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Estorsione e diffamazione aggravata a danno di lavoratori: riduzione della pena per abuso di posizione di capo magazzino

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Corte appello Roma sez. II, 23/04/2024, n.4428

Principio di diritto
In tema di estorsione, il reato è configurabile anche quando un dipendente con ruolo di responsabilità richieda somme di denaro per favorire l’assunzione o il rinnovo contrattuale di aspiranti lavoratori, sfruttando il proprio incarico e inducendo le vittime, mediante minacce implicite di esclusione lavorativa, a corrispondere pagamenti indebiti. Per la diffamazione, l’individuazione dei soggetti lesi può avvenire attraverso elementi concreti che consentano la loro identificazione, anche se non direttamente nominati, purché siano chiari i riferimenti temporali e personali. L'elemento soggettivo di entrambi i reati è integrato dal dolo generico, senza necessità di un'esplicita intenzione lesiva.

Sintesi della decisione
La Corte d’Appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado emessa dal Gup presso il Tribunale di Velletri, riducendo la pena inflitta a To.Al. per i reati di estorsione aggravata e diffamazione. To., responsabile del magazzino di una cooperativa, è stato riconosciuto colpevole di aver richiesto somme di denaro (800-1200 euro) a lavoratori extracomunitari per garantire l’assunzione o il rinnovo dei contratti, minacciando implicitamente la mancata assunzione o il licenziamento. Inoltre, è stato confermato il reato di diffamazione per contenuti pubblicati su YouTube, in cui accusava i suoi datori di lavoro di condotte illecite, offendendone la reputazione.

Decisione finale:
Pena: Ridotta a 4 anni e 2 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.
Pene accessorie: Interdizione temporanea dai pubblici uffici per 5 anni, revoca dell’interdizione legale.
La riduzione della pena è stata motivata dalla rivalutazione degli aumenti per le circostanze aggravanti e la continuazione interna ai capi di imputazione. La condotta, tuttavia, è stata considerata grave per la sua reiterazione e l’evidente abuso di posizione di fiducia e potere nei confronti di soggetti economicamente vulnerabili.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con sentenza del Gup presso il Tribunale di Velletri del 10.10.2023, To.Al. era condannato per il reati ascrittigli alla pena di anni 5 mesi 4 di reclusione e euro 1200 di multa, con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale durante l'esecuzione della pena (p.b. anni 5 di reclusione e euro 1000 di multa aumentata di anni 1 di euro 250 per l'aggravante dell'art. 61 n. 11 c.p., aumentata di anni 2 di reclusione e euro 550 per la continuazione così anni 8 di reclusione e euro 1800 di multa, ridotta per il rito). Bi.St. legale rappresentante della SLA soc. cooperativa, unitamente ad Al.Ad., Ju.Ra., In.Ur., Ma.Ra. e Sa.Gr. quale responsabile della Is. s.r.l. denunciavano quanto segue. To. era dipendente della SLA cooperativa; la cooperativa era presente presso il deposito della Eu. S.p.A. con sede in Aprilia in quanto legata a un contratto di rete con la ISP, appaltatrice di servizi di logistica, al fine di assicurare lo svolgimento di attività di movimentazione e stoccaggio merci prevista dal contratto di appalto con Eu.. Il To. era referente operativo all'interno del deposito dal marzo 2019. Egli provvedeva a segnalare alla cooperativa la carenza di organico o a sollecitare assunzioni temporanee in caso di necessità o a rappresentare la opportunità di trasformare rapporti a tempo indeterminato, oltre che a dare conto di inadempienze. Quindi, il Bi. riceveva tra fine marzo e aprila 2020 alcune segnalazioni da parte di lavoratori di nazionalità pachistana (gli altri firmatari della denuncia) che il To. avanzava nei loro confronti richieste di denaro anche per il tramite del loro connazionale In.Ur.. Le assunzioni di tali lavoratori erano state effettuate su segnalazione del To.. Gli importi richiesti dall'imputato erano tra i 1000 e 1300 euro a lavoratore per ottenere o conservare il posto di lavoro e con la minaccia che in difetto sarebbero stati assunti altri lavoratori disponibili a pagare. Così il To. percepiva dalle parti offese la somma di euro 4400 euro (800 euro da As. 100 euro da Ah.Ka., 1200 euro da Ra. e altri 1200 euro da Ad.). Il Ra. si diceva vittima dell'imputato; a dimostrazione della propria buona fede produceva screen shot e registrazioni di conversazioni in cui To. richiedeva denaro al fine di assicurare l'assunzione, minacciava di avere altre persone disposte e pagare e richiedeva una ricarica con la voce rimborso debito su una carta prepagata. La cooperativa provvedeva a sospendere dal lavoro il To., il quale tramite la piattaforma You Tube in un lungo video formulava accuse fortemente lesive nei confronti della società, della Eu. e della ISP, affermando che sarebbero responsabili di gravi violazioni per la sicurezza sul lavoro, che non rispetterebbero i contratti collettivi sfruttando il personale, che i legali rappresentanti di queste società sarebbero teste di legno e che la cooperativa sarebbe una associazione a delinquere. Il contenuto della denuncia era confermato da tutti i lavoratori che venivano sentiti s.i.t.

