Tribunale Napoli sez. VI, 05/10/2020, (ud. 23/10/2020, dep. 05/10/2020), n.5803
Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura anche in presenza di condotte vessatorie e lesive della dignità morale e fisica della persona offesa che non culminino necessariamente in episodi di violenza fisica, ma si inseriscano in un contesto di controllo ossessivo e violenza psicologica reiterata. La separazione coniugale, inoltre, non esclude la configurabilità del reato quando la relazione familiare venga strumentalmente utilizzata per perpetuare atteggiamenti lesivi e prevaricatori nei confronti della vittima.
Svolgimento del processo
Con decreto emesso in data 27.4.2020, il GIP presso il Tribunale di Napoli disponeva procedersi con giudizio immediato nei confronti dell'imputato Bo.Da. per rispondere del reato indicato in epigrafe.
All'udienza del 13.7.2020 il Giudice, verificata la regolare costituzione delle parti, dichiarava aperto il dibattimento e, valutatane la pertinenza e rilevanza, ammetteva le prove come articolate dalle parti, procedendo all'escussione della persona offesa, Za.Pr., ed acquisendo, su accordo delle parti, le denunce sporte dalla stessa nonché altra documentazione prodotta dal P.M. Alla successiva udienza del 20.7.2020 si acquisiva su accordo delle parti l'annotazione di P.G. degli agenti Ia. e Fa., con conseguente rinuncia del P.M. alla loro escussione e la causa veniva rinviata in prosieguo al 14.9.2020. In tale data, si procedeva all'esame dei testi Za.Fr., e Ma.Cl. e, su consenso delle parti, il Giudice acquisiva all'esito delle deposizioni i verbali di s.i.t. resi da entrambi i predetti testi e del teste Za.Da., rinviando in prosieguo al 28.9.2020, data in cui venivano sentiti i testi della difesa, Bo.Sa. e Ca.An., e si svolgeva l'esame dell'imputato, con rinvio al 5.10.2020. In data odierna, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti inseriti e acquisiti nel fascicolo per il dibattimento, e le parti rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, sulla base delle quali il Giudice pronunciava la sentenza di cui al dispositivo allegato.
Motivi della decisione
L'imputato va condannato ai sensi dell'art. 533 e 535 c.p.p., essendo emersi dalle acquisizioni processuali elementi sufficienti per affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sua penale responsabilità in ordine al reato a lui ascritto.
Al fine di ricostruire l'accaduto è opportuno in primo luogo riportarsi al contenuto delle denunce sporte dalla moglie dell'imputato, Za.Pr., che venivano acquisite in atti con il consenso celle parti all'udienza del 13 luglio 2020 - dunque pienamente utilizzabili ai fini della decisione - e il cui contenuto veniva da lei confermato integralmente nel corso dell'esame testimoniale.
In particolare, dalla denuncia querela presentata dalla persona offesa in data 26 luglio 2019 emerge che la Za. e l'imputato, sposati nel 2012 e genitori di due bambini di sette e sei anni, dopo un primo periodo di serenità coniugale, avevano iniziato ad avere dei dissapori e si erano separati nel 2013 quando l'imputato aveva abbandonato il tetto coniugale. Aggiungeva che, nell'agosto e nel settembre 2013 Bo. l'aveva aggredita fisicamente in due occasioni, una delle quali dinanzi ai suoi figli e che ella, in entrambi i casi, si era recata in ospedale per farsi refertare ed aveva sporto le rispettive denunce, successivamente ritirate di intesa con il marito. Riferiva, inoltre che, dopo aver ottenuto nel 2014 un'ordinanza di separazione da parte del Tribunale di Napoli, nel 2017 si era riconciliata con il marito nel tentativo di ritrovare l'unità familiare, con conseguente annullamento della predetta ordinanza, ma che, nel corso della nuova convivenza, si era ben presto resa conto che il marito - privo di un lavoro stabile - teneva comportamenti anomali, poiché spesso prelevava senza preavviso i risparmi da lei conservati e utilizzava di nascosto la sua auto, nonostante non avesse la patente di guida. Inoltre, all'inizio del 2018, all'improvviso e nel mezzo della notte, il marito aveva preso gli effetti personali della consorte dall'armadio della camera da letto dove là coppia dormiva insieme con i figli per portarli fuori casa, così svegliando i bambini e la stessa Za. e, rivolgendosi a lei con toni alterati, le aveva intimato di andare via di casa accusandola di avere una storia con un medico all'interno dello studio dove lavorava.
Il giorno seguente, la persona offesa sul luogo di lavoro aveva appreso che il marito aveva contattato alle cinque del mattino un medico del centro dove lei lavorava, insinuando che egli avesse una storia con sua moglie, motivo per il quale la sua datrice di lavoro le aveva chiesto spiegazioni, minacciando di licenziarla se avesse creato problemi. La persona offesa riferiva poi di essere venuta a conoscenza, poco tempo dopo, della circostanza che l'imputato faceva uso di stupefacenti e che, nel settembre 2018 egli si era determinato a recarsi presso una comunità di recupero nei pressi di Castelvolturno, ove era rimasto per circa due mesi, trascorsi i quali la situazione sembrava essere migliorata.
