il predetto locale, danno chiaro conto del fatto che il B. è uno dei soci (ed anzi il socio che detiene il maggior numero di quote), ciò che non solo giustifica (e conferma) la sua presenza sul posto la sera dei fatti, ma motiva anche il suo interesse a contrastare le lamentele esposte dalle festeggiate al momento del pagamento del conto, che avevano generato la discussione.
Alla luce di tali inequivocabili e univoche risultanze, che inducono ad individuare nel B. il giovane a nome "N." vestito con una T-shirt di colore nero, che aveva una corporatura normale e numerosi tatuaggi alle braccia, quale descritto già nell'immediatezza dei fatti dalla vittima dell'aggressione e da coloro che ebbero modo di assistervi, non può attribuirsi alcuna valenza al fatto che quando la Polizia, accorsa dopo circa mezz'ora, provò a rintracciarlo all'interno del locale, non lo rinvenne, essendo invero oltre modo plausibile che lo stesso si fosse a quel punto già allontanato, presumibilmente proprio per evitare di essere identificato.
Ed è appena il caso di richiamare i principi costantemente affermati dalla Suprema Corte in tema di individuazione personale, secondo cui il giudice di merito può trarre il proprio convincimento anche da ricognizioni non formali (comunque utilizzabili in virtù dei principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice), atteso che la valenza dimostrativa della prova sta non nell'atto in sé, bensì nella testimonianza che dà conto dell'operazione ricognitiva (cfr.: Cass. Pen, sez. 4, sentenza n. 25658 del 27.6.2011, S.T.; sez. 2, n. 33567 del 13.5.2009, P.; nonché, da ultimo: sez. 5, sentenza n. 8423 del 16.10.2013, C. ed altri).
Tutto ciò premesso, l'imputato va ritenuto colpevole del reato ascrittogli, in relazione al quale non si comprende tuttavia il riferimento all'art. 585 c.p., non essendo in fatto richiamata nella descrizione della condotta alcuna delle aggravanti previste dalle norme ivi menzionate, né potendosene altrimenti ritenere la sussistenza.
Quanto alla pena da irrogare in concreto, va innanzitutto considerato come l'imputato non si reputi in alcun modo meritevole delle attenuanti generiche, non essendo a tal fine sufficiente il documentato dato della sua incensuratezza e ostandovi, per converso, l'estrema gravità del fatto, commesso con inaudita e ingiustificata violenza per banali motivi, e il comportamento in alcun modo collaborativo assunto tanto la sera dei fatti, allorquando egli si allontanò scaltramente dal locale, quanto nei momenti successivi, laddove, per quanto portato a conoscenza del giudicante, non ha neanche tentato il benché minimo approccio alla persona offesa né ha altrimenti dato conto della sua resipiscenza.
Ciò premesso, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p. e tenuto conto, altresì dell'entità dei danni da lui a quest'ultima provocati, si stima equo infliggere al B., applicata la diminuente del rito, la pena di anni uno di reclusione (pena base: anni uno mesi sei di reclusione, ridotta nella misura concretamente irrogata ex art. 442 c.p.p.).
Consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
La già richiamata incensuratezza dell'imputato consente l'invocata concessione della sospensione condizionale della pena.
Egli va poi condannato, ai sensi degli artt. 538 e ss. c.p.p., al risarcimento dei danni subiti da M.M., tempestivamente e ritualmente costituitasi dalla parte civile nel corso del giudizio. È invero indubbio che la sua condotta, offensiva del fisico e del decoro del predetto, abbia a questi arrecato danni sia di natura patrimoniale, sia di natura morale. Per la precisa quantificazione di tali danni, nell'assoluta scarsezza degli elementi forniti a questo giudicante soprattutto con riferimento alle conseguenze delle lesioni subite in relazione alla capacità di attendere alle sue ordinarie occupazioni, occorre rimettere le parti innanzi al competente giudice civile. Non si reputano sussistere, per i medesimi motivi, i presupposti per il riconoscimento di una provvisionale, peraltro neanche specificamente richiesta.
Consegue, infine, la condanna dell'imputato alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile per la propria costituzione e rappresentanza in giudizio, che si reputa equo liquidare, a titolo di diritti ed onorari, tenuto conto dell'entità e della durata del processo e dell'attività in concreto svolta ed applicate le tariffe attualmente vigenti, in € 1.500,00, oltre rimborso forfettario, I.V.A. e C.P.A., al ricorrere delle condizioni di legge.
P.Q.M.
Letti gli artt. 442,533 e 535 c.p.p., dichiara B.N. colpevole del reato ascrittogli, esclusa l'aggravante contestata, e, applicata la diminuente del rito, lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa.
Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna B.N. al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese da questa sostenute per la propria costituzione e rappresentanza in giudizio, che liquida in € 1.500,00, oltre rimborso forfettario, IVA e c.p.a., come per legge.
Così deciso in Napoli, il 5 gennaio 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2018.