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Diffamazione tramite social network: limiti del diritto di critica e abuso del linguaggio

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Tribunale Genova sez. I, 29/02/2024, n.773

Principio di diritto
Il diritto di critica politica, tutelato dall’art. 21 Cost., incontra il limite della continenza, che richiede un linguaggio misurato e non pretestuosamente denigratorio. La critica, per essere scriminata, deve rispettare il metodo di una civile contrapposizione e risultare funzionale a un interesse pubblico. Espressioni gratuitamente offensive e dirette alla sfera personale del destinatario travalicano i confini della tutela costituzionale, configurando il reato di diffamazione.

Sintesi della decisione
Il Tribunale ha condannato l’imputato per il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., commesso tramite un post pubblicato su un social network, ritenendo che le espressioni utilizzate eccedessero i limiti del diritto di critica politica e fossero lesive della reputazione della persona offesa.

Fatti:
L’imputato aveva pubblicato un post su un social network, rivolgendosi indirettamente a un esponente politico con espressioni denigratorie e volgari ("sta tr... faccia di cazz... gente che ha tradito la patria"), senza alcuna argomentazione critica o collegamento diretto a specifiche condotte politiche.
Motivazione della sentenza:
Attribuibilità: È stato provato che il post era stato pubblicato dall’imputato, che ha ammesso la paternità del messaggio in sede dibattimentale.
Elementi diffamatori: Il post, pubblicato su una piattaforma pubblica, conteneva espressioni lesive della dignità e della reputazione della persona offesa, qualificabili come attacchi personali diretti a denigrare la figura morale dell’individuo e non giustificati da un interesse pubblico.
Esclusione dell’esimente: Il diritto di critica politica non è stato riconosciuto, poiché il linguaggio utilizzato ha travalicato i limiti della continenza, risultando gratuitamente offensivo e privo di rilevanza per il dibattito pubblico.
Dolo: È stato accertato il dolo generico, consistente nella consapevolezza dell’idoneità offensiva delle espressioni e nella volontà di renderle pubbliche.
Trattamento sanzionatorio:
Alla luce della gravità del fatto, sia per il contenuto del messaggio sia per il ruolo pubblico della persona offesa, il Tribunale ha escluso la tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.
L’imputato è stato condannato a una pena pecuniaria di 600 euro, in ossequio ai principi della Corte Costituzionale e della CEDU che limitano l’applicazione della pena detentiva per reati di diffamazione.
Conclusioni:
La sentenza evidenzia come il diritto alla libera manifestazione del pensiero non giustifichi attacchi personali gratuiti, anche nel contesto di un confronto politico. Le espressioni volgari e denigratorie non sono funzionali all’interesse pubblico e violano i limiti della civile convivenza.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione regolarmente notificato To.Gi. è stato chiamato a giudizio per rispondere del reato in epigrafe indicato all'udienza predibattimentale del 25/1/2024.

Preliminarmente, ai sensi dell'art. 554 bis, Comma 6, c.p.p., il P.M. procedeva ad integrare il capo di imputazione con notifica del verbale all'imputato.

Su istanza della difesa si procedeva nelle forme del rito abbreviato.

Il P.M. e la difesa chiedevano concordemente l'assoluzione dell'imputato.

La difesa depositava, a corredo della discussione, diverse sentenze di assoluzione dell'imputato emesse dal Tribunale di Genova, in relazione ad episodi analoghi.

In fatto

Risulta dalla documentazione acquisita stante la scelta del rito che in data 12/9/2020 una pattuglia notava l'odierno imputato stazionare, unitamente ad altre persone, presso la Piazzetta (…). A carico dell'imputato risultava un divieto di accesso per mesi 12 alle Aree Urbane del Centro Storico, emesso dal Questore di Genova in data 1/7/2020, e notificato il 4/7/2020.

L'imputato veniva formalmente identificato e deferito per la violazione dell'art 10 comma 2 del D.L. 20/2/2017 n.14, convertito con modificazioni nella L. 18/4/2017 n. 48.

In diritto

All'odierno imputato è contestato il reato di cui all'art. 10 D.L. 14/2017 (conv. in l. 48/2018) per avere fatto accesso in alcune zone del centro storico genovese, nonostante il divieto di accesso che gli era stato imposto dal Questore con provvedimento del 1/7/2020, notificato il 4/7/2020.

