Tribunale Nola, 09/09/2024, n.1274
Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi ex art. 572 c.p. è configurabile quando le condotte aggressive, minacciose e vessatorie, valutate nel loro insieme, integrano un sistema di vita connotato da sofferenze e umiliazioni abituali, caratterizzate da durevolezza, continuità e sistematicità. L’elemento soggettivo del dolo generico si sostanzia nella coscienza e volontà dell'agente di sottoporre la vittima a tali condizioni. La contestata aggravante dell’aver commesso il reato in presenza di minori si configura quando questi siano spettatori inermi delle condotte lesive, subendo indirettamente le conseguenze del clima di sopraffazione.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto emesso dal g.u.p. sede il 13 dicembre 2022 L. Ci. venne rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere del reato ipotizzato a suo carico a suo carico nell'imputazione trascritta in epigrafe.
All'udienza del 14 marzo 2023, dichiarata l'assenza dell'imputato, regolarmente citato e non comparso senza addurre alcuna giustificazione, il processo venne rinviato per l'assenza del giudice assegnatario, dottoressa Ra.Ma.
Alla successiva udienza del 9 maggio 2023 il g.o.t., letto il decreto presidenziale n. 39/23, con il quale era stata disposta la riassegnazione allo scrivente dei processi provenienti da udienza preliminare già pendenti sul ruolo della dottoressa de.Ma., trasferita, medio tempore, ad altra sede giudiziaria, rimise le parti davanti a questo giudice per l'udienza del 13 novembre 2023, nel corso della quale, aperto il dibattimento ed ammesse le prove indiate dalle parti, venne acquisita al fascicolo per il dibattimento, con l'accordo delle stesse, l'annotazione di p.g. redatta l'11 agosto 2020 dagli appuntati Ca.An. e Lu.Sa., in servizio presso la Stazione CC di San Vitaliano; il p.m. rinunciò, quindi, all'esame del teste An., revocata l'ammissione del quale il giudice rinviò il processo, per l'esame degli altri testi di lista del p.m., al 29 gennaio 2024, data in cui la trattazione del processo venne nuovamente differita per la mancata comparizione dei suddetti testimoni. Alla successiva udienza del 18 marzo 2024 vennero acquisiti al fascicolo per il dibattimento, con l'accordo delle parti, i verbali delle sommarie informazioni rese alla p.g., nel corso delle indagini, da Fr. e Bi.Co., figli dell'imputato e della persona offesa, e dal fratello di quest'ultima, Lu.Fo.; il p.m. dichiarò, quindi, di rinunciare all'esame dei suddetti testimoni ed il giudice, nulla osservando la difesa, revocò l'ammissione degli stessi.
Venne chiamata a deporre, quindi, la persona offesa Ma.Fo., sentita la quale il giudice rinviò il processo, per l'eventuale esame dell'imputato e per la discussione, al 10 giugno 2024.
Nel corso dell'udienza odierna, infine, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, lo scrivente ha invitato le parti a formulare ed illustrare le proprie conclusioni, ascoltate le quali, dopo essersi ritirato in camera di consiglio per deliberare, ha reso pubblica la sentenza dando lettura del dispositivo allegato al verbale.
Prima di esporre - e per meglio comprendere - le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione, è senz'altro utile dar conto degli esiti dell'istruttoria dibattimentale, ripercorrendola nei suoi tratti essenziali.
La persona offesa Ma.Fo., escussa, come detto, all'udienza del 18 marzo 2024, ha dichiarato che fin dall'inizio della relazione coniugale, nel 2001, il Ci., che già negli anni precedenti, nel corso del loro fidanzamento, aveva manifestato la sua indole violenta e prevaricatrice, l'aveva costantemente maltrattata, anche in presenza dei due figli nati dal loro matrimonio, insultandola ed aggredendola di continuo (cfr. verbale del 18.3.2024, fi. 6: Giudice - Lei ha detto: "mi metteva le mani addosso". In che modo? Come la colpiva? Con che frequenza accadeva e in quale periodo e fino a quando è accaduto? Teste - Il periodo... cioè noi litigavamo a tavola e quindi lui alzava le mani. Giudice - No. E' successo una volta, cinque, dieci, per un mese, per un anno, per dieci anni? Teste: No, capitava sempre, sempre).