Tuttavia - sempre in base alla denunci della persona offesa - nel dicembre 2018, mentre costei si trovava alla guida della sua autovettura, in compagnia di sua madre, dei due bambini e dello stesso imputato, costui, dinanzi al rifiuto della moglie accompagnarlo da un amico che abitava in zona, la colpiva con un forte schiaffo al volto, insistendo per recarsi presso il suo conoscente e togliendo a tratti le chiavi dal cruscotto per spegnere l'auto e farle cambiare direzione, tanto che ella varie volte aveva dovuto supplicarlo di smettere.
La donna raccontava altresì che, poco tempo dopo, essendo la situazione divenuta insostenibile anche perché l'imputato non contribuiva economicamente e continuava ad assumere sostanze stupefacenti, aveva chiesto al marito di andarsene di casa motivo per cui Bo., dopo essere stato pochi giorni in una comunità, era andato a vivere dai suoi genitori.
A partire da quel momento, l'imputato aveva iniziato ad avere comportamenti ossessivi nei suoi confronti poiché manifestava molto spesso la voglia di vedere i figli ma, il più delle volte se, dopo aver prelevato i bambini, si rendeva conto che la moglie non era in casa, la chiamava chiedendole di tornare indietro perché i bambini piangevano, per poi dirle, quando ella arrivava, che non c'era più bisogno della sua presenza.
Nel mese di aprile 2019, durante le festività pasquali, mentre si recava dai suoi genitori, la persona offesa era stata avvicinata per strada da Bo., il quale, le chiedeva con fare minaccioso dove fossero i figli e, avendo appreso che si trovavano con i nonni materni, iniziava a spintonarla e a darle schiaffi in viso, sottraendole il suo telefono cellulare dalle mani per poi riconsegnarglielo ed allontanarsi. Inoltre, in data 25 luglio 2019 la Za., contattata telefonicamente dall'imputato che chiedeva di vedere i bambini, gli rispondeva di essere al lavoro per un cambio di turno e di contattare sua madre; a questo punto, il Bo. si era alterato, chiedendo con insistenza alla moglie dove si trovasse e chi stesse frequentando. Dopo una ulteriore telefonata, nella serata dello stesso giorno, al quale la persona offesa non rispondeva, l'imputato, verso le. dieci di sera, si recava sotto casa della suocera, invitandola a far preparare i bambini per farli andare a dormire con lui, ma poco dopo cambiava idea, sostenendo di voler aspettare la moglie. Vedendolo dalla sua auto nel mentre rientrava, la donna, temendo per la sua incolumità, contattava il padre del Bo., il quale giunto sul posto, insieme al consuocero, convinceva il figlio ad andare via.
In data 1 settembre 2019, ad integrazione della querela sporta nel luglio precedente, Za.Pr. riferiva che la situazione continuava a peggiorare in quanto il marito la contattava a tutte le ore del giorno e della notte sul suo telefono cellulare, cambiando utenza ogni qualvolta lei poneva il blocco della chiamata in entrata. Precisava che tutte le chiamate del marito erano finalizzate a controllare i suoi spostamenti poiché l'imputato chiedeva sempre ai bambini dove e con chi si trovassero al solo scopo di ingerirsi nella sua vita personale. Raccontava altresì che in data 31 agosto 2019, mentre i suoi figli stavano con i nonni materni a casa di un parente, il Bo. aveva iniziato a chiamarla sulla sua utenza telefonica mobile dalle 20.30 alle 21.30 continuando a chiederle dove fosse tanto che ella dopo le prime due chiamate non aveva più risposto. A questo punto l'imputato contattava telefonicamente il padre della vittima, Za.Fr., chiedendo di parlare con i figli, poiché ella in precedenza gli aveva detto che i bambini si trovavano dai nonni e, con fare aggressivo e a voce alta, chiedeva al figlio Sa. dove si trovasse sua madre per poi, dopo che il bambino aveva riagganciato, richiamare di nuovo il suocero. Di fronte all'insistenza dell'imputato e a causa dello stato di agitazione in cui si stava ponendo il piccolo Sa., la mamma della persona offesa, Ma.Cl., cercava di rassicurare il Bo., dicendogli che i bambini stavano con loro e che Za.Pr. si trovava a casa del fratello Da.. Successivamente, la donna si recava a prendere i bambini dal fratello, nel mentre il marito continuava a telefonarle e ad inviarle messaggi vocali tramite (...) del tenore: "tu la prossima volta rimani a casa con i tuoi figli invece di andare a fare la puttana". Rientrata a casa sua, verso le ore 23.45, mentre si trovava a casa propria con suo fratello, la persona offesa riceveva numerose chiamate al citofono da parte del marito, che urlava il suo nome per strada chiedendole di vedere i figli per cui, dopo circa un'ora, spaventata dall'insistenza dell'imputato, contattava il 112 chiedendo l'intervento di una pattuglia. All'una di notte circa giungeva pure suo fratello Da. che cercava invano di far