Corte appello Benevento sez. I, 04/03/2024, n.460
Principio di diritto
In tema di diffamazione, l’individuabilità del soggetto passivo non richiede necessariamente la menzione esplicita del nome, purché vi siano elementi oggettivi e circostanze tali da rendere possibile il riconoscimento con ragionevole certezza. Tuttavia, la risarcibilità del danno non patrimoniale esige una dimostrazione concreta di lesione all’onore e alla reputazione, nonché il superamento della soglia di gravità, evitando risarcimenti per lesioni minime o meri disagi.
Sintesi della decisione
Il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento avanzata dal ricorrente, ritenendo che, pur essendo individuabile il soggetto diffamato, non vi fosse prova concreta di un danno alla reputazione né una lesione grave e diffusa.
Individuabilità del soggetto: Pur senza nominare esplicitamente il ricorrente, le dichiarazioni rese dal convenuto (un pubblico amministratore) in conferenza stampa, unite alla copertura mediatica locale, consentivano l’identificazione del ricorrente come destinatario delle critiche.
Contestualizzazione delle dichiarazioni: Le affermazioni del convenuto, rese nel contesto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, sono state interpretate come critiche generali a comportamenti irresponsabili, senza trascendere in ingiurie o attacchi personali diretti.
Insufficienza delle prove del danno: Nonostante le accuse mediatiche, l’istruttoria non ha dimostrato una diminuzione concreta e rilevante della considerazione sociale del ricorrente. Inoltre, i testimoni non hanno fornito elementi certi o attendibili in merito ad insulti o conseguenze negative per la sua reputazione.
Funzione risarcitoria: Non essendo emersa una lesione effettiva e grave dell’onore o della reputazione, non vi era motivo di accogliere la richiesta risarcitoria, in linea con il principio di tolleranza della lesione minima sancito dalla giurisprudenza.
Compensazione delle spese di lite: Considerate le peculiarità della vicenda, il Tribunale ha disposto la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato Mi.An. conveniva in giudizio De.Vi., deducendo: che, ad inizio 2020, era dipendente e gestore unico del bar "Tico", sito in Ariano Irpino (Av) alla via (…); che verso la fine di febbraio 2020 contraeva l'infezione da Covid 19 e veniva ricoverato presso l'ospedale Mo. di Avellino, ove vi restava dal 6.3.2020 al 14.4.2020, data in cui veniva dimesso con diagnosi di "polmonite interstiziale ed etiologica da Sars-Cov-2; che, in data 22.5.2020, il Presidente della Giunta regionale, De.Vi., in una conferenza stampa tenutasi per aggiornare sulla situazione epidemiologica della Campania, affermava che ad Ariano Irpino, prima zona rossa d'Italia dal 15 marzo al 22 aprile 2020, la situazione era stata determinata dai comportamenti di "una decina di irresponsabili", i quali avevano causato "un danno immenso ad Ariano e a tutta la provincia di Avellino"; che, in particolare, il De. faceva riferimento, tra l'altro, anche al comportamento di un barista che era tornato da Milano e aveva continuato a lavorare, contagiando gli avventori del bar; che, nonostante non fosse stato fatto il nome del Mi., chiaro e agevole era il riferimento a questi, essendo nota la sua vicenda nella comunità di Ariano Irpino per avere gli organi di stampa locale diffuso, dapprima, la notizia del suo ricovero e, poi, quella del miglioramento delle sue condizioni; che, in conseguenza di ciò, molti cittadini arianesi iniziavano a muovere accuse all'istante; che, in particolare, il sig. Nicola Se., fratello di Fiore Se., abituale frequentatore del bar, deceduto il 23.3.2020 per coronavirus, indirizzava al Mi. una missiva, ritenendolo responsabile della morte del germano e preannunciando azioni legali; che, pertanto, a causa delle dichiarazioni del De., il Mi. si vedeva additato di responsabilità che non aveva, dal momento che non aveva effettuato alcun viaggio a Milano e ai primi sintomi della malattia aveva chiuso il bar; che, inoltre, il Mi. non aveva violato alcuna norma di legge o regolamentare, essendo egli stato ricoverato il 28.2.2020 allorquando non erano state varate norme per il contenimento dell'emergenza epidemiologica; che, in seguito al discredito ricevuto, il bar si vedeva costretto a chiudere l'attività e il Mi. veniva licenziato in data 25.5.2020; che, quindi, la condotta del De. era diffamatoria, avendo causato, oltre al danno economico, la lesione dell'onore e della reputazione dell'istante; che il procedimento di mediazione aveva avuto esito negativo per la mancata partecipazione del De..