Con l'atto di appello, il difensore chiede l'assoluzione. In primo luogo, non vi era mai stata alcuna espressa minaccia da parte dell'imputato di non fare assumere i lavoratori o di farne assumere altri al posto di chi rifiutava di pagare; in sostanza, i singoli lavoratori si rivolgevano al Ra. per raccomandarsi e chiedere di potere intercedere verso i responsabili. Se la giurisprudenza ammetteva la rilevanza di minacce anche solo implicite, tuttavia, si deve pur sempre trattare di condotte idonee in base a circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni di soggetti passivi e alle condizioni ambientali. Nel caso di specie, le parti offese erano libere di non accettare la proposta del Ra. e cercare un altro lavoro presso un'altra società o anche nella stessa cooperativa, inviando il curriculum o contattando l'agenzia di lavoro interinale che, come riferiva Bi., effettuava il reclutamento. Quindi, ben potevano non accettare alcuna proposta e restare semplicemente nelle stesse condizioni personali precedenti senza subire alcun male ingiusto. Vi era di più; l'accettazione della proposta e l'ottenimento del posto di lavoro rispetto alla condizione di disoccupazione era un obiettivo miglioramento non potendosi integrare il danno della fattispecie a fronte del vantaggio incontestabile dell'assunzione. La Suprema Corta aveva assolto il datore di lavoro che prospettava ai dipendenti l'alternativa tra la rinuncia a parte della retribuzione la perdita dell'opportunità di lavoro (Cass. II 17.5.2017 n.21789). Pertanto, dal capo 1) dell'imputazione il To. andava senz'altro assolto. Andava parimenti assolto dal capo 2; infatti, in questo caso sussisteva un rapporto di lavoro che andava rinnovato e non vi era alcun legittimo diritto al rinnovo così che era esclusiva la facoltà del datore di lavoro di confermare o meno il dipendente o assumerne un altro. Ciò detto non vi era prova di alcun male ingiusto necessario per l'integrazione del reato, perché comunque era obiettivamente vantaggiosa l'ipotesi di un rinnovo contrattuale rispetto all'alternativa che il contratto semplicemente cessasse per decorso del termine. Sotto altro profilo, era omessa o insufficiente o erronea la valutazione dell'aggravante dei cui all'art. 61 n. 11 c.p. Tra la cooperativa e il To. non vi era alcun rapporto di prestazione d'opera che potesse agevolare la condotta criminosa o esporre i soggetti passivi alle conseguenze del reato tanto in relazione ai fatti sub I che sub 2. In ogni caso, il Bi. aveva chiarito che To. non poteva decidere formalmente le assunzioni; era un carrellista, poi fu uno spuntatore, poi responsabile del deposito, poi fu una sorta di ufficio del personale, ma ogni assunzione andava ratificata e, benché il Bi. dicesse di non ricordare, la ratifica doveva avvenire in assemblea. Quindi, il To. non aveva alcun potere di gestire le assunzioni. Il fatto che il Bi. gli desse il potere di indicare i nominativi all'agenzia interinale per effettuare le assunzioni non integrava il potere di assumere personale di cui all'ipotesi accusatoria. In ogni caso, i fatti non erano provati. Quanto ai capi 1) e 2) il collegamento tra To. e Re. era dimostrato unicamente dalle parole di quest'ultimo; inoltre, le conversazioni captate potevano assumere significati polivalenti. Anche la circostanza riportata in sentenza per cui Re. aveva chiamato il To. subito dopo avere ricevuto le somma di At. è sempre riportata dallo stesso Re. alle parti offese. Anche Ad. riferiva che il To. non aveva mai proferito alcuna minaccia. Insomma, che il To. fosse coinvolto nelle richieste di denaro non era provato; il Re. piuttosto cercava di scaricare su di lui la propria esclusiva responsabilità. Se poi si volesse ritenere provato che To. attendesse una remunerazione per avere segnalato i nominativi di alcuni conoscenti del Re. alla Cooperativa per l'assunzione a mo' di regalia, non vi sarebbe comunque prova che egli conoscesse i termini con cui il coimputato regolava gli affari con le parti offese. Il Giudice aveva valorizzato una unica conversazione telefonica decontestualizzata, che non è neppure riconducibile con certezza agli episodi al vaglio. Anche quanto al capo 3), il reato di diffamazione non era provato. La querela fu sporta dai legali rappresentanti della SLA Società cooperativa (Bi.) e della Is. s.r.l. (Gr.), ma dalle trascrizioni operate dalla P.G., non emerge mai alcun riferimento alle società. Si faceva piuttosto generico riferimento alla Eu.; il pubblico non avrebbe mai potuto individuare in maniera inequivoca di quale cooperativa si stesse parlando. Il To. poi confondeva le acque, citando quale amministratore della società tale Co.. Quindi né le società né i legali rappresentanti vengono mai direttamente citati e sono individuabili. Quanto all'elemento psichico, il To. era amareggiato per la sospensione subita così che quelle dichiarazioni potevano ben essere il mero sfogo di un lavoratore che aveva subito una ingiustizia e che criticava il modo di lavorare del suo datore, senza alcuna intenzione di diffamare. Infine, la pena era eccessiva; potevano essere concesse le attenuanti generiche, l'attenuante dell'art. 62 n.4 c.p. (la richiesta estorsiva era di soli 800 o 1200 euro); anche l'aumento per la circostanza ex art. 61 n. 11 c.p. era eccessivo così come l'aumento per la continuazione.