calmare il Bo. e di farlo andare via, ingaggiando con lui una colluttazione fisica per farlo allontanare. Nella medesima occasione, giungeva una pattuglia della Polizia di Stato che riferiva di essere stata chiamata dall'imputato, il quale aveva segnalato di avere subito un'aggressione da Za.Da.. Nella stessa nottata, la persona offesa in stato ansioso per l'accaduto si era recata presso l'ospedale San Giovanni Bosco ove, all'esito di una visita psichiatrica, le venivano somministrati dei calmanti (cfr. referto rilasciato in data 1 settembre 2019 dal reparto psichiatrico dell'Ospedale San Giovanni Bosco in atti). Ad integrazione delle due denunce già sporte, in data 7 febbraio 2020 la Za. presentava una nuova querela, riferendo che dal novembre 2019 in poi l'imputato, non accettando la separazione dalla moglie, continuava ad inviarle numerosi messaggi al giorno su (...) (la cui copia allegava alla denuncia) tramite i quali, con la scusa di cercare una riappacificazione, teneva un comportamento molesto caratterizzato da una gelosia ossessiva nel suoi confronti. Riferiva che nei messaggi in questione l'imputato usava un linguaggio volgare, facendo espliciti riferimenti ad atti sessuali che egli avrebbe voluto compiere con lei e accusando la Za. di intraprendere rapporti sessuali con altri uomini; egli inoltre le ripeteva spesso di non avere molto interesse nei figli ma di volere in realtà solo tornare con lei. La persona offesa aggiungeva che suo padre, Za.Fr., era stato costretto a bloccare sul suo cellulare il numero di telefono del genero, che gli inviava continui messaggi volti a sapere dove di trovava la moglie e che suo figlio, che era solito giocare con il suo telefono cellulare, aveva intercettato uno dei messaggi a sfondo sessuale inviato dall'imputato. Riferiva che, a causa della condotta del marito temeva per la propria incolumità e per quella dei figli e che aveva modificato le proprie abitudini di vita, limitandosi ad uscire solo per adempiere le normali esigenze di vita sue e dei suoi bambini. Escussa in dibattimento Za.Pr. confermava il contenuto delle summenzionate denunce, precisando di aver lavorato per diversi anni in uno studio dentistico e di aver lasciato il lavoro nell'ottobre 2019. Nel corso del controesame dichiarava pure che, dopo la separazione, a volte il Bo. andava a prenderla sul luogo di lavoro dove testualmente "si impressionava " perché la moglie lavorava in un ambiente prettamente maschile a contatto con molti dottori. Riferiva di essersi determinata a sporgere denuncia perché una sera tardi, mentre lei si trovava ad una cena di lavoro, il marito l'aveva aspettata sotto casa sino a tarda ora e ribadiva che l'imputato, dopo l'ultima separazione intervenuta nel 2018, si recava spesso sotto casa sua poiché voleva essere costantemente informato su dove lei si trovasse e che, per tale motivo, ella cercava sempre di uscire con i figli, al fine di evitare litigi. Aggiungeva che, dopo la seconda separazione, i figli erano affidati a lei di fatto poiché non vi era una pronuncia del Tribunale sulle modalità e le tempistica di visita del Bo.. Precisava infine che l'imputato non l'aveva mai picchiata. Venivano altresì sentiti come testi il padre e la madre della persona offesa, Za.Fr. e Ma.Cl. nonché il fratello, Za.Da., con acquisizione, su consenso delle parti, dei verbali di sommarie informazioni rese da ciascuno di loro, che pertanto sono pienamente utilizzabili ai fini della decisione.
In particolare, Za.Fr., padre della persona offesa, confermava le dichiarazioni rese nel verbale di spontanee dichiarazioni in data 19 settembre 2019, dalle quali emergeva che la persona offesa, dopo due anni di matrimonio, si era recata a casa dei genitori in lacrime, lamentando che il marito la maltrattava dinanzi ai figli minori, dicendole frasi del tipo "sei una puttana" e che assumeva sostanze stupefacenti. Ricordava che la Za. si era separata dal marito per poi riconciliarsi per il bene della famiglia e che, il giorno di Pasquetta dell'anno precedente, mentre si trovava con i nipoti al parco, era stato contattato sul cellulare dalla figlia che gli chiedeva aiuto perché aveva incrociato il marito che la stava picchiando. Ricordava pure che il 25 luglio 2019, dal balcone notava in strada la figlia che discuteva animatamente con l'imputato e suo padre Sa. e che, preoccupato scendeva sotto casa dove trovava il Bo. in evidente stato di agitazione e sicuramente sotto l'effetto di stupefacenti, mentre suo padre Sa. cercava di portarlo via. Quanto all'episodio del 31 agosto 2019, Za. confermava che, mentre egli si trovava con i nipotini a vedere la partita del Napoli da un suo parente, l'imputato aveva chiamato insistentemente per sapere dove fosse Za.Pr., chiedendo questa cosa anche ai bambini.