Chiedeva, pertanto, l'accertamento della condotta diffamatoria del convenuto e la condanna di questi al risarcimento del danno pari a Euro 100.000,00 o alla diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione; oltre la pubblicazione della emananda sentenza sui principali quotidiani.
Si costituiva il De., il quale eccepiva: il difetto di legittimazione passiva, per essere stato evocato in persona e non nella qualità di Presidente della Giunta regionale; che la mediazione non era stata instaurata correttamente, non essendo pervenuta alcuna notifica dell'attivazione del procedimento; che gli addebiti mossi erano infondati; che dalle deduzioni attoree non poteva dirsi che il soggetto passivo della diffamazione andava identificato nel Mi.; che la situazione venutasi a creare ad Ariano Irpino era stata eccezionale (211 casi contro i 33 di Avellino; 26 volte in più il numero di decessi); che l'avere stigmatizzato comportamenti, per come comunicati dalla locale Asl, contrari a regole poste a tutela della salute pubblica rientrava nella strategia di contrasto all'emergenza epidemiologica; che, peraltro, l'attendibilità della fonte (Asl di Avellino) rendeva immune da censure la dichiarazioni del resistente; che, ad ogni modo, indimostrato era il danno patito e abnorme era la somma richiesta.
Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda.
Assegnato con ordinanza del 21.10.2021 termine per introdurre la mediazione, all'udienza cartolare del 25.3.2022 venivano concessi i termini istruttori ex art. 183, co. 6, c.p.c. e con ordinanza del 15.9.2022 venivano ammesse le prove orali, poi espletate nelle udienze del 3.11.2022, 3.2023 e 13.4.2023. Sennonché, ritenuta matura per la decisione, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni al 30.11.2023, allorquando veniva assegnata a sentenza con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Il Tribunale osserva.
Preliminarmente, va rigetta l'eccezione di difetto di legittimazione passiva avanzata dal resistente, per essere stato citato in persona e non nella qualità di Presidente della Giunta regionale per la Campania, essendo al riguardo sufficiente osservare che il giudizio è stato intrapreso sulla base di una ritenuta responsabilità penale, come tale personale, per il reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p., aggravato dall'attribuzione di un fatto determinato (co. 2) e a mezzo di pubblicità (co. 3).
Sempre in via prioritaria, va disattesa l'eccezione secondo cui le dichiarazioni del De. non sarebbero riferibili al Mi. perché mai nominato.
A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. nn. 17207/2015, 25420/2017, 8476/2020), anche a Sezioni Unite (sent. nn. 6965/2017, 15897/2019), è consolidata nell'affermare che, in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, purché la sua individuazione avvenga, in assenza di una esplicita indicazione nominativa, attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceità si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita.
In egual senso milita anche la giurisprudenza penale della S.C. (Cass. nn. 10307/1993, 23579/2014, 51096/2014, 24065/2016, 3809/2018, 2598/2021, 10762/2022).
Nel caso che occupa è agevole ricondurre le dichiarazioni del De. ("Ho ringraziato i cittadini di Ariano. Ovviamente siccome credo che dobbiamo parlare chiaro non ringrazio quella decina di irresponsabili che ad Ariano ha determinato questo problema grave, gravissimo… poi il gestore di un bar, uno dei primi quattro casi positivi, che è andato a Milano a trovare un familiare, poi è tornato, ha continuato a lavorare nel suo bar, contagiando clienti e vi dicendo e i tanti frequentatori abituali del bar") al Mi., se sol si considera, data anche la dimensione ristretta della comunità arianese, la risonanza che i giornali locali, versati in atti dall'attore, avevano dato al ricovero del Mi., identificandolo come il "barista di Ariano Irpino".
