top of page

Limiti della critica sui social media e il confine con la diffamazione aggravata

limiti-critica-social-diffamazione-aggravata

Tribunale Potenza, 21/02/2024, n.296

Principio di diritto:
In tema di diffamazione aggravata, l’esimente del diritto di critica trova applicazione solo se l’uso delle espressioni è rispettoso dei limiti della verità, della rilevanza sociale dell’argomento e della continenza formale e sostanziale. Laddove il linguaggio degeneri in offese personali, gratuite e lesive della reputazione altrui, il diritto di critica cede il passo alla responsabilità per diffamazione, anche aggravata dall’utilizzo di strumenti a larga diffusione come i social media (Cass. Pen., Sez. V, n. 34160/2017; Cass. Pen., Sez. V, n. 23805/2015).

Sintesi della decisione:
Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità penale per il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, co. 3 c.p., rilevando che l’imputato, mediante pubblicazione sui social media, aveva leso la reputazione della persona offesa con espressioni gravemente denigratorie. È stato escluso il diritto di critica politica, in quanto il contenuto del messaggio non rispettava i limiti della verità e della continenza, e mancava ogni fondamento fattuale. Il giudice ha condannato l’imputato a una multa e al risarcimento dei danni morali in favore della parte civile.

Il diritto di cronaca non giustifica l'accostamento infondato a scenari di terrorismo

Diffamazione e diritto di critica: bilanciamento tra libertà di espressione e tutela della reputazione

Critica politica e diffamazione: il bilanciamento tra diritto di critica e tutela della reputazione

Diffamazione aggravata mediante social media: esclusione del diritto di critica in presenza di offese personali

Diffamazione tramite social network: limiti del diritto di critica e abuso del linguaggio

La diffamazione richiede la prova della comunicazione a più persone e l’attendibilità delle dichiarazioni

Diffamazione e diritto di critica: il limite tra espressione e offesa

Limiti della critica sui social media e il confine con la diffamazione aggravata

Diffamazione aggravata a mezzo social network: necessità di verità del fatto attribuito e limiti al diritto di critica

Diffamazione politica: limiti del diritto di critica e rilevanza della continenza linguistica

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1) Con atto di citazione ritualmente notificato, Gr.An. chiedeva all'intestato Tribunale di voler: "1) In via preliminare: dichiarare, per le ragioni tutte esposte in narrativa, la risoluzione del contratto - scrittura privata datata 25.05.13, di compravendita della (…), stante il grave inadempimento della convenuta ditta (…) e/o accertare e dichiarare la responsabilità extracontrattuale della ditta convenuta per i fatti esposti in narrativa e per l'effetto: a) condannare la medesima ditta convenuta alla restituzione della somma di Euro 13.000,00 versata dall'attore per l'acquisto dell'autovettura in questione, contestualmente alla restituzione, da parte dell'attore, dell'autovettura in parola alla ditta convenuta; b) condannare altresì la convenuta ditta "Il mercato dell'Auto", a titolo di risarcimento dei danni patiti, al pagamento di tutte le spese sostenute dall'attore per la manutenzione dell'automezzo nonché per il trasferimento di proprietà dell'autovettura in questione; 2) In via subordinata: dichiarare e dare atto che l'attore sig. Gr.An. ha diritto, stante l'inadempimento della convenuta ditta (…) per tutte le ragioni esposte in narrativa, alla riduzione del prezzo complessivo versato per l'acquisto dell'autovettura (…) per cui è causa (pari ad Euro 13.000,00) e per l'effetto condannare la ditta convenuta al rimborso in favore dell'attore della somma di Euro 7.000,00 ovvero della somma, anche maggiore, ritenuta di giustizia. 3) Condannare in ogni caso la ditta convenuta al pagamento delle spese e competenze del procedimento".