All'udienza del 16.4.2024, assente l'imputato, detenuto per altro, le parti concludevano come in atti.

Motivi della decisione
L'orientamento citato dall'appellante in punto di configurabilità del reato di estorsione è stato ribadito di recente. Pertanto, "non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, ciò non significa che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione" (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 6591 del 16/01/2024).

Tuttavia, il caso in esame è in fatto del tutto diverso di cui alla sentenza citata dall'appellante.

Esaminando in questa fase il capo 1), To. non era un datore di lavoro, ma un dipendente della cooperativa che nel selezionare gli interessati all'assunzione come operai presso la SLA, su sostanziale incarico del Presidente, si faceva pagare somme di denaro con la minaccia implicita della mancata assunzione se non avessero pagato.

Quindi, non è il datore che all'aspirante lavoratore offre un pagamento del salario inferiore a quello contrattualmente previsto, ma è un terzo che al fine di far accedere in cooperativa soggetti aspiranti lavoratori si fa pagare una sorta di tangente. To. era incaricato dal Bi. presidente della SLA, oltre alle varie mansioni che rivestiva, di occuparsi del reperimento del personale. Le assunzioni erano gestite, come riferiva il Bi., da chi era responsabile del deposito e, dunque, proprio dal To., così che egli indicava i nomi dei lavoratori che grazie alla sua segnalazione divenivano soci della cooperativa; era lui quale capo del magazzino a rappresentare al Bi. se era opportuno assumere personale, il numero dei lavoratori necessario e i relativi nominativi. Quindi, era assunto presso la cooperativa solo il personale che era indicato dal To.. Bi. riferiva di non occuparsi personalmente dell'assunzione e che la società Bu. aveva il compito di stipulare i contratti e fare le buste paga. Pertanto, questo era il sistema privilegiato nella scelta del personale, fermo restando che naturalmente i lavoratori extracomunitari erano liberi di inviare un curriculum presso la cooperativa, senza chance tuttavia di assunzione.