La Fo. ha riferito, più in particolare, che l'imputato, ogniqualvolta tornava a casa dal lavoro, quasi sempre ubriaco, obnubilato dalla sua morbosa gelosia prendeva ad inveire contro di lei, con i pretesti più disparati, accusandola di essere una puttana, minacciando di ucciderla e mettendole le mani addosso.
La persona offesa ha tenuto a precisare di non essersi mai recata in ospedale per farsi curare, in seguito alle reiterate aggressioni consumate ai suoi danno dal Ci., per paura delle sue possibili reazioni (ibidem: P.M. - Qualche volta siete stata costretta ad andare in ospedale? Teste - No, non sono andata perché... proprio per paura che potesse fare qualcosa).
Il copione aveva continuato a ripetersi, sia pure (per ovvie ragioni) con minor frequenza, anche dopo che il Ci., circa dieci anni prima, era andato a lavorare all'estero, precisamente a Malta.
La lontananza forzata non aveva attenuato, infatti, l'aggressività dell'imputato, che ogni qualvolta tornava in Italia, all'inizio con cadenza quindicinale, poi una volta al mese, rientrando a casa ubriaco dal bar, si lasciava andare a delle scenate di gelosia, insultandola, picchiandola e minacciando di farla sparire.
Tale incresciosa condizione di vita si era protratta in maniera pressoché ininterrotta, come detto, per tutto il corso della relazione coniugale, cessando solo nel momento in cui la Fo. (nell'agosto del 2020) si era decisa, finalmente, a sporgere denuncia nei confronti di suo marito.
Dopo di allora, infatti, l'imputato aveva cambiato atteggiamento e la situazione, tra le mura domestiche, sia pure con qualche occasionale litigio, si era notevolmente rasserenata (fi. 8: Giudice - Quindi diciamo che si è ricomposta un po' la situazione? Teste - Sì, sì. Si è calmato proprio, cioè pure che litighiamo ma non è come prima). Invitata a chiarire perché mai avesse subito in silenzio, per quasi vent'anni, le violenze, fisiche e verbali, di suo marito, prima di denunciarlo, la Fo. ha dichiarato, tra le lacrime, di essere stata frenata dalla paura delle ritorsioni che il Ci. avrebbe potuto attuare nei suoi confronti, affermando di aver temuto, in particolare, che lo stesso potesse cacciare di casa i suoi genitori, entrambi malati, che abitavano con loro, e confermando, in ogni caso, che il suo rapporto con l'imputato, negli ultimi anni, dopo la denuncia, era notevolmente migliorato.
Il racconto della persona offesa trova pieno riscontro nelle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini, dai suoi due figli, Fr. e Bi.Ci., e da suo fratello Lu.Fo., testimoni diretti di molte delle aggressioni subite dalla stessa per mano di suo marito.
Nelle sommarie informazioni rese negli uffici della Stazione CC di Acerra la sera dell'11 agosto 2020 (pienamente utilizzabili ai fini della decisione - è appena il caso di precisarlo - in quanto acquisite al fascicolo per il dibattimento con l'accordo delle parti), Bi.Ci. parlò, innanzitutto, di quel che era accaduto poco prima, verso le 21.30, nella sua abitazione, quando sua madre, che era già andata a letto, avendo sentito suonare il suo telefono cellulare, che si trovava in cucina, era andata a rispondere ed aveva conversato con un suo collega di lavoro, suscitando la furibonda reazione di suo padre, che aveva preso ad inveire contro di lei, accusandola, come al solito, di intrattenere relazioni con altri uomini, chiamandola "puttana", minacciando di tagliarle la gola ("falla stare zitta altrimenti la scanno come un maiale") ed alzando le mani per intimorirla.
Temendo che la situazione potesse precipitare, la ragazza si era interposta tra i suoi genitori, spalleggiata da suo fratello Francesco, unitamente al quale aveva provato a dividerli, ma senza successo, in quanto l'imputato, dopo essere stato colpito con un ceffone dalla Fo., "stufa degli insulti", l'aveva aggredita, scagliandosi, subito dopo, anche contro suo figlio, accorso in difesa della madre, ed afferrandolo per il collo. Bi.Co. e Fr. si erano, quindi, allontanati raggiungendo la madre, che aveva trovato rifugio in un'altra stanza, mentre il fratello della Fo., En., anch'egli presente in casa, aveva telefonato ai carabinieri.
