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Reato di maltrattamenti in famiglia: esclusione per condotte occasionali prive di abitualità vessatoria (Giudice Alessandra Zingales)

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Tribunale Nola, 19/01/2024, n.1547

L'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia richiede una condotta abituale di sofferenze fisiche o morali unificata da un intento criminoso, escludendo episodi occasionali o reazioni isolate a conflitti familiari senza finalità vessatoria.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio del 20.03.2022, il G.u.p. del Tribunale di Nola ha disposto procedersi nei confronti di CO.St. per il delitto riportato nella contestazione che precede, disponendone la comparizione dinanzi alla scrivente Giudice per l'udienza del 23.06.2022.

All'udienza di comparizione l'imputato non compariva e se ne dichiarava l'assenza, dandosi altresì atto della regolarità delle notifiche nei confronti di tutte le parti. I testi erano assenti e si rinviava il processo per l'istruttoria al 5.12.2022 (udienza cosi differita con decreto fuori udienza comunicato alle parti, per le ragioni ivi indicate che qui si intendono interamente richiamate, rispetto a quella originariamente disposta dell'1.12.2022).

In quella data il difensore dichiarava di aderire all'astensione proclamata dalla Camera Penale di Nola ed il processo era rinviato al 20.03.2023, con sospensione del termine di prescrizione

(mesi 3 c giorni 15).

A questa udienza, in assenza di questioni preliminari, veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e, dopo le richieste di ammissione dei mezzi istruttori delle parti e riserva di produzione documentale, veniva escussa la persona offesa non costituitasi parte civile Mo.Ch.

Il processo era rinviato al 27.03.2023 per le testi Co.Si. e Co.Va., che, entrambe presenti, in quella data venivano escusse.

All'udienza del 22.05.2023 venivano escussi i residui tesi della lista del P.M., quello di P.G., l'Ass. C. Br.Ro. del Commissariato di Acerra ed i testi Pa.An. e So.Sa., ed il processo era rinviato per il prosieguo.

In data 12.06.2023 si procedeva all'esame dell'imputato, con domande a precisazione, avendo il difensore prestato il consenso all'acquisizione del verbale di interrogatorio, ed all'escussione del teste della difesa Co.Pa., con rinuncia al secondo teste della propria lista, Ca.Fi., della quale nulla osservando il P.M. veniva revocata l'ordinanza ammissiva. Il processo veniva rinviato al 25.09.2023 per la sola discussione.

In data odierna la scrivente formalizzava la chiusura del dibattimento e dichiarava l'utilizzabilità del materiale istruttorio legittimamente acquisito, dava la parola alle parti per le rispettive richieste e conclusioni finali, sintetizzate nella sezione che precede, e di seguito s'è ritirata in camera di consiglio, per poi decidere come dalla presente sentenza, resa pubblica mediante lettura in udienza del dispositivo, le cui motivazioni si vanno qui di seguito ad illustrare.

Motivi della decisione
Osserva il Giudicante che gli esiti dibattimentali consentono di escludere, con sufficiente certezza, la penale responsabilità di CO.St. per il reato a lui ascritto, dovendosi pertanto emettere nei suoi confronti una sentenza di assoluzione.

Il compendio probatorio su cui si fonda la presente decisone, completo ed esaustivo, e costituito sia dalla documentazione versata in atti, ossia un referto della persona offesa e la trascrizione di alcuni messaggi di testo di (…), sia dalle dichiarazioni rese dai testi escussi in dibattimento, della Pubblica accusa e della difesa.

Occorre evidenziare, prima di entrare nella disamina dei fatti che costituiscono l'ossatura dell'impianto accusatorio, che le persone offese hanno sporto nel corso del tempo, e congiuntamente, una sola denuncia, quella del 7 aprile 2021, circostanza questa, a parere di questo Giudice, particolarmente significativa in relazione a quanto poi emerso nel corso del dibattimento, soprattutto alla luce del fatto che Mo.Ch., moglie dell'odierno imputato, nel corso della propria escussione ha dichiarato non soltanto che è stata spinta a presentarla dalle due figlie, Va. e Si., altrimenti mai lei lo avrebbe fatto (e non per paura o soggezione psicologica nei confronti del marito ma perché intimamente non convinta della vessatorietà dei suoi comportamenti), ma anche che successivamente alla sua presentazione, dopo circa sette o otto mesi dall'allontanamento dell'uomo dalla casa coniugale, ha riallacciato i rapporti con il marito, con il quale si vede tuttora regolarmente, nell'ostilità forte delle due figlie, che cercano in tutti i modi di contrastarla in questa scelta.

Gli episodi contestati al CO. sono complessivamente sei nel corso di sei anni e sono stati puntualmente ricostruiti da tutti i soggetti sentiti nel corso del dibattimento, compreso l'imputato che ha reso esame.

