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Estorsione aggravata: coazione mediante minaccia e ruolo rafforzativo del complice (Collegio -Capasso presidente)

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Tribunale Nola, 05/10/2023, n.1494

Il reato di estorsione si configura quando, mediante violenza o minaccia, si costringe la vittima a compiere un atto di disposizione patrimoniale a proprio danno, con la consapevolezza e volontà dell’autore di ottenere un profitto ingiusto. La condotta è aggravata se commessa da più persone riunite, e l'efficacia intimidatoria può essere rafforzata anche dalla mera presenza del complice, che contribuisce al rafforzamento delle minacce o violenze esercitate.

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La sentenza integrale

Dott.ssa Simona Capasso Presidente est.
Dott.ssa Alessandra Zingales Giudice
Dott. Arnaldo Merola Giudice

Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP del Tribunale di Nola il 21.12.2022 Fe.Al. veniva tratto a giudizio di questo Tribunale in composizione collegiale per rispondere del reato in epigrafe indicato.

Alla prima udienza del 14.3.2023 il Tribunale, in sede di verifica della regolare costituzione delle parti, dichiarava l'assenza dell'imputato e disponeva la rinotifica del decreto che dispone il giudizio nei confronti della persona offesa, Ta.Ra.. Di seguito, rinviava il processo all'udienza del 23.05.2023.

In quella data, regolarizzata la notifica nei confronti del Ta., il Presidente dichiarava l'apertura del dibattimento e ammetteva le prove orali e documentali come richieste dalle parti. Si procedeva all'escussione del teste di PG, il Mar. Sc.Da. e della persona offesa, Ta.Ra., all'esito della quale si acquisiva documentazione prodotta dal PM. Rinviato il processo all'udienza del 19.9.2023, in quella sede preliminarmente si dava atto della diversa composizione del Collegio giudicante: il Presidente procedeva alla rinnovazione della dichiarazione di apertura del dibattimento e le parti formulavano le proprie richieste istruttorie che venivano nuovamente ammesse. A quel punto, acquisito il consenso all'utilizzabilità delle prove già assunte, il Pm produceva la sentenza emessa dal Gup nei confronti del coimputato e si dichiarava la chiusura dell'istruttoria dibattimentale. Le parti procedevano alla discussione e il Collegio, all'esito della camera di consiglio, pronunciava la sentenza dando lettura del dispositivo e riservando il deposito dei motivi in un termine di legge.

Motivi della decisione
Sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale espletata e degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, questo Collegio ha ritenuto pienamente provata l'ipotesi accusatoria e, dunque, dimostrata la penale responsabilità dell'odierno imputato per il reato a lui ascritto. Giova precisare che la piattaforma probatoria portata al vaglio di questo Collegio è costituita dalle dichiarazioni rese dai testi escussi (la persona offesa Ta.Ra. e il Mar. Sc.Da.), dal verbale di individuazione fotografica effettuata dalla persona offesa con connesso album fotografico e dalla sentenza n. 442/22 emessa dal Gup sede il 21.12.2022 nei confronti di Ci.Fr., coimputato del Fe..

Sulla base delle fonti di prova utilizzabili la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.

La persona offesa, escussa in dibattimento, riferiva che il giorno 27 luglio 2019 mentre si stava recando a lavoro, a bordo della sua autovettura Toyota Yaris, in Sant'Anastasia alla via (…), passando accanto ad un'auto parcheggiata sul marciapiede, aveva sentito un urto allo specchietto destro.

Il Ta. rappresentava di essersi fermato dopo pochi metri, in quanto il conducente dell'auto che era ferma sul marciapiede aveva immediatamente iniziato a inseguirlo suonando il clacson. A quel punto, dall'auto che lo inseguiva era sceso il passeggero, poi identificato in Ci.Fr. (nei cui confronti si è proceduto separatamente,) che gli aveva contestato di avergli rotto lo specchietto dell'auto sulla quale viaggiava e gli aveva chiesto, in modo minaccioso, di ricomprarglielo, mentre l'uomo che era alla guida, poi identificato nell'odierno imputato, era restato dentro l'auto.

In particolare, il Ta. spiegava che il Ci. dapprima gli aveva mostrato sul cellulare le foto di alcuni specchietti con i relativi prezzi per poi, a fronte della sua proposta di lascargli le sue generalità e di rivolgersi all'assicurazione, iniziare ad urlare dicendogli che doveva dargli subito i soldi per riparare il danno allo specchietto.

Il Ta. rappresentava che a fronte del suo rifiuto di dargli soldi contanti e di andare a prelevare al bancomat, il Ci. gli aveva testualmente detto "tu forse non hai capito che a lavoro non ci vai se non mi dai i soldi". A quel punto, il Ta. intimorito aveva consegnato la somma di euro 30,00 al Ci. che, dopo averli presi, era salito in auto che condotta dal Fe., si era allontanata.

In risposta alle domande del PM, il Ta. spiegava che l'odierno imputato, posto al lato guida, era restato tutto il tempo in auto e si era limitato a rassicurarlo dicendogli di conoscerlo, avendo lavorato per due anni in un bar della zona di Pomigliano, e cercando di convincerlo a consegnare il denaro al Ci. dicendogli "daglieli e chiudiamola". La persona offesa forniva in sede di escussione una descrizione sia del Ci., descrivendolo come un uomo alto 1,80 cm, con la barba nera, capelli neri corti e corpulento, sia del Fe., descrivendolo come un uomo alto, più magro rispetto al Ci. e vestito di chiaro.

Dopo l'accaduto il Ta. si era recato dai Carabinieri per sorgere formale denuncia-querela nella quale aveva da subito fornito una descrizione del conducente e del passeggero dell'auto oltre al numero di targa dell'auto sulla quale i due si trovavano.

Sulla base di tali elementi gli agenti in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Sant'Anastasia (cfr. deposizione del mar. Sc.Da.) avevano consultato la banca dati ACI e accertato che il titolare dell'autovettura recante la targa (…) indicata dalla p.o. era Fe.Se., che per età anagrafica non poteva corrispondere alla descrizione fornita dal Ta.. Poi, da ulteriori accertamenti, tramite il terminale Co., era emerso che l'auto era usata abitualmente dal figlio, Fe.Al., già noto agli uffici per precedenti analoghi.

In particolare, il teste Sc. riferiva che dalla banca dati delle Forze di Polizia risultavano diverse denunce, tra il 2017 e il 2018, nei confronti di Fe.Al. per il reato di cui all'art 640 c.p.. Ancora, risultava che il Fe., unitamente a Fr.Ci., era stato già denunciato per la ed "truffa dello specchietto" e per truffe assicurative e, aggiungeva, che i suddetti erano stati anche fermati insieme a bordo di un'auto che era stata segnalata alle forze dell'ordine per i suddetti reati.

A quel punto sulla base di tali accertamenti e della descrizione fornita dal Ta. in sede di denuncia era stato predisposto un fascicolo fotografico che era stato sottoposto alla persona offesa la quale, in data 7 agosto 2019 aveva riconosciuto senza ombra di dubbio nelle effigi ritraenti Ci.Fr. e l'odierno imputato gli autori della truffa subita (cfr. verbale di riconoscimento con allegato fascicolo fotografico in atti).

In sede dibattimentale, il PM sottoponeva in visione una copia in bianco e nero dell'album fotografico adoperato nella fase delle indagini e il Ta., dopo aver sfogliato, confermava il riconoscimento, individuando nell'effige ritraente il Ci., l'uomo che era scesa dall'auto, e nell'effige ritraente il Fe., il conducente dell'auto.

Così ricostruita la deposizione della persona offesa, nella sua valutazione questo Collegio si conforma al consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo il quale la testimonianza della persona offesa ben può costituire piena fonte di prova sufficiente anche da sola a suffragare la responsabilità dell'imputato, senza applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. sulla necessità di riscontri esterni, purché la deposizione sia sottoposta al vaglio critico positivo sorretto da adeguata motivazione circa 'attendibilità del dichiarante, atteso che trattasi di un soggetto non immune da sospetto in quanto portatore di un interesse contrastante con quello dell'imputato (cfr. tra le altre Cass. sez. 1 24/9/97 n. 8606; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 27322 del 14/04/2008).

Si è, infatti, osservato che "le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermatone di penale responsabilità dell'imputato, prema verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell' attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (Cass. Sez. Un., sent. n. 41461 del 19/07/2012).

Il controllo di attendibilità, da valutarsi globalmente, tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo, deve essere tanto più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, da cui l'opportunità di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri clementi (cfr. Sez. I, Sentenza m. 29372 del 24/06/2010; Sez. Un., Sentenza n. 41461 del 19/07/2012). Nel caso concreto in verifica, va in primo luogo rilevato che non vi sono ragioni plausibili per dubitare dell'affidabilità oggettiva della testimonianza della p.o., il cui narrato è risultato preciso e contestualizzato, del tutto privo di contraddizioni logiche, oltre che confortato dal restante materiale istruttorio.

L'assenza di ogni rapporto di conoscenza pregressa tra l'imputato e la persona offesa rappresenta, inoltre, ulteriore indice di attendibilità soggettiva del Ta., che nel corso dell'esame non ha mostrato astio o preconcetto nei confronti del Fe.. A conferma della credibilità della persona offesa, inoltre, occorre sottolineare che la stessa non si è costituita parte civile nel presente processo, circostanza, questa, che ne rafforza ulteriormente la credibilità perché esclude un interesse antagonistico di natura economica del dichiarante (eventualmente non limitato all'esiguo danno patrimoniale ma involgente il più ampio profilo dei danni morali e non patrimoniali connessi all'estorsione). Il giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese dalla persona offesa investe altresì il riconoscimento fotografico dalla stessa esplicato nel corso delle indagini in data 7/08/2019, nel quale il Ta. riconosceva, senza ombra di dubbio, il Fe. come l'autore dell'estorsione in suo danno in concorso con il Ci.

Sull'attendibilità di questo dato probatorio, questo Collegio concorda con l'orientamento espresso più volte dalla Suprema Corte, secondo cui "i riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria come i riconoscimenti infornali dell'imputato operati dai testi in dibattimento costituiscono accertamenti di fatto e sono utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice" (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 17336 del 29/03/2011, Bi., Rv. 250081).

La certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, bensì dall'attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell'individuazione (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 22612 del 10/02/2009, Pa., Rv. 244197; Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, Al., Rv. 253910; Sez. S, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562).

Nella fattispecie, ferma l'utilizzabilità (e la sufficienza intrinseca) della prova costituita dal riconoscimento fotografico, compiuto in sede di indagini occorre evidenziare come nella valutazione di questa prova atipica assuma particolare importanza l'acquisizione (nella specie, regolarmente intervenuta) del materiale fotografico mostrato in visione alla persona offesa. In tal modo, infatti, il giudicante è posto in grado di testare direttamente l'affidabilità del risultato probatorio ed, in particolare - presa diretta visione del suddetto materiale - di verificare sia quante fotografie siano state sottoposte al dichiarante ai fini della ricognizione, sia quale fosse la qualità della fotografia e le caratteristiche fisionomiche della persona effigiata e riconosciuta, e ciò al fine di poter valutare, in modo preciso e fondato, l'affidabilità della attività ricognitiva svolta dal teste e, quindi, di apprezzare in modo compiuto la portata probatoria dell'atto (cfr., Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone e altri, Rv. 261247). Invero, risulta di tutta evidenza come la capacità dimostrativa del riconoscimento fotografico positivo non possa che essere diversa a seconda che l'atto sia compiuto rispetto ad una rosa ampia piuttosto che ristretta di fotografie, se l'immagine del soggetto riconosciuto sia nitida e consenta di cogliere in modo preciso i tratti del volto della persona riprodotta ovvero sfocata o così piccola da impedire di distinguere in modo adeguato i lineamenti del viso. Nel caso di specie, oltre a richiamare quanto già detto in merito alla piena attendibilità della persona offesa, occorre sottolineare che l'album fotografico mostrato in visione alla p.o. è composto da fotografie di buona qualità, sufficientemente nitide e variegate, oltre che collimanti con la descrizione degli estorsori effettuata dalla p.o., il che ha permesso al Ta., ragazzo in giovane età, di identificare dopo circa un mese dall'accaduto precisamente soggetti a lui ignoti, ma corrispondenti alla descrizione fornita ed alle immagini contenute nel fascicolo fotografico. Questo dato, in uno con la credibilità della persona offesa e con la conferma dell'avvenuto riconoscimento effettuata dal Ta. in sede dibattimentale, ne rende ancor più attendibile il portato probatorio.

Le dichiarazioni della p.o., inoltre, sono state pienamente riscontrate da quelle di Sc.Da., Maresciallo in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Sant'Anastasia, sulla cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, in ragione del narrato chiaro e preciso, confortato dalla restante istruttoria, nonché proveniente da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, veste, questa, che lascia fondatamente ritenere assente ogni interesse privato nella vicenda.

A fronte di tali elementi accusatori, l'imputato non ha fornito una versione alternativa dei fatti, avendo scelto di rimanere assente in dibattimento.

Tutto ciò considerato, ritiene il Collegio che vada senza dubbio riconosciuta la penale responsabilità di Fe.Al. per il reato che gli è contestato.

Come noto, il delitto di estorsione richiede per la sua configurabilità che taluno con violenza o minaccia costringa altri a fare od omettere qualcosa per trarne un illecito profitto con altrui danno: la violenza o la minaccia, quindi, devono essere dirette a coartare la volontà della vittima affinché questa compia un atto di disposizione patrimoniale, rimanendo indifferenti le modalità con cui queste condotte si realizzano. Nel caso concreto ciò è certamente avvenuto, essendo stato dimostrato che il Ta. consegnò al Ci. la somma di euro 30,00 in quanto costretto dalle minacce subite e non certo perché caduto in errore sulla circostanza di aver cagionato un danno alla vettura sulla quale i due viaggiavano.

Difatti, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configurando, invece, l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (cfr. Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 46084 del 21/10/2015 Ud. (dep. 20/11/2015) Rv. 265362 -01).

Va, inoltre, ricordato che, in tema di estorsione, non è necessario che la libertà di autodeterminazione della vittima sia del tutto annullata, essendo, invece, sufficiente che la richiesta, con il pregiudizio patrimoniale che ne consegue, sia accolta anche soltanto per mera convenienza, per evitare un male che agli occhi della vittima appaia più grave (cfr. Cass. Pen., Sez. 2, Sentenza n. 32033 del 21/03/2019 Ud. (dep. 18/07/2019) Rv. 277512 - 04). Quanto alla riferibilità della condotta anche al Fe., va rilevato che la sua presenza è stata certamente rafforzativa dell'efficacia della minaccia materialmente esercitata dal Ci.. Egli, infatti, guidava il veicolo a bordo del quale i due malviventi si trovavano e quindi certamente condivideva il fine di estorcere il denaro alla persona offesa simulando il danneggiamento dello specchietto della macchina, ma oltretutto, ha egli stesso interloquito con il Ta. invitandolo a consegnare il denaro nelle mani del complice, il che evidenzia un suo contributo attivo alla vicenda.

Quanto all'elemento psicologico, la norma richiede il dolo generico, da intendersi come coscienza e volontà di effettuare una pretesa illegittima mediante violenza o minaccia, che nel caso concreto è certamente sussistente.

Risultano, quindi, pienamente integrati tutti gli elementi costitutivi del delitto di estorsione consumata, aggravata essendo stato commesso il fatto da più persone riunite. Rispetto a questa circostanza, va ricordato che per la sua configurazione è sufficiente che la persona offesa percepisca la presenza di almeno due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, in modo da potersi affermare che queste siano state poste in essere da parte di ciascuno degli agenti, ovvero che la mera presenza di uno dei complici all'esercizio della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento delle medesime, cosa che nel caso di specie, come già specificato, è certamente avvenuto (Cfr. Cass. Pen., Sez. 2, Sentenza n. 40860 del 20/09/2022 Ud. (dep. 27/10/2022 ) Rv. 284041 - 01).

Quanto al trattamento sanzionatorio, si ritengono concedibili le circostanze attenuanti generiche al fine di modulare la pena rispetto alla concreta gravità dei fatti in misura prevalente rispetto alla contestata aggravante.

Tutto ciò considerato, ai sensi dell'art. 133 c.p., si ritiene equa la condanna dell'imputato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 900,00 di multa, cui si giunge partendo dal minimo edittale (anni 5 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa) e applicando la diminuzione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni 5 ai sensi dell'art. 29 c.p.p..

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Fe.Al. colpevole del reato a lui ascritto e, concesse a tutti le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente alla contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 900,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letti gli artt. 29 e ss. c.p. dichiara Fe.Al. interdetto dai pubblici uffici per anni 5.

Indica in giorni 90 il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Nola il 19 settembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2023.

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