La ragazza dichiarò, inoltre, che quella appena descritta era soltanto l'ultima di una serie di aggressioni consumate da suo padre ai danni di sua madre, che già in diverse altre occasioni era stata malmenata, in sua presenza, dal marito.
L'ultimo episodio era accaduto un mese prima, quando il Ci. aveva preso per il polso la Fo., insultandola; in altre circostanze, del resto, l'imputato aveva fatto "anche di peggio, picchiandola con schiaffi e pugni e mandando in frantumi il suo telefono cellulare, mentre prima di allora non aveva mai aggredito suo figlio, limitandosi a minacciarlo, quando interveniva in difesa della madre (papà si limitava a minacciarlo dicendo sempre lo stesso "ti scanno come un porco, ti ammazzo, vattene tu e tua madre'). Bi.Co. tenne a precisare, infine, di non essere mai stata "toccata" o anche soltanto insultata da suo padre, sebbene lo avesse "sempre rimproverato per il suo comportamento".
Fr.Ci., figlio secondogenito della coppia, anch'egli escusso la sera dell'11 agosto 2020, riferì, innanzitutto, che da diversi anni i rapporti tra i suoi genitori si erano incrinati a causa della morbosa gelosia di suo padre, il quale, lavorando all'estero e tornando a casa "solo per pochi giorni all'anno", dopo lunghi periodi di assenza, accusava la moglie di intrattenere relazioni con altri uomini.
Il ragazzo dichiarò, più in particolare, che negli ultimi tre anni i suoi genitori avevano litigato ogniqualvolta suo padre era rientrato da Malta e che in ciascuna di queste circostanze l'imputato aveva "alzato le mani" contro sua moglie (cfr. verbale di s.i.t. dell'11.8.2020, fi. 1: non c'è stato un solo fine settimana o una sola festività che abbiamo trascorso serenamente; hanno sempre litigato e mio padre purtroppo ha sempre alzato le mani a mia madre), la quale, pur avendo riportato, spesso, "vistosi segni" delle percosse subite, non aveva mai fatto ricorso alle cure mediche, né si era mai rivolta, se non in una sola occasione, un paio di anni prima, alle forze dell'ordine.
Tale triste canovaccio si era ripetuto anche negli ultimi giorni, in quanto suo padre, fin da quando, il 7 agosto 2020, aveva fatto rientro a casa per le ferie estive, aveva preso ad inveire contro sua madre, accusandola di utilizzare il lavoro come copertura per le sue supposte scappatelle, prendendola a schiaffi e stringendole anche, in una circostanza, le mani al collo.
11 ragazzo riferì, inoltre, che nei giorni precedenti, in due successive occasioni, l'imputato, nei suoi accessi d'ira contro la moglie, aveva minacciato di ucciderla.
L'ultimo episodio si era verificato quella sera stessa, verso le 21.30, quando suo padre, dopo aver insultato sua madre, accusandola di essere "sfaticata", l'aveva brutalmente aggredita, colpendola "con numerosi schiaffi al volto e violenti colpi al petto ed alle braccia", per poi scagliarsi anche contro di lui, spintonandolo ed invitandolo a farsi gli affari suoi, quando era intervenuto per allontanarlo.
Il Ci. ricordò, quindi, che già in altre due precedenti occasioni, nel periodo di Pasqua del 2019 e durante le festività natalizie del 2018, suo padre, nel momento in cui aveva provato ad interporsi tra lui e sua madre, lo aveva colpito "con un violento schiaffo", affermando, infine, che, per quanto lui, sua madre e sua sorella provassero a condurre un'esistenza normale, le continue intemperanze di suo padre avevano segnato in modo indelebile, ormai, la loro vita familiare, che nessuno di loro riusciva anche soltanto ad immaginare diversa ("cerchiamo di condurre la nostra vita normalmente anche se siamo coscienti che il nostro quotidiano è ormai segnato da tali eventi e purtroppo non riusciamo ad immaginare una realtà differenti).
