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Diffamazione aggravata mediante social media: esclusione del diritto di critica in presenza di offese personali

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Corte appello Potenza, 21/02/2024, n.100

Principio di diritto:
In tema di diffamazione, l’esimente del diritto di critica presuppone la verità dei fatti, la rilevanza sociale dell’argomento trattato e il rispetto del limite della continenza, inteso come correttezza formale e sostanziale dell’espressione. Tale diritto è superato quando le espressioni usate degenerano in attacchi personali, gratuiti e denigratori, privi di collegamento funzionale con l’interesse pubblico del dibattito (Cass. Pen., Sez. V, n. 34160/2017; Cass. Pen., Sez. V, n. 23805/2015).

Sintesi della decisione:
La Corte ha condannato l’imputato per diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p., avendo questi pubblicato su un social network un post lesivo della reputazione della parte offesa. L’imputato ha strumentalizzato una generica affermazione altrui per attribuire alla persona offesa comportamenti illeciti, indicandola come "ladro" senza alcun fondamento fattuale. La condotta è stata ritenuta incompatibile con il diritto di critica, poiché le espressioni usate erano gratuitamente denigratorie e prive di riscontro oggettivo. La Corte ha escluso la particolare tenuità del fatto, rilevando la gravità dell’offesa e la diffusione del contenuto tramite social media. La pena è stata commisurata in una multa di €688,00, con condanna al risarcimento del danno morale (€1.500,00) e alla rifusione delle spese di parte civile.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del 20/01/2013, il Sig. D.Pi. conveniva innanzi al Tribunale di Lagonegro i Sig.ri D.Lu. e D.Lu. affinché, previo accertamento del proprio diritto di proprietà, fossero condannati al rilascio del fabbricato sito in Sant'Arcangelo - loc. (…), alla via (…), in quanto occupato dagli stessi sine titolo, nonché al risarcimento del danno.

2. Esponeva i1 D.Pi. di essere proprietario, in virtù di atto di donazione per atto Notaio Ma.Ga. del 6.08.2012, di un fabbricato sito nel comune di Sant'Arcangelo (PZ), riportato in Catasto al foglio n. 18, p.lla 1505, sub 2 e 4, precedentemente in comproprietà al cinquanta per cento tra Si.Ma. e i propri genitori, D.Pi. e Sc.Ma.

Deceduto il padre dell'attore, la madre con atto di acquisto del 03.05.2012 aveva acquistato per intero la proprietà dell'immobile, donandolo successivamente al figlio D.Pi.

L'immobile risultava essere occupato abusivamente da D.Lu. e da D.Lu. i quali neanche a seguito di specifico ordine, emesso il 22.12.2009 dal giudice dell'esecuzione immobiliare, avevano inteso rilasciarlo. Inutili d'altro canto erano risaltati i tentativi bonari esperiti dall'attore di ottenerne la restituzione, l'ultimo dei quali effettuato con lettera del 18.05.2012.

3. Si costituiva in giudizio il Sig. D.Lu. contestando integralmente la domanda avversaria e chiedendone il rigetto. Deduceva quest'ultimo che con atto del 6 marzo 1976 aveva acquistato il terreno su cui aveva edificato il fabbricato oggetto di causa e che con atto del 20 maggio 1979 aveva ceduto ai Sigg.ri Si.-D.Pi. il predetto immobile allo stato rustico, rimanendo tuttavia nella disponibilità del bene, continuando a possederlo pubblicamente e pacificamente, realizzando, inoltre, i lavori di compimento dello stesso. Deduceva, infine, il convenuto che i locali del predetto immobile erano stati dati in comodato al figlio D.Lu., affinchè li destinasse all'attività che era prossimo ad intraprendere e che pertanto, per effetto del protratto possesso, aveva acquistato per usucapione la proprietà dell'immobile a titolo originario.

Tutto ciò considerato il Sig. D.Lu. concludeva chiedendo: (i) in via principale, il rigetto della domanda ex adverso proposta; (li) in via riconvenzionale, l'accertamento dell'intervenuto acquisto della proprietà del bene in suo favore per usucapione; (iii) in subordine, sempre in via riconvenzionale, che l'attore fosse condannato al rimborso per le spese effettuate per i lavori di completamento del fabbricato.

4. Il Sig. D.Lu. rimaneva contumace.

5. Prodotta ed acquisita la documentazione, rigettate le istanze istruttorie, la causa veniva trattenuta in decisione con conseguente assegnazione dei termini per gli scritti conclusivi.

