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Maltrattamenti in famiglia: riconoscimento dell’abitualità della condotta e condanna dell’imputato (Giudice Alessandra Zingales)

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Tribunale Nola, 04/01/2023, n.1798

Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura attraverso una condotta abituale caratterizzata dalla reiterazione di atti vessatori che, pur alternandosi con momenti di normalità, determinano un’offesa continuativa alla dignità, all’integrità fisica e morale della vittima. Per la configurabilità del reato non è necessario che gli atti lesivi siano esclusivamente intenzionali, essendo sufficiente la consapevolezza dell’agente di persistere in comportamenti sistematicamente offensivi.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio del 14.05.2021, il Gip del tribunale di Nola ha disposto procedersi nei confronti di L.Ga. per il delitto riportato nella contestazione che precede, disponendone la comparizione dinanzi alla scrivente Giudice per l'udienza del 24.06.2021.

All'udienza di comparizione l'imputato, sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, applicatagli dal G.i.p. con ordinanza del 12.01.2021 non era presente e se ne dichiarava l'assenza, dandosi altresì atto della regolarità delle notifiche nei confronti di tutte le parti. I testi erano assenti e si rinviava il processo per l'istruttoria al 9.12.2021.

In tale data, in assenza di questioni preliminari, veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e, dopo le richieste di ammissione dei mezzi istruttori delle parti e produzione da parte del P.M. del verbale di arresto e della querela della persona offesa, cui la difesa non si opponeva, veniva escluso il teste di P.G., Mi.Es., al cui esito veniva acquisito il referto medico del 9.01.2021 ed il P.M. rinunciava agli ulteriori testi di P.G. Fe., Es.Ca., Pi. e D.Ca., di cui la scrivente, nulla osservando le altre parti, revocava l'ordinanza ammissiva. Il processo veniva rinviato per l'escussione degli altri testi al 9.03.2022, In quella data non poteva essere trattato in quanto la scrivente non teneva udienza a causa della variazione tabellare nelle more intervenuta, per cui il processo era differito a quella del 31.03.2022, nel corso della quale venivano escussi i testi L.Pe. ed il V. Sovr. Du.Ra., al cui esito veniva acquisita, con il consenso delle parti, la check list cui aveva fatto riferimento il teste di P.G. il processo era rinviato al 15.09.2022 per i residui testi, udienza differita con decreti fuori udienza (in atti) per le ragioni ivi analiticamente indicate e alle quali ci si riporta, prima al 22.09.2022, poi al 26.09.2022.

In tale data era escusso il teste di P.G. M.llo Ca.Fr., al cui esito, con il consenso delle parti, venivano acquisite le annotazioni di P.G., dei testi App.to Ce.An. e V. Brig. Co.An., compresi gli allegati. Ritenuta superflua ogni altra attività, il processo veniva rinviato per il solo esame dell'imputato e per la discussione al 24.10.2022. In quella data veniva acquisito il verbale di interrogatorio dell'imputato, reso in sede di udienza di convalida; di seguito la scrivente formalizzava la chiusura del dibattimento e dichiarava l'utilizzabilità del materiale istruttorio legittimamente acquisito, dava la parola alle parti per le rispettive richieste e conclusioni finali, sintetizzate nella sezione che precede, e di seguito s'è ritirata in camera di consiglio, per poi decidere come dalla presente sentenza, resa pubblica mediante lettura in udienza del dispositivo, le cui motivazioni si vanno qui di seguito ad illustrare.

Motivi della decisione
Osserva il Giudicante che gli esiti dibattimentali consentono di affermare, con la necessaria certezza richiesta dalla legge, la penale responsabilità di L.Ga. per il reato a lui ascritto, dovendosi pertanto emettere nei suoi confronti una sentenza di condanna. Il compendio probatorio su cui si fonda la presente decisone, essenziale ma completo, è costituito sia dalla documentazione versata in atti, ossia il referto di P.S. della persona offesa e i verbale di s.i.t. della altre persone escusse nel corso delle indagini, sopra indicate, sia dalle dichiarazioni rese dai testi escussi in dibattimento, particolarmente numerosi essendo stati quelli di P.G., che hanno corroborato con il loro narrato, e con le annotazioni di servizio acquisite in atti, quello della persona offesa.