Il fratello della persona offesa, Lu.Fo., escusso a sommarie informazioni dalla p.g. il 13 agosto 2020, riferì di aver assistito, negli ultimi tempi, a due aggressioni consumate dall'imputato, tra le mura domestiche, ai danni di sua sorella.
Il primo episodio si era verificato verso le nove di sera del 15 luglio 2020, quando il Ci., durante la cena, aveva preso ad insultare la moglie, visibilmente spossata, accusandola di essere stanca perché invece di recarsi al lavoro era andata a "fare la puttana", per poi scagliarsi contro di lei, colpendola con diversi pugni in testa, prima che i presenti intervenissero in suo aiuto, ponendo fine all'aggressione.
Il Fo. raccontò, inoltre, che la sera del giorno prima, il 12 agosto 2020, verso le 22,15, sua sorella aveva ricevuto la telefonata di un'amica e tanto era bastato per scatenare la scomposta reazione dell'imputato, che dopo essersi lasciato andare all'ennesima scenata di gelosia, accusando la moglie di sentirsi con altri uomini, di essere "una mala donna" e di prostituirsi anche con il suo datore di lavoro, l'aveva aggredita, afferrandole le mani e torcendole con forza, colpendola con diversi schiaffi al volto e all'orecchio e minacciando, infine, di ucciderla ("Ti ammazzo, ti devo affogare").
Erano intervenuti, anche in questo caso, lo stesso Fo. e gli altri familiari presenti, che si erano interposti tra i due, ponendo fine all'aggressione.
L'assunto accusatorio trova conforto, infine, nell'annotazione di p.g. della Stazione CC di San Vitaliano dell'11 agosto 2020 (anch'essa acquisita al fascicolo processuale con l'accordo delle parti e, dunque, pienamente utilizzabile ai fini della decisione), nella quale si legge, tra l'altro, che i militari operanti, portatisi verso le 22.15 presso l'abitazione della famiglia Ci., in via (...), ad Acerra, avevano trovato ad attenderli la persona offesa, che aveva riferito di essere stata aggredita, poco prima, da suo marito, allontanatosi, nel frattempo, dall'abitazione, mostrando loro i segni delle percosse ricevute, ancora ben visibili sul petto e sulla mano.
I figli della coppia, Fr. e Bi.Co., entrambi presenti in casa all'arrivo dei carabinieri, avevano confermato il racconto della madre, affermando di aver assistito all'aggressione, dovuta, a loro dire, "anche ad un abuso di alcol a tavola", e di aver provato a porre fine alla stessa, interponendosi tra i genitori, mentre il fratello della persona offesa, Luigi Fo., anch'egli testimone della lite, aveva contattato le forze dell'ordine.
Sulla scorta degli elementi di prova - chiari, univoci e concordanti - appena passati in rassegna, Lu.Ci. va riconosciuto senz'altro colpevole del reato a lui ascritto nel decreto di rinvio a giudizio.
La prova della responsabilità dell'imputato si fonda innanzitutto, com'è ovvio, sulle dichiarazioni rese a suo carico dalla persona offesa, la quale, pur affermando di essersi riconciliata con suo marito, che negli ultimi anni, dopo la denuncia, avrebbe, a suo dire, cambiato drasticamente atteggiamento nei suoi confronti, ha confermato di essere stata costantemente maltrattata, per quasi vent'anni, dal Ci., il quale, ottenebrato dalla sua morbosa gelosia (oltre che dalle bevande alcoliche, delle quali faceva abitualmente abuso), non aveva perso occasione per insultarla, minacciarla ed aggredirla, lungo tutto l'arco della loro convivenza, con i pretesti più banali ed anche, talvolta, senza alcuna apparente ragione.
Il racconto della Fo. - apparsa pienamente attendibile in quanto chiara, coerente e precisa nella narrazione dei fatti di causa, da lei esposti in modo pacato e sereno, senza tradire malanimo né tantomeno preconcetta ostilità nei confronti dell'imputato, con il quale non ha fatto mistero, anzi, come detto, di essersi riconciliata - trova pieno riscontro, del resto, come pure si è visto, nelle dichiarazioni dei suoi due figli, Fr. e Bi.Ci., e di suo fratello Lu., testimoni diretti, in svariate occasioni, delle aggressioni, fisiche e verbali, subite dalla stessa per mano del marito, nonché, con riferimento all'episodio dell'11 agosto 2020, nell'annotazione di p.g. redatta dai carabinieri intervenuti quella sera presso l'abitazione della famiglia Ci.
Ciò posto, va senz'altro affermata, come detto, la responsabilità del Ci. per il reato ipotizzato a suo carico nell'imputazione.
Il delitto incriminato nell'art. 572 c.p. costituisce, invero, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, una delle ipotesi paradigmatiche di reato abituale, per il cui perfezionamento non sono sufficienti, quindi, singoli, sporadici episodi di percosse o lesioni, slegati tra loro, occorrendo, invece, una reiterazione di condotte vessatorie, lesive dell'integrità fisica, della libertà o della dignità della persona, tali da determinare, nella vittima, uno stato di prostrazione permanente, caratterizzato da sofferenze, umiliazioni e privazioni continue ed ininterrotte (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. pen., sez. IV, 4.12.2003, n. 7192).
Ai fini della configurabilità del reato in esame occorre, insomma, che dai singoli fatti lesivi possa desumersi l'esistenza di un sistema di vita di relazione abitualmente dolorosa ed avvilente, consapevolmente instaurato dall'agente attraverso una condotta di sopraffazione sistematica nei confronti del soggetto passivo (cfr. Cass. pen., sez. VI, 4.3.1996, n. 4015).
Ebbene, ritiene il giudice che nel caso in esame ricorrano tutti gli elementi costitutivi del delitto in contestazione.
Le continue intemperanze e le condotte vessatorie di cui l'imputato si è reso protagonista nei confronti della moglie lungo tutto il corso della loro relazione coniugale (le scenate di gelosia, gli accessi d'ira, i grevi insulti, le minacce di morte, le reiterate, violente aggressioni), fino al momento della denuncia, appaiono, invero, valutate nel loro insieme, tali da integrare quel "sistema di condotte offensive", consapevolmente instaurato dall'agente e connotato dal caratteri della durevolezza, continuità e sistematicità delle vessazioni, che è inderogabilmente richiesto, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della configurabilità del delitto in esame.
Per quel che concerne, più in particolare, l'elemento soggettivo del reato, costituito dal dolo generico, vale a dire dalla coscienza e volontà di sottoporre in modo continuo ed abituale il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali, la sua ricorrenza nel caso in esame appare attestata in modo sufficientemente univoco, ad avviso di questo giudice, dalla reiterazione nel tempo e dal carattere sistematico delle condotte aggressive poste in essere dal Ci. ai danni della persona offesa.
Ricorre senz'altro, nei fatti accertati a carico dell'imputato, la contestata aggravante dell'aver commesso il reato in presenza dei figli minori della coppia, Bi.Co. e Fr. (...), inermi spettatori (e vittime essi stessi, quindi), molto spesso, delle continue intemperanze del padre e delle brutali aggressioni consumate dallo stesso ai danni della madre. Tenuto conto dei segnali di resipiscenza manifestati dall'imputato, secondo quanto riferito in dibattimento dalla persona offesa, e della personalità non particolarmente allarmante dello stesso, quale può desumersi dall'unico, remoto precedente (piuttosto lieve, peraltro) risultante a suo carico dal certificato del casellario giudiziale in atti, possono riconoscersi al Ci. le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.
Venendo al trattamento sanzionatorio concretamente irrogabile, considerati i criteri di commisurazione dello stesso enunciati nell'art. 133 c.p., appare equo condannare l'imputato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione, così determinata: pena base tre anni e sei mesi di reclusione (lo scostamento rispetto al minimo edittale si giustifica in considerazione del considerevole lasso di tempo lungo il quale si sono protratte le condotte maltrattanti), ridotta alla misura finale sopra indicata in virtù del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Al riconoscimento della penale responsabilità del Ci. segue la condanna dello stesso, secondo legge, al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto della complessità delle questioni di fatto e di diritto sottese alla stesura della presente sentenza, nonché del carico di lavoro che grava sul ruolo di questo giudice, si ritiene opportuno fissare in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.
PQM
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara L. Ci. colpevole del reato a lui ascritto e, riconosciute allo stesso le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, lo condanna alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 544, co. 3, c.p.p., fissa in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola il 10 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2024.