6. Con sentenza n. 235/2018, pubblicata in data 01/08/2018, il Tribunale di Matera ha rigettato la domanda proposta dal De.Pi. e le domande riconvenzionali di D.Lu., compensando integralmente le spese di lite tra le parti.

7. In relazione a quanto richiesto dal D.Pi., dopo aver qualificato la domanda di quest'ultimo come azione di rivendicazione, avendo egli richiesto non soltanto il rilascio dell'immobile in suo favore, ma anche che fosse accertato il suo diritto di proprietà sullo stesso, il primo giudice ha ritenuto che l'odierno appellante non fosse stato in grado di provare la propria titolarità sul bene. In particolare ha ritenuto che la domanda dovesse essere respinta in quanto, da un lato, le difese di parte convenuta, per come strutturate, non etano idonee ad attenuare l'onere probatorio a carico del De.Pi. e, dall'altro per non avere quest'ultimo prodotto in giudizio la sequenza di titoli sufficienti a risalire ad un titolo di acquisto originario. Tantomeno, secondo il Giudice di prime cure, l'odierno appellante era stato in grado di dimostrate il possesso proprio e dei propri danti causa sul bene in questione per il tempo necessario per il riconoscimento dall'usucapione. Le istanze istruttoria articolate intatti avevano un contenuto vago e generico, comunque non comprovante l'esclusivo, effettivo e continuato possesso dell'immobile da parte dei suoi danti causa.

8. Nell'esaminare la domanda di accertamento della maturata usucapione avanzata in via riconvenzionale dal convenuto, il Giudice di prime cure la ritenuta non provata, essendo generici e non concludenti in merito all'effettivo esercizio del possesso sul bene, i capitoli di prova dallo stesso formulati.

9. Infine, il Giudice ha rigettato, ritenendola infondata e non provata, l'ulteriore domanda riconvenzionale proposta in via subordinata, dal convenuto, il quale aveva richiesto il rimborso delle spese sostenute per i lavori di completamento svolti sul fabbricato senza fornire alcun elemento per determinarne l'entità e quindi i costi dei quali chiedeva il rimborso.

10. Alla stregua di tanto il Giudice ha:

rigettato la domanda proposta da D.Pi.;

Rigettato le domande riconvenzionali proposte da D.Lu.;

compensato le spese di lite tra le parti.

Nulla ha disposto per le spese nei confronti di D.Lu. in quanto contumace.

11. Con atto di citazione in appello depositato in data 8 marzo 2019 D.Pi. ha impugnato h sentenza del Tribunale di Lago negro.

12. Con un primo motivo di appello il D.Pi. ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c., nonché dei principi in tema di onere probatorio, ai fini dell'azione di rivendica, nonché l'errata qualificazione da parte del Giudice delle difese del convenuto e l'errata valutazione delle prove acquisite agli atti.

Secondo il D.Pi. le difese del D.Lu. contenevano delle esplicite ammissioni e riconoscimenti circa l'esistenza del diritto di proprietà, facente capo ai danti causa dell'odierno appellante, sull'immobile per cui è causa, in quanto il D.Lu. avrebbe riconosciuto di averlo in un primo momento venduto proprio al defunto parte del D.Pi. e al Sig. Si.

In secondo luogo, per il D.Pi. sarebbe stata sufficiente a soddisfare tutti i pretesi requisiti, ai fini della c.d. probatio diabolica, la sequenza ininterrotta di atti pubblici di trasferimento, regolarmente trascritti, dallo stesso prodotti, ovvero l'atto di compravendita del 20.05.1979 con cui D.Lu. e D. Lo. avevano venduto l'immobile per cui è causa a Si. e D.Pi. (padre dell'appellante), che lo avevano acquistato in ragione della metà ciascuno; l'atto di compravendita del 19.04.2012 con cui i coniugi Si.Ma. e Ci.Gi. avevano venduto a Sc.Ma. (madre dell'attore) la quota pan alla metà dell'immobile di loro proprietà; infine, l'atto di donazione del 06.082012 con cui Sc.Ma. aveva alienato al D.Pi. la quota pari alla metà dell'immobile.

13. Con un secondo motivo di appello il D.Pi. ha lamentato l'erronea decisione del Giudice di prime cure in ordine al rigetto delle istanze istruttorie dedotte ed articolate. Secondo l'appellante la prova per testi era finalizzata a dimostrare la sussistenza di un possesso uti dominus, proprio e dei propri danti causa, pieno ed esclusivo, oltre che continuato e risalente nel tempo sugli immobili di cui è causa. Inoltre, ha evidenziato che il Giudice di prime cure, non prendendo in considerazione rimpianto probatorio prodotto e articolato dal D.Pi., non aveva tenuto conto che già al momento della conclusione dell'atto pubblico di compravendita gli originari acquirenti D.Pi. e Si.Ma. erano già stati immessi nel pieno possesso dei locali oggetto di contestazione.

