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Violazione degli obblighi di assistenza familiare: criteri per l’accertamento dello stato di bisogno e dell’impossibilità ad adempiere (Giudice Antonio Palumbo)

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Tribunale Napoli sez. VI, 21/04/2022, (ud. 28/03/2022, dep. 21/04/2022), n.3220

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p., l’inadempimento parziale non esclude la configurabilità del reato, purché sia accertata la mancanza di mezzi di sussistenza per i soggetti beneficiari. La condotta omissiva è scriminata solo da una situazione di assoluta, incolpevole e persistente incapacità economica dell’obbligato, la cui prova rigorosa incombe esclusivamente su quest’ultimo. L’onere del mantenimento dei figli grava proporzionalmente su entrambi i genitori, ma eventuali interventi di terzi o aiuti pubblici non escludono la sussistenza dello stato di bisogno.

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Violazione degli obblighi di assistenza familiare: criteri per l’accertamento dello stato di bisogno e dell’impossibilità ad adempiere (Giudice Antonio Palumbo)

Omesso mantenimento: la rilevanza delle dichiarazioni della persona offesa e la necessità di prova certa dell'inadempienza (Giudice Antonio Palumbo)

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
L'imputato in epigrafe è stato tratto, nelle forme della citazione diretta, innanzi al giudizio del Tribunale di Napoli in composizione monocratica per rispondere del reato ascrittogli giusto decreto del P.M. datato 12.12.2018.

Il Giudice Dott. D'A.Sa. della XI Sezione Penale di questo Tribunale, dopo aver disposto all'udienza del 04.03.2020 la trasmissione del fascicolo al Presidente Coordinatore, dava lettura alla successiva udienza del 18.03.2020 del provvedimento di assegnazione a questo Giudice per l'udienza del 30.11.2020.

A seguito di rinvio disposto tramite decreto di differimento del 2.11.2020, all'udienza del 10.05.2021 - dichiarata l'assenza dell'imputato ed ammessa la costituzione di Parte Civile della Sig.ra Pe.Va. - si dichiarava aperta la fase dell'istruttoria dibattimentale, appurata l'assenza di questioni o eccezioni preliminari. Le parti avanzavano le rispettive richieste di mezzi di prova che il Giudice, valutatene la pertinenza e la rilevanza ai fini della decisione, ammetteva nei sensi e nei limiti di cui all'ordinanza resa a verbale, disponendo infine - data l'assenza dei testi - rinvio all'udienza del 29.11.2021.

In tale ultima data veniva escussa la persona offesa Pe.Va. e, alla successiva udienza del 28.03.2022, il teste di parte civile Pe.An., procedendosi infine all'esame dell'imputato con conseguente chiusura dell'istruttoria dibattimentale e conclusioni delle parti. Il Giudice si ritirava, quindi, in Camera di Consiglio, decidendo come da dispositivo di cui si dava pubblica lettura.

Motivi della decisione
Rileva il Giudicante che, alla stregua delle emergenze istruttorie univoche nel senso della fondatezza dell'asserto accusatorio, debba essere formulato giudizio di penale responsabilità dell'imputato dal momento che il reato ascrittogli risulta integrato in ogni suo elemento ontologico e strutturale.

Decisive in proposito devono ritenersi le dichiarazioni rese dai testi in sede di istruttoria dibattimentale, in particolare da parte della persona offesa Pe.Va.. Quest'ultima all'udienza del 29.11.2021 dichiarava di essere stata sposata con l'imputato Pe.Gi. e che dal matrimonio sono nate il 22.09.2013 due gemelle, Pe.So. e Am.. Sopraggiunto lo stato di crisi coniugale e la conseguente separazione, veniva posto a carico del Pe. un assegno di mantenimento di Euro 550,00. Dall'agosto del 2017 la Sig.ra Pe. lamenta la mancata corresponsione di detto assegno, in forma spesso totale e talvolta parziale, determinante la mancanza dei mezzi di sussistenza in danno della stessa e delle figlie minori. Dichiara di aver sollecitato l'adempimento dell'obbligo di pagamento e di visita anche tramite avvocato, come risulta dai telegrammi versati in atti su accordo delle parti - pertanto utilizzabili ai fini della decisione - senza riuscire però a rintracciare il Pe., disinteressato tanto al rispetto degli orari di visita quanto alle spese ordinarie e straordinarie in favore delle bambine.

Quanto allo svolgimento di attività lavorativa la stessa afferma di aver lavorato per un periodo in una farmacia, ma di essere attualmente disoccupata, mentre il Pe. già dall'inizio del periodo in contestazione lavorava a contratto presso varie strutture.