La persona offesa Mo.Ch. ha dichiarato di essere sposata con il CO. dal 1995 e che andava tutto bene fino a quando le ragazze sono diventate adolescenti, momento a partire dal quale sono nate tutte le discussioni "Perché io sono una mamma troppo permissiva, mentre lui era un po' più severo, perché magari mi bastava che loro mi dicessero: "mamma, esco" - non chiedevo né dove andavano né a che ora tornavano, mentre lui magari voleva sapere con chi è uscita, quindi, iniziavano questi litigi, perché dice: "ma tu perché non hai chiesto alle ragazze dove vanno?" (p. 6 verb. Sten. del 20.03.2023). Precisava, su domanda del P.M., che tra di loro non c'erano mai stati alterchi prima di quel momento.

Nel passare alla disamina dei singoli episodi, e ripercorrendoli a ritroso, con riguardo a quello dell'8 marzo 2021 (che l'aveva indotta ad abbandonare la casa coniugale assieme alle figlie e poi a sporgere querela il successivo 7 aprile) la donna riferiva che il marito all'epoca aveva il piede ingessato, perché era stato da poco operato alla caviglia, lei in quel periodo era un po' assente psicologicamente, perché spesso soffre di depressione; il marito dunque aveva chiamato la figlia per dirle di portare dentro la lettiera, lei invece girò le spalle e se ne andò in bagno, lui continuava a chiamarla, e lei non rispondeva; ad un certo punto lui, giustamente arrabbiato riferiva testualmente la teste dopo aver appurato che la figlia lo ignorava deliberatamente, iniziò ad arrabbiarsi, e le disse la frase incriminata: "esci fuori altrimenti ti uccido", lei , sentendo le urla accorreva - perché, riferiva, era sempre presente quando succedeva qualcosa - a propria volta si arrabbiava e lo buttava verso il muro, dicendogli di non gridare anche per non dar fastidio al vicinato, ammonendolo che gridavano sempre per cose futili"; successivamente la figlia usciva dal bagno e la lite finiva lì. Continuava riferendo che quella sera ognuno era stato per i fatti suoi, però la mattina dopo lei decideva di andare via di casa perché la figlia minore Si. le aveva detto di non riuscire più a sopportare quei litigi e di volersene andare. Interrogata sull'andamento del matrimonio, la donna dichiarava di non aver nulla da recriminare al marito, anche perché lui usciva la mattina, tornava la sera, pensava sempre al fabbisogno familiare, non aveva mai fatto mancare loro nulla. Incalzata dalle sollecitazioni del P.M., che le contestava di aver dichiarato cose diverse in denuncia (ossia che durante tutto l'arco della vita matrimoniale loro de avevano sempre litigato, perché il marito voleva sempre decidere lui, su ogni cosa ed esercitava sia su di lei che sulle figlie il massimo controllo su tutto, precisando che qualsiasi cosa ilei avesse intenzione di fare lui gliela la impediva, ad esempio di andare a fare visita a sua sorella Daniela Molino e a sua madre), la donna negava la fondatezza di quanto dichiarato, anche perché diceva lei lavorava e aveva la libertà di muoversi come voleva. Negava anche che il marito la picchiasse deliberatamente, affermando che se aveva ricevuto qualche colpo era stato per interporsi tra lui e le figlie, per difenderle dai suoi attacchi, precisando "che magari se voleva dare uno schiaffo io mi mettevo davanti altre lo beccavo io, non è che lui alzava le mani proprio su di me" (p. 11 verb. sten, del 20.03.2023).

Con riguardo all'episodio del 2015, la teste riferiva che una sera la figlia Si. aveva chiesto loro di invitare a casa degli amici per mangiare insieme delle pizze e loro avevano acconsentito, intimandole tuttavia di lasciare tutto in ordine al termine della festa. Rientrati a casa, avevano trovato tutto sottosopra, la figlia aveva lasciato tutto in disordine ed era andata a dormire, per cui l'imputato, molto arrabbiato, era andato nella sua camera da letto e l'aveva svegliata, colpendola poi con degli schiaffi, che tuttavia dichiarava la donna su domanda del P.M. non le avevano provocato alcuna lesione, precisando solo che in preda ad una crisi di ansia la ragazza aveva avuto difficoltà a respirare. Nonostante le contestazioni del P.M. circa le dichiarazioni rese nel verbale di sommarie informazioni del 9 aprile 2021 nelle quali aveva detto che nei giorni successivi la figlia aveva riportato dei segni sul volto e dei lividi sulle gambe - la teste dichiarava di non ricordare.