Deduceva, che all'atto dell'acquisto il contachilometri dell'auto segnava solamente 48.000 chilometri percorsi e successivamente in data 01/07/2013, in occasione di manutenzione dell'auto presso la concessionaria (…) di Potenza, (…) S.r.l., apprendeva con stupore che l'autovettura aveva già percorsi 173.912 chilometri risultanti dallo storico degli interventi. Quindi, sostiene l'attore, appariva evidente che vi fosse stata una manomissione del contachilometri. La convenuta, sulla denunciata manomissione riscontrava di essere disponibile ad un'eventuale riparazione o sostituzione dei componenti dell'auto, ignorando che l'auto dalla stessa venduta perdeva quella caratteristica che aveva indotto l'attore all'acquisto, relativa al basso chilometraggio.

2) Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva la società (…) la quale chiedeva: "1. In via preliminare accertare e dichiarare l'inammissibilità e/o improponibilità delle domande proposte dal sig. Gr.; 2. In via gradata, rigettare le domande tutte avanzate dall'attore, poiché infondate sotto ogni profilo di fatto e di diritto; 3. Condannare, in ogni caso, l'attore alla rifusione delle spese e compensi di difesa".

A sostegno delle eccezioni deduceva l'inammissibilità della domanda poiché posta in dispregio della normativa in materia che non consente la proposizione contestuale delle domande proposte dall'attore; inoltre, dal medesimo atto di citazione emergeva l'intervenuta decadenza dell'azione e, comunque, contestava la genericità dell'azione e l'insussistenza degli elementi costitutivi della domanda.

3) La causa istruita mediante prova per testi, acquisizioni documentali e CTU, la stessa viene in decisione scaduti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e di replica.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

4) La controversia che oggi viene all'esame di questo giudice, verte in materia di vendita di beni ed ha ad oggetto l'acquisto di un'autovettura (…) per il prezzo pattuito di Euro 13.000,00, come risulta dalla scrittura privata allegata al fascicolo di parte. L'attore evidenziava che in data 01/07/2013, in occasione della manutenzione dell'auto presso (…) S.r.l. di Potenza, veniva a conoscenza che l'autovettura acquistata aveva un chilometraggio superiore a quello segnato dal contachilometri. L'attore con raccomandata a.r. inviata in data 17/07/2013 e ricevuta dalla convenuta il 19/07/2013, denunciava quanto aveva casualmente appurato, ovvero, che l'autovettura al 21/12/2012 aveva percorso già 122.100 chilometri e, quindi, l'intervenuta manomissione.

In seguito a ciò, l'attore intentava azione finalizzata alla risoluzione contrattuale (redibitoria), azione extracontrattuale per la restituzione della somma versata ed i danni subiti ed in subordine azione per la riduzione del prezzo pagato (estimatoria). Preliminarmente va precisato che la disciplina della compravendita non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativa alla immunità della cosa da vizi; all'obbligo di garantire il compratore dai vizi della cosa, previsto dall'articolo 1476 n. 3, c.c., non corrisponde alcun dovere di comportamento del venditore in funzione del soddisfacimento dell'interesse del compratore. Le obbligazioni del venditore, ai fini che qui interessano, si risolvono infatti, nell'obbligazione di consegnare la cosa oggetto del contratto e, nella vendita di cose determinate solo nel genere, nella duplice obbligazione di individuare, separandole dal genere, cose di qualità non inferiore alla media e di consegnare le cose individuate. In entrambi i casi, ai fini dell'esatto adempimento dell'obbligazione di consegna, il venditore non deve fare altro che consegnare la cosa o le cose determinate in contratto o individuate successivamente, indipendentemente dalla eventuale presenza di vizi nelle stesse. Per quanto poi riguarda l'obbligazione di individuazione, è appena il caso di sottolineare che l'eventuale presenza di un vizio nelle cose individuate non costituisce violazione dell'obbligo di individuare cose di qualità non inferiore alla media, giacchè, come reiteratamente affermato dalla Suprema Corte, il vizio riguarda le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la qualità inerisce alla natura della merce e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell'ambito di un medesimo genere, sull'appartenenza ad una specie piuttosto che a un'altra (cfr. Cass. Civ. sent. n. 28419/13; Cass. Civ. sent. n. 6596/16).

Non è dunque possibile concepire la garanzia per vizi come oggetto di un dovere di prestazione.

4.1) Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve allora rilevarsi che il disposto dell'articolo 1476 c.c., laddove qualifica la garanzia per vizi come oggetto di una obbligazione, va inteso non nel senso che il venditore assuma una obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa, bensì nel senso che egli è legalmente assoggettato all'applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia stessa. Le Sezioni Unite della Suprema Corte già nel 2012, con la sentenza n. 19702, ebbero modo di sottolineare che l'obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto piuttosto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria. Se dunque la garanzia per i vizi pone il venditore in una condizione non di obbligazione (dovere di prestazione) ma di soggezione, lo schema concettuale a cui ricondurre l'ipotesi che la cosa venduta risulti viziata non può essere quello dell'inadempimento di una obbligazione.

La conclusione che precede, tuttavia, non impone di collocare detta ipotesi fuori dal campo dell'inadempimento (più precisamente, dell'inesatto adempimento) del contratto, nel quale tradizionalmente essa è stata collocata, con il conforto della prevalente dottrina, dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. sent. n. 5686/85; Cass. Civ. sent. n. 7561/06; Cass. Civ. sent. n. 14431/06; Cass. Civ. sent. n. 20557/12).

La consegna di una cosa viziata integra un inadempimento contrattuale, ossia una violazione della lex contractus; ma, come è stato persuasivamente osservato in dottrina, non tutte le violazioni della lex contractus realizzano ipotesi di inadempimento di obbligazioni.

4.2) Con specifico riguardo ai contratti traslativi, la spiegazione delle peculiarità delle patologie dell'effetto traslativo e del funzionamento dei rimedi che la legge ad esse ricollega richiede un superamento del concetto classico di inadempimento - inteso come inattuazione dell'obbligazione contrattuale - e il riconoscimento della possibilità di configurare vere e proprie anomalie dell'attribuzione traslativa. La consegna della cosa viziata costituisce non inadempimento di una obbligazione (di consegna o di individuazione), ma la imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso.

La garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita.

Il presupposto di tale responsabilità è l'imperfetta attuazione del risultato traslativo (e quindi la violazione della lex contractus) per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell'esistenza dei vizi; essa si traduce nella soggezione del venditore all'esercizio dei rimedi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni.

4.3) Dalla suddetta conclusione discende che la disciplina del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, non può ritenersi compresa nell'ambito applicativo dei principi fissati dalla sentenza delle SS.UU. n. 13533/01 in materia di prova dell'inesatto adempimento delle obbligazioni nelle ordinarie azioni contrattuali di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno. I principi fissati nella sentenza n. 13533/01 discendono dalla presunzione di persistenza del diritto, desumibile dall'art. 2697 c.c., in virtù del quale - una volta che il creditore abbia dimostrato l'esistenza di un diritto, provandone il titolo (contrattuale o legale) e la scadenza del termine di esigibilità - grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo costituito dall'adempimento; principi che le Sezioni Unite hanno ritenuto operanti sia nel caso in cui il creditore agisca per l'adempimento, sia nel caso in cui, sul comune presupposto dell'inadempimento della controparte, egli agisca per il risarcimento del danno o per la risoluzione per inadempimento o per inesatto adempimento.

E' dunque evidente come tali principi non possano essere riferiti alla disciplina della vendita che non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativo alla immunità della cosa da vizi.

4.4) Sulla scorta delle considerazioni fin qui svolte, la questione del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, si presenta di agevole soluzione, alla stregua del principio, fissato nell'articolo 2967 c.c., che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento del diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita; il compratore che esperisca le azioni di cui all'articolo 1492 c.c. per essere garantito dal venditore per i vizi della cosa venduta - vale a dire, per l'imperfetta attuazione del risultato traslativo, anche in assenza di colpa del venditore - che si fonda sul fatto della esistenza dei vizi, deve dare la prova di tale esistenza che grava su di lui.