Invero, dall'estratto del quotidiano "Ir." del 8.3.2020, è dato leggere, dopo il titolo "Coronavirus, adesso sono 4 gli irpini contagiati, uno è in rianimazione", che "altre due persone sono risultate positive al coronavirus… dopo il barista di 61 anni (trasferito in Rianimazione al Mo. di Avellino)"; ancora, l'estratto del quotidiano "Ar." del 29.3.2020 recita, dopo il titolo "Ariano, primo paziente estubato" che "c'è il primo paziente affetto da Covid-19 estubato dal reparto di terapia intensiva guidato dal primario An.St.. Si tratta del barista sessantunenne di Ariano Irpino che è stato tra i primi ricoverati della città del Tricolle finiti intubati a causa dell'infezione da COVID - 19. Si tratta del primo paziente affetto da COVID-19 ed è stato estubato nell'unità operativa di anestesia e rianimazione dell'azienda ospedaliera San Giuseppe Mo. di Avellino"; infine, il medesimo giornale, il 30.3.2020 titola "Il barista di Ariano Irpino migliora sempre di più: An. esce dal reparto di Rianimazione" e prosegue, affermando che "migliora ora dopo ora il 61enne di Ariano Irpino estubato due giorni fa. An., il barista molto noto nella città del Tricolle, non è più ricoverato in rianimazione. La sua progressiva ripresa fisica ha indotto i medici del reparto dell'ospedale Mo. di Avellino, guidato da An.St., a trasferirlo in un altro reparto della struttura di contrada (…). Il 61enne, dunque, migliora e, pian piano, sta vincendo la sua lotta contro il COVID-19. An., sposato e padre di un figlio, è il paziente 1 del Coronavirus che è interessato Ariano Irpino". Orbene, se si confrontano i dati emersi dalla stampa locale con quelli a disposizione del giudizio (nome, sesso, età, residenza e famiglia dell'attore; cartella clinica dell'ospedale), si deduce agevolmente che il soggetto a cui ebbe a rifarsi il De. è il Mi.. Ciò posto ed entrando nel merito, va rammentato come, in tema di diritti della personalità umana, esista un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alla reputazione personale, anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento normativo (Corte Cost. nn. 184/1986, 479/1987), in particolare nell'art. 2 (oltre che nell'art. 3, che fa riferimento alla dignità sociale), il quale, nell'affermare la rilevanza costituzionale della persona umana in tutti i suoi aspetti, comporta che l'interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della persona, sia legittimato a costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell'ordinamento positivo, ad ogni proiezione della persona nella realtà sociale, entro i limiti in cui si ponga come conseguenza della tutela dei diritti inviolabili dell' uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità. L'espresso riferimento alla persona come singolo rappresenta, quindi, valido fondamento normativo per dare consistenza di diritto alla reputazione del soggetto, in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela "del pieno sviluppo della persona umana", di cui al successivo art. 3 cpv. Cost. (implicitamente su questo punto Corte Cost. 3 febbraio 1994, n. 13). Difatti, nell'ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento costituzionale, il diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione, trattandosi, pertanto, di diritti omogenei poiché unico è il bene protetto (Cass. n. 6507/2001).
Con particolare riguardo, poi, al risarcimento del danno da diffamazione, è stato chiarito che esso va inquadrato nella forma della sofferenza soggettiva causata dall'ingiusta lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità, all'immagine, all'onore e alla reputazione della persona ex artt. 2 e 3 Cost. (S.U. n. 26972/2008), ma che tale danno, di cui si invoca il risarcimento, non è "in re ipsa", ma costituisce un danno conseguenza, che si identifica non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di accertamento sulla base non di valutazioni astratte bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale (Cass. nn. 13153/2017, 25420/2017, 30956/2017, 7594/2018, 31537/2018, 4005/2020, 8861/2021).
Applicando i superiori princìpi al caso di specie, la domanda va respinta.
La principale, sebbene non esclusiva, funzione del risarcimento del danno è quella compensativo - riparatoria (S.U. n. 16601/2017), tale per cui il soggetto danneggiato deve essere messo nella stessa "curva di indifferenza" in cui si trovava prima dell'illecito. In altri termini, il risarcimento ha il compito di allocare i danni, di modo che tra la situazione anteriore al fatto dannoso e quella successiva al ristoro (in formo specifica o per equivalente) non vi sia differenza.