Orbene, il principale elemento di prova a carico dell'imputato per il reato in contestazione sono le dichiarazioni rese proprio da quest'ultima, la quale, escussa in dibattimento, ha confermato con sicurezza le accuse mosse nelle due denunce sporte e nel verbale di sommarie informazioni rese nei confronti del convivente, sebbene in maniera confusionaria e ridondante, atteso il non elevato livello culturale della stessa, ma pienamente consapevole delle dichiarazioni a suo tempo fatte, che ha confermato e ribadito integralmente in dibattimento. In particolare la teste, nel premettere di avere intrattenuto una relazione sentimentale con il L.GA. per quattro anni circa, dal 2017 al 2021, anno in cui era avvenuto l'arresto dell'uomo, riferiva che inizialmente il suo comportamento era quello di una buona persona, ma che negli ultimi sei mesi circa di convivenza, che si era svolta nell'abitazione di lei dove viveva anche il figlio della donna, lui era mutato anche a causa del figlio di lei, di cui non sopportava le abitudini di vita (il ragazzo rientrava spesso a notte fonda), ma soprattutto mal tollerava la sua inclinazione omosessuale, che stigmatizzava con parolacce ed insulti omofobi.

Precisava tuttavia che l'uomo cambiava completamente atteggiamento quando abusava di alcool, vino in particolare, di cui faceva un uso smodato e sotto l'effetto del quale perdeva del tutto il controllo di sè.

Infatti, su sollecitazione del P.M., che le contestava quanto da lei dichiarato sia in denuncia, che nel verbale di sommarie informazioni, la donna ammetteva che fin dall'inizio .il loro rapporto era stato burrascoso, in quanto il compagno, quando si trovava sotto l'effetto della sostanza alcoolica, riempiva lei ed il figlio di parolacce e pretendeva che lei lo cacciasse di casa, proprio perché non condivideva la sua inclinazione sessuale, oltre a picchiarla e ad ingiuriarla.

Dalle denunce sporte (delT8.06.20l9, del 9.01.2021 e la successiva integrazione del 10.01.2021) e dal verbale di sommarie informazioni del 4.10.2020 - tutti acquisiti con il consenso della difesa ai sensi dell'art. 4933 co. c.p.p. e dunque pienamente valutabili ai fini della decisione - emergeva che il quotidiano della donna era stato costellato di continui insulti ed aggressioni fisiche del compagno nei suoi confronti, soprattutto nei momenti in cui si lasciava andare all'abuso di sostanze alcoliche, momenti nei quali diventava aggressivo e violento e insultava lei ed il figlio. In occasione della prima denuncia del giugno 2019, la donna riferiva che quella sera mentre si intratteneva a chiacchierare nel cortile comune con una sua amica, che abitava nello stesso stabile, una tal Ra. di cui non ricordava il nome, è compagno improvvisamente iniziava ad ingiuriarla a voce alta, aggredendola anche nel momento in cui lei, rientrando, cercava di calmarlo, precisando che alla scena aveva assistito anche la figlia di lui, che lo incitava. In quel frangente intervenivano anche i Carabinieri della Stazione di Nola che si offrivano di far intervenire un'ambulanza, ma lei rifiutava e si recava il mattino dopo a farsi medicare.

Nella denuncia del 9.01.2021 la donna riferiva di analoghi numerosi episodi, puntualizzando che il L.GA. perdeva il controllo di sé quando faceva abuso di sostanza alcoliche, diventando aggressivo e violento nei suoi confronti, tanto da averla in più di un'occasione picchiata e ad averla costretta a chiamare i Carabinieri in almeno tre o quattro occasioni. In quei frangenti l'uomo la insultava in malo modo ("Puttana, piglialo in bocca, Vai a fottere con i vecchi") e talvolta era presente anche la figlia Mo., alla quale lui ordinava di insultare e picchiare la compagna, cosa che lei talvolta faceva. Nell'integrazione del 10.01.2021 la donna aggiungeva altri particolari e riferiva di altri episodi, uno in particolare nel settembre del. 2020 in cui, mentre stavano a casa, il L.GA. iniziava a picchiarla e ad insultarla ("Puttana, prendi il pesce in bocca dai vecchi, ti attacco dietro alla macchina"). In quel frangente era presente anche la figlia del compagno, che cercava di colpirla con la griglia dei fornelli della cucina, ma lei riusciva a schivare i colpi. A quel punto si decideva di chiedere l'intervento dei Carabinieri, dopo il quale, intimorita da quello che poteva ancora accaderle, si allontanava da casa per recarsi alla circumvesuviana ed andare dalla madre a Napoli, ma il L.GA. la raggiungeva e inveiva contro di lei proferendo al suo indirizzo volgarità a voce alta, incurante della presenza di altre persone. Nel verbale di sommarie informazioni del 4.10.2020 la L.Fe. dichiarava che in occasioni dei litigi l'uomo spesso l'aggrediva fisicamente, le tirava i capelli e le graffiava le braccia, colpendola al volto con schiaffi, oltre ad insultare lei ed il figlio, di cui sottolineava sempre l'omosessualità come un insulto. In ogni frangente di intervento dei Carabinieri, la donna sporgeva anche denuncia, molte delle quali però venivano poi rimesse per paura delle reazioni dell'uomo.

