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Diffamazione aggravata tramite diffusione di immagini private: condanna per divulgazione illecita e risarcimento dei danni

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Tribunale Ferrara, 24/05/2024, n.432

La diffusione non consensuale di un'immagine privata, che consenta l’identificazione della persona offesa tramite dettagli fisici distintivi, configura il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, co. 3 c.p., quando tale condotta risulti idonea a ledere la reputazione dell’interessato in un contesto pubblico o condiviso da un numero indeterminato di persone. La responsabilità penale si fonda sulla consapevolezza dell’idoneità offensiva del comportamento, mentre il risarcimento dei danni materiali e morali è disposto anche in sede penale con una provvisionale immediatamente esecutiva, lasciando la liquidazione definitiva alla sede civile. (Cass., Sez. V, n. 8007/2021)

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione diretta emesso dal pubblico ministero in sede in data 20/7/2022, CA.Fa. ed altri (…) sono stati tratti a giudizio per rispondere del concorso nel delitto di diffamazione aggravata di cui agli artt. 110 e 595, co. 3 c.p. per avere offeso la reputazione di GU.Vi., diffondendo mediante l'applicativo Whatsapp, senza il suo consenso, un'immagine che la ritraeva nuda e che, pur, non riprendendo il suo volto, le era inequivocabilmente riconducibile per i particolari tatuaggi presenti sul suo corpo. Il fatto è stato commesso a Ferrara in data antecedente e prossima al 16/3/2019. All'udienza del 7/2/2023, la querelante GU.Vi. si è costituita parte civile. Il processo è stato istruito con l'esame della parte civile e dei testimoni SA.Ma. ed altri (…), della testimone di polizia giudiziaria BI.Ma., nonché con l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti (in particolare e fra l'altro: e contenente gli allegati alla querela, accertamenti di polizia giudiziaria sugli account utilizzati). Con il consenso delle parti sono inoltre state acquisite le dichiarazioni rese in fase di indagini da MA.St.

All'udienza del 26/3/2024, sulle conclusioni rassegnate dalle parti è stata adottata la presente decisione.

Il presente procedimento trae origine dalla querela sporta in data 28/3/2019 da GU.Vi., la quale, sentita come testimone all'udienza del 27/6/2023, ha riferito che, una sera del mese di marzo del 2019, durante una festa di laurea di un'amica, era stata avvicinata dall'amico SA.Ma., il quale le aveva mostrato la fotografia di una ragazza nuda che aveva ricevuto via Whatsapp quale partecipante alla chat del gruppo denominato (…), composto da circa 20/30 membri appartenenti ad una squadra amatoriale locale, fotografia nella quale SA. aveva riconosciuto la GU.

Visionata la fotografia - nonostante essa rappresentasse una donna la cui testa era stata tagliata, GU. si era effettivamente resa conto che l'immagine la rappresentava, pur non ricordando in un primo momento di averla mai realizzata, tanto che non era riuscita a reperirla nel c.d. rullino fotografico del proprio telefono cellulare.

Ha dichiarato in dibattimento la parte civile che l'episodio l'aveva notevolmente turbata: il pensiero che la sua fotografia fosse stata diffusa in tale chat l'aveva gettata nel panico e, nei giorni successivi, per la vergogna, si era assentata dal lavoro. Nel frattempo, aveva cercato di indagare sull'accaduto, tentando di contattare quante più persone possibili tra quelle che avevano ricevuto l'immagine, al fine di risalire al responsabile dell'invio e di conseguenza per capire chi avesse a disposizione la sua fotografia intima.

GU. aveva dunque scritto, sempre tramite Whatsapp, a TO.An., ovvero al soggetto che aveva inviato l'immagine nel gruppo (…), sul quale l'aveva ricevuta SA., ed era quindi risalita a ritroso: TO. le aveva confermato di averla inviata nella chat e le aveva riferito di averla ricevuta a sua volta da MA.St.; quest'ultimo, a sua volta, l'aveva presa da un gruppo Whatsapp formato in occasione di un matrimonio di amici di tale PE.Da., ove lo stesso PE. l'aveva inviata. Contattato PE. egli le aveva spiegato di averla vista in un altro gruppo Whatsapp, dove era stata inviata da VA.Di.

