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L’inadempimento agli obblighi di assistenza familiare: dolo generico e responsabilità penale (Corte appello Napoli - Sesta sezione)

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Corte appello Napoli sez. VI, 15/04/2024, n.4287

L’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 570 c.p. è costituito dal dolo generico, per il quale è sufficiente la consapevolezza e volontà dell’inadempimento degli obblighi familiari. L’impossibilità di adempiere, idonea a escludere il dolo, deve essere assoluta e provata, implicando che l’adempimento renderebbe la vita del soggetto economicamente insostenibile, pur senza ridurlo all’indigenza (Cass. Sez. VI, n. 37576/2022). La condotta omissiva reiterata e non collaborativa, priva di richieste di riduzione dell’obbligo e aggravata dalla trascuratezza nella gestione delle proprie risorse, conferma il dolo.

Assoluzione per mancata corresponsione di mezzi di sussistenza: rilevanza dello stato di indigenza dell’imputato (Giudice Alessandra Ferrigno)

Violazione degli obblighi di assistenza: condanna per mancato mantenimento e disinteresse verso il figlio minore (Giudice Cristiana Sirabella)

Violazione degli obblighi di assistenza familiare: condanna per mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento (Giudice Cristiana Sirabella)

Violazione degli obblighi familiari: il ruolo dell'inadempimento parziale e dell'onere probatorio dell’imputato (Giudice Antonio Palumbo)

Violazione degli obblighi familiari: l’assoluzione per impossibilità economica assoluta e incolpevole (Giudice Antonio Palumbo)

Violazione degli obblighi di mantenimento: applicazione dell’art. 570 bis c.p. per inadempimento agli obblighi divorzili (Giudice Alessandra Ferrigno)

Violazione degli obblighi di assistenza familiare: condanna per mancata corresponsione del mantenimento e disinteresse verso il figlio minore (Giudice Cristiana Sirabella)

Esclusione del reato di violazione degli obblighi familiari: mezzi di sussistenza e valutazione penale (Giudice Cristiana Sirabella)

Violazione degli obblighi di assistenza familiare: criteri per l’accertamento dello stato di bisogno e dell’impossibilità ad adempiere (Giudice Antonio Palumbo)

Omesso mantenimento: la rilevanza delle dichiarazioni della persona offesa e la necessità di prova certa dell'inadempienza (Giudice Antonio Palumbo)

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
L'imputato, condannato in primo grado con la sentenza innanzi indicata, ha proposto appello per il tramite del difensore.

All'udienza odierna le parti hanno illustrato le proprie conclusioni ed il collegio, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, ha pronunciato la presente sentenza, mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.

Motivi della decisione
Ca.Pa. è stato ritenuto responsabile del reato innanzi indicato, con le precisazioni di cui alla sentenza di primo grado, sulla base degli atti acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, segnatamente delle dichiarazioni del coniuge Ca.Ma.

In particolare, emergeva che il Ca., dopo la separazione dalla moglie, intervenuta il 2014, a eccezione dei primi quattro mesi, da giugno a settembre 2014, in cui aveva versato la somma di euro 400,00 in luogo dei 600,00 che avrebbe dovuto versare, si era reso totalmente inadempiente agli obblighi di mantenimento imposti dal Tribunale civile.

Il Ca. aveva un lavoro, essendo dipendente della Scuola di Polizia di Caserta, tuttavia aveva totalmente omesso il versamento della somma di euro 600,00 a titolo di mantenimento del coniuge e delle figlie, non contribuendo neppure alle spese straordinarie.

La Ca. si arrangiava con piccoli lavoretti occasionali, i cui proventi erano del tutto insufficienti a garantirle il mantenimento, tanto da dover ricorrere all'aiuto di sua madre, percettrice di pensione.

Sulla scorta di tali emergenze il giudice di primo grado ha ritenuto provato in capo al Ca. il delitto innanzi indicato ai danni della moglie, non anche ai danni delle figlie, essendo costoro maggiorenni.