Pertanto, non era prospettabile una assunzione di lavoratori in quella cooperativa che non passasse dalle mani del To., cui a tale scopo però dovevano essere pagati 800 o 1200 euro a seconda della richiesta. In questo pagamento è senz'altro non solo il profitto ingiusto del To., ma anche l'altrui danno. Pertanto, poco rileva lo stato di disoccupazione in cui versavano i lavoratori, meri aspiranti soci, che secondo l'appellante dimostrerebbe l'assenza del danno quale elemento costitutivo del reato di estorsione, perché in definitiva essi non avrebbero perduto a causa della condotta altrui (che recava un ingiusto profitto all'agente) alcun diritto acquisito. La selezione operata dal To. tramite Re. impediva a costoro di accedere alla cooperativa diversamente se non pagando a lui una somma di denaro indebita, ciò che costituisce il danno patrimoniale a carico dei soggetti passivi. Certamente gli aspiranti lavoratori avrebbero potuto rifiutare la proposta, caso nel quale l'estorsione sarebbe stata solo tentata. Non è quindi condivisibile al fine di dimostrare l'insussistenza dell'estorsione quanto si legge nell'appello ovvero che l'ottenimento del posto di lavoro rispetto alla condizione di disoccupazione era un obiettivo miglioramento a fronte del vantaggio incontestabile dell'assunzione, posto che ai fini dell'assunzione però era richiesto un indebito corrispettivo da pagarsi al capo magazzino.

Quanto al capo 2), viepiù l'esistenza del rapporto di lavoro dimostra il danno delle parti lese. La stessa sentenza citata dalla difesa (Sez. 2 -, 21789 del 04/10/2018) se afferma che non integra il reato di estorsione la condotta "del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, non v'è prova che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione", tuttavia nella motivazione aggiunge che "deve invece ritenersi sussistente il reato nel caso in cui il datore di lavoro, nella fase esecutiva del contratto, corrisponda ai lavoratori, sotto minaccia della perdita del posto di lavoro, uno stipendio ridotto rispetto a quanto risultante in busta paga, essendo in tal caso evidente il danno recato ai predetti".

Se quindi il To. chiedeva alle vittime di versargli denaro anche affinché il rapporto di lavoro proseguisse, da un lato egli otteneva un profitto ingiusto e dall'altro procurava ai soggetti passivi, sotto minaccia implicita di perdere il posto di lavoro, un danno patrimoniale derivante dalla perdita della posizione lavorativa acquisita e del salario.

Ciò posto in punto di diritto, i fatti sono provati e ascrivibili al To. con la complicità del Ra..

Invero, Al.Ad. riferiva di avere saputo di dovere pagare al To. tramite Re. la somma di 1200 euro, in quanto responsabile del magazzino; lo stesso teste riferiva di avere versato il denaro al Re., ma che questi riceveva diverse chiamate dal To.. Ju.Ra. e Ma.Ra. riferivano di avere consegnato il denaro al Re., che diceva loro di doverlo a sua volta consegnare al To.. Ancora, Ali At. precisava che all'atto della consegna del denaro al Re., questi tentò di telefonare al To. più volte e che dopo esservi riuscito questi gli disse di raggiungerlo da solo.

Inoltre, i messaggi e la telefonata riportata dal Gup in sentenza sono inequivoci.

To. richiedeva denaro al Re. per assicurare l'assunzione di lavoratori, minacciando di avere altre persone disposte a pagare o chiedeva ricariche telefoniche. D'altronde era To. poteva gestire il mercato illecito delle assunzioni in virtù della sua posizione apicale di capo magazzino, non potendo , al contrario, il Re. garantire alcunché ai lavoratori.

Ebbene, nel primo messaggio vocale riportato, il To. ridendo si vanta di potere fare "come cazzo mi pare" e di avere fatto un contratto a tempo determinato. Nel secondo messaggio, dà il numero della sua carta a Re. "così lui me la ricarica"; nella registrazione successiva relativa alla consegna dei soldi ricevuti dal Ma.Ra. (e pertanto affatto decontestualizzata come ritiene l'appellante), To. dice a Re. "…mi stai a rompe il cazzo, perché io allora adesso dì dovrei dare indietro e dovrei chiamare un'altra persona per piazzare il posto , tu lo sai che devo mandare domani, lunedì cinque persone" e poi si lamenta del "prezzo" pagato "settecento? Erano ottocento i patti non rompe il cazzo perché ce sta gente che paga di più per entrare….prima devo vedere se sono giovani". La conversazione continua, quindi, facendo riferimento Re. a qualcuno di Eu. che teme di essere cacciato via; To. lo rassicura "Non li cacciano via…l'importante che lui deve per due, tre quattro settimane deve stare a zero". Quindi, le conversazioni dimostrano che è To. a gestire le assunzioni e i rapporti di lavoro, che è To. a ricevere il denaro, anche mediante ricariche, e a fissare il prezzo del suo interessamento, che è To. ad esplicitare al Re. che lui ha altre persone da piazzare al posto di chi non paga. Si tratta di registrazioni e messaggi relativi al periodo da gennaio ad aprile 2020, coincidenti con i fatti di cui all'imputazione e ad essi relativi. Alcuna diversa interpretazione di tali interlocuzioni è stata nemmeno proposta dall'imputato così che l'unica lettura prospettabile è quella in chiave accusatoria.