Risulta doveroso vagliare preliminarmente le suddette dichiarazioni alla luce della peculiare posizione processuale rivestita dalla persona offesa. La Giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha infatti affermato il principio per cui, pur non applicandosi alle dichiarazioni della p.o. le regole di cui ai commi tre e quattro dell'art. 192 c.p.p. - richiedenti la presenza di riscontri esterni - occorre pur sempre, in considerazione dell'interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone (Sez. Un. n. 41461/2012). E da ritenersi, pertanto, che l'accusa della vittima sia, di per sé, una fonte di prova a tutti gli effetti che il Giudice è tenuto a sottoporre ad un accertamento ancor più rigoroso alla luce dell'insondabile pulsione e tensione emotiva che inconsapevolmente può indurre la persona a "distorcere" strumentalmente la realtà dei fatti al fine di fornire una versione degli stessi interessata e fuorviante. Ci si preoccupa, cioè, di garantire che le dichiarazioni di accusa della vittima siano il più possibile genuine, "disinteressate" e quindi intrinsecamente attendibili, ma allorché sia provato tale loro carattere le dichiarazioni della persona offesa, pur se astrattamente non equiparabili a quelle del testimone estraneo, possono fondare autonomamente - senza cioè la necessità di riscontri esterni - una pronuncia di condanna.

Ciò chiarito deve subito sottolinearsi che non può farsi discendere una inattendibilità intrinseca da eventuali discordanze o imprecisioni su fatti marginali della vicenda, in quanto anche qualche contraddizione può non essere rilevante allorché l'impianto narrativo sia nel suo complesso logico e coerente. Una versione dei fatti, d'altronde, affatto identica e senza incertezze, che, come un cuneo inarrestabile, superi il lasso cronologico e tutte le fasi processuali ben può apparire sospetta, perché magari studiata "a tavolino". Insomma, ben può essere ritenuta credibile ed attendibile la persona offesa che, pur con qualche comprensibile e giustificabile tentennamento, mantenga ferma la sua versione accusatoria nei punti essenziali della vicenda che l'hanno, suo malgrado, vista protagonista. Può allora dirsi che l'attendibilità del dichiarante può essere affermata allorché la versione accusatoria presenti oggettive lacune, spiegabili però sotto il profilo della logica e del dato fattuale.

Orbene le dichiarazioni rese nel caso di specie sono apparse in sé lineari, credibili, coerenti e non sorrette da eccessivo rancore nei confronti dell'imputato, né caratterizzate da "amnesie tattiche" e/o opportunistiche rimodulazioni in corso d'opera a seconda delle contestazioni che potevano esserle mosse di talché possono essere ritenute attendibili, con le implicazioni che un tale giudizio ha sulla disamina della responsabilità dell'imputato.

La condotta tenuta dall'imputato, quale emerge dalle suddette dichiarazioni, integra pertanto la fattispecie tipica di reato di cui all'art. 570, tanto nella sua componente morale che economica. Trattasi sotto il primo aspetto, infatti, di una condotta tipica indifferenziata rispetto al numero e alla qualità dei soggetti lesi, mirando il Legislatore alla tutela della famiglia quale tradizionale formazione sociale costituzionalmente garantita distinta dai suoi componenti. Attesa l'impossibilità di frazionare i beni tutelati (convivenza e nel caso di specie morale familiare), la condotta dell'imputato andrà pertanto valutata avendo riguardo alla tutela della famiglia nella sua unitarietà. In particolare, la lesione all'ordine e alla moralità della famiglia è stata causata dalla condotta dell'imputato di omessa assistenza non solo materiale, ma in questa sede anche morale, affettiva, in termini di interesse verso la crescita e la formazione delle figlie in un progetto comune da portare avanti con l'altro genitore.

Come dichiarato dalla Pe. all'udienza del 29.11.2021 lo stesso non ha continuato dopo la fine della convivenza a coltivare rapporti affettivi con le figlie, mostrandosi "completamente assente" "sia assistenzialmente che economicamente" nonostante continue sollecitazioni alle quali si negava, non rispettando gli orari di visita stabiliti dal Tribunale civile. Affermazioni che trovano conferma nella testimonianza resa all'udienza del 20.03.2022 dal padre della p.o., Pe.An., in particolare nel momento in cui dichiarava di aver dovuto "collaborare" con la figlia a livello economico ma anche organizzativo, tenendo con sé le bambine data l'assenza di qualsivoglia aiuto da parte del Pe. che "anche nei giorni di calendario non è mai venuto". Tale condotta evidenzia il mancato rispetto delle statuizioni civili che esula da questa sede, ma che rileva invece in chiave di condotta contraria all'ordine e alla morale della famiglia consistente nel sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale.