Nel corso della sua deposizione la donna, su domande della difesa, riferiva che l'uomo non lavorava e si arrangiava rubando quello che gli capitava, che poi portava a casa della figlia, e non voleva che neppure lei lavorasse, essendo molto geloso di lei, tanto che di fronte a d eventuali offerte di lavoro si arrabbiava e la esortava a intrattenersi con gli anziani vicino casa ("Fai la puttana con i vecchi").

I testi di P.G. escussi, il M.llo Es., all'epoca Comandante della Stazione di Nola, ed il M.llo Du., riferivano il dibattimento degli interventi da loro effettuati a casa della L.Pe. su richiesta di quest'ultima.

Il primo riferiva dell'intervento che poi aveva portato all'arresto del L.GA., il 9.01.20121. In quel frangente era stata fatta intervenire una pattuglia presso l'abitazione delia persona offesa, la quale si era rivolta ai Carabinieri lamentando un'aggressione da parte del convivente. Giunti sul posto, i militari riscontravano la presenza della donna, in forte stato di agitazione e con una ferita alla mano, che riferiva esserle stata cagionata dal proprio convivente, l'odierno imputato, il quale successivamente si era dato alla fuga. I militari si mettevano sulle sue tracce e lo rintracciavano poco distante da casa, a circa 150-200 mt, mentre tentava una timida fuga subito da loro interrotta, e lo conducevano in Caserma per gli accertamenti del caso. Nel frattempo veniva fatta intervenire un'altra pattuglia presso l'abitazione della donna, che poi veniva condotta in ospedale dall'ambulanza chiamata dai militari, a causa della ferita alla mano (per la quale le sarebbe stata refertata una prognosi di 5 giorni) e per il forte stato di agitazione in cui versava. Nei giorni successivi la donna poi si recava presso gli uffici della Stazione e sporgeva una dettagliata denuncia nei confronti del L.GA., che i militari traevano in arresto per la flagranza del reato per cui si procede. Il teste riferiva poi che la coppia era conosciuta presso i loro uffici, in quanto nel passato i militari erano stati costretti ad effettuare diversi interventi presso l'abitazione della coppia e la donna aveva anche sporto denuncia, che poi aveva ritirato.

Il V. Sovr. Du.Ra., all'epoca in servizio presso il Commissariato di Nola, riferiva di un altro intervento effettuato presso l'abitazione della L.Pe., in data 29 agosto 2020, poco prima della mezzanotte, richiesto sempre a causa di un forte litigio avvenuto con il suo convivente, che poi si era allontanato. La donna riferiva delle abitudini del compagno, che era dedito al consumo di alcool, sotto l'effetto del quale perdeva il controllo e iniziava ad insultarla e a picchiarla, come era avvenuto quella sera, dichiarando tuttavia di non avere intenzione di sporgere denuncia, ed i militari facevano intervenire un'autoambulanza per verificarne le condizioni, essendo molto agitata. Nelle more di tutto ciò faceva rientro il L.GA., in evidente stato di alterazione alcolica, reso palese dall'alito vinoso, poi raggiunto anche dalla figlia di lui, L.GA., che accettava di portare il padre a casa con sé, sitata in un paese vicino. L.Pe., invece, veniva portata presso la sede del Commissariato, dove veniva escussa a sommarie informazioni, attesa la sua volontà di non sporgere denuncia di quanto accaduto, dove veniva redatta anche una check list relativa a persone sottoposte a violenza domestica (anch'essa prodotta in atti). Il giorno successivo l'operante, trovandosi di pattuglia nei pressi dell'abitazione della donna, decideva di recarvisi per vedere se la situazione si fosse normalizzata e trovava i due seduti a tavola che pranzavano, il L.GA. consumando birra.

Nell'annotazione di servizio a firma dei testi (poi revocati) V. Brig. Convertirti e App. Ce. del N.O.R.M di Nola, dell'8.06.2019, di dava conto di quanto i militari avevano riscontrato nel corso dell'intervento effettato in pari data presso l'abitazione della coppia, in cui vi è per la prima volta un'evidenza esterna del reato per cui si procede. In quel frangente la donna aveva richiesto il loro intervento a causa di un forte litigio avvenuto con il compagno e al loro arrivo presentava dei segni di graffi sulle braccia, mentre l'uomo, che era presente, non mostrava alcuna lesione. In quel caso il diverbio veniva bonariamente composto con l'ausilio dei militari e con l'allontanamento dell'uomo, che si recava a casa della figlia. Orbene, tali essendo i fatti, le risultanze istruttorie hanno pienamente confermato l'assunto accusatorio, essendo le dichiarazioni della persona offesa state riscontrate dal testo del materiale probatorio acquisito, soprattutto dalle dichiarazioni dei testi di P.G. escussi e dalle annotazioni di servizio acquisite agli atti.