Dagli atti acquisiti stante la scelta del rito emerge pacificamente - e non è contestato dalla difesa - che l'imputato in data 12/9/2020 l'imputato si trovasse in piazzetta (…), dove venne formalmente identificato e, quindi, la presenza del medesimo nell'area oggetto di divieto.

SÌ tratta di valutare la legittimità del divieto stesso, attraverso il sindacato incidentale che l'ordinamento rimette al giudice ordinario, tutte le volte in cui l'atto amministrativo costituisca elemento presupposto

del reato.

La questione è già stata invero affrontata dal Tribunale di Genova con riferimento proprio al medesimo provvedimento questorile e imputato nelle sentenze prodotte dalla difesa - sentenze Tribunale di Genova nn. 165/2022, 1351/2023 e 2779/22, 4086/23 imputato To., e, ancor prima, sentenza del Tribunale di Genova n. 3441/2021, con riferimento a diverso imputato - con argomentazioni che si ritiene di condividere per le ragioni che seguono.

Va premesso che la legge 132/2018 (di conversione del DL 113/2018) ha modificato l'art. 10, comma 2, del D.L. 20/2/2017 n. 14, ha stabilito che chi contravviene ai divieti previsti dallo stesso art. 10 sia punito con l'arresto da sei mesi ad un anno.

L'art. 10 prevede che "nei casi di reiterazione delle condotte di cui all'art 9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più aree di cui all'art 9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto. Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno". Ne deriva che il Questore non può vietare l'accesso a qualsiasi porzione del territorio, ma solo alle aree di cui all'art. 9 della legge.

L'art. 9 della citata legge stabilisce espressamente e, quindi, tassativamente i luoghi cui il divieto di accesso può riferirsi e li indica, al primo comma, nelle "aree interne delle infrastrutture fisse e mobili, ferroviarie, aereoportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze" e, al terzo comma, nelle "aree urbane - da individuare con regolamento della Polizia locale - su cui insistono presidi sanitari, scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree, parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici, aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico".

Tali previsioni legislative istituiscono un vincolo contenutistico relativamente ai poteri conferiti agli organi degli enti locali, che intendono emanare regolamenti di polizia urbana, al fine di dare attuazione al dispositivo legislativo in esame.

Ne deriva che il Questore può porre divieti di accesso penalmente sanzionati solo con riguardo a tali luoghi e a tali aree, e non con riguardo a qualsivoglia area della città sprovvista delle caratteristiche rilevanti descritte dalla norma e, tantomeno, come è avvenuto nel caso di specie, ad un intero quartiere cittadino.

La legittimità del divieto di accesso è condizionata - oltre che dagli altri requisiti previsti dalla norma - dall'identificazione delle aree di cui all'art. 9 "espressamente specificate nel provvedimento".

Non è sufficiente l'indicazione di un viale, di una via, di una piazza in quanto si esige che tali spazi siano in connessione con una delle strutture o delle attività tassativamente indicate nel comma 3 dell'art. 9. connessione che deve essere evidenziata e motivata.

Nel caso di specie il riferimento all'arca cittadina indicata come "centro storico", sia pure delimitata attraverso l'indicazione di un perimento, dettagliato ma pur sempre vasto, induce a ritenere il provvedimento del Questore viziato per difetto di motivazione in ordine alla scelta dell'intera area indicata, senza specificare la peculiarità delle vie individuate.

D'altra parte, con specifico riguardo al caso di cui si tratta, l'imputato è stato colto nella piazzetta (…) la quale appare sprovvista delle caratteristiche descritte dal comma 1 dell'art. 9 sia di quelle indicate dal comma 3.

Si rende, quindi, necessario ai sensi della legge 2248/1865 all. E, disapplicare il provvedimento inibitorio del Questore, adottato fuori dai limiti prefissati dall'art. 9. commi 1 e 3, DL 14/2017.

Alla disapplicazione del provvedimento consegue l'assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto.

P.Q.M.
Visti gli artt. 438 e ss. 530 comma 2 c.p.p.

ASSOLVE

To.Gi. dal reato a lui ascritto in rubrica perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Genova il 29 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

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