Questi le aveva scritto di avere effettivamente girato la foto, ma adducendo di non sapere chi fosse la ragazza ritratta, perché non si vede la faccia e tutti i giorni arrivano nei gruppi delle foto simili, (cfr. stampate delle chat prodotte all'udienza del 27/6/2023). VA. asseriva di averla ricevuta da CA.Ga., il quale, contattato dalla GU., le aveva detto di averla ricevuta da CH.St.

Inoltre, GU. aveva avuto contatti con Ca.Ni. - poiché era stato infine indicato da GI.Mi. come la persona che gli aveva inviato l'immagine. Ca.Ni. le aveva riferito di averla ricevuta da MA.MA., circostanza che aveva creato ulteriore imbarazzo e disagio alla parte civile, la quale nel periodo in questione aveva una collaborazione lavorativa in corso proprio con MA.

In sostanza, nel suo percorso a ritroso GU.Vi. aveva appurato che diversi ragazzi avevano inoltrato la fotografia incriminata in più gruppi, e quindi innumerevoli persone avevano potuto vederla. Quando era risalita a CA. - un amico di BO.Ma., suo fidanzato dell'epoca - questi le aveva riferito di non ricordarsi esattamente da chi aveva ricevuto la fotografia ma di averla probabilmente reperita all'interno di un gruppo Whatsapp denominato (…), i cui partecipanti sono soliti inviarsi immagini che ritraggono giovani ragazze di Ferrara e dintorni.

Riflettendo insieme al fidanzato per trovare una spiegazione alla possibile fuga e diffusione dell'immagine in questione, evidentemente scattata in un momento di intimità della coppia, la querelante si era poi ricordata di avere consegnato, molti tempo prima, per una riparazione, il suo telefono, proprio a CA.Fa., il quale lo aveva trattenuto per circa un mese. GU. con l'aiuto di BO. era riuscita dunque a ricostruire la vicenda relativa alla diffusione della sua immagine, rammentando che essa era stata realizzata con il suo telefono da BO., nell'anno 2016, durante un momento di intimità. Tale ricostruzione chiariva anche il motivo per il quale essa non compariva nell'archivio (rullino) delle fotografie all'interno del telefono di GU.BO., infatti dopo averla scattata, la aveva inviata solamente alla stessa GU., che l'aveva dunque conservata solò all'interno della chat di conversazione della coppia. Avendo, all'epoca della diffusione, già provveduto a cancellare tale chat, non aveva più trovato traccia dell'immagine in questione all'interno del suo telefono.

Dal momento che né lei né BO. avevano messo in circolazione la fotografia, GU. aveva maturato la certezza che CA.Fa. aveva dunque estrapolato l'immagine dal suo telefono, nel periodo in cui aveva lo aveva detenuto per la riparazione, circostanza di cui però non aveva parlato con lo stesso CA.

A riprova della fondatezza dei suoi sospetti, GU. aveva poi scoperto che CA.Fa. aveva anche prelevato, dai canali social a lei riconducibili, alcune sue fotografie nelle quali era ritratta in costume da bagno, e le aveva caricate su dei siti pornografici, ed in particolare sul forum denominato Phica.net, all'interno del quale aveva creato un profilo a suo nome, per attirare i visitatori della rete.

Uno di questi utenti, SA.Mi., da GU. contattato tramite Whatsapp, le aveva in effetti inviato lo screenshot della conversazione che lui stesso aveva avuto con CA.Fa. sull'applicativo Telegram, e le aveva spiegato che, tramite il forum (…) anzidetto, aveva chiesto se era possibile ricevere foto più spinte della ragazza in questione. Era stato dunque invitato a contattarlo su quel social network, dove in effetti, nel mese di agosto dell'agosto 2018 aveva ricevuto l'immagine del nudo.

Sulla base delle informazioni raccolte da SA., GU. aveva poi appreso che V account dal quale erano state caricate le sue fotografie sul forum era denominato (…), circostanza che suffragava ulteriormente l'ipotesi del diretto coinvolgimento dell'odierno imputato CA.Fa., il cui era proprio Bi.

