Corte appello Roma sez. IV, 01/07/2024, n.5751
La diffamazione si configura anche attraverso espressioni offensive inserite nella causale di un bonifico, qualora tali frasi siano destinate a essere conosciute da più persone, incluse quelle addette all’elaborazione del pagamento. Il reato richiede la comunicazione a terzi, anche in momenti diversi, purché vi sia una proiezione esterna della comunicazione. Tuttavia, la prescrizione estingue il reato se decorre il termine massimo previsto, restando salve le statuizioni civili se il danno è dimostrato. (Cass. pen. n. 3963/2015; Cass. pen. n. 323/2021; Cass. pen. n. 8890/2020)
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza del 7.1.2020 il Tribunale di Roma dichiarava TA.En. responsabile del reato lei ascritto in cui è persona offesa Va.Ta., nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto esclusa l'aggravante contestata, la condannava alla pena di 800 di multa, oltre il pagamento delle spese processuali. Concedeva all'imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Assolveva TA.En. dal reato lei ascritto in cui è persona offesa Do.Fa. perché il fatto non sussiste.
Condannava la predetta imputata al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Va.Ta., che liquidava equitativamente e definitivamente in Euro 2000, oltre che al pagamento delle spese processuali in favore di quest'ultima.
2. La predetta sentenza di condanna veniva impugnata dalla Ta.Ag. dinanzi alla Corte di Appello di Roma che, con sentenza del 17.1.2023, confermava la sentenza impugnata e condannava l'appellante alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile.
La Corte di merito respingeva il gravame argomentando che:
"1. In motivazione II giudice di prime cure cosi ricostruiva la dinamica dei fatti per i quali era processo: la vicenda nasce da un contenzioso civile, promosso da DO.Fa., con il patrocinio dell'Avv.ssa Va.Ta., nei confronti della Ta. ed avente ad oggetto spettanze retributive non pagate allo stesso Do., contenzioso civile che sì concludeva con una transazione tra le parti.
In detto contesto la Ta., comunicando con la propria Avv.ssa De.Vi., trasmette più email, comunicando di aver effettuato i pagamenti che doveva.
In particolare nelle due ultime email erano anche allegate le due distinte di versamento del 19.05 e del 28.06.2016 che riportavano le seguenti causali: "Transazione Do.Pi., Rata 1, soldi vergognosamente buttati" e nell'altra "Transazione Do.Pl., con l'augurio che diventino medicine in quanto soldi rubati e non meritati".
Da rilevare che, ai fini che ci riguardano, l'attenzione era ed è da riservare all'email del 28.06.2016, che recava il seguente indirizzo: "distinta per Va.Ta., avvocato delle cause dei pezzenti", con allegata una distinta di pagamento che riportava la seguente causale: "transazione Do.Pl. con l'augurio che diventino medicine, in quanto soldi rubati e non meritati". Questo, in sintesi, il fatto.
In diritto il giudice di prime cure riteneva la piena integrazione del reato, in quanto le espressioni adoperate (avvocato delle cause dei pezzenti) erano da ritenere offensive per l'onorabilità della persona interessata, con l'unica precisazione che occorreva verificare se dette email, inviate all'indirizzo di posta elettronica dell'Avv.ssa De.Vi., fossero o meno state lette da altri, in quanto il reato presuppone che la comunicazione sia rivolta a più persone (595 c.p.), certezza che non vi era per le email inviate allo studio legale De.Vi., non sapendo se la stessa si avvalesse o meno di collaboratori, ma che doveva essere ritenuta quantomeno per la distinta del 26.06.2016, in quanto l'ordine di bonifico, ed in partenza ed in arrivo, era comunque destinato ad essere visionato da più soggetti, con l'evidente integrazione del reato contestato (cfr. Cass. 522/2016). Di qui la convinzione che l'espressione adoperata, di per sé oltraggiosa nei confronti della Va., alla quale erano comunque diretti i pagamenti, fosse stata anche letta da terzi.
Quanto alla pena, il giudice la graduava nel concreto, negando le generiche e non spendendo parola sul diniego delle stesse.