14. Alla stregua di tanto l'appellante ha concluso chiedendo, eventualmente previa ammissione ed espletamento delle prove orali articolate nelle more del primo grado di giudizio, in riforma dell'impugnata sentenza: (i) di accertare e dichiarare l'appellante D.Pi. proprietario dei locali oggetto di causa; (ii) di condannare gli appellati all'immediato rilascio in suo favore dei locali oggetto di causa, vuoti da cose e liberi da persone; (ili) di condannarli al risarcimento del danno per occupazione abusiva; (iv) di condannarli al rimborso delle spese relative ad entrambi i gradi di giudizio.

15. Si è costituito in giudizio D.Lu. quale erede di D.Lu., deceduto in Sant'Arcangelo in data 30.05.2016, contestando integralmente quanto ex adverso dedotto ed argomentato, spiegando altresì appello incidentale.

16. In via preliminare il D.Lu. ha eccepito l'inammissibilità dell'appello del D.Pi. ai sensi dell'art. 342 c.p.c.

Nel merito, ha rilevato la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui il primo Giudice, qualificando la domanda spiegata dall'odierno appellante come di rivendica, ha ritenuto che quest'ultimo non avesse fornito la prova di un acquisto a titolo originario del bene oggetto di causa.

17. In via incidentale l'appellato ha impugnato la sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto, in violazione degli artt. 115,116,230 e 244 c.p.c. e 2697 c.c., che la prova dell'avvenuta usucapione non fosse stata raggiunta.

In particolare, evidenziava che il D.Pi. non aveva mai contestato nel corso del giudizio le circostanze dedotte dalla difesa del D.Lu. a sostegno della propria richiesta, per cui il primo giudice avrebbe dovuto ritenerle, ex art. 115 c.p.c., pacifiche e porle a fondamento della propria decisione. Secondo l'appellante incidentale, essendo non contestato il godimento e l'utilizzo degli immobili da parte dei Sigg.ri D.Lu., vi erano tutti gli elementi per poter correttamente configurare lo ius possessionis utile ai fini dell'accertamento dell'usucapione.

1Con un secondo motivo, il D.Lu. ha impugnato, in subordine, la sentenza di primo grado nella parte i cui il Giudice ha rigettato la domanda volta ad ottenere il pagamento delle spese occorse per il completamento dei lavori del fabbricato per mancanza di prova. Secondo l'appettante il primo Giudice aveva errato nel non ammettere le prove orali formulate a sostegno della domanda di usucapione, sia la richiesta di eventuale CTU, le quali, se ammesse, avrebbero potuto dimostrare quanto da lui richiesto. Secondo l'appellarne incidentale, contrariamente a quanto affermato nella sentenza, la prova testimoniale articolata non era né generica nella formulazione né irrilevante ai fini della decisione. Parimenti, la richiesta di CTU non doveva essere ritenuta inammissibile.

19. Alla stregua di tanto l'appellante incidentale ha concluso chiedendo: (i) di rigettare l'appello proposto da D.Pi. perché infondato in fatto e diritto; (ii) accogliere l'appello incidentale proposto da D.Lu., per l'effetto, dichiarare che lo stesso, per sé e il suo dante causa D.Lu., aveva acquistato ad usucapionem l'immobile per cui è causa; (iii) in subordine, condannate D.Pi. a rimborsare al D.Lu. tutte le somme occorse per i lavori di completamento dell'immobile di cui è causa; (iv) di condannare l'appellante alla rifusione delle spese del doppio grado del giudizio; (v) in via istruttoria, di ammettersi prova per testi così come formulata nell'atto di costituzione in appello.

20. Con ordinanza del 25 luglio 2019 la Corte, ha rigettato, ritenendole inammissibili, le istanze istruttorie formulate dalle parti.

21. All'udienza del 18.10.2022 tenutasi nelle forme della trattazione scritta, precisate dalle parti le proprie conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione con conseguente assegnazione dei termini per il deposito degli scritti conclusivi.

Motivi della decisione
Per ragioni di ordine logico deve essere in primo luogo esaminata l'eccezione di inammissibilità dell'appello principale che è infondata. Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.

tenuto conto della permanente natura di rivisto prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (così Cass. Sez. U., Ordinanza n. 36481 del 13.12.2022). Nel caso specifico il gravame proposto, oltre ad essere conforme ai requisiti richiesti dall'art. 342 c.p.c. nella (…), contiene gli elementi di critica della decisione impugnata e le argomentazioni a sostegno della stessa.