Dopo aver ricostruito la vicenda ed essersi ritirata dalla vita sociale, rimanendo chiusa a casa per una decina di giorni, GU. aveva poi deciso di sporgere denuncia querela. GU.Vi. ha dichiarato che quando era tornata a lavorare - all'epoca era dipendente in un bar del centro di Ferrara - aveva avuto grosse difficoltà, perché il locale era molto frequentato e la sua fotografia intima era ormai circolata ovunque. Ha spiegato GU. di essere convinta poi che chiunque avesse avuto modo di vedere l'immagine che la ritraeva nuda, benché senza testa, aveva potuto riconoscerla immediatamente per i caratteristici tatuaggi (in particolare uno a forma di libellula sul petto) che la contraddistinguono, tatuaggi che, pur realizzati in punti nascosti come il seno e le cosce, sono in realtà ben visibili nelle altre sue fotografie in costume, presenti sui suoi profili social, ed accessibili a chiunque. Per questo, oltre al senso di enorme vergogna e di ribrezzo che provava per l'accaduto, percepito come una grave lesione della sua dignità personale e una violazione del suo senso del pudore, aveva avuto la sensazione che tutte le persone che incontrava per la strada, anche quando era vestita, la vedessero nuda. A tali sentimenti si accompagnava il timore che episodi del genere si ripetessero e che quanto successo compromettesse, oltre inevitabilmente, la sua vita personale - avendo ciò influito sul rapporto con i suoi genitori e con il suo fidanzato dell'epoca - anche la sua attività lavorativa, dal momento che, nel frattempo, aveva creato li suo brand di gioielli, pubblicizzato sui social networks per l'appunto con fotografie in costume. Aveva confidato tali timori anche all'amica PO.Va., che in effetti ha confermato la circostanza in dibattimento.

La ricostruzione dei fatti effettuata dalla persona offesa ha trovato sostanziale conferma nelle testimonianze raccolte nel corso del dibattimento.

Segnatamente, il teste BO.Ma., all'epoca fidanzato di GU., ha riferito che nel corso del 2019, mentre si trovava a Milano per lavoro, aveva ricevuto una telefonata da Vi. che gli aveva raccontato del fatto che la sua fotografia senza indumenti, stava circolando su vari gruppi Whatsapp.

Appena appresa la notizia BO. si era molto agitato, non solo perché percepiva la preoccupazione della ragazza e si stava recano in Olanda per lavoro, ma anche perché, almeno inizialmente, non ricordando di essere l'autore dell'immagine, aveva sospettato e temuto che gliel'avesse scattata qualcun altro, in una situazione intima. In seguito, si era però ricordato di aver realizzato la fotografia, circa due anni prima, e di averla inviata a Vi.

L'immagine era rimasta archiviata dentro la chat e dunque non l'aveva più vista. A quel punto, con Vi. avevano cercato di risalire alla fonte della sua illecita diffusione: lo stesso BO. aveva chiamato diverse persone e inviato diversi messaggi, per acquisire quante più informazioni possibili. Infine, avevano scoperto che essa non poteva che essere stata prelevata dal telefono della GU. da CA.Fa., al quale la ragazza lo aveva consegnato per una riparazione.

BO. ha poi spiegato che questa situazione aveva comportato un periodo di difficoltà nella loro relazione. Il testimone SA.Ma. ha riferito di aver ricevuto la fotografia incriminata in due diversi gruppi Whatsapp di cui faceva parte (il gruppo del calcio e un altro gruppo non meglio precisato). Durante una festa a cui partecipava anche GU.Vi., gliel'aveva mostrata perché, nonostante la testa della ragazza fosse stata tagliata, l'aveva subito ricondotta all'amica, per i particolari tatuaggi presenti sul suo corpo. La stessa Vi., infatti, si era immediatamente riconosciuta: in quel momento, oltre che giustamente arrabbiata, si era molto avvilita. Per farle vedere i nominativi di chi gli aveva inoltrato la fotografia - che, comunque, da quella volta non aveva mai più visto circolare - SA. le aveva prestato il proprio telefono. Circa l'autore dell'invio, chiariva comunque SA. che né VA.Di. nè PE.Da. erano nel gruppo del calcio e sicuramente non l'avevano inviata loro in quel gruppo, immagini, convergono in tal senso le dichiarazioni rese da SA.Mi., come suffragate dagli accertamenti di polizia giudiziaria che, hanno confermato, senza lasciare spazio a dubbi, la riconducibilità del primo invio tramite Telegram e in sostanza della sua diffusione ad un numero indeterminato di persone, a CA. stesso, titolare dell'indirizzo mail utilizzato per registrarsi al Forum dall'inequivoca denominazione e sul quale erano state pubblicate altre fotografie - in costume - della GU.