Infatti, conformemente all'orientamento prevalente in giurisprudenza, ritiene questo Giudice che la persona offesa sia risultata credibile nel suo narrato, secondo i parametri di riferimento che le Supreme Corti hanno da tempo individuato nella valutazione della prova, quando questa sia rappresentata dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato. Quando infatti, come nel caso di specie, la persona offesa rappresenti il principale testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio.

Tuttavia, non potendosi tale dichiarazione equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, è necessario che il giudice sottoponga il contenuto della deposizione ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove la piattaforma probatoria su cui dovrà fondarsi il convincimento del giudice presenti una pluralità di elementi di prova) ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'ha resa (cfr., tra le altre, Cass. II sent. 19 novembre 1998 n. 12000). Ebbene le dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa, per quanto rese in maniera un pò pasticciata e confusionaria ma ciò, come già anticipato, è ascrivibile più al basso livello di scolarizzazione della teste che ad una sua incoerenza intrinseca e sono state supportate e riscontrate, per quanto di ragione, da quelle rese dagli altri testi, risultando pertanto pienamente idonee a fondare un giudizio di piena responsabilità del L.GA. per il reato di maltrattamenti a lui ascritto, avendo la donna confermato in dibattimento quanto a suo tempo denunciato; nè, peraltro, l'imputato ha fornito una ricostruzione alternativa, idonea a confutare le risultanze di quanto emerso in dibattimento. Le sue dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia, successivo all'arresto, nelle quali parla di aggressioni reciproche e di un rapporto solo un pò turbolento, infatti, non sono idonee a scalfire il quadro accusatorio, in quanto assolutamente indimostrate e non riscontrate da alcun elemento esterno. Del delitto di maltrattamenti, dunque, ricorrono tutti i presupposti; è un reato costituito da una condotta abituale che si estrinseca in più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. E ad integrate l'abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati ed "unificati", anche se per un limitato periodo di tempo (cfr. Cass. Ben., Sv, 9.1.1992 n. 213).

Ai fini della configurabilità del reato in oggetto non assume rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità e che siano stati, a volte, causati, da motivi contingenti. Il delitto in questione, invero, quale reato abituale, non resta escluso se nel tempo considerato vi siano, nella condotta dell'imputato, periodi di normalità o di accordo con i familiari; un intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi lesivi, non fa, infatti, venir meno l'esistenza del reato, ma può dar luogo, come per ogni reato permanente, alla continuazione (cfr. Cass. pen., VI, 3.3.1990 n. 3103).

E' stato inoltre chiarito che la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l'intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 18.2.2010 n. 16836).

Il dolo è generico, sicché non si richiede che l'agente sia animato da alcun fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva (cfr. Cass. Pen., VI, 8.1.2004 n. 4933).

Orbene tutti questi elementi sono presenti nel caso di specie: l'abitualità nelle vessazioni, l'intento di ledere la dignità fisica e morale della vittima, la consapevolezza del L.GA. di persistere nell'attività vessatoria, tanto da poter giungere con certezza all'affermazione della sua penale responsabilità per il reato contestatogli.

Venendo, dunque, al trattamento sanzionatone da applicarsi in concreto, e facendo riferimento ai criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., non possono innanzitutto riconoscersi all'imputato le circostanze attenuanti generiche, nessun elemento emergendo in concreto nel suo comportamento, successivo alla commissione del reato per cui si procede e processuale, che faccia propendete per tale riconoscimento. Si ritiene invece di disapplicare la contesta recidiva, in quanto il primo precedente è molto risalente nel tempo ed il secondo è di natura diversa da quello odierno, non potendosi lo stesso ritenere espressione della medesima indole trasgressiva di quello per cui si procede in questa sede.

Si stima pertanto equo infliggere la pena di anni tre di reclusione, applicata nel minimo edittale del novellato reato di maltrattamenti, applicabile ratione temporis ai fatti contestati. Alla declaratoria di colpevolezza segue per legge la condanna alle spese processuali.

Non ricorrono le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il carico di lavoro e le diverse sentenze assunte in decisione alla medesima udienza giustificano la riserva del termine per il deposito dei motivi.

P.Q.M.
Letti gli art. 533 e 535 c.p.p.,

dichiara L.GA. colpevole del reato a lui ascritto e, esclusa la contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 544 III co. c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Nola il 24 ottobre 2022.

Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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