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La diffamazione richiede la prova della comunicazione a più persone e l’attendibilità delle dichiarazioni

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Tribunale Cassino, 05/02/2024, n.30

In materia di diffamazione ex art. 595 c.p., il fatto non può ritenersi sussistente qualora manchi la prova oltre ogni ragionevole dubbio dell'elemento oggettivo della comunicazione offensiva a una pluralità di soggetti e dell'elemento soggettivo del dolo specifico di lesione della reputazione altrui.
Ulteriori chiarimenti:
Dichiarazioni de relato: La responsabilità penale non può basarsi esclusivamente su dichiarazioni de relato (cioè riferite da terzi e non percepite direttamente dalla persona offesa) prive di riscontri autonomi o conferme testimoniali dirette.
Verifica della credibilità: Le dichiarazioni della persona offesa, specie se costituita parte civile, richiedono un controllo stringente di attendibilità intrinseca ed estrinseca, considerando il possibile interesse economico o emotivo legato al procedimento (Cass. Sez. Un. n. 41461/2012).
Sufficienza probatoria: È necessario che il compendio probatorio dimostri con sufficiente certezza che le frasi o i comportamenti attribuiti all'imputato siano stati effettivamente comunicati a più persone con la volontà di ledere la reputazione altrui.
In sintesi: La mancanza di riscontri probatori autonomi, le contraddizioni nelle testimonianze e l'assenza di una dimostrazione certa della comunicazione offensiva a più soggetti comportano l'insussistenza del fatto diffamatorio e l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa dal Giudice di Pace di Cassino del 21.02.2022, depositata il 7.03.2022, Da.Fe. e Fa.An. sono stati dichiarati responsabili dei reati loro ascritti e, concesse le attenuanti generiche, ritenuta la continuazione fra i reati, sono stati condannati alla pena di Euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, liquidati in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese di costituzione liquidati in Euro 1.027,00.

Avverso la sentenza di primo grado, con atto depositato il 5.04.2022, ha proposto appello il difensore di Da.Fe. e Fa.An., chiedendo di assolvere gli imputati ai sensi dell'art. 530 comma 1 c.p.p., ovvero quantomeno ai sensi dell'art. 530 co 2 c.p.p. e di annullare le statuizioni civili disposte in sentenza.

Fissata la comparizione delle parti, dopo l'udienza di rinvio del 10.2.2023 per il rinnovo della notifica agli imputati, all'udienza del 21.4,2023 il Giudice, accertata la regolare costituzione delle parti, dichiarava l'assenza degli imputati ai sensi dell'art. 420 bis. c.p.p. All'esito, rinviava la trattazione della causa, stante l'adesione del difensore all'astensione collettiva dall'attività giudiziaria proclamata dall'associazione di categoria, con sospensione della prescrizione per giorni 203. All'udienza del 10.11.2023, invitate le parti alla discussione, terminata con le conclusioni riportate in epigrafe, il giudice, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, dava pubblica lettura del dispositivo della presente sentenza.

L'appello proposto da Da.Fe. e Fa.An. va accolto quanto alle censure contenute nell'atto di impugnazione, con conseguente riforma della statuizione di condanna contenuta nella sentenza appellata ed assoluzione degli imputati dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste.

Si premette che, è orientamento oramai consolidato della Corte di Cassazione che "l'impugnazione proposta dall'imputato contro la sentenza del giudice di pace, che lo abbia condannato ad una pena pecuniaria ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, qualora con essa non venga contestato esclusivamente la specie o l'entità della pena, deve essere qualificata come appello sebbene non risulti espressamente impugnato il capo relativo alla condanna al risarcimento del danno, in quanto nel procedimento davanti al giudice di pace trova applicazione l'art. 574, comma quarto, c.p.p. nella parte ili cut prevede che l'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale estende i suoi effetti alle statuizioni civili dipendenti dalla condanna" (cfr. Cass. sez. II, 12/05/2009, n. 23555).

In altri termini, sono appellabili tutte le sentenze del giudice di pace che, oltre a condannare ad una pena pecuniaria, contengano altresì statuizioni risarcitorie, sempre che l'impugnante non si limiti a contestare specie od entità della pena, ma censuri l'affermazione di penale responsabilità (cfr, Cass. sez. II, 23/02/2010, n. 10344; Cass. n. 5576 del 2009, Cass. n. 38733 del 2008; Cass. n. 7063 del 2009).