Tali coordinate ermeneutiche, applicate alla responsabilità per diffamazione, implicano che il soggetto danneggiato, a seguito della condotta diffamatoria, debba trovarsi in una situazione in cui la considerazione che di questi hanno le persone con cui interagisce sia diminuita, al punto da potersi dire lesi la sua reputazione e il suo onore (Cass. n. 8397/2016): quest'ultimi da valutare "in abstracto", cioè per come formatisi nella comune coscienza sociale di un determinato momento, e non "quam suis", cioè in base alla considerazione che ciascuno ha del danneggiato (cfr., all'uopo, Cass. 10 maggio 2001, n. 6507).
Nel caso che occupa non è revocabile in dubbio che le informazioni date nella conferenza stampa tenuta dal De. non fossero attendibili. Invero, il testimone del convenuto, Ga.Mo., direttore del Servizio di epidemiologia dell'Asl di Avellino, ha riferito che all'Azienda sanitaria locale non risultava che il Mi. fosse stato a Milano, né che avesse continuato ad esercitare l'attività fino all'insorgere dei sintomi; l'altro testimone del convenuto, On.Ma., allora direttore del Dipartimento di Prevenzione dell'Asl di Avellino, parimenti ha dichiarato di non essere in possesso di tali dati. Anche la convivente, nonché teste, dell'attore, Va.Me., ha detto che il compagno non era stato a Milano. Peraltro, si tratta di informazioni che, anche ove veritiere, non avrebbe avuto rilevanza, in termini di responsabilità, nei confronti del Mi., nel senso che alla data di ricovero dell'attore presso il Mo. di Avellino (6.3.2020: cfr. certificato versato in atti), non erano ancora in atto misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica, indi per cui qualsiasi condotta da questi tenuta (muoversi sul territorio nazionale; lavorare nonostante i sintomi del covid) non avrebbe potuto essere tacciata come contra legem.
Ciò posto, non è, però, dimostrata, in termini di danno-conseguenza, una concreta lesione dell'onore o della reputazione dell'attore.
Invero, l'istruttoria svolta non ha permesso di appurare una concreta diminuzione della considerazione del Mi. da parte dei suoi consociati.
Il teste Se.Ni. ha genericamente affermato di avere appreso indirettamente dalla gente di Ariano Irpino che all'attore sarebbero arrivate telefonate in cui gli si sarebbe dato dell'irresponsabile, del delinquente e dell'untore. Trattasi, tuttavia, di testimonianza de relato, generica e non supportata, da altri elementi oggettivi e concordanti atti a suffragarne la credibilità (cfr. Cass. 05.01.1998 n. 43; Cass. 23.12.2003 n. 19774; Cass. 03.04.2007 n. 8358).
Il Se., poi, neanche ha saputo riferire se dopo la conferenza del convenuto il Mi. sarebbe stato insultato o meno da alcuni passanti, come dedotto in citazione. Inoltre, il testimone, pur riconoscendo la lettera agli atti a sua firma - in cui, a seguito della morte per covid del fratello, frequentatore del bar, avrebbe chiesto conto all'attore del suo comportamento per come additato dal De. - ha, allo stesso tempo, affermato che egli avrebbe, invece, inviato una missiva per sincerarsi delle sue condizioni di salute (cosa che, peraltro, ha espressamente dichiarato di avere fatto, una volta incontrato il Mi. in villa comunale dopo la conferenza del De., secondo un modus procedendi non certo tipico di chi, invece, ha intenzione di denigrare o, come scritto nella corrispondenza, agire in giudizio contro qualcuno), facendo, pertanto, seriamente dubitare della veridicità e della provenienza del contenuto della lettera. Del resto, a riprova di ciò, il Se. ha, poi, affermato che il testo della missiva sarebbe stato scritto dal figlio, avendo egli solamente la seconda elementare. A tutto voler concedere, comunque, nella lettera l'attore non viene apostrofato in malo modo o insultato ma solamente avvertito che, in caso di disinteresse e mancata risposta alla stessa, sarebbero stati tutelati i diritti dei familiari del defunto.