Tale conclusione risulta idonea a soddisfare anche le esigenze di carattere pratico - espresse dal principio di vicinanza della prova e dal tradizionale canone negativo non sunt probanda - che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno indicato, nella sentenza n. 13533/01, a sostegno della opzione ermeneutica che pone sull'obbligato l'onere di provare di avere (esattamente) adempiuto non solo quando il creditore chieda l'adempimento, ma anche quando il creditore chieda la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno.

4.5) Quanto al principio di vicinanza della prova, si osserva che esso ha trovato la sua prima compiuta enunciazione proprio nella sentenza delle SS.UU. n. 13533/01, dove viene declinato nel senso che l'onere della prova deve essere "ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione".

Il principio della vicinanza della prova viene ritenuto coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi e il criterio della vicinanza/distanza della prova viene in sostanza utilizzato per distinguere i fatti costitutivi della pretesa (identificati con quelli che sono nella disponibilità dell'attore, che il medesimo ha l'onere di provare) dai fatti estintivi o modificativi o impeditivi, che l'attore non è in grado di provare e che, pertanto, devono essere provati dalla controparte.

Ai fini della soluzione della questione qui all'esame non vi è necessità di affrontare il tema del rapporto tra il principio della vicinanza della prova e la regola di giudizio dettata dall'articolo 2697 c.c., giacché tanto l'applicazione di tale principio, quanto l'applicazione di detta regola di giudizio, conducono alla stessa conclusione, ossia che il compratore che esercita le azioni è gravato dell'onere di provare il vizio della cosa venduta.

L'esistenza del vizio, infatti, è il fatto costitutivo del diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita, e, allo stesso tempo, è il fatto la cui prova è più vicina al compratore; è proprio il compratore, infatti, dopo che la cosa venduta gli è stata consegnata dal venditore, ad averne la disponibilità, necessaria per svolgimento degli esami funzionali all'accertamento del vizio lamentato.

5) Quindi, come sopra riportato in tema di compravendita, il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il suo valore. Il compratore della cosa viziata è tutelato con le cosiddette azioni edilizie: l'azione redibitoria che ha la stessa natura dell'azione generale di risoluzione per inadempimento; trova il proprio fondamento in un difetto funzionale della cosa che sussiste indipendentemente dall'eventuale colpa o dolo del venditore. La risoluzione del contratto comporta, per sua natura, il ripristino della situazione anteriore, così come previsto dall'art. 1493 c.c.: il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa vendutagli; l'azione estimatoria, invece, consiste nella riduzione del prezzo in rapporto alla minore utilità offerta dalla cosa al compratore; tale riduzione si eseguirà diminuendo il prezzo pattuito di una percentuale pari a quella che rappresenta la menomazione che il valore effettivo della cosa subisce a causa dei vizi.

Va qui precisato che le due azioni edilizie sono tra loro alternative e la scelta di una è irrevocabile quando sia proposta con domanda giudiziale (art. 1492, comma 2), secondo la giurisprudenza costante, infatti, non è ammesso l'esercizio congiunto delle due azioni. Al riguardo si evidenzia la netta diversità delle due azioni delle quali la prima è diretta alla eliminazione del contratto mentre la seconda alla conservazione di esso; sulla base di tale rilievo la Corte di Cassazione con sentenza del 22/02/2010 n. 4248 ha ritenuto che l'azione di risoluzione del contratto e l'azione di riduzione del prezzo spettanti a norma dell'art 1489 c.c. al compratore di una cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, sono nettamente distinte tra loro, con la conseguenza della inammissibilità ai sensi dell'art. 345 c.p.c. della domanda di riduzione del prezzo proposta per la prima volta in appello nel giudizio di risoluzione del contratto di compravendita ex art. 1489 c.c. in quanto domanda nuova e diversa rispetto a quella principale.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte al quale questo giudice ritiene di aderire, "in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l'azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma cod. civ.), ma in via concorrente con fazione di risoluzione (art. 1492 citato, primo comma), deve negarsi l'ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell'azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall'art. 1490 cod. civ. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell'art. 1455 cod. civ. sull'importanza dell'inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l'una o l'altra". Si tratta di un orientamento che risale al primo arresto delle Sezioni unite n. 2565/1988, e che ha trovato successive conferme, tra le altre, in Cass. Civ. del 1996 n. 3299, Cass. Civ. del 1996 n. 3398, Cass. Civ. del 2004 n. 22415.