L'imputato all'udienza del 28.03.2022 dichiarava a sua difesa di non aver potuto vedere le figlie per un periodo di cinque mesi per volontà della Sig.ra Pe., affermando poi di essere stato "sei mesi senza vedere le bambine". Affermazioni che non trovano riscontro nei telegrammi versati in atti su accordo delle parti - pertanto utilizzabili ai fini della decisione - nei quali la Pe. lamenta "rifiuti di prendere le bambine nei giorni in cui lavoro" "nonostante sei stato avvisato tre giorni fa" del 24 e 31 maggio 2018, nelle dichiarazioni rese dalla stessa e dal padre in sede di istruttoria dibattimentale, nonché nella circostanza del trasferimento delle bambine ad opera della Pe. stessa nell'abitazione dove attualmente vive l'imputato, come da quest'ultimo affermato in sede di esame dibattimentale.

Quanto alla componente tipica del reato in esame costituita della mancata assistenza economica comportante la mancanza dei mezzi di sussistenza ai discendenti e/o al coniuge, il Giudice è tenuto a verificare la sussistenza dello stato di bisogno dei suddetti soggetti, nonché l'assenza della causa di giustificazione data dall'impossibilità ad adempiere dell'obbligato.

Premesso che dall'ordinanza presidenziale versata in atti del 12.04.2017 risulta posto a carico del Pe. l'obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento pari ad Euro 550,00 di cui 200,00 per la moglie e 350,00 totali per le due figlie, dall'esame dell'estratto conto intestato alla p.o. depositato dalla parte civile, nonché dai postagiro versati in atti ad opera della difesa stessa, emergono a favore della Pe. esclusivamente pagamenti parziali nel periodo in contestazione che va dall'agosto del 2017 con condotta perdurante. L'adempimento parziale dell'obbligo di mantenimento, come da costante orientamento giurisprudenziale, non esclude la configurabilità del reato in esame, a prescindere da ogni accertamento sulla sufficienza della somma prestata in concreto alla sussistenza delle persone offese (Cass. n. 27989/2014).

E' bene premettere, tuttavia, che la mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento non è in grado ex se di dimostrare la mancanza dei mezzi di sussistenza richiesta ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice per quanto attiene alla posizione della ex coniuge. Netta è infatti la distinzione tra la nozione penale di mezzi di sussistenza e quella civile di mantenimento, essendo ricompreso nella prima ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell'obbligato nel momento storico in cui la condotta di inadempimento si verifica, prendendo in considerazione in via subordinata anche i c.d. mezzi secondari secondo Giurisprudenza più recente. Questi non si identificano, pertanto, con l'assegno di mantenimento, che assolve una funzione assistenziale in chiave solidaristica, al fine di conservare il tenore di vita pregresso dei coniugi e dei figli, prescindendo dal loro stato di bisogno (men che meno può esserci una sovrapposizione con l'assegno divorzile che, intervenendo col venir meno del vincolo matrimoniale, persegue oggi una funzione compensativo perequativa e solo in via residuale assistenziale).

La fattispecie di reato in esame è invece volta alla tutela dei più elementari vincoli di solidarietà nascenti dal rapporto di coniugio e sanziona unicamente l'omessa assistenza che abbia l'effetto di fare mancare i mezzi di sussistenza costituenti lo stretto necessario per la sopravvivenza (Sez. Un. 23866/2013).

La suddetta non coincidenza tra mezzi e mantenimento rende necessario per il coniuge l'accertamento della sussistenza dello stato di bisogno nel caso concreto da parte di questo Giudice, non necessariamente presente in caso di mero inadempimento dell'obbligo economico imposto dal giudice civile. Dovrà, pertanto, procedersi ad accertare se il coniuge sia concretamente rimasto privo dei mezzi di sussistenza a causa della mancata corresponsione, in quanto privo di redditi propri.

Ebbene dalla testimonianza resa dalla persona offesa emerge che questa abbia svolto attività lavorativa presso una farmacia; tuttavia, tale circostanza non permette di superare il vaglio della sussistenza dei mezzi di sostentamento. La stessa risulta infatti temporanea, in quanto svolta dal 2018, dunque successivamente al perfezionamento della condotta di reato, e già conclusasi al momento della deposizione della persona offesa all'udienza del 29.11.2021. Dimostrazione ne è l'aiuto economico corrisposto dal padre della Pe. per lei e per le figlie, come da lui stesso dichiarato all'udienza del 20.03.2022, senza voler considerare poi l'intervenuta ammissione al patrocinio gratuito a spese dello Stato a favore della Pe. come da provvedimento di questo Giudice n. 73 del 2022.

Per quanto attiene, invece, allo stato di bisogno delle figlie, la minor età del destinatario dei mezzi di sussistenza rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva dello stato di bisogno (Cass. n. 17766/2019). L'accertamento del Giudice risulta, pertanto, meno rigoroso in ragione dell'operatività della presunzione semplice per cui il minore di età non è dotato di capacità lavorativa e di conseguenza dei mezzi di sussistenza necessariamente garantiti dall'assegno di mantenimento posto a carico del genitore, salva prova contraria. Trattasi, dunque, di una presunzione di stato di bisogno che non rende necessaria la relativa prova e che neanche viene esclusa nell'ipotesi in cui altro soggetto provveda a fornire i mezzi di sussistenza. Concordemente la Giurisprudenza, infatti, non esclude la configurabilità del reato anche qualora altri congiunti o l'altro genitore coobbligato provvedano in sostituzione del genitore inadempiente, men che meno nel caso in cui vi siano elargizioni a carico della pubblica assistenza o sia il minore stesso a provvedere comunque alle proprie esigenze primarie mediante ulteriori fonti di reddito (Cass. 53607/2014). Può dirsi, dunque, che lo stato di bisogno debba essere strettamente valutato in relazione al rapporto tra beneficiario e obbligato, divergendo nettamente per quanto detto la posizione del coniuge e dei figli minori.

L'onere del mantenimento dei figli, del resto, deve essere equamente ripartito tra i genitori, per cui seppure altri soggetti coobbligati, obbligati in via subordinata o addirittura non obbligati affatto si sostituiscano al genitore obbligato ma inadempiente nel fornire i mezzi di sussistenza, tale circostanza non esclude la sussistenza dello stato di bisogno in cui versa la persona offesa, rappresentandone piuttosto la prova (Cass. 27051/2008).

Irrilevante ai fini dell'esclusione della penale responsabilità dell'imputato risulta dunque sia l'assistenza prestata dal padre della Pe., quanto la circostanza - evidenziata dalla difesa - che la stessa percepisca assegni familiari, disoccupazione o eventuali ed ulteriori benefit del Comune.

Posta la sussistenza dello stato di bisogno - in re ipsa per le minori e riscontrata nel caso concreto per la Sig.ra Pe. - è necessario procedere alla verifica circa l'effettiva capacità economica dell'obbligato di provvedervi.

I reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare possono infatti essere scriminati unicamente dallo stato di necessità, laddove il soggetto agente si sia trovato in una situazione di assoluta, incolpevole e persistente incapacità economica tale da non consentirgli alcun margine di scelta per far fronte all'obbligazione, finendo così per elidere di riflesso anche la volontarietà della condotta tenuta. Una condizione di ristrettezza economica, anche grave, non esime dal provvedere alle esigenze della famiglia, anche a costo di sacrificare ulteriormente la propria condizione personale. Incapacità economica che deve peraltro essere, oltre che assoluta ed incolpevole, anche persistente, dovendosi estendere per tutto l'arco temporale della violazione (Cass. 33997/2015).

Circa la prova dell'impossibilità ad adempiere questa, dunque, non solo deve essere rigorosa, non essendo sufficiente la mera allegazione dello stato di disoccupazione da parte dell'obbligato, ma deve anche riguardare tutto il periodo dell'inadempimento in quanto assoluto, incolpevole e persistente (Cass. 50075/2016). Parimenti non è ritenuta idonea la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici, la generica allegazione di difficoltà ad adempiere, la semplice documentazione formale del proprio stato di disoccupazione o, ancora, l'intervenuta ammissione al patrocinio a spese dello Stato. A tal ultimo proposito si riporta Cass. n. 10085 del 2005 che ha rilevato come la ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sussistente nel caso di specie per l'imputato Pe., è prevista anche per soggetti che dispongano di un reddito non meramente simbolico, sebbene piuttosto contenuto, e che il provvedimento di ammissione si basa sull'autocertificazione dell'interessato, salvi i controlli successivi, per cui non può comprovare impossibilità ad adempiere.

Ebbene in sede dibattimentale la persona offesa dichiarava all'udienza del 29.11.2021 di essere a conoscenza dello svolgimento di attività lavorativa a contratto presso varie strutture da parte del Pe. già dall'inizio del periodo in contestazione.

In sede di esame dell'imputato del 28.03.2022 lo stesso ha dichiarato di aver lavorato "saltuariamente", mostrandosi impreciso nel ricostruire il proprio storico lavorativo ("non me li ricordo i periodi bene, precisi adesso dettagliati, non vi so dire con precisione però io lavoravo"). Ha poi dichiarato di essere stato lavoratore dipendente e di aver pertanto percepito un reddito, salvo licenziamento del quale attribuisce la responsabilità alla condotta della ex moglie che si recava presso il luogo di lavoro. Ammetteva di non aver sempre corrisposto la cifra del mantenimento per intero affermando: "perché io poi perdendo il lavoro quando è venuta fuori al ristorante" "ho dovuto arrangiarmi".

Dagli estratti previdenziali dell'I.N.P.S. depositati dalla difesa di parte civile emerge effettivamente un'attività lavorativa saltuariamente svolta, ma pur sempre sussistente, escludendosi dunque nel caso di specie la persistenza dell'impossibilità di adempimento richiesta ai fini dell'esclusione dell'antigiuridicità - e di riflesso della colpevolezza - della condotta incriminata.

Posto che il periodo in contestazione ha inizio nell'agosto del 2017, rilevante ai fini di questo giudizio risulta il suddetto estratto conto previdenziale del 26.02.2019 dal quale emerge lo svolgimento di attività da lavoro dipendente part-time dal 02.03.2017 al 31.10.2017 e dal 16.06.2018 al 30.06.2018 rispettivamente alle dipendenze delle aziende "Te.Pa." e "Ditta Cu.", nonché da lavoro dipendente dallo 07.12.2017 al 31.12.2017 per la "S.r.l. Un.".

Esclusa la sussistenza di uno stato di incapacità ad adempiere dell'imputato, nessun dubbio può residuare circa la consapevolezza e la volontarietà della condotta di sottrazione dagli obblighi di assistenza morale e materiale in danno della propria famiglia, integrando così la fattispecie incriminatrice p.p. dall'art. 570 c.p. anche nel suo elemento soggettivo del dolo generico.

In termini di quantificazione della pena all'interno della forbice edittale - nell'ottica del doveroso adeguamento della sanzione al fatto concreto - possono essere concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche, per cui risulta equa l'applicazione in concreto di una pena pari a mesi uno di reclusione ed Euro 300 di multa così ridotta di 1/3 ex art. 62 bis c.p. la pena base individuata in mesi uno e giorni quindici di reclusione ed Euro 450,00 di multa. Ex lege segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

Legittima risulta poi la concessione della sospensione condizionale della pena, non applicandosi nel caso di specie una pena superiore agli anni due di reclusione e non ostando alla concessione del beneficio le risultanze del certificato del Casellario Giudiziale versato in atti e datato 11.12.2019. Da quest'ultimo emerge, infatti, una precedente contravvenzione con condanna alla ammenda pari a 600,00 Euro del 27.06.2014 - pena sospesa - e una condanna alla multa di Euro 300,00 del 21.06.2018 per lesione personale e minaccia in continuazione. Non risultano superati, pertanto, nel caso di specie i limiti alla concessione di una seconda sospensione condizionale della pena di cui all'art. 163 c.p., né quello della precedente condanna a pena detentiva per delitto di cui al n. 2 del secondo comma dell'art. 164 c.p. per la concessione del beneficio stesso. Segnatamente questo Giudice presume, infine, che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriore reati alla luce della scarsa gravità del reato, desunta dagli indici di cui all'art. 133 c.p. quali modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionati, nonché intensità del dolo o della colpa che si rilevano essere di lieve portata.

Il Pe. va, inoltre, condannato al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio per l'assenza di univoci parametri di valutazione - in favore della costituita parte civile, nonché alla rifusione in favore della stessa delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio liquidate invece - equitativamente - come da dispositivo, disponendosi il pagamento in favore dello Stato anticipatario. L'impossibilità di quantificare il danno, anche in misura parziale, comporta infine il rigetto della richiesta di provvisionale in tal senso avanzata.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533,535 e 538 cpp dichiara Pe.Gi. responsabile del delitto ascrittogli e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge. Condanna, altresì, Pe.Gi. al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio - in favore della costituita parte civile, nonché alla rifusione in favore della stessa delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio che liquida in complessivi Euro 862,00 (ottocentosessantadue,00) di cui Euro 700,00 per onorario ed Euro 112,50 per spese, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge disponendone il pagamento in favore dello Stato anticipatario. Rigetta la richiesta di provvisionale avanzata dalla parte civile. Indica in giorni trenta il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza.

Così deciso in Napoli il 28 marzo 2022.

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2022.

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