Passando alla testimonianza di An.Sc., questi non ha affermato nulla di rilevante, riferendo solamente, peraltro senza riuscire a collocare la circostanza prima o dopo la conferenza del De., che in paese si diceva che nel bar del Mi. c'era stato un contagio. Non ha, poi, saputo riferire né di lettere né di insulti per strada ricevuti dall'attore. Quanto, invece, alla testimonianza di Va.Me., essa risulta poco attendibile (cfr. Cass. n. 1239/2019) alla stregua di elementi sia di natura oggettiva - le dichiarazioni sono imprecise e confusionarie - che soggettiva - il teste è convivente del Mi. ed è indubbio un interesse alla cospicua condanna risarcitoria richiesta.
In particolare, la Me. ha riferito di avere ascoltato, solo indirettamente perché posta nelle immediate vicinanze, telefonate di persone, che ha detto di non conoscere e delle quali non sapeva il nome, che avrebbero insultato il compagno; non è, poi, riuscita a collocare temporalmente quando queste chiamate sarebbero arrivate.
Ancora, sul contenuto della lettera del Se., la teste è stata del tutto confusionaria, facendo una serie di rimandi e riferimenti inconcludenti e non utili ai fini del decisum ("la moglie di tale Se.Fi., il quale morì di covid, riferì al fratello del Se., tale Se.Ni., che era stata colpa del Mi. se il marito aveva preso il covid e poi era morto; inoltre, arrivo anche una lettera a casa da parte di una persona, di cui non so riferire le generalità, che diceva che il marito era morto a causa del Mi.; quando è finita la quarantena incontrai sempre Se.Ni. nella villa comunale di Ariano e mi disse che la cognata gli aveva riferito queste circostanze e mi chiese se era vero che il Mi. era andato a Milano; adr non ho mai letto la lettera").
Quanto, infine, ai presunti insulti in villa, la Me. non ne ha riportati, riferendo piuttosto di "alcuni passanti che avrebbero chiesto all'attore perché dopo il ritorno da Milano non si fosse sottoposto a controlli medici e avesse continuato a lavorare presso il suo bar". Passando, poi, alla diffusività della notizia, essa è stata molto ristretta, per non dire circoscritta alla sola comunità locale. Del resto, il De. non ha fatto il nome del Mi., indi per cui della conferenza non avrebbero che potuto apprezzarne la reale portata i soli abitanti arianesi, gli unici in grado di identificare nel Mi. la figura del barista. Non a caso, la notizia è stata, in seguito, riportata unicamente da tre articoli di giornali locali in maniera del tutto stringata.
In particolare, l'edizione on-line di Ottopagine del 22.5.2020 ha solamente titolato "De.: Ad Ariano irresponsabili: chi ha sbagliato pagherà. Feste illegali, medici positivi in ospedale, baristi che hanno contagiato clienti". Il quotidiano Ir. della medesima giornata, dopo aver titolato "Quella festa di carnevale con 200 persone e altri comportamenti irresponsabili. L'origine del virus ad Ariano Irpino secondo De.: la magistratura sta indagando", ha trascritto fedelmente il contenuto della conferenza, riportando le parole del convenuto riguardo al Mi.. Infine, il quotidiano Ar. del 20.6.2020, nel ripercorrere le tappe dell'evoluzione del coronavirus, ha pubblicato che "un barista, rientrato da Milano e ignaro della positività al virus, infettava vari clienti, per poi aggravarsi a sua volta".