2. La sentenza è stata appellata ritualmente e nei termini sulla base di due motivi in fatto ed in diritto: il giudice di prime cure, e siamo al primo motivo di gravame, aveva fatto, in sentenza, mal governo dei principi che regolano il governo della prova, convincendosi, in modo errato, della colpevolezza della prevenuta, attinto solo da un quadro indiziario non grave, non preciso né concordante, il tutto sulla base di un travisamento del fatti in cui era in corso, in quanto la certezza che il bonifico incriminato fosse stato letto anche da terzi non c'era, trattandosi di un bonifico effettuato telematicamente ed il cui contenuto rimaneva riservato tra mittente e destinatario, non essendo necessario che fosse stato lavorato da terzi; in subordine, e siamo al secondo dei motivi di gravame, deve essere rivista la pena, in quanto comminata in modo decisamente eccessiva, rispetto al modesto disvalore sociale del fatto, previa concessione delle generiche, in ordine alle quali li giudice non spende alcuna parola di motivazione.
3. OMISSIS
4. L'appello proposto è infondato prima in fatto e poi in diritto.
4.1. (…);
4.2. Nel merito l'appellante non discute del contenuto offensivo presente nell'email del 28.06.2016, che recava il seguente indirizzo: " distinta per Va.Ta., avvocato delle cause dei pezzenti", dove l'offesa all'onorabilità dell'Avv.ssa Va. è più che evidente, definita "avvocato delle cause dei pezzenti", con l'ulteriore precisazione che i soldi inviati fossero spesi in medicine; discute unicamente della possibilità che Ve., con la causale indicata nel bonifico, non sia stata vista da terzi, trattandosi di bonifico disposto telematicamente e riservato alla sola conoscenza del mittente e del destinatario e non di terzi; così però, non è avvenuto nella realtà, in quanto il bonifico è stato indirizzato al conto corrente che la Va. aveva acceso alle poste Italiane, con la conseguenza che il bonifico, con la relativa distinta, è stato letto, ed in partenza ed in arrivo, da terzi, e cosi da ritenere integrato il reato contestato, e come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure (vedasi al riguardo la denuncia querela sporta In data 12.09.2016).
Disatteso il primo motivo di gravame, stessa cosa deve farsi per il secondo motivo, confermando la pena irrogata".
3. Avverso la pronuncia della Corte di Appello veniva proposto ricorso per Cassazione, deciso con sentenza del 01.12.2023, con la quale veniva annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione di questa Corte di Appello.
La Corte di legittimità perveniva alla decisione rilevando "1. L'unico motivo di ricorso è fondato. Coglie nel segno, il ricorrente, nel lamentare un vizio motivazionale dell'impugnata sentenza, con riferimento alla mancata dimostrazione della sussistenza del requisito della comunicazione con più persone. Sebbene la Corte territoriale abbia correttamente individuato i principi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità da applicare al caso di specie (Sez. 5, n. 522 del 26 maggio 2017, dep. 2017, n.m., dove si è chiarito che la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone deve presumersi qualora l'espressione offensiva sia inserita in un documento per sua natura destinato ad essere normalmente visionato appunto da più persone), essa non ha anche illustrato in che modo il contenuto del documento non sia rimasto confinato tra il mittente ed il destinatario, ma, per necessità operative del servizio postale (registrazione, trasmissione e comunicazione al destinatario), sia entrato a far parte del patrimonio conoscitivo di più persone addette all'ufficio incaricato (Sez. 5, n. 3963 del 06/07/2015). A parere del Collegio, rimane indimostrata la "convinzione", espressa dalla Corte d'Appello, "che l'espressione adoperata, di per sé oltraggiosa nei confronti della Va., fosse stata letta anche da terzi" (p. 3 della motivazione dell'impugnata sentenza, corsivo nostro). Dal mero fatto della collocazione dell'espressione ritenuta diffamatoria nella causale di un bonifico postale (nulla è detto, peraltro, circa le modalità - on line o de visu - con cui esso è stato effettuato), non può desumersi l'intrinseca e necessaria proiezione esterna della comunicazione, come ritenuto, invece, dalla Corte territoriale".
All'udienza del 17.3.2024 fissata per la trattazione del processo in sede di rinvio, all'esito della discussione le parti concludevano come in epigrafe indicato, e il Collegio pronunciava sentenza.
Come evidenziato in premessa, il motivo di annullamento è inerente al difetto di motivazione in ordine al fatto di non aver "illustrato in che modo il contenuto del documento non sia rimasto confinato tra il mittente ed il destinatario, ma, per necessità operative del servizio postale (registrazione, trasmissione e comunicazione al destinatario), sia entrato a far parte del patrimonio conoscitivo di più persone addette all'ufficio incaricato (Sez. 5, n. 3963 del 06/07/2015).