Anche Ma.Cl. confermava le dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari in data 20 settembre 2019, nel corso delle quali raccontava che la figlia, già un anno dopo il matrimonio, gli aveva confidato che il marito era diventato violento nei suoi confronti, anche davanti ai bambini, e di ricordare che l'imputato una volta aveva dato imo schiaffo alla moglie mentre era alla guida dell'auto e alla presenza dei bambini, cagionandole una lesione a un dente. Aggiungeva che la Za. gli aveva pure riferito che il marito la maltrattava anche con molte espressioni ingiuriose del tipo "sei una puttana ed una cessa".
Con particolare riguardo all'episodio occorso il 31 agosto 2019, confermava la versione dei fatti narrata dalla persona offesa e da Za.Fr. e aggiungeva pure che l'imputato era solito recarsi sotto casa loro, dove spesso si trovavano i bambini poiché sua figlia lavorava, chiedendo con insistentemente di vedere i suoi figli. Infine Za.Da., il fratello della persona offesa, ribadiva quanto riferito nel verbale di sommarie informazioni del 20 settembre 2019 e cioè di essere a conoscenza dei comportamenti violenti tenuti in passato dal cognato e dell'atteggiamento pressante assunto da costui negli ultimi due anni. Con specifico riferimento a quanto accaduto il 31 agosto 2019, confermava la versione dei fatti già fornita dai coniugi Za. e dalla persona offesa, aggiungendo di essersi recato sotto casa di quest'ultima per cercare di allontanare il cognato e di avere avuto con lui una breve colluttazione.
Si procedeva inoltre all'escussione del teste della difesa, Bo.Sa., padre dell'imputato, il quale riferiva che i rapporti tra il figlio e la Za. non erano buoni e di avere assistito a litigi molto accesi in cui costei rinfacciava al coniuge di essere un tossicodipendente e di non lavorare, mentre lui rimproverava alla moglie di non essere una buona madre; dopo la separazione, a suo dire, gran parte delle tensioni nascevano invece dal fatto che, in assenza di un provvedimento del Tribunale, era la Za. a decidere quando il figlio poteva vedere i bambini. Ricordava di avere accompagnato l'imputato al pronto soccorso il 25 luglio 2019 perché costui era coperto di lividi, analogamente ad un'altra occasione nel 2013, ma che il figlio non aveva poi voluto sporgere denuncia contro la moglie. Ammetteva inoltre che Bo.Da. consumava stupefacenti e che dopo la separazione faceva pedinamenti, appostamenti e telefonate notturne alla persona offesa poiché costei si ritirava tardi e lui voleva sapere dove andava.
Si procedeva infine all'esame dell'imputato, il quale riferiva che, dopo la nascita dei due figli, le difficoltà con la moglie erano andate crescendo perché lui non aveva un lavoro fisso e la coppia doveva chiedere aiuto economico ai rispettivi genitori; aggiungeva che la Za. ad un certo punto aveva cambiamento atteggiamento nei suoi confronti e che perciò egli aveva iniziato a sospettare che la moglie frequentasse un altro uomo ed a provare gelosia, per cui quando lei usciva lui chiamava dai genitori per sapere dove fosse. Confermava che nel 2013 si erano separati una prima volta di comune accordo, per poi tornare insieme nel 2017 quando lui aveva trovato un lavoro come commesso che, tuttavia, aveva lasciato poco tempo dopo con ripercussioni negative sul rapporto di coppia, in quanto la moglie gli rinfacciava di non guadagnare. Ammetteva di avere preso una volta nel 2018 nel cuore della notte i vestiti della donna per portarli fuori casa, essendosi ingelosito dopo aver visto nel telefono cellulare della persona offesa una conversazione in chat con un altro uomo e confermava pure di aver contattato dal datore di lavoro della moglie per chiedere se avesse una relazione con lei, dopo avere visionato di nascosto una conversazione sul cellulare di quest'ultima in cui un medico dello studio dove lavorava la Za. la invitava a colazione. Invece, con riguardo all'episodio del 25 luglio 2019, narrava di avere chiamato la moglie per vedere i figli prima di recarsi a lavorare a Roma e, dopo aver appreso che costei era uscita e che i figli stavano con i nonni materni, di aver chiesto ai suoceri di andare a prendere i bambini ma negava di non aver poi voluto portare via i bambini per aspettare il rientro della Za.. Forniva una versione diversa rispetto a quella della Za. anche in merito a quanto accaduto nell'aprile 2019 nel parco giochi, negando di aver colpito la moglie, ma anzi di aver cercato di calmarla di fronte alla sua aggressività, ammettendo però subito dopo di aver preso il cellulare dalle mani della moglie che aveva ricevuto una chiamata per controllare chi fosse sempre a causa dei suoi sospetti sulla presenza di un altro uomo. Negava inoltre di aver mai messo le mani addosso alla moglie.
Alla luce di tali accadimenti, è opportuno in primo luogo verificare la,valenza delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sulla base dei criteri ermeneutici forniti dalla giurisprudenza di legittimità. All'uopo, la Corte di Cassazione ha chiarito l'assoluta idoneità e sufficienza, ai fini del riconoscimento della colpevolezza dell'imputato, anche della sola ed esclusiva accusa proveniente dalla parte lesa (cfr. ex multis Cass. Pen. sez III, 27 marzo 2018 n 14037).
Tuttavia, la Suprema Corte richiede la necessità di una "previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (cfr. Corte di cassazione, SS UU penali, 24 ottobre 2012, n. 41461).
Nel trasporre tali osservazioni al caso concreto, si osserva che dalle denunce sporte dalla vittima dei maltrattamenti e dalle dichiarazioni integrative rese in dibattimento è possibile raccogliere elementi idonei ad apprezzare la piena attendibilità di Za.Pr.. Invero, la genuinità delle dichiarazioni pare emergere sia dalla linearità e dalla coerenza del racconto dei vari episodi succedutisi nell'arco di circa due anni, che non appaiono inficiate da pregressi motivi di astio e/o rancore nei confronti dell'imputato, con il quale la persona offesa, dopo alcuni anni di separazione, aveva anzi provato a riconciliarsi nel 2017 per il bene dell'unità familiare. A sostegno dell'assenza di animosità da parte della Za. nei confronti dell'imputato, va pure evidenziato che nel corso della sua deposizione la persona offesa si commuoveva nel ricordare l'accaduto e, interpellata espressamente su se il marito la picchiasse ella negava tale eventualità, con ciò mostrando di non voler aggravare pretestuosamente la posizione del marito,dato invece usuale e logicamente prevedibile in caso di denuncia calunniosa, e di non nutrire sentimenti di vendetta verso il Bo..
Va inoltre evidenziato che tutti gli episodi narrati dalla persona offesa hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni fornite dagli altri testi (in alcuni casi anche della difesa) e dalla documentazione acquisita in atti. Invero, i genitori di Za.Pr. - della cui attendibilità non si ha motivo di dubitare nonostante il rapporto di parentela con la persona offesa in ragione della linearità del narrato e dell'assenza di motivi che possano inficiarne la credibilità - confermavano che la figlia, dopo pochi anni di matrimonio aveva confidato loro che l'imputato, spesso sotto l'effetto di stupefacenti, la maltrattava e la insultava dinanzi ai figli minori, dicendole frasi del tipo "sei una puttana". Il padre inoltre assisteva in prima persona a molti degli episodi narrati dalla Za., come quelli occorsi il 25 luglio 2019, quando dal balcone notava in strada la figlia che discuteva animatamente con l'imputato in stato di grande agitazione e il successivo 31 agosto 2019 relativo alle insistenti chiamate dell'imputato per sapere dove fosse la figlia e del suo successivo appostamento sotto casa sua. La teste Ma.Cl., invece, era presente quando l'imputato una volta aveva dato uno schiaffo alla moglie mentre era alla guida dell'auto, cagionandole una lesione a un dente.
Inoltre anche il padre dell'imputato, Bo.Sa., nel corso della sua deposizione riferiva che, dopo la separazione, il figlio faceva pedinamenti, appostamenti e telefonate notturne alla persona offesa, affermando: "si ha fatto qualche pedinamento perché la signora Za., essendo anche la moglie, si ritirava molto tardi e lui voleva sapere ad un certo punto dove andava". Lo stesso teste inoltre il figlio e la moglie avevano litigi molto accesi nel corso del quale l'imputato, di fronte alle accuse che la moglie gli muoveva di essere un tossicodipendente, accusava la Za. con simili frasi: "non sei buona come mamma. Te ne esci e lasci i miei figli. Non me li fai vedere. Se sono in questa condizione è anche per colpa tua".
Infine, deve evidenziarsi che l'imputato in sede di esame ha ammesso una parte degli addebiti a lui mossi, sebbene abbia tentato di motivare la propria condotta illecita con la gelosia che nutriva nei confronti della moglie ed abbia mostrato di ritenere tale sentimento una vera e propria giustificazione ai suoi comportamenti ossessivi.
Quanto alla qualificazione giuridica, non vi è dubbio che l'insieme delle condotte perpetrate da Bo.Da. dall'inizio del 2018 al 7 febbraio 2020 (data in cui veniva depositata l'ultima denuncia) configuri il reato di maltrattamenti in famiglia.
Come è chiaramente emerso dall'istruttoria, in ragione di una elevata conflittualità tra l'imputato e la persona offesa, costei, dopo essersi separata dal marito nel 2013, nel 2017 tentava di riconciliarsi con il coniuge ma a causa dei suoi problemi di tossicodipendenza, dello stato di disoccupazione in cui egli versava da anni e dei comportamenti aggressivi che assumeva anche in presenza dei figli minori, alla fine del 2018 decideva di separarsi nuovamente dall'imputato, il quale, tuttavia, a partire da questo momento, intensificava i propri atteggiamenti vessatori.
In proposito appare opportuno precisare che, ai fini dell'inquadramento dell'odierna vicenda nella fattispecie di cui all'art. 572 c.p., non riveste alcun rilievo la circostanza che, accanto ad una serie di episodi occorsi quando la persona offesa e l'imputato vivevano ancora insieme, le successive condotte ascritte al Bo. si realizzavano in un arco temporale in cui la coppia era già separata, seppur in via di mero fatto. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito in più occasioni che è configuratale il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione dal momento che il consorzio familiare, inteso come nucleo di persone legate da relazioni di reciproco rispetto ed assistenza, sopravviva alla cessazione della convivenza e, financo, alla separazione (cfr. sul punto Cass. pen. sez. VI, 24/01/2018 n. 3356; Sez. VI, 08/07/2014 n. 33882; Sez. 2, 23/04/2015 n. 30934). Secondo la giurisprudenza di legittimità, pertanto la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, quando l'attività vessatoria si valga proprio o comunque incida, su quei vincoli che rimasti intatti a seguito della separazione pongono la palle offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente: circostanza, questa, che si è chiaramente verificata nel caso di specie ove le condotte illecite dell'imputato si sono dipanate nell'ambito di una relazione familiare, da lui usata strumentalmente soprattutto in relazione al legame con i figli, per controllare i movimenti della consorte.
Quanto all'abitualità della condotta, non vi è dubbio che sussista l'elemento materiale della fattispecie di cui all'art. 572 c.p. come delineato dalla Suprema Corte, secondo cui si configura tale reato tutte le volte in cui, lungi dal rappresentare espressione di episodiche manifestazione di atteggiamenti prevaricatori, le condotte di uno dei componenti del nucleo familiare, pur se intervallate nel tempo e persino se contrastate, ma infruttuosamente, dalla vittima, abbiano finito per concretare una stabile alterazione di quelle relazioni e, così, per comportare una sostanziale compromissione della dignità morale e fisica della persona offesa, (cfr. Cass. pen., sez. VI 25 febbraio 2019 n. 8312).
Orbene, tali caratteristiche sono di sicuro presenti nel caso di specie poiché appare ampiamente provato che l'imputato, con plurime differenti condotte illecite attuate nel corso del periodo indicato nel capo di imputazione, ha sottoposto la consorte a continue angherie psicologiche derivanti da una forma di gelosia maniacale oltre che, in alcuni casi, a maltrattamenti fisici, ponendo in essere persistenti soprusi idonei a ledere la personalità della vittima.
Invero, nel periodo di convivenza intercorsa tra i coniugi Bo. nell'anno 2018, l'imputato sorvegliava in continuazione i movimenti della persona offesa visionando di nascosto nel suo cellulare ed arrivando al punto di contattare i datori di lavoro della Za. per accertare se la moglie avesse o meno relazioni extraconiugali. Con tale ultima condotta, peraltro, egli non solo attuava una prevaricazione mortificante nella vita della persona offesa, ma metteva altresì a rischio il prosieguo dell'attività lavorativa della donna che, peraltro, in quel periodo era l'unico membro della famiglia che contribuiva economicamente al mantenimento dei figli.
Inoltre, l'imputato poneva in essere comportamenti violenti, come quando una notte dell'inizio del 2018, svegliando i bambini e la stessa Za., aveva preso gli effetti personali della consorte per portarli fuori casa, intimandole di andare via di casa convinto che la moglie intraprendesse relazioni extraconiugali; in altra occasione, precisamente nel dicembre 2018, mentre la persona offesa si trovava alla guida della sua autovettura, alla presenza di sua madre e dei due bambini, l'imputato per motivi assolutamente futili colpiva la donna con un forte schiaffo al volto e toglieva tratti le chiavi dal cruscotto per spegnere l'auto e farle cambiare direzione. Peraltro, ad aggravare la carica lesiva di tali condotte vi è la circostanza che egli agiva in presenza dei figli, con ciò non solo mettendo a rischio il loro benessere psicofisico ma aggravando lo stato di ansia e frustrazione della persona offesa.
Dopo la separazione, poi, l'imputato adottava un atteggiamento di persistente aggressività, chiamando la Za. in continuazione, contattando anche i suoceri per sapere dove si trovasse la moglie e appostandosi sotto casa della persona offesa per vedere a che ora rincasava. Invero, il Bo., mostrando di non avere alcuna forma di autocontrollo sulle proprie pulsioni di gelosia, si recava sotto casa della consorte anche in piena notte, non esitando ancora una volta a coinvolgere anche i figli di pochi anni in questa spasmodica volontà di conoscere i movimenti della Za.. L'uomo seguitava inoltre ad avere atteggiamenti violenti poiché, nel mese di aprile 2019, durante le festività pasquali, avvicinava per strada la persona offesa e, dopo aver appreso che i figli si trovavano con i nonni materni, iniziava a spintonarla e a darle schiaffi in viso, sottraendole il suo telefono cellulare dalle mani per poi riconsegnarglielo ed allontanarsi.
Inoltre, come narrato dalla stessa Za. e confermato dai suoi genitori e da suo fratello, in più di una occasione il Bo., con la scusa di andare a prendere i bambini e di passare del tempo con loro, in realtà cercava di ottenere notizie sugli spostamenti della donna. In proposito sono significativi due episodi narrati dalla vittima: il primo risalente al 25 luglio 2019 quando l'imputato, dopo aver appreso che la persona offesa si trovava al lavoro per un cambio di turno e che i figli erano dai nonni materni, insistentemente in tarda serata si recava presso l'abitazione dei suoceri, per portare via i bambini in tarda serata e, successivamente, cambiava idea ed aspettare il rientro della moglie sotto casa. Il secondo episodio, invece, si verificava nella serata del 31 agosto 2019 quando, come confermato anche dai sigg.ri Za., l'imputato telefonava insistentemente al suocero per sapere ove fosse la moglie e non esitava a tempestare di domande in tal senso anche il figlio Sa. di pochi anni (suscitando peraltro un turbamento nel bambino) per poi, ancora una volta appostarsi sotto casa dei suoceri al loro rientro al fine di vedere se la moglie era rincasata. In tale occasione egli ingaggiava anche una colluttazione con il cognato Da. Za. e, denunciando un'aggressione fisica ad opera di costui, chiamava la Polizia, che lo trovava in evidente stato confusionale (cfr. annotazione redatta Commissariato di P.S. Scampia in atti). In tale occasione, per l'agitazione suscitata dalla condotta dell'imputato, la persona offesa si recava presso il reparto di psichiatria dell'ospedale San Giovanni Bosco, dove le veniva riscontrato uno stato ansioso (cfr. referto medico in atti).
In sostanza, come è stato confermato pure dai congiunti della persona offesa e ammesso in una certa misura pure dal padre dello stesso imputato, in molte occasioni costui approfittava del diritto di visita nei confronti dei minori per "controllare" gli spostamenti della moglie, anche quando erano passati molti mesi dalla separazione.
Quanto poi all'ultimo segmento della condotta attuata dal Bo., descritta nella denuncia sporta da Za.Pr. il 7 febbraio 2020, non convince la prospettazione della difesa, secondo cui si tratterebbe di condotte penalmente inoffensive. Invero, emerge dagli atti, che l'imputato inviava alla persona offesa con cadenza quotidiana messaggi altamente offensivi e mortificanti della sua dignità, contenenti espliciti inviti a sfondo sessuale, insulti volgari e pressanti richieste alla persona offesa su sue eventuali frequentazioni con altri uomini. Inoltre l'imputato scriveva frasi del tipo: "sei tu il mio pensiero fisso la mia ossessione" nonché allusioni offensive sullo stato fisico della Za. del tipo "ti stai facendo troppo magra sei troppo sexy" e, di fronte alle richieste economiche della persona offesa finalizzate al sostentamento dei due figli minori rispondeva con frasi del tipo: "cresci i figli a casa, a lavorare ci penso io" e "io non pago il calcetto (ndr dei bambini) per farti fare le chiacchiere con altri".
Orbene, ritiene questo giudicante che anche simili comportamenti vadano sicuramente ricompresi nel reato di maltrattamenti in famiglia poiché l'imputato, con le sue continue scenate di gelosia e le ripetute ed ossessive domande sugli spostamenti della moglie e sulle sue frequentazioni, ne ha sicuramente mortificato la personalità al fine di ottenere il controllo totale sulla sua esistenza e ad annientare per lei ogni possibilità di ricostruirsi una vita al di fuori dell'ambito familiare. Attuando tali condotte, pertanto, il Bo. ha posto in essere una forma di subdola violenza psicologica ai damai della moglie, aggravata peraltro dalla circostanza che il rapporto di convivenza e la relazione affettiva tra i coniugi di fatto non fosse più in essere da tempo, essendosi la coppia separata dopo un tentativo non riuscito di riappacificazione.
In proposito, peraltro, si richiama una recente pronuncia della Suprema Corte, secondo cui anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, raggiungono la soglia della rilevanza penale ai fini del reato di cui all'art. 572 c.p., quando si collochino in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea ad imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile. Secondo la Corte, infatti, è essenziale in tal senso l'accertamento della abitualità e ripetitività della condotta lungo un ambito temporale rilevante, senza che la valutazione relativa all'offensività possa arrestarsi a fronte di condotte che non culminino in veri e propri atti di aggressione fisica ma rispetto alle quali rileva, l'accumulo di violenza, anche a bassa tensione come quella che si esprime attraverso comportamenti minacciosi non eclatanti ma che denota la carica criminogena dell'agente per l'ineludibile riflesso che tale carico produce sul vissuto della vittima. Pertanto, sempre secondo i giudici di legittimità i comportamenti di controllo della vita sociale e intima della persona offesa non perdono la loro valenza invasiva e la loro carica di vessatorietà solo perché determinati dalla gelosia e, viceversa, tali atti implicano la necessità di un attento scrutinio della loro ricorrenza perché gravemente lesivi della privacy dell'individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della parte offesa, una volontà e condotta di prevaricazione, e correlativa soggezione della persona offesa, elementi che costituiscono il dato caratterizzante la figura delittuosa di cui all'art. 572 c.p. (cfr. Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 2019 n. 32781).
Anche alla luce di tali indicazioni ermeneutiche, le condotte esposte dalla Za. con l'integrazione di denuncia presentata nel febbraio 2020, rientrano pienamente nel reato di cui all'art. 572 c.p., in quanto si configurano come altamente lesivi dell'integrità psichica della vittima la quale, come da lei stessa riferito, ha iniziato a temere per la propria incolumità fisica ed a patire un grave stato di ansia e paura, temendo per la propria incolumità fisica, anche in ragione della esplicita volontà manifestata dall'ex marito in maniera pressante di avere con lei rapporti sessuali, e di essersi limitata perciò a uscire solo per il disbrigo delle faccende quotidiane. Inoltre, anche in dibattimento la vittima precisava di aver iniziato ad uscire sempre in compagnia dei figli "per calmare gli animi" poiché quando usciva senza di loro "succedeva sempre una catastrofe" e di avere pertanto dovuto modificare le proprie abitudini di vita in ragione delle condotte persecutorie attuate dall'imputato.
Non vi è dubbio, infine, sulla sussistenza in capo al Bo. dell'elemento soggettivo che, nel delitto di maltrattamenti in famiglia, non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima ma la volontà di persistere in un attività vessatoria già attuata in precedenza e idonea a ledere la personalità della vittima, avendo l'imputato ammesso la gran parte delle condotte a lui contestate ed essendo emersa nitidamente una sua volontà di controllo sulla vita della persona offesa.
Quanto alle contestate aggravanti, esse devono ritenersi sussistenti avendo l'imputato agito spesso in orario notturno, in modo tale da attenuare le capacità di difesa della vittima, nonché alla presenza di soggetti minorenni: come già evidenziato, dall'istruttoria è emerso che Bo. non solo in alcune occasioni poneva in essere condotte violente ai danni della moglie innanzi ai figli (come ad esempio in occasione degli episodi narrati dalla persona offesa occorsi nel dicembre 2018 e a Pasquetta 2019), ma spesso coinvolgeva i minori nelle proprie ossessive indagini su dove fosse e cosa facesse la persona offesa.
Tenuto conto pertanto della aggravante della presenza di soggetti minori, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, va applicato nel caso di specie il disposto dell'art. 572, comma 2, c.p. come novellato dalla legge 9 luglio 2019 n. 169 poiché la condotta dell'imputato è cessata nel febbraio 2020, quando la novella normativa era già in vigore. Invero, data la natura unitaria del reato di maltrattamenti in famiglia, ogni nuova condotta del maltrattante si riallaccia e si rinsalda a quelle realizzate in precedenza per cui, come di recente affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Cortei il tempus commissi delicti per i reati abituali coincide con la realizzazione dell'ultima condotta integrante il fatto di reato che, se è avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge più grave, comporta inevitabilmente l'applicazione di quest'ultima per tutto il periodo (Cass. pen., SS.UU., sentenza n. 40986 del 19.07.2018).
Riguardo infine alla richiesta concessione delle circostanze attenuanti generiche, va osservato che le stesse possono essere riconosciute in considerazione dell'incensuratezza dell'imputato e del suo comportamento processuale - caratterizzato dalla parziale ammissione del proprio operato e da un atteggiamento di rammarico per l'accaduto - nonché per adeguare la misura della pena al disvalore oggettivo del fatto. Ritenuto altresì di operare un giudizio di equivalenza delle dette circostanze attenuanti generiche con le contestate aggravanti, appare equo pertanto irrogare ima pena di anni tre e mesi due di reclusione.
L'imputato va altresì condannato al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia cautelare. Inoltre, trattandosi di condanna alla reclusione per un tempo superiore a tre anni, va disposta a carico di Bo.Da. l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Si rigetta infine l'istanza di modifica della misura cautelare attualmente in atto, come da separata ordinanza.
Il notevole carico di lavoro, complessivo e dell'udienza, ha determinato il ricorso ad un più ampio termine per il deposito della sentenza, durante il quale rimangono sospesi i termini di custodia cautelare.
P.Q.M.
Letti gli art. 533 e 535 c.p.p., dichiara Bo.Da. responsabile del delitto ascrittogli e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti contestate, lo condanna alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia cautelare.
Dichiara Bo.Da. interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Quanto alla richiesta di modifica della misura cautelare avanzata dalla difesa si provvede come da separata ordinanza di cui si dà contestuale lettura.
Indica in giorni trenta il termine per il deposito della motivazione della sentenza durante i quali dichiara sospesi i termini di custodia cautelare.
Così deciso in Napoli il 5 ottobre 2020.
Depositata in Cancelleria il 23 ottobre 2020.