Intrinsecamente, poi, le dichiarazioni del convenuto non sono ingiuriose, denigratorie o dequalificanti. Piuttosto, esse vanno inquadrate nell'eccezionale contesto spazio-temporale di riferimento (cfr. Cass. pen. n. 20206/2022), caratterizzato dall'espandersi del fenomeno epidemiologico in atto ("Finisco rapidamente sulla situazione sanitaria. Abbiamo avuto ieri dieci contagi, di questi quattro erano ancora di Ariano Irpino. Abbiamo avuto ieri dieci contagi con circa seimila tamponi, ormai viaggiamo su cinque - seimila tamponi al giorno, abbiamo messo in piedi una macchina davvero molto importante. Siamo arrivati ormai a 161.000 tamponi. Per quanto riguarda Ariano Irpino come sapete abbiamo deciso di spegnere definitivamente questo focolaio. Questi quattro contagi positivi che abbiamo trovato ieri sono l'ultima coda dei controlli che stiamo facendo. Io voglio rivolgere un saluto e un ringraziamento a tutti i cittadini di Ariano che hanno collaborato a fare un'operazione unica in Italia, questa operazione di test sierologici a 15.000 cittadini non si è fatta in nessuna parte d'Italia. I risultati li pubblicheremo credo domani mattina sabato li metteremo a disposizione dell'intero Paese perché è un test di grandissimo valore scientifico, per capire chi, dove, come ha avuto contatto con il virus anche nei mesi passati, quali fasce di popolazione sono state maggiormente aggredite quindi metteremo a disposizione i risultati scientifici di tutto il nostro paese"). Del resto, il De. non si è riferito al solo Mi. ma anche a comportamenti di altri soggetti ("Già a inizio febbraio, abbiano cominciato con una festa di carnevale organizzata da una scuola paritaria diretta da un ordine religioso con la partecipazione di circa 200 persone. Quella festa di Carnevale, illegittima, non era consentita, ha portato ad un contagio che ha coinvolto le suore del Convento, l'Istituto Scolastico e l'intera Curia Vescovile. Poi vi è stata una cerimonia familiare che si è tenuta a Villanova del Battista a fine febbraio, con la partecipazione di un'altra settantina di persone di cinque nuclei familiari, di Ariano Irpino ma anche di Comuni vicini, che poi sono andati in giro allegramente. Poi il gestore di un bar, uno dei primi quattro casi positivi che è andato a Milano a trovare un familiare, poi è tornato, ha continuato a lavorare nel suo bar contagiando clienti e via dicendo e i tanti frequentatori abituali del bar. Poi all'Ospedale "Fr." di Ariano è andato in giro un medico, la moglie che erano positivi, allegramente nell'ambito dell'Ospedale determinando problemi anche nell'Ospedale. Poi abbiano avuto una struttura sanitaria privata e un Centro di riabilitazione all'interno dei quali si sono verificati 31 casi tra gli ospiti e 7 tra gli operatori").
Il giudizio di valore espresso, sicuramente negativo, è, quindi, da valutare alla luce del contesto di riferimento ed è funzionalizzato all'argomentazione svolta. In altri termini, vengono in rilievo commenti di disapprovazione, con linguaggio sì tagliente ma non per questo diffamante: considerazioni e valutazioni critiche, come tali tipicamente di parte, che, per quanto non obiettive né esatte, ma anzi soggettive e opinabili (Cass. n. 7274/2013), non trascendono in attacchi diretti a colpire, su un piano individuale e senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato. Non c'è, quindi, offesa concreta in termini di lesione della reputazione.
Del resto, la risarcibilità del danno non patrimoniale da diffamazione esige la verifica del superamento del filtro rappresentato dalla serietà del danno, che, insieme a quello della gravità della lesione, presidia l'esigenza di non risarcire ogni danno (Cass. n. 21424/2014), essendo consustanziale al principio di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione quello di tolleranza della lesione minima, tale per cui non basta la mera violazione delle disposizioni che riconoscono il diritto ma è necessaria una violazione che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva (S.U. n. 3727/2016).
Alla luce di quanto visto, pertanto, non emergendo offese rilevanti, né di portata diffusa, tali da potersi dire lesa e, come tale, meritevole di tutela risarcitoria la reputazione del Mi., la domanda va rigettata.
Deve, infine, fortemente stigmatizzarsi la deduzione attorea secondo cui questi sarebbe stato licenziato, a far data dall'1.6.2020, a causa delle dichiarazioni del De.. Difatti, da un lato, nella medesima lettera di licenziamento allegata dal Mi. - peraltro definitosi gestore unico del bar - è scritto che il licenziamento è avvenuto per cessata attività; dall'altro, va evidenziato che dalla visura camerale versata in atti dal convenuto si evince che dal 29.6.2020 il Mi. risulta inquadrato come preposto nella Du. srls, ovvero la stessa società da cui egli assume essere stato licenziato.
Quanto alle spese di lite, le più che particolari ragioni della decisione ne giustificano la compensazione totale.
P.Q.M.
Il Tribunale di Benevento, prima sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:
1. rigetta la domanda;
2. compensa integralmente le spese di lite.
Così deciso in Benevento l'1 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.