Nel 2017 era successo un altro episodio, quando la figlia Va. era uscita la sera con amici e il padre, a notte fonda, l'aveva chiamata innumerevoli volte senza ricevere alcuna risposta, sicché al suo rientro lui, molto arrabbiato, dopo averle chiesto con forza il motivo della mancata risposta, cui la ragazza non rispondeva, le aveva gettato a terra il cellulare e l'aveva rotto. Su domanda specifica della scrivente, la donna riferiva che dal 2015 al 2017 (ossia nel periodo intermedio rispetto ai due episodi riferiti) non erano accaduti altri fatti di rilievo, se non, riferiva, dei normali litigi che accadono in tutte le case.

Nel gennaio del 2018 era accaduto un altro episodio; in particolare, un giorno - mentre stavano facendo dei lavori di ristrutturazione nel loro appartamento li avevano avvisati che sarebbe mancata l'acqua, sicché lei era scesa per comprare il tappo della vasca da bagno per fare un po' di scorta di acqua ed aveva sbagliato la misura, tanto da far infuriare il marito che in un impeto d'ira le aveva messo le mani al collo, anche alla presenza delle figlie, una delle quali era andata a chiamare la vicina di casa, che era subito intervenuta e aveva cercato di mediare, anche se al suo arrivo la lite era già cessata.

La donna, su domande del P.m., dichiarava di non essere mai andata al Pronto Soccorso per farsi refertare.

Nel febbraio del 2021, poche settimane prima di decidere di lasciare la casa assieme alle figlie, era accaduto un altro episodio, in particolare il 29 febbraio, quando lei aveva deciso di uscire assieme alla figlia Va., prendendo la propria auto che non funzionava bene; in quell'occasione il manto insisteva per farle prendere la propria vettura, e dopo che, durante il tragitto, erano rimaste appiedate, ed erano state costrette a farsi accompagnare a casa da una persona che si era detta disponibile, il CO. si arrabbiava molto ed iniziavano a litigare. A quel punto la figlia Si., infastidita dalle urla, correva in cucina, mettendosi "proprio faccia a faccia a mio marito", dicendogli di smettere di gridale perché il suo comportamento le dava fastidio ed il padre che in quel momento aveva una gamba ingessata perché era stato operato ed era costretto a muoversi con un tutore a quelle parole aveva cercato di farsi spazio con la mano che reggeva la stampella, colpendola leggermente. A fronte delle contestazioni del P.m., che le obiettava di aver ricostruito diversamente l'episodio in denuncia, nella quale aveva dichiarato che il marito si era scagliato addosso alla figlia con la stampella mentre lei e la sorella cercavano di difenderla, la donna confermava la versione odierna. Messa poi di fronte alle contraddizioni del suo narrato rispetto alle precedenti dichiarazioni, la donna alla fine ammetteva di esser stata indotta a presentare la denuncia dalle figlie e dalle persone che aveva intorno, che però, affermava, non conoscevano esattamente i fatti; sollecitata a spiegare questa affermazione, la Mo. dichiarava che il marito aveva sempre cercato di tener unita la famiglia.

Prendendo spunto da queste dichiarazioni, il difensore dell'imputato la invitava a riferire da quando il suo matrimonio aveva iniziato vacillare e se, in particolare, questo era accaduto dal momento in cui le figlie erano diventate adolescenti, circostanza che la teste confermava. Aggiungeva poi, sempre sollecitata dalle domande della difesa, che lei ad un certo punto aveva iniziato anche a soffrire di depressione ed era stata costretta a prendere dei farmaci, che ne avevano ulteriormente minato il senso di autorità, già molto labile, nei confronti delle figlie, mentre il marito era sempre stato molto più severo, circostanza che le ragazze, soprattutto crescendo, avevano accettato sempre meno. Peraltro, aggiungeva la teste, il marito non aveva mai impedito loro di fare nulla di quello che volevano, di scegliersi gli amici, di vestirsi come desideravano e neppure le scelte più importanti erano state loro imposte, come l'indirizzo scolastico o il loro mantenimento finché avessero deciso di studiare. Ciò a cui erano assolutamente insofferenti erano le regole di convivenza che lui voleva imporre e che lei non sapeva far rispettare, tanto che sorgevano litigi continui con il padre, che era l'unico che poneva loro dei freni. Soprattutto la figlia più piccola, Si., era molto irritante, in quanto, girava le spalle mentre lui parlava, sbatteva la porta in faccia e lo sfidava in continuazione, atteggiamento che lei usava di solito un pò con tutti.

In relazione all'episodio dell'8 marzo 2021, in cui la ragazza si era chiusa in bagno e poi il marito le aveva detto che l'avrebbe uccisa, era accaduto che lui l'aveva chiamata, volendole far portare fuori la lettiera del gatto, e la ragazza, senza neppure chiