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Maltrattamenti in famiglia e causa di non punibilità per il furto tra coniugi: chiarimenti giurisprudenziali (Collegio - Di Petti presidente)

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Tribunale Nola, 18/01/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 18/01/2022), n.2344

Il delitto di maltrattamenti in famiglia richiede una condotta abituale caratterizzata dalla reiterazione di atti di sopraffazione fisica e psicologica che determinano nella vittima una sofferenza protratta e sistematica. Inoltre, la causa di non punibilità di cui all’art. 649 c.p. si applica al furto commesso ai danni del coniuge non separato, a condizione che non vi sia violenza diretta alla persona.

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La sentenza integrale

Giovanna Rosa Immacolata Di Petti Presidente estensore
Giusi Piscitelli Giudice
Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi Giudice

Svolgimento del processo
Con decreto di giudizio immediato emesso dal G.u.p. sede, Pa. Nu. veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati di maltrattamenti, lesioni, furto con strappo a lui ascritti in rubrica. Alla prima udienza del 10.6.2021, accertata la regolare costituzione delle parti e dichiarata l'assenza dell'imputato, il processo veniva differito su istanza del difensore al 08.07.2021, data in cui seguiva un altro rinvio per l'assenza della p.o. Il 7.10.2021, data lettura del provvedimento presidenziale, il G:M rimetteva gli atti dinanzi a questo collegio, ravvisata la competenza collegiale di una delle fattispecie in contestazione; quindi, stante la rinuncia al mandato del difensore dell'imputato, il tribunale nominava un difensore d'ufficio all'imputato e differiva il processo al 28.10.2021. In tale data, si dichiarava aperto il dibattimento e, ammesse le prove richieste dalle parti, si procedeva all'esame dei testi qualificati Fu. Fr., Po. Al. e Di Gi. Fr.. In data 11.11.2021 veniva escussa la persona offesa Os. de Mo. Do. Ge. e veniva acquisisti rilievi fotografici; su accordo delle parti venivano altresì acquisite le s.i.t rese da Li. Ma.. In data odierna, il tribunale ha dichiarato chiusa l'istruttoria dibattimentale, e udite le conclusioni delle parti, all'esito della camera di consiglio, ha emesso il dispositivo allegato al verbale di udienza a cui segue la presente motivazione.

Motivi della decisione
Con i capi A), B) e C dell'imputazione Nu. Pa. è accusato di aver maltrattalo sua moglie Os. de Mo. Do. Ge. facendola oggetto di una serie di atti lesivi della sua integrità fisica e morale, e di averle, in un'occasione cagionato lesioni personali e rubato il telefono cellulare.

Ebbene, ritiene il collegio che l'istruttoria dibattimentale svolta ha consentito di ritenere provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria quanto ai capi A e B e dunque la penale responsabilità dell'imputato per i predetti reati.

Con riferimento al capo C, invece, deve trovare applicazione, come da istanza difensiva la causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., in quanto il fatto veniva commesso ai danni del coniuge.

La vicenda, alla luce dell'istruttoria svolta, può essere ricostruita nel modo che segue.

La sera del 27 febbraio 2021 intorno alle ore 19.05, militari in servizio presso la (omissis), si portavano presso il piazzale di stazionamento degli autobus di (omissis), situato alla Via (omissis), dove era stata segnalata un'aggressione posta in essere da un uomo ai danni di una donna.

Giunti sul posto, il Maresciallo Su. e il carabiniere Ra. venivano avvicinati da una donna Os. de Mo. Do. Ge., la quale presentava delle vistose escoriazioni al collo che riferiva esserle state cagionate dal marito Nu. Pa., anche egli presente e identificato dai carabinieri.

La donna, veniva quindi condotta presso gli uffici della (omissis) unitamente all'imputato e sporgeva denuncia contro quest'ultimo.

La Os., cittadina venezuelana - di cui è stata acquisita le denuncia con domande delle parti a chiarimento - riferiva di aver conosciuto l'imputato in Argentina e di essere venuta con lui in Italia dove l'aveva sposato circa due anni prima della denuncia.

Ella raccontava di essere andata a vivere con lui a (omissis), alla (omissis) Rione (omissis) e che, fin dall'inizio della convivenza, il Nu. si era comportato sempre in maniera violenta con lei, aggredendola per futili motivi, come quando l'accusava di non sapere cucinare, e picchiandola più volte; spesso, poi, la minacciava di morte con un coltello.

Ella ricordava di alcuni specifici episodi, come quella volta in cui nel mese di ottobre 2020, mentre si trovavano a casa, nel corso di una discussione, il Nu. l'aveva presa per i capelli e l'aveva trascinata a terra; poi l'aveva afferrata per il collo e aveva minacciato di ucciderla con un coltello da cucina.

Ella, quindi, era scappata di casa, ma lui l'aveva raggiunta e l'aveva presa per i capelli, trascinandola verso casa, fino a quando non interveniva un passante che la aiutava e costringeva il marito ad allontanarsi.

In quell'occasione la donna aveva riportato lividi su tutto il corpo ed in particolare alle braccia, alle gambe e al collo e con il suo cellulare aveva scattato delle fotografie attestante le lesioni subite che poi mostrava ai carabinieri, i quali estrapolavano le foto dalla memoria del cellulare e le stampavano su supporto cartaceo(cfr fotografie in atti)

La Os. riferiva, poi, di un altro episodio accaduto il 17 febbraio 2021 quando nel corso di un altro litigio, l'imputato la prendeva per la gola, tirandole i capelli per poi scaraventarla a terra; anche questa volta la minacciava con un coltello da cucina.

Quanto ai fatti accaduti il 27.2.2021, la Os. dichiarava che quel pomeriggio, insieme al marito, si era recata a trovare un'amica che viveva a Napoli e al ritorno i due avevano preso l'autobus per tornare a casa e si erano seduti in fondo al mezzo.

Ad un certo punto, la p.o. e l'imputato avevano iniziato a discutere perché la Os. rimproverava il coniuge di non essere molto attento nell'osservare le norme igieniche; la discussione, quindi, degenerava e il Nu. assumeva un contegno sempre più aggressivo verso la donna, strattonandola e mettendole le mani intorno al collo, facendole mancare il fiato.

La donna riusciva a respingere l'imputato e a chiedere aiuto all'autista del mezzo, che interveniva e allontanava il Nu. dalla donna.

A quel punto, la Os. prendeva il cellulare per chiamare i carabinieri, ma il Nu. le strappava il telefono di mano e se ne impossessava, prendendola poi per polso e dicendole di andare a casa. Ella si rifiutava di seguirlo e chiedeva all'austista di chiamare i carabinieri che intervenivano poco dopo; nel frattempo, il Nu., udito che il Li. stava chiamando i carabinieri, si calmava e veniva convinto a restituire il cellulare alla p.o.

Dopo aver sporto la denuncia, ella si portava presso il pronto soccorso dell'Ospedale (omissis), dove le venivano riscontrate lesioni personali consistite in "escoriazioni, cutanee in regione nucale e cervicale da riferito tentato strangolamento" giudicate guaribili in giorni 5..

Il racconto della persona offesa ha trovato riscontro, quanto all'episodio accaduto il 27.2.2021, nelle dichiarazioni rese dal conducente dell'autobus, Ma. Li., di cui sono state acquisite le s.i.t. ai sensi dell'art 493 comma III c.p.p.

Questi riferiva che quel giorno, giunto allo stazionamento di (omissis), intorno alle ore 18.45, fermata l'autovettura, sentiva una discussione accesa tra un uomo e una donna dall'accento spagnolo; quindi lasciava il posto guida per verificare cosa stesse succedendo e notava che l'uomo, piuttosto grasso, si era posto davanti alla donna e le impediva di passare, strattonandola e cercando di sottrarle il cellulare.

La donna, in lacrime, gridava aiuto e implorava il Li. di chiamare i carabinieri. Nel frattempo l'uomo riusciva a sottrarre il cellulare alla donna e scendeva dall'autobus, allontanandosi solo di pochi metri perché il Li. lo raggiungeva e chiamava i carabinieri; il Nu., quindi, udito ciò, improvvisamente si calmava e restituiva il telefono alla donna, dicendole che non lo avrebbe fatto più.

Pochi minuti dopo, quindi, interveniva una pattuglia dei carabinieri e identificava i presenti, conducendoli in casera.

L'imputato in sede di interrogatorio, acquisito in atti ai sensi dell'art 513 c.p.p., ha negato gli addebiti, affermando di non aver mai aggredito né minacciato la moglie, riferendo al riguardo di essere convinto che la moglie lo aveva accusato falsamente di reati mai commessi solo per liberarsi di lui, in quanto ormai aveva ottenuto la cittadinanza italiana.

Con riferimento, poi, ai fatti avvenuti la sera del 27.2.2021, il Nu. dichiarava di aver litigato con la p.o. ma di essersi limitato a spintonarla, negando di averle messo le mani addosso.

Ebbene, ritiene la scrivente che, a fronte delle risultanze istruttorie sopra evidenziate, tutte perfettamente concordanti tra loro, possa dirsi accertata al di là di ogni ragionevole dubbio la fondatezza dell'ipotesi accusatoria e dunque la penale responsabilità dell'imputato per i reati a lui ascritti in rubrica.

Va dato atto, invero, che la persona offesa, pur visibilmente provata dall'accaduto durante l'esame testimoniale, è apparsa intrinsecamente attendibile in quanto lucida e coerente nella esposizione dei fatti, da lei esposti in modo chiaro ed esaustivo, senza mostrare malanimo né intenti calunniatori nei confronti dell'imputato, riferendo anzi di essersi sentita in colpa per le accuse rivolte al marito e di voler ritirare la denuncia, essere preoccupata per le condizioni di salute dello stesso, affetto da problemi al cuore.

Il racconto della persona offesa, poi, ha trovato conferma nelle foto estrapolate dal suo telefono cellulare che documentano le escoriazioni, i lividi e le ecchimosi subite dalla stessa a seguito dell'aggressioni poste in essere dall'imputato nel mese di ottobre 2020, nonché, quanto all'episodio del 27.2.2021, nelle dichiarazioni rese dal Li., nel referto medico in atti rilasciato dal Pronto Soccorso della (omissis) e nelle circostanze cadute sotto la diretta percezione dei militari intervenuti nell'immediatezza dei fatti, i quali trovavano la donna in lacrime, visibilmente impaurita con delle escoriazioni al collo.

Ne deriva, pertanto, che non può darsi conto della versione dei fatti resa dall'imputato, la quale, già di per sé poco verosimile, è priva di qualsiasi elemento di riscontro esterno ed è radicalmente incompatibile con l'insieme degli elementi di prova chiari univoci e concordanti appena passati in rassegna.

Tanto premesso ritiene il Tribunale che i fatti accertati a carico di Nu. Pa. vanno ricondotti nel delitto di maltrattamenti in famiglia ipotizzato al capo B, tenuto conto della reiterazione nel tempo e del carattere sistematico delle vessazioni fisiche e psicologiche perpetrate dall'imputato ai danni della moglie, fin dall'inizio della loro convivenza e dunque per almeno due anni.

Al riguardo si osserva che il delitto di maltrattamenti in famiglia, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, costituisce una delle ipotesi paradigmatiche di reato abituale, per il cui perfezionamento non sono sufficienti singoli, sporadici episodi di percosse o lesioni, slegati tra loro, occorrendo, invece, una reiterazione di condotte vessatorie, lesive dell'integrità fisica, della libertà o della dignità della persona, tali da determinare, nella vittima, uno stato prostrazione permanente, caratterizzato da sofferenze, umiliazioni e privazioni continue ed ininterrotte (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. IV, 4.12.2003. n. 7192). Ai fini della configurabilità del delitto in esame occorre, insomma, che dai singoli fatti lesivi possa desumersi l'esistenza di un sistema di vita di relazione abitualmente sofferente ed avvilente, consapevolmente instaurato dall'agente attraverso una condotta di sopraffazione sistematica nei confronti del soggetto passivo (cfr. Cass. pen., sez. sez. VI, 4.3.1996, n. 4015). Inoltre, come più volte affermato dalla Suprema Corte, "nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie e le minacce ma anche gli atti di disprezzo e di umiliazione che possono risolversi in vere e proprie sofferenze morali "(cfr tra le altre Cass. Sez. 6 sent, n. 8396 del 12.9.1996).

Ebbene, alla luce di tali principi, ritiene il giudice che il comportamento tenuto dal Nu. ha assunto indubbiamente i caratteri tipici del delitto di cui all'art. 572 c.p..

Dal racconto della persona offesa, infatti, è emerso un rapporto coniugale caratterizzato dalla sistematica prevaricazione del Nu., nei confronti della moglie e da reiterate aggressioni fisiche e verbali poste in essere dall'imputato contro la stessa, fatte di tirate di capelli, tentativi di strangolamento e percosse, oltre che di frequenti minacce di morte realizzate con l'uso di un coltello da cucina.

Deve, dunque, ritenersi provata la ricorrenza del requisito della abitualità richiesto come elemento caratterizzante il delitto di maltrattamenti, essendo emerso che il Nu., nei due anni di convivenza, ha posto in essere atti di prevaricazione e di umiliazione verso la Os., comportamenti questi eretti a regime quotidiano di vita per la donna, nel quadro di una convivenza familiare improntata alla sopraffazione fisica e psicologica.

Analogamente va ritenuto provato l'elemento soggettivo del reato in argomento non potendosi dubitare che, in ragione della durevolezza e della continuità delle vessazioni, ( durate almeno due anni ) siano stati non il frutto di moti d'ira estemporanei ed incontrollati dell'imputato, ma al contrario, proprio per le caratteristiche e il fine comune che li collega, deve ritenersi che essi siano stati espressione di una unica e specifica volontà di prevaricazione dell'imputato nei confronti della moglie il che ne consente certamente l'inquadramento nella fattispecie contestata. Infatti, la ripetitività delle condotte, nonché i caratteri di particolare aggressività delle stesse, hanno lasciato affiorare, oltre alla piena consapevolezza da parte dell'imputato del disvalore di quelle azioni, il particolare nesso psicologico capace di unificare gli atti lesivi compiuti, delineando una volontà sostanzialmente unitaria e persistente, diretta a creare una condizione di sopraffazione sistematica e una relazione dolorosa e mortificante con il soggetto passivo della vicenda.

Tale condizione aveva, infatti, determinato una sofferenza fisica e psicologica nella persona offesa, la quale emergeva chiaramente anche nel corso dell'esame testimoniale.

Ciò posto si conclude per la piena responsabilità penale di Nu. Pa. per il reato a lui ascritto al capo B).

Venendo poi al capo A) dell'imputazione, ritiene altresì la scrivente di poter ritenere sufficientemente provato, alla luce delle dichiarazioni della persona offesa e della documentazione medica in atti, che l'imputato, nella data del 27.2.2021, aggredendo fisicamente la moglie, stringendole le mani al collo, le ha procurato le lesioni di cui al referto emesso in pari data dall'ospedale (omissis) da cui emerge che la predetta aveva subito "escoriazioni cutanee in regione nucale e cervicale da riferito tentato strangolamento", guaribili in giorni 5 .

Ciò posto si conclude per la piena responsabilità penale del Nu. per i reati a lui ascritti; sussiste altresì l'aggravante di cui all'art. 576 co. 1 n. 5 c.p., avendo l'imputato commesso il reato di lesioni in occasione e al fine di commettere il reato di cui all'art. 572 c.p.

Ne deriva dunque, che stante la procedibilità di ufficio di entrambi i reati in contestazione ai capi A e B, a nulla rileva la remissione di querela riferita dalla p.o.

Venendo alla pena concretamente irrogabile, in primo luogo non possono concedersi all'imputato le circostanze attenuanti generiche, non essendo emersi elementi da valutare favorevolmente nei suoi confronti.

In ragione delle circostanze in cui si sono succedute le condotte criminose in argomento e considerata la tipologia delle stesse, i reati possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione e pertanto, ritenuto più grave il reato di cui al capo B) appare equo condannare l'imputato, tenuto conto dei criteri di commisurazione della pena cristallizzati nell'art. 133 c.p., alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione; pena così determinata: pena base anni tre di reclusione, pena aumentata nella misura finale per la continuazione con il reato di cui al capo b).

L'imputato va condannato altresì al pagamento delle spese processuali.

Quanto al fatto contestato al capo C dell'imputazione - rubricato formalmente dal p.m. ai sensi dell'art. 624 bis c.p. ma ritenuto in fatto come una rapina aggravata dal giudice monocratico, motivo per il quale il processo veniva rimesso davanti al Collegio - ritiene il tribunale che possa essere trovare applicazione la causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., in quanto il fatto veniva commesso dal Nu. ai danni del coniuge non legalmente separato.

Al riguardo, alla luce delle dichiarazioni rese dalla p.o. in fase di indagine e come specificate in sede di esame testimoniale, è emerso che il Nu., nel momento in cui la moglie aveva cercato di chiamare i carabinieri, le aveva strappato il telefono di mano, impossessandosene, esercitando, quindi violenza direttamente sulla cosa e solo in maniera mediata sulla persona, pertanto correttamente la condotta posta in essere dall'imputato può essere ricondotta alla fattispecie di furto con strappo.

Contrariamente, invero, è noto che ricorre il delitto di rapina ogniqualvolta la res sottratta sia particolarmente aderente al corpo dei possessore e la violenza si estenda necessariamente quindi alla sua persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non soltanto superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta, configurandosi invece, il reato di furto con strappo nel caso in cui, come nella vicenda in esame, la condotta di violenza sia rivolta immediatamente verso la cosa e solo in via indiretta verso la persona che la detiene (cfr tra le altre Cass. Pen. 11.11.2010)

Per tale motivo, può essere accolta la richiesta difensiva di applicare la causa di non punibilità di cui all'art 649 c.p., essendo stato il fatto commesso dal Nu. ai danni del coniuge da cui non era separato e non essendo il fatto stato commesso con violenza alla persona.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Nu. Pa. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica ai capi A) e B) e, ritenuti i fatti avvinti dalla continuazione, lo condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Nu. Pa. dal reato a lui ascritto al capo C) non essendo lo stesso punibile ai sensi dell'art 649 c.p. in quanto commesso ai danni del coniuge.

Motivi in giorni 60

Così deciso in Nola, il 2 dicembre 2021

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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