A) L'appello principale e infondato.

Il primo e il secondo motivo di appello possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.

Con il primo motivo l'appellante sostanzialmente afferma che il Giudice di prime cure abbia erroneamente ritenuto non provata la domanda di rivendicazione, mentre la stessa, in forza della mancata contestazione del rivendicato diritto di proprietà da parte dell'appellato, avrebbe dovuto beneficiare di una attenuazione dell'onere della prova, che comunque sarebbe stato assolto con la produzione degli atti di provenienza fino al suo acquisto, giusta donazione della madre.

Il motivo di censura non coglie nel segno in relazione ad entrambi i profili dedotti. Quanto all'attenuazione dell'onere probatorio, gravante su chi agisce in rivendica, la giurisprudenza e univoca nel negarne la ricorrenza in quelle ipotesi in cui il convenuto agisca, rivendicando a sua volta un possesso ad usucapionem, che abbia avuto inizio prima dell'acquisto del bene da parte di colui che. agisce in rivendica. Essendo l'usucapione un titolo d'acquisto a carattere originario, la sua invocatone, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l'adone di rivendicazione, non suppone, di per sé alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell'onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prava dell'usucapione, non è esoneralo dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell'opporre l'usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l'appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all'epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui "dies a quo" sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento a dalla mancata contestatone della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell'attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forma di impossesso remoto rispetto ai titoli vantati dall'attore. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28865 del 19.10.2021), Nella fattispecie in esame non è configurarle neanche l'ipotesi, formulata dalla giurisprudenza di legittimità, della attenuazione dell'onere probatorio derivante dalla appartenenza del bene al vendicante, oppure ai suoi danti causa al momento dell'inizio del possesso, poiché non è stato provato dall'appellante che la relazione materiale con gli immobili in parola non è venuta meno, allorchè il 20.05.1979 D.Lu. e D.Lo. (genitori dell'appellato) ebbero a venderlo a Si.Fe. e a D.Pi., padre dell'appellante. La circostanza è peraltro pacifica, giacchè nulla di diverso è stato provato dall'appellante nel giudizio di primo grado, nonché in considerazione di una mancata contestazione della circostanza da parte dell'appellato.

Ritenuto pertanto che nell'ipotesi in esame non è configurabile una attenuazione dell'onere probatorio in capo al rivendicante, è necessario analizzare se la documentazione da questi versata possa essere considerata sufficiente a far ritenere provato il rivendicato diritto di proprietà sull'immobile in parola.

Al riguardo, deve in primo luogo essere osservato che, diversamente da quanto dedotto dall'appellante, la madre con l'atto di donazione del 06.08.2012 gli trasferì solamente la quota, pari alla metà, relativa alla proprietà degli immobili oggetto di rivendicazione, dalla stessa acquistata dai coniugi Si.

A tanto si aggiunge che l'azione di rivendicazione impone a chi la esercita "l'onere di allegare i fatti storici su cui fonda la proprietà in guisa da consentire all'avversario di prendere consapevolmente postatone al riguardo, anche ai fini della eventuale delimitazione della catena probatoria dei titoli di acquisto, non potendo la relevatio ab onere probandi correlata al principio di non contestatone ex art. 115, comma 1, c.p.c. prescindere da essa, (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32820 del 27.11.2023). Su colui che agisce in rivendica, quindi, incombe l'onere di fornire la prova rigorosa, ex art. 948 c.c., della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire, ove non diversamente dimostrato, per ognuno, il periodo necessario per l'usucapione. "Nel giudizio di rivendicatone l'attore deve provare di essere proprietario della cosa rivendicata risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, o dimostrando il possesso proprio e dei suoi danti causa per il tempo necessario all'usucapione". (Cass. sez. 2, sentenza 04.03.1997, n. 1925). A tale onere probatorio l'appellante non ha adempiuto, giacché non ha dimostrato quale fosse l'originario titolo di acquisto, dovendosi intendere tale quello di acquisto der terreno successivamente alienato a D.Lu. e D.Lo. e a seguire ai genitori dell'odierno appellante e ai coniugi Si. fino all'atto di donazione in favore dell'appellante. Né è stato dimostrato da parte del rivendicante il possesso uti dominus, del terreno come del fabbricato ai fini della sua usucapione.