L'imputato ha proposto appello per il tramite del difensore.

Con il primo motivo di appello, il difensore chiede la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'acquisizione di documentazione relativa alle condizioni economiche dell'imputato e, per conseguenza, l'assoluzione dell'imputato non essendovi prova della volontarietà della condotta di inosservanza degli obblighi di assistenza familiare.

Deduce, sul punto, lo stato di incapienza patrimoniale del Ca., che gli ha impedito di adempiere agli obblighi nei confronti della moglie.

Con gli altri motivi di appello chiede riconoscersi le attenuanti generiche, ridursi la pena irrogata dal primo giudice, convertirsi la stessa in pena pecuniaria ed escludersi la subordinazione della pena sospesa al versamento della provvisionale.

L'appello proposto dal difensore dell'imputato è infondato.

La sentenza impugnata contiene un'esposizione esaustiva e puntuale degli elementi acquisiti e una ricostruzione dell'accaduto logica e aderente a detti elementi. Il collegio ritiene che le valutazioni operate dal giudice di primo grado, proprio perché aderenti agli elementi di prova acquisiti e accurate nell'individuazione del significato probatorio di questi elementi, siano pienamente condivisibili e per gran parte offrano già risposta alle critiche mosse con l'atto di impugnazione. Quanto al primo motivo:

- Va premesso che il reato di cui all'art. 570 c.p. è reato a dolo generico, per la cui configurabilità basta la coscienza e volontà dell'inadempimento (Cass. Sez. VI, sentenza n. 785 del 22.12.2010).

- Il dolo è escluso solo quando l'imputato dimostri di aver fatto tutto il possibile per adempiere (Cass. Sez. VI, sentenza n. 13144 dell'1.3.2022) e di essere nell'impossibilità assoluta di rispettare i propri obblighi perché l'adempimento, pur non rendendolo totalmente indigente, gli impedirebbe tuttavia di condurre una vita dignitosa (Cass. Sez. VI, sentenza n. 37576 del 15.6.2022).

- Nel caso di specie, risulta la condotta violatrice degli obblighi di assistenza familiare, non avendo l'imputato versato alcunché per garantire il mantenimento del coniuge, così facendole mancare i mezzi di sussistenza.

- La documentazione prodotta dal difensore e acquisita dalla Corte non vale a ritenere giustificato, nei termini descritti dalla giurisprudenza di legittimità, il perdurante e reiterato comportamento omissivo del Ca.

- A ben vedere, l'assottigliamento della sua retribuzione, colpita da atti di pignoramento presso terzi è ascrivibile a una ricorrente abitudine di non adempiere ai propri impegni di natura economica, venendo in rilievo inadempimenti di natura fiscale e una esposizione debitoria proprio nei confronti del coniuge, verosimilmente (il dato non è ricavabile dall'analisi degli atti prodotti) riconducibile all'inosservanza degli obblighi di assistenza familiare.

- In sostanza, il Ca. ha gestito in modo non oculato le sue risorse finanziarie di dipendente statale, sottraendosi sistematicamente ai suoi doveri contributivi, verso lo Stato e verso il coniuge separato.

- Si è peraltro al cospetto di un assegno di mantenimento di valore assai modesto (appena 200,00 euro al mese), la cui corresponsione sarebbe stata compatibile con le pur dedotte ristrettezze economiche dell'appellante, il quale, viceversa, non ha mai mostrato un contegno collaborativo e di buona fede, non versando neppure cifre inferiori a quella dovuta e omettendo di richiedere al giudice civile una revisione dell'entità del suo obbligo.

- Si è in presenza, dunque, di un disinteresse totale, pervicace e doloso.

- Va aggiunto che il pignoramento di somme in favore del coniuge non interrompe la permanenza del delitto de quo, vuoi perché manca la prova che si trattasse proprio delle somme dovute per il mantenimento, vuoi perché in ogni caso afferisce al pregresso, a fronte di un inadempimento perdurante.

Quanto agli altri motivi:

Va rilevato che le circostanze attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati e non preventivabili, che appaiono però in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena. La ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62 bis c.p. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, al fine di assicurare il rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e di finalità rieducativa della pena. Dette attenuanti, quindi, presuppongono l'esistenza di elementi "positivi", intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall'applicazione dell'art. 133 c.p.

In concreto, questa valutazione può essere fatta tenendo conto sia degli elementi indicati nell'art. 133 c.p. che di altri parametri di giudizio (Cass. pen., Sez. I, 1/10/1986-Esposito; Cass. pen. 4 marzo 2019, n. 9299, rv. 275640), ma non è comunque necessaria nemmeno una valutazione di tutti i possibili elementi, purché vengano individuati con ragionevolezza i parametri che si ritengono più rilevanti (Sez. I 6/10/1995-Biondo). E' comunque da escludere che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche costituisca un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto (v. assenza di precedenti penali); essa richiede sempre elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parole (Sez. I C.c. 22/9/1993-Stelitauo, ma cfr. anche sez. I 19/10/1992 Gennuso che ha riaffermato l'insussistenza nel nostro ordinamento di una presunzione di meritevolezza delle attenuanti generiche; v. anche Cass. pen. 30 agosto 2017, n. 39566, rv. 270986; 21 giugno 2021, n. 24128, rv. 281590).

Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza (cfr. Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini già Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace, Rv. 245241 e più di recente Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694). L'elaborazione giurisprudenziale è del resto normativamente codificata dall'art. 62 bis c.c.p. che esclude la possibilità di porre a fondamento della concessione delle attenuanti generiche la sola incensuratezza dell'imputato.

Nel caso in esame non emergono elementi positivi da valorizzare per mitigare il trattamento sanzionatorio, anzi, si è al cospetto di una condotta antigiuridica che si snoda in un lunghissimo arco temporale e che si connota per la totale indifferenza ai bisogni dell'avente diritto.

La pena inflitta dal giudice di primo grado appare più che congrua all'entità del fatto, essendosi il giudice attestato su una pena prossima al minimo edittale. Deve condividersi la scelta del Tribunale di subordinare la sospensione condizionale della pena al versamento della provvisionale, essendo necessaria l'adozione di strumenti coercitivi per ottenere dal Ca. il rispetto degli obblighi che gravano su di lui e che ha mostrato di non voler rispettare per tanti anni.

Una spontanea corresponsione delle somme dovute appare oltremodo improbabile, a fronte di un soggetto che è aduso a non pagare i suoi debiti.

Per le stesse ragioni non v'è spazio per la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, dovendosi fondatamente temere che anche la relativa obbligazione sarebbe destinata a rimanere inadempiuta.

Sul punto, Cass. Pen., Sezione V, Sentenza n. 44402 del 10.10.2022: "In tema di sostituzione di pene detentive brevi con sanzioni pecuniarie, pur potendo beneficiare della sostituzione colui che si trovi in disagiate condizioni economiche, il giudice può respingerne la richiesta nel caso in cui, in base ad elementi di fatto, sia possibile esprimere un giudizio sulla solvibilità del reo con prognosi negativa in ordine alla capacità di adempiere".

La sentenza impugnata va pertanto confermata con condanna dell'appellante alle spese del presente grado di giudizio e a quelle anticipate dalla parte civile, che si liquidano come in dispositivo e che devono essere versate in favore dell'Erario, essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
letto l'art. 605 c.p.p., conferma la sentenza n. 2772/19 emessa dal Tribunale di Napoli Nord in composizione monocratica in data 25.9.2019, nei confronti di Ca.Pa., appellata dall'imputato, che condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.

Condanna Ca. alla rifusione delle spese anticipate dalla costituita parte civile per il presente giudizio che liquida in euro 630,33, oltre spese forfetarie nella misura del 15 per cento, Iva e Cpa, da versare allo Stato.

Così deciso in Napoli il 12 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.

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