La Ricostruzione come operata dalle SU richiamate, ancora oggi appare coerente e giuridicamente fondata sull'incompatibilità logico-giuridica dei due rimedi e sulla necessaria prevalenza da attribuirsi alla scelta per la risoluzione (ove prospettata per prima), che si pone in netta ed inconciliabile antitesi con quella relativa alla riduzione del prezzo. La prima, infatti, comporta il venir meno del contratto, mentre la seconda necessariamente lo presuppone. Né vanno trascurate le diverse conseguenze collegate alle due ipotesi alla luce dell'esigenza, pure processualmente garantita, di una chiara definizione dei limiti e delle conseguenze del giudizio intrapreso con riguardo a tutte le parti (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 agosto 2015, n. 17138).

6) Sull'eccezione di decadenza sollevate da parte convenuta, in relazione alla denuncia dei vizi oltre il termine di legge, poiché la censura mossa all'attore, è un'eccezione di merito in senso stretto, non rilevabile di ufficio, andava sollevata dalla società convenuta nella comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria venti giorni prima della fissata udienza ai sensi dell'art. 166 c.p.c.

La decadenza dal diritto di garanzia per i vizi della cosa venduta non può essere infatti rilevata d'ufficio, ma va ritualmente eccepita da chi vi ha interesse, cioè dal venditore (Cass. civ., Sez. II, 16/02/2006, n. 3429; App. Campobasso, 11/09/2008; Cass. civ., Sez. II, 29/01/2000, n. 1031; Cass. civ. n. 6031 del 10.07.1987). Nella fattispecie la detta eccezione non può essere vagliata poiché parte convenuta si è costituita alla prima udienza tenutasi in data 11/04/2014.

6.1) Precisato ciò, si rileva alla luce dei principi ermeneutici sopra richiamati, che la domanda validamente proposta dall'attore con l'atto di citazione è la redibitoria, finalizzata alla risoluzione del contratto di vendita dell'autovettura di cui alla scrittura privata del 25/05/2013 poichè, richiamato quanto affermato sull'incompatibilità logico-giuridica dei due rimedi (redibitorio ed estimatorio), qualora vengano proposte entrambe le azioni, prevale la risoluzione contrattuale ove prospettata per prima. Nella fattispecie che ci occupa, l'attore ha proposto prioritariamente l'azione redibitoria finalizzata all'annullamento del contratto ed alla restituzione delle somme corrisposte dietro la restituzione dell'auto, tale scelta è divenuta immodificabile dal momento in cui è stata fatta giudiziariamente. Ora, influisce sulla decisione l'abbandono della domanda redibitoria in sede di conclusionale, infatti, parte attrice, a pag. 3 della comparsa conclude "chiedendo l'accoglimento delle conclusioni rassegnate in atti, con particolare riferimento alla subordinata domanda di riduzione del prezzo pagato per l'acquisto dell'autoveicolo oggetto di causa, formulata in atto di citazione. S'insiste, in particolare, affinché la convenuta (…) venga condannata alla restituzione, in favore, dell'attore, dell'importo di euro 5.548,00 sul totale percepito di euro 13.000,00 alla luce degli accertamenti peritali compiuti dal CTU Mi.Do. e dell'ampia istruttoria compiutasi nel presente procedimento".

La pronuncia richiesta in conclusionale dall'attore consegue alla domanda estimatoria che, come dallo stesso affermato, è stata posta in subordine, rispetto alla prioritaria domanda redibitoria e tanto inibisce al giudice il vaglio della domanda subordinata e la condanna al conseguenziale accertamento del reale valore dell'autovettura all'atto dell'acquisto.

L'alternatività delle domande redibitoria ed estimatoria che non consente di azionarle simultaneamente con lo stesso atto; la prevalenza della domanda di annullamento del contratto su quella estimatoria, qualora prioritariamente proposta in sede giudiziaria; fanno sì che la rinuncia della domanda redibitoria in sede di conclusionale, configura una sopravvenuta carenza di interesse dell'attore che determina la caducazione della domanda redibitoria validamente proposta.

7) Comunque, ritiene questo giudice che alla luce delle prove testimoniali assunte in corso di causa, dalle quali si acquisisce il dato che l'autovettura era idonea all'uso per la quale era stata acquistata, ovvero, per recarsi al lavoro quotidianamente da Potenza a Ca. e ritorno, come confermato dal teste Cr.An.

Lo stesso attore, poi, riferiva che con l'autovettura acquistata, fino alla data del 30/06/2014, quindi, oltre un anno dopo l'acquisto, aveva percorso circa 20/25 mila chilometri. Quindi, più che di risoluzione contrattuale doveva procedersi con azione estimatoria, sia perché l'auto era idonea all'uso destinata, avendola utilizzata quotidianamente per recarsi al lavoro e sia perché il chilometraggio di un'autovettura può incidere sicuramente sul suo prezzo. Tanto viene riferito anche dal CTU quando afferma che "Utilizzando l'algoritmo per la determinazione del maggior/minor valore in base al chilometraggio di riferimento, suggerita dal prontuario Quattroruote in vigore alla data di acquisto della vettura (decurtando lo 0.4 per cento ogni 1000 km in eccesso) otteniamo che il veicolo avente almeno 149.000 Km al momento dell'acquisto aveva un valore medio di mercato pari a 7452,00 euro circa, determinato come da sottostante tabella di calcolo".

Quindi, il CTU concludeva che l'odierno attore aveva pagato l'autovettura (…) ad un prezzo superiore al suo valore di Euro 5.548,00.

Il calcolo del valore che l'auto aveva all'atto dell'acquisto appare condivisibile, però, per poter giungere ad una condanna alla restituzione di parte del prezzo nei confronti della convenuta (…), sarebbe stato necessario che fosse stata acquisita la prova dell'autore della sottrazione dei chilometri.

Infatti, anche accettando il risultato a cui giunge il CTU - a seguito del test diagnostico eseguito su alcune centraline - che parla di una manomissione del contachilometri dal quale sono stati scalati almeno 101.000 Km, manca allo stato la prova di chi abbia proceduto a manometterlo, considerato che il consulente dal cronologico dei tagliandi deduce che il periodo della manomissione sia compreso tra il 21/12/2012 ed il 01/07/2013.

Trattandosi di auto usata, quindi, intestata a precedenti proprietari e mancando la prova del momento in cui la sottrazione dei chilometri sarebbe stata operata, viene meno la prova che ascrive la responsabilità della sottrazione alla convenuta (…). Quindi, anche qualora fosse stata proposta validamente l'azione estimatoria, la stessa non avrebbe trovato accoglimento per carenza di prova dell'autore della manomissione.

8) Le spese di lite stante la controvertibilità delle questioni trattate, si ritiene equo compensarle tra le parti. Il costo della CTU viene posto a carico di entrambe le parti in ossequio al principio giurisprudenziale secondo cui "il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza" (Cass. civ., 30 dicembre 2009, n. 28094).

P.Q.M.
Il Tribunale di Potenza, in funzione di giudice monocratico, nella persona del GOP dott. Angelo Raffaele Violante, definitivamente pronunciando nel processo RGT 2742/2013, tra Gr.An. e (…), ogni ulteriore istanza ed eccezione disattesa e questione assorbita, così provvede:

a) Rigetta la domanda per tutto quanto espresso in parte motiva;

b) Compensa integralmente le spese di lite;

c) Pone a carico di entrambe le parti il costo dell'espletata CTU.

Così deciso in Potenza il 21 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.

bottom of page