A tale ordine di considerazioni si collega il secondo motivo di censura relativo al rigetto da parte del primo giudice delle istanze istruttorie formulate dall'attore. A tal riguardo si è già espressa questa Corte con l'ordinanza istruttoria depositata il 25.07.2019, che qui viene confermata. La mancata reiterazione delle istanze in sede di precisazione delle conclusioni, formulate nel primo grado di giudizio, ne preclude al Collegio il riesame in quanto implicitamente rinunciate.

B) L'appello incidentale è infondato.

Quanto alla prova del possesso ad usucapionem del D.Lu. già con l'ordinanza istruttoria del 25.07.2019 questa Corte si è pronunciata negando la rilevanza alle prove orali e la sufficienza del morivo di appello incidentale: in questa sede, tale decisione non può che essere confermata.

Quanto al motivo di censura, lo stesso deve essere disatteso. Diversamente da quanto sostenuto dall'appellante il rivendicato diritto di acquisto della proprietà degli immobili oggetto di giudizio è stato fin dal primo grado contestato dall'appellante principale, il quale ha sostenuto che nel caso eli specie, per espressa ammissione del D.Lu., rinvenuta nei documenti di causa (richiesta al Giudice dell'esecuzione di potere continuare ad avere la disponibilità dei locali), questi li deteneva e non possedeva. Alla stregua di tanto la domanda di usucapione formulata dal D.Lu. soggiace al rigoroso sistema probatorio improntato a criteri che diano certezza in ordine al vantato acquisto della proprietà a titolo originario, l'ali criteri nell'ipotesi di specie non sono stati soddisfatti. Ed il motivo di appello per la restante parte è inammissibile. L'appellante incidentale, infatti, si limita, in questa sede, a reiterare le argomentazioni svolte in primo grado senza fornire elementi utili a confutare il capo della decisione impugnato, nel quale invece il primo giudice aveva ben evidenziato le carenze sotto il profilo probatorio del rivendicato possesso ad usucapionem dei locali, carenze riverberatesi sui generici capitoli di prova orale articolari e non ammessi né in primo grado né in questa sede. Nessuna prova è stata fornita dall'appellante incidentale in merito all'inizio del possesso dei locali in parola, allo svolgimento in essi di qualsivoglia attività, al pagamento di utenze all'adempimento di obblighi di legge (imposte, tasse, dichiarazioni di sede di attività a ciò relativo, ad una disponibilità esclusiva e, in altri tannini, a circostanze idonee a far configurare il suo animus possidenti. Di fronte ai rilievi pur evidenziati e argomentati dal primo giudice, nel motivo di appello in esame non viene indicata alcuna circostanza, deducibile dai documenti acquisiti agli atti, dalla quale potere evincere una concreta confutazione di quanto affermato dal primo giudice, da cui poter ricavare gli elementi caratterizzanti la fattispecie rivendicata, sicchè il motivo di censura deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 342 c.p.c.

Il secondo motivo di appello incidentale è infondato.

Afferma il D.Lu. che nei locali, oggetto di causa, avrebbe eseguito lavori di completamento, al fine di renderli utilizzabili; tuttavia, come rilevato dal Tribunale, nessuna prova è stata data dallo stesso in ordine all'entità dei lavori, alla loro consistenza, ai costi che sarebbero stati sostenuti. Né a tale mancanza di elementi avrebbe potuto ovviare la generica prova testimoniale articolata in primo grado e tanto meno una CTU, in tutta evidenza esplorativa, e comunque, in siffatto contesto di carenza di prova, inammissibile.

Alla stregua di tanto l'appello principale e l'appello incidentale devono essere rigettati.

Stante l'integrale rigetto dei gravami, l'appellante principale e quello incidentale sono tenuti al pagamento di un ulteriore importo, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione proposta, a titolo di contributo unificato, a norma dell'art. 13, comma 1 qua ter D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

In conseguenza della soccombenza reciproca le spese processuali devono essere compensate.

P.Q.M.
La Corte di Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto con atto depositato il 08 marzo 2019 da D.PI. avverso la sentenza del Tribunale di Lagonegro n. 235/2018 depositata il 01.08.2018, nei confronti di D.LU. quale erede di D.Lu., nel contraddittorio delle parti così provvede:

1)Rigetta l'appello principale;

2) Rigetta l'appello incidentale;

3) Compensa integralmente tra le pari le spese del presente grado di giudizio.

4) Dispone, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n, 115/2002, che l'appellante principale e quello incidentale versino un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pan a quello corrisposto rispettivamente all'atto dell'iscrizione a ruolo del presente giudizio e della costituzione.

Così deciso in Potenza il 20 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.

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