Orbene, incontroversa la natura oltraggiosa delle espressioni utilizzate, la Corte di legittimità ha ritenuto indimostrata la convinzione, espressa dalla Corte d'Appello, "che l'espressione adoperata, di per sé oltraggiosa nei confronti della Va., fosse stata letta anche da terzi" non potendo desumersi dal mero fatto dell'inserimento della frase ritenuta diffamatoria nella causale di un bonifico postale l'intrinseca e necessaria proiezione esterna della comunicazione. Ritiene questa Corte che, diversamente da quanto dedotto in sede di gravame, il fatto che l'espressione offensiva, inserita nella causale del bonifico, fosse stata letta anche da terzi trova adeguato riscontro dibattimentale sia in quanto riferito dalla persona offesa, di cui non è emersa alcuna ragione per revocarne in dubbio l'attendibilità, sia nella documentazione in atti. Invero, la Va., nel corso dell'esame reso in sede dibattimentale, ha riferito che la propria madre era venuta a conoscenza delle espressioni offensive in oggetto da personale dell'ufficio postale interessato. Ora, sebbene la persona offesa non abbia saputo riferire con esattezza il nominativo dei dipendenti che avevano notiziato la madre delle frasi denigratorie a lei rivolte, si osserva che, oltre a non essere emersi elementi per dubitare di quanto riferito in contraddittorio dalla Va., quanto rappresentato dalla stessa trova riscontro nelle comunicazioni versate in atti da cui risulta che Poste Italiane spa - Banco Posta Operazioni, in relazione al Conto Bancoposta della Va., con missiva del 21.5.2016 inviata a quest'ultima, comunicava l'avvenuto accredito del bonifico dell'importo di Euro 293,92 con causale "Transazione Do.-Pl. Rata I soldi vergognosamente buttati", e con altra missiva del 30/6/2016, sempre inviata alla Va., comunicava l'avvenuto accredito di Euro 293,92 con causale "Saldo Transazione Do.-Pl. - con l'augurio che diventino medicine IN QUANTO SOLDI RUBATI E N". Pare dunque potersi affermare che il valore offensivo delle frasi espresse nella causale dei bonifici siano state senz'altro poste a conoscenza sia del difensore dell'imputata, che ha ricevuto l'e-mail con allegato il bonifico contenente la causale offensiva, sia del dipendente e/o dei dipendenti che hanno evaso la pratica e/o redatto le predette missive inerenti le operazioni di accredito sul conto di interesse con le causali indicate, sia della madre della persona offesa notiziata del fatto da personale del medesimo ufficio postale su cui la Va. intratteneva il proprio Conto Bancoposta, rilevandosi in merito che 'Ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione non occorre che la propalazione delle frasi offensive avvenga simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, purché comunque rivolta a più soggetti" (Sez. 5- Sentenza n. 323 del 14/10/2021) come è avvenuto nel caso in esame, e che "il tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando uno dei due destinatari sia tenuto al segreto professionale…. (Fattispecie relativa alla manifestazione di espressioni offensive della reputazione di una collega di lavoro nel corso di un incontro di mediazione con il dirigente aziendale, tenuto in forma riservata con l'assistenza di uno psicologo -Sez. 5 - Sentenza n. 8890 del 30/11/2020).
Il reato di diffamazione per cui è intervenuta condanna va tuttavia dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, essendo ormai decorso il termine massimo di prescrizione di anni sette e mesi sei decorrente dalla data di commissione del fatto, nel caso in esame contestato come al più tardi avvenuto in relazione alla causale del bonifico postale del 28.6.2016, dal contenuto offensivo; né ricorrono cause di sospensione del termine di prescrizione. Riguardo alle statuizioni civili, quanto evidenziato circa l'avvenuta proiezione esterna delle espressioni dispregiative contenute nei bonifici induce a confermare le statuizioni civili disposte con la sentenza gravata, essendo certamente derivato un danno alla Va. dalla diffusione delle frasi offensive rivolte alla sua persona e alla sua professionalità.
La sentenza impugnata va dunque riformata nei sensi indicati, con conseguente condanna dell'appellante alla rifusione delle spese di lite in favore della parte civile, liquidate come in dispositivo.
In ragione del carico di lavoro, e delle questioni di fatto e di diritto trattate fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 627 e 545 bis c.p.p.
Decidendo sul rinvio della Corte di Cassazione che con sentenza n. 4589 del 1.12.2023 ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Roma in data 17.1.2023, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 7 gennaio 2020 appellata da TA.En., non doversi procedere nei confronti della predetta per il reato a lei ascritto perché estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili e condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado in favore della costituita parte civile che liquida in Euro 1.500,00 oltre oneri accessori come per legge.
Indica giorni 90 per il deposito della motivazione.
Così deciso in Roma il 17 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2024.