Si deve poi osservare che CA.Fa., rimasto assente per tutto il procedimento, non ha inteso nemmeno fornire una versione alternativa dei fatti.

Corretta è la qualificazione della condotta nella fattispecie di cui all'art.595 c.p., norma che è volta a tutelare la reputazione in termini di dignità personale nell'opinione altrui e di stima diffusa nell'ambiente sociale: il bene giuridico protetto dalla fattispecie è dunque l'onore in termini di valutazione sociale di ciascun cittadino, ove l'evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente idoneo ad incidere sulla sua reputazione. Per quanto la norma non richieda l'indicazione nominativa dell'offeso (circostanza che peraltro, secondo le dichiarazioni di SA., si sono avverata poiché l'invio è a lui stato fatto con indicazione del nominativo della parte civile), ai fini della integrazione della fattispecie è necessario che la persona destinataria dell'offesa - fisica o giuridica - sia determinata o quantomeno individuabile attraverso una valutazione complessiva degli elementi del fatto concreto e dei riferimenti personali e temporali.

Ciò chiarito, si osserva che, alla luce del compendio probatorio complessivamente raccolto, risulta indubbiamente provata la lesione cagionata alla reputazione di Vi.GU., la quale, nonostante la fotografia, non riportasse il suo volto, era facilmente riconoscibile in considerazione dei particolari tatuaggi presenti sul suo corpo, dalla stessa definiti come il proprio marchio di fabbrica, nella specie realizzata tramite l'invio della stessa in plurime chat di gruppo tramite applicativo Whatsapp, così da raggiungere innumerevoli persone. Non può essere infatti esclusa la portata offensiva della condotta per il solo fatto che il volto era stato tagliato, proprio in considerazione dei particolari segni distintivi impressi sul corpo della persona offesa, stante la sua notorietà quale modella nella comunità locale.

Peraltro, il requisito della comunicazione con almeno due consociati assurge in realtà a circostanza rivelata dalla stessa condivisione della foto su diversi gruppi, costituiti da più membri, così da aver raggiunto, contemporaneamente, un numero indeterminato di soggetti, circostanza che, per la sua elevata capacità e potenzialità offensiva, giustifica la applicazione della fattispecie nella forma aggravata ai sensi del terzo comma.

Il testimone TO.An. ha dichiarato di aver ricevuto la fotografia della GU. nel 2019, in qualche gruppo Whatsapp, in effetti dichiarando che, all'epoca, giocava a calcio nella squadra di (…).

TO. era stato contattato dalla ragazza raffigurata - la cui identità prima di quel momento non conosceva- che gli aveva chiesto chi gliela avesse inviata e, per chiudere in fretta la conversazione, che gli stava creando non poco disagio, le aveva fatto il nome di MA.St. circostanza che tuttavia non era in grado di confermare.

Di fondamentale apporto al fine di ricondurre le condotte incriminate a CA.Fa. sono state le dichiarazioni rese dal teste SA., il quale - premesso di aver partecipato ad una discussione sul forum (…) ove erano pubblicate fotografie erotiche amatoriali ritraenti alcune ragazze di Ferrara - ha spiegato che per riceverle aveva contattato uno degli utenti (tale Bi.) che poi nel mese di agosto 2018, gli aveva inviato gratuitamente tramite Telegram (sempre a nome Bi.) la fotografia di una ragazza nuda, indicata come Vi.GU.

Più avanti, era stato contattato dalla GU. in persona, tramite Whatsapp, la quale aveva voluto sapere come avesse trovato la sua foto. SA. ha chiarito che la fotografia era rimasta sul suo telefono per mesi. Tempo dopo, mentre era in ufficio, quando il collega PO.Ed. aveva nominato GU.Vi., gli era tornata in mente l'immagine ed aveva provveduto ad inoltrarla in una chat privata.

Sulla scorta delle informazioni acquisite dalla querelante, venivano avviate le indagini dai Carabinieri di Ferrara, in merito alle quali ha riferito la testimone di polizia giudiziaria BI.

In particolare, BI. aveva contattato l'amministratore del sito (…) per acquisire i dati relativi all'account, (…), che risultava aver pubblicato le fotografie della querelante. Ottenuti tali dati, era riuscita a risalire all'imputato CA.Fa.

Ha infatti riferito il carabiniere BI. che la data di nascita indicata - 10/08/85 - corrispondeva a quella di CA.Fa. e che l'indirizzo mail utilizzato (…), oltre a contenere il soprannome di CA., (come detto, per l'appunto Bi.) - coincideva con quello che lo stesso aveva fornito agli investigatori in altri atti di polizia giudiziaria.

Ebbene, all'esito dell'istruttoria svolta, si ritiene emersa, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di CA.Fa. per aver diffuso, senza il consenso della persona offesa, l'immagine che ritraeva la GU. priva di indumenti di cui si è più volte detto. Oltre alle dichiarazioni della persona offesa e di BO.Ma. circa la disponibilità in capo allo stesso del telefono della parte civile e della sua capacità, quale riparatore, di estrapolarne le MA., escusso a SIT in data 30/4/2020 (aff. 21) ha riferito di essere stato contattato da GU.Vi. - che non conosceva - la quale lo aveva "riempito di insolenze", accusando di aver divulgato una sua foto in cui veniva ritratta nuda, foto che in effetti aveva ricevuto ma che non ricordava di aver a sua volta inoltrato.

Il reato di diffamazione contestato a CA.Fa. si ritiene integrato anche sotto il profilo soggettivo, per la cui configurazione non è necessaria l'intenzione di offendere la persona nel sentimento del suo onore o della sua reputazione, essendo sufficiente la volontà cosciente, insita nella consapevolezza dell'attitudine offensiva della condotta, che nel caso di specie risulta evidente per la consistenza diffamatoria intrinseca del comportamento tenuto dall'imputato, il quale, dopo aver ottenuto l'immagine intima in virtù del legame di amicizia che aveva con la persona offesa, ha diffuso in un forum denominato (…) l'immagine nuda della ragazza.

Acclarata, quindi, la penale responsabilità dell'odierno imputato per il fatto di reato ascrittogli, per quel che attiene alla dosimetria della pena, individuata in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., esclusa la concedibilità delle attenuanti generiche, in considerazione della particolare insidiosità della condotta e in assenza di alcuna resipiscenza o tentativo di riparazione, si ritiene proporzionata all'entità del fatto la pena di Euro 4.000 di multa.

L'imputato va anche condannato al pagamento delle spese processuali.

Inoltre, stante la costituzione di GU.Vi. a parte civile, l'imputato deve essere condannato, in forza degli articoli 538 e ss. c.p.p., a risarcire i danni materiali e morali alla stessa cagionati, da liquidarsi in separato giudizio civile, e sin d'ora al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 3.000,00, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa in giudizio di quest'ultima, come liquidate in parte dispositiva.

Quanto agli imputati Ca.Ni., PE.Da. e VA. Diego, non si ritiene viceversa raggiunta la prova della loro penale responsabilità, per insussistenza dell'elemento soggettivo, anche sub specie di dolo eventuale.

Ed infatti, anche a voler ammettere che essi conoscessero, quantomeno di vista, GU.Vi. (così come riferito da PO.Va., ed essendo comunque tutti della stessa zona), all'esito dell'istruttoria svolta non è emersa la prova certa dell'effettiva consapevolezza da parte loro, di aver inoltrato la fotografia di GU.Vi. per offenderne la reputazione, e pertanto, come richiesto dal pubblico ministero, Ca.Ni., PE.Da. e VA.Di. devono essere assolti dal reato a loro in concorso ascritto perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
Visto Part.530 c.p.p.

Assolve Ca.Ni., PE.Da. e VA.Di. dal reato a loro in concorso ascritto perché il fatto non costituisce reato.

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p.,

dichiara CA.Fa. colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di euro quattromila, 00 (4.000,00) di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p.,

condanna CA.Fa. al risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile GU.Vi., da liquidarsi in separato giudizio condanna CA.Fa. al pagamento di provvisionale immediatamente esecutiva di euro tremila, 00 (3.000,00);

condanna CA.Fa. alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre spese generali al 15 per cento, IVA e CPA. sè e nella misura dovuta.

Motivazione riservata in 60 giorni.

Così deciso in Ferrara il 26 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2024.

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