Il proposto appello è pertanto ammissibile censurando l'appellante nei dedotti motivi l'affermazione della responsabilità penale.

Tanto premesso, quanto ai motivi dedotti in sede d'impugnazione, la difesa dell'appellante ha eccepito:

1) Erronea valutazione delle risultanze processuali ed erronea dichiarazione di responsabilità degli imputati;

2) Erronea valutazione circa la sussistenza del reato di cui all'art. 595 c.p. per difetto dell'elemento oggettivo della comunicazione con più persone;

3) Erronea valutazione circa la sussistenza del reato di cui all'art. 612 c.p.;

4) Omessa valutazione delle deposizioni rese dai testimoni della difesa;

5) Erronea determinazione della pena.

I motivi di appello indicati sub nn. 1, 2, 3 e 4 possono essere trattati unitariamente, essendo tutù fondati sull'erronea o sull'omessa valutazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice di primo grado, e vanno accolti.

Il controllo di attendibilità, da valutarsi globalmente, tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo, non essendo legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni (cfr. sulla credibilità complessiva Cass. n. 21640 del 11.05.2010), deve essere tanto più rigoroso, rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, da cui l'opportunità di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (cfr. Cass. n. 29372 del 24.06.2010). La circostanza che l'offeso si sia costituito parte civile, infatti, non attenua di per sé il valore probatorio delle sue dichiarazioni, ma può, secondo l'apprezzamento del Giudice, richiedere un più penetrante controllo di attendibilità estrinseca, finalizzato ad escludere la manipolazione delle dichiarazioni rese in funzione dell'interesse patrimoniale vantato (cosi Cass. Sez. Un. N. 41461 del 19/07/2012).

Controllo che, nel presente processo, doveva essere quanto mai stringente, non solo per il potenziale interesse economico della costituita parte civile, ma anche per il rapporto di acrimonia certamente esistente tra il dott. Ab.Sa. e gli odierni imputati, avendolo questi ultimi citato in giudizio per il risarcimento del danno collegato alla morte della figlia An. (cfr. atto di citazione debitamente notificato alle parti, in atti). Ebbene, la persona offesa, escussa in dibattimento nella udienza del 20.05.2019, dichiarò di aver saputo da El.Ne., Le.Ne., Ci.Pe., Pe.Se., Di.Ca. e Gi.Pe. che il sig. D'A. e la mogli e dicevano che "il dott. Ad. è un macellato ha assassinato nostra figlia, che era un incapace e non doveva fare quel lavoro", precisando che tali frasi gli furono riferite il giorno prima di sporgere la querela.

Da. seppe poi che gli imputati le dissero "che me l'avrebbero fatta pagare e che conoscevano qualcuno che mi avrebbe ammalato", precisando di non sapere ove gli imputati parlarono con la Ne..

Il Dott. Ad. ha quindi dichiarato che, dopo circa venti giorni dalla morte di An., "cominciò a sentire queste voci, queste frasi diffamatorie nei miei confronti".

Il teste, nuovamente escusso all'udienza del 15.03.2021, aggiunse di aver saputo che gli imputati minacciavano di far del male anche alle sue figlie "così che potesse capire cosa significa perdere una figlia".

Ha inoltre aggiunto che le frasi denigratorie e minatorie profferite ai suoi danni furono pronunciate in diversi luoghi ("al mercato, nei negozi, presso il medico di famiglia, in tutto il paese che è piccolo di circa 2.000,00 abitanti").

La persona offesa ha dichiarato che tali fatti accaddero circa un mese dopo la morte della figlia degli imputati, ribadendo che le frasi pronunciate dal Da. e dalla Fa. gli furono riferite da Ca.Di. e da Ne.El..

Ebbene, sul piano della credibilità intrinseca del testimone, deve evidenziarsi come le dichiarazioni rese dal dott. Ad. in dibattimento siano generiche e imprecise con riguardo all'identità dei terzi che ascoltarono le frasi denigratore e minatorie pronunciate dagli imputati, al luogo e al tempo in cui furono pronunciate e successivamente riferite alla persona offesa (il quale, più volte nel corso dell'esame, si è riferito genericamente alle "voci del paese"). Per tali motivi è indispensabile vagliare con particolare attenzione la attendibilità estrinseca della costituita parte civile, esame che in questo caso si rende ancor più necessario poiché il dott. Ad. in dibattimento ha riferito di avere avuto conoscenza dei fatti de relato e di non essere mai stato il diretto destinatario delle frasi riportate nel capo di imputazione.

Di.Ca., escussa all'udienza del 15.03.2021, ha dichiarato di conoscere gli imputati poiché comprava ì libri scolastici per il proprio figlio da An., figlia dei signori Da.. La teste quindi ha aggiunto di essersi recata presso l'abitazione degli imputati all'inizio dell'anno scolastico e che all'epoca non era ancora venuta a conoscenza di quanto accaduto tra le famiglie in conseguenza della morte della giovane. Nel precisare la data dell'incontro, la Di. ha riferito che si trattava del mese di settembre del 2014, aggiungendo poi di aver nuovamente incontrato la signora Fa. dal fioraio sicuramente in data successiva al settembre del 2014. In occasione di tali incontri, l'imputata le riferì che "avrebbe voluto scannare il dott. Ad. come un maiale perché gli aveva ammassato la figlia" e che "non era all'altezza di fare quell'intervento" e che la persona offesa "non era un dottore ma un macellaio". La teste ha quindi aggiunto che dopo tale episodio informò il dott. Ad., il quale le consigliò di lasciar perdere poiché erano solo chiacchiere.

Ebbene, dalle dichiarazioni della Di. emerge che la stessa incontrò la Fa. in un arco temporale successivo alla presentazione della querela sporta dal dott. Ad. in data 30.06.2014 e non ricompresa nella contestazione mossa agli imputati nel capo di imputazione. Tale circostanza è quindi in evidente contraddizione con quanto sostenuto in dibattimento dalla costituita parte civile (ossia di aver ricevuto le confidenze della Di. il giorno prima di sporgere la querela) e mina inevitabilmente l'attendibilità della sua deposizione.

L'ipotesi accusatoria non può, del pari, fondarsi sulle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste Gi.Pe. Quest'ultimo, infatti, ha affermato di aver incontrato il signor Da. all'uscita della scuola dei rispettivi figli "perché lui andava a prendere i nipoti, era molto provato dopo la morte della figlia e ci parlava spesso". Lo stesso ha poi affermato di non aver mai sentito rivolgere minacce alla persona offesa dagli imputati ma di aver sentito "in giro nel paese" che gli imputati erano molto provati per la morte della figlia e che addebitavano l'evento alla responsabilità del dottore ("l'ho sentito dire nel menato, in piazza il paese e molto piccolo"). Lo stesso ancora ha dichiarato "Ho incontrato gli imputati al mio negozio, la signora accompagnava il nipote e non abbiamo parlato di questi fatti. Direttamente non ho appreso nessuna frase diffamatoria dai signori Da.. Davanti alla scuola parlavamo di altre cose".

Ebbene, il teste ha dichiarato di non aver mai sentito gli odierni imputati rivolgere frasi minatorie o denigratore indirizzate al dott. Ad., con ciò quindi smentendo quanto sostenuto in dibattimento dalla costituita parte civile. Medesime considerazioni possono svolgersi con riguardo alla deposizione della teste El.Ne. La stessa nel corso del giudizio di primo grado ha affermato che il Da. le riferì "gliela dobbiamo far pagare cara [riferendosi al dott. Ab.Sa. abbiamo prodotto tutti i documenti e lo denunciamo perché lui non è un chirurgo e non doveva operare". Ha inoltre aggiunto di essere andata "diverse volte a casa degli imputati, almeno tre o quattro volte, poi smisi perché Paggetto della conversazione era sempre quello; i coniugi mi facevano vedere i documenti, mettendo in discussione la capacità professionale del Dottore, che non avrebbe dovuto operare e che non era all'altera di operare". Dopodiché ha precisato che tali conversazioni avvennero dopo aver reso te sommarie informazioni ai Carabinieri, del 26.02.2018. Nell'episodio invece riferito in sede di sommarie informazioni, gli odierni imputati le avevano fatto vedere dei documenti che avrebbero utilizzato per denunciare il dott. Ad..

La stessa ha inoltre dichiarato di aver saputo da Pe.Gi. che il Da., mentre si trovava presso il suo esercizio commerciale, nel tentativo di intimidirlo gli aveva riferito che la avrebbe denunciata per falsa testimonianza.

Tale circostanza, affermata dalla Ne., non trova alcun riscontro nelle dichiarazioni rese dal teste Pe. così come sopra riportate.

Inoltre, merita evidenziare che la Ne. ha affermato che An. Da. si recò presso la sua abitazione qualche mese prima del decesso (nel febbraio o nel marzo del 2014). Tale circostanza appare inverosimile sia poiché, come documentato dalla difesa degli imputati, la giovane all'epoca non poteva deambulare a causa dell'incedere della malattia, sia poiché è stata smentita dai testi della difesa. Mo.Da., sorella di An., e Re.An. hanno infatti riferito che la figlia degli imputati già dal gennaio del 2014 era allettata, escludendo quindi che la stessa si fosse potuta recare presso l'abitazione della Ne..

Alla luce di quanto riferito dalla teste e degli elementi di contraddizione emersi, così come appena evidenziati, ritiene il Tribunale che anche le dichiarazioni della Ne. non possano riscontrare quanto sostenuto dalla costituita parte civile nel corso dell'esame. La stessa, infatti, ha dichiarato che gli imputati le riferirono le frasi sopra riportate dopo il 2018 (dunque in data successiva alla presentazione della querela da parte del dott. Ad.) e ha aggiunto che, nel corso dell'incontro antecedente alle sommarie informazioni, gli stessi le confidarono di voler denunciare il dott. Ad. per quanto occorso alla figlia An.

Ebbene, così ricostruito il quadro istruttorio, ha ritenuto il giudice di primo grado che risultasse sufficientemente provata la penale responsabilità degli imputati, con condanna degli stessi per i reati loro ascritti in rubrica. Questo giudice, invece, ritiene, per le ragioni fin ora illustrate, di dover riformare la sentenza di primo grado, ritenendo del tutto insufficiente il compendio probatorio posto a fondamento della decisione. Le dichiarazioni rese dalla costituita parte civile, che riferisce di frasi denigratorie e minatorie asseritamente pronunciate dai coniugi Da. a soggetti terzi, non sono state sufficientemente riscontrate dalle ulteriori deposizioni testimoniali.

Pe.Gi., infatti, ha affermato che personalmente non aveva mai sentito rivolgere minacce all'indirizzo del dott. Ad. e ha smentito le dichiarazioni rese dalla Ne. Quest'ultima ha reso dichiarazioni confuse quanto all'effettivo contenuto delle frasi riferitele dagli odierni imputati e al periodo in cui le furono fatte siffatte confidenze. Infine, anche la teste Di. ha dichiarato di aver sentito le frasi minatorie pronunciate dagli imputati solo dopo il mese di settembre del 2014 (quindi successivamente alla proposizione della querela da parte della persona offesa).

Deve concludersi che non risulta provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che Da.Fe. e Fa.An. abbiano, con la propria condotta, minacciato il dott. Ab.Ad. e offeso la sua reputazione. Vi è anzi da evidenziare come, dall'istruttoria, sia emerso che gli odierni imputati, sia parlando con il Pe. che con la Ne., avevano più volte rappresentato la propria volontà di voler ricorrere alla giustizia per essere tutelati a fronte di un'eventuale responsabilità medica del dott. Ad., circostanza effettivamente realizzatasi mediante la notifica e la conseguente iscrizione a ruolo dell'atto di citazione in giudizio, in atti documentata.

La sentenza appellata deve quindi essere riformata, con conseguente assoluzione di Da.Fe. e Fa.An. per insufficienza della prova circa la sussistenza dei fatti a loro contestati.

La riforma della sentenza impugnata travolge anche il capo relativo alla condanna degli imputati al risarcimento del danno in favore della costituta parte civile.

In base al disposto di cui all'art. 592 c.p.p., in ragione del tenore della pronuncia, non conseguono a carico dell'imputato appellante le spese del secondo grado di giudizio. Invero, essendo stata la sentenza riformata ed essendo state assunte determinazioni più favorevoli all'imputato, l'appellante non può essere condannato alle spese del giudizio, che conseguono esclusivamente al rigetto o all'inammissibilità dell'impugnazione in base al disposto dell'art. 592 c.p.p. (cfr. Cass. 20.09.2002, n. 222137).

P.Q.M.
Visti gli artt. 39 D.L.vo 274/00, 605 c.p.p. e 530 comma 2 c.p.p.,

in riforma della sentenza emessa il 21.02.2022 dai Giudice di Pace di Cassino, assolve Da.Fe. e Fa.An. dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste.

Visto l'art. 544 c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Cassino il 10 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2024.

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