È dunque provato che il To. strumentalmente utilizzava il Re. per la riscossione degli indebiti profitti senza volere comparire. Né era necessaria da parte sua alcuna minaccia, essendo senz'altro idonea e sufficiente allo scopo quella della mancata assunzione o del licenziamento perpetrata tramite Re.. Sul punto della minaccia larvata, la Suprema Corte si è già più volte espressa sia in tema di estorsione del datore di lavoro che finanche in tema di rapina (sul punto vedi Cass. sez. 2-, n. 3724 del 29/10/2021 in tema di minaccia larvata di licenziamento e Sez. 2 -, n. 27649 del 09/03/2021 ovvero in materia di rapina commessa con minaccia "implicita, larvata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa versa"). Nel caso di specie, le circostanze concrete palesavano l'idoneità della minaccia di non assunzione siccome rivolta verso soggetti extracomunitari privi di attività lavorativa e dunque in presumibili precarie condizioni economiche oltre che di licenziamento, laddove gli stessi lavoratori erano stati assunti con contratti a termine.

Stima la Corte che sussista l'aggravante dell'art. 61 n. 11 c.p. per quanto già argomentato; era l'imputato nella sostanza a selezionare il personale e decidere a chi il contratto poteva essere fatto o rinnovato (a nulla rilevando che la decisione formale spettasse alla cooperativa), laddove, come chiarito da Bi., la società Bu. aveva il compito di stipulare i contratti e fare le buste paga. In diritto, invero, "in tema di circostanze aggravanti comuni, la nozione di "abuso di relazioni di prestazione di opera" utilizzata dall'art. 61, comma primo, n. 11 cod. pen. ricomprende, oltre all'ipotesi del contratto di lavoro, tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un "facere" e che, comunque, instaurino tra le parti un rapporto di fiducia che possa agevolare la commissione del fatto" (Cass. Sez. 6 - , Sentenza n. 11631 del 27/02/2020). Quindi, il To. che godeva della fiducia del Bi., cui quale capo magazzino segnalava il personale da assumere o da licenziare, abusava di una posizione privilegiata che senz'altro agevolava la commissione del reato in virtù di "un mandato di fatto … occasionato dall'esercizio dell'attività professionale" (Cass. Sez. II 24093 11.3.2011).

Quanto al delitto di diffamazione, secondo l'appellante era impossibile, se non per gli addetti ai lavori ovvero per i responsabili delle società di cui all'imputazione, comprendere nei confronti di chi il To. stesse parlando. Tuttavia, il riferimento alle vicende processuali e alle persone implicate è evidente nelle trascrizioni del video You Tube postato personalmente dall'imputato. To. premette di essere dipendente di Eu. da diciannove anni e dall'anno prima di essere diventato responsabile di una cooperativa in collaborazione con Eu.; di essere stato sospeso per delle registrazioni di altri dipendenti che lo volevano fare fuori (registrazione 14.4.2020). Così ancora il To. parla degli interessi tra cooperativa e Eu., per cui venivano sospesi alcuni vecchi lavoratori come lui e del fatto che la cooperativa faceva come gli pareva, accusando cooperativa e Eu. di essere delinquenti e assumendo di conoscere i cosiddetti Presidenti finti (registrazione 27.4.2020). Il riferimento alla vicenda personale della sospensione dal lavoro della cooperativa, per cui lavorava dall'anno prima (e infatti dal marzo 2019), al di lui Presidente e al rapporto tra la cooperativa e Eu. è sufficiente alla individuazione dei soggetti lesi. Invero, la SLA cooperativa era presente presso il deposito della Eu. spa con sede in Aprilia, dove To. dice di lavorare da 19 anni, in quanto legata a un contratto di rete con la ISP, appaltatrice di servizi di logistica al fine di assicurare lo svolgimento di attività di movimentazione e stoccaggio merci prevista dal contratto di appalto con Eu.. Pertanto, i soggetti presi di mira nel video sono in particolare Eu. e Sia e i loro Presidenti, al di là del riferimento espresso al nome di tale Co. indicato quale capo delle cooperative. Se, dunque, Ì diretti interessati conoscevano la vicenda, tuttavia il delitto di diffamazione sussiste anche quando il soggetto leso possa essere individuato sulla scorta delle dichiarazioni diffamatorie. In diritto, "in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così da potersi individuare, con ragionevole certezza, l'offeso e desumere la piena e immediata consapevolezza, da parte di chiunque abbia letto l'articolo, dell'identità del destinatario della diffamazione" (Cass. Sez. 5 - n. 8208 del 10/01/2022).

Sussiste il dolo del reato, in diritto, In tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l'uso consapevole, da parte dell'agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8419 del 16/10/2013). Ciò posto, la circostanza che il To. potesse essere amareggiato per la sospensione, peraltro giustamente subita, dal lavoro e che volesse sfogarsi nulla toglie alla consapevolezza della lesività della condotta diffamatoria; in tale senso non lasciano dubbi i termini utilizzati, netti e oggettivamente offensivi dell'onore e della reputazione altrui, come quelli di cui all'accusa rivolta alla cooperativa e a Eu. di essere associazioni delinquenziali e di avere a capo "Presidenti finti".

La gravità dei fatti estorsivi ai danni di soggetti extracomunitari in cerca di lavoro, la reiterazione, la gravità delle dichiarazioni diffamatorie dirette a invertire la realtà dei fatti e fare di sé una vittima di un non meglio precisato sistema illegale delle cooperative, la particolare intensità del dolo dei reati, sono tutti elementi che consentono di escludere il riconoscimento di attenuanti generiche.

Quanto all'art. 62 n. 4 c.p., "ai fini della configurabilità della circostanza attenuante dell'avere agito per conseguire o dell'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità prevista dall'art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen., non si deve avere riguardo soltanto al valore venale del corpo del reato, ma anche al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta dell'imputato, in termini effettivi o potenziali" (Cass. III 18013 del 5.2.2019), ebbene, dal punto di vista patrimoniale il danno è elevato; chiedere 800, 1000 o 1200 euro a soggetti privi di mezzi come degli aspiranti lavoratori extracomunitari vuole dire provocare alle vittime un pregiudizio economico grave; senza considerare che la condotta è nel complesso odiosa e connotata da un elevato disvalore morale e sociale.

Tuttavia, fermo restando la pena minima indicata nella sentenza di primo grado in ordine al delitto di estorsione di anni 5 di reclusione e 1000 di multa, deve essere ridotto ad anni 5 mesi 3 di reclusione e 1200 di multa l'aumento per effetto dell'aggravante dell'art. 61 n. 11 c.p. (apparendo eccessivo rispetto al minimo edittale applicato per il capo 1 l'aumento di un anno), - ridotto altresì in proporzione l'aumento in continuazione ad 1 anno di reclusione e euro 300 di multa. Si deve peraltro specificare che l'aumento per la continuazione interna al capo 1) - trattandosi di quattro persone offese - è di mesi 2 di reclusione e euro 40,00 di multa per ciascuna parte offesa così mesi 8 di reclusione e euro 160 di multa totali, pena aumentata per il delitto di cui al capo 2) di mesi 3 di reclusione e euro 80,00 di multa e per il capo 3) mesi 1 di reclusione e euro 60 di multa - ovvero giorni 10 di reclusione e euro 20 di multa per ciascuna delle tre parti lese -. Così la pena complessiva di anni 6 mesi 3 di reclusione e euro 1500 di multa deve essere ridotta per il rito ad anni 4 mesi 2 di reclusione e euro 1000 di multa. Deve essere revocata la pena accessoria dell'interdizione legale durante la pena prevista, mentre la interdizione perpetua dai pubblici uffici deve essere sostituita con la interdizione temporanea (tenuto conto della pena base per il capo 1 di anni 5 di reclusione ridotta ad anni 3 mesi 4 di reclusione per il rito).

P.Q.M.
Visto l'art. 599 c.p.p.

In riforma della sentenza del Gup presso il Tribunale di Velletri in data 10.10.2023 appellata da To.Al. riduce la pena ad anni 4 mesi 2 di reclusione e euro 1.000 di multa; sostituisce la interdizione perpetua dai pubblici uffici con la interdizione per la durata di anni 5; revoca l'interdizione legale.

Fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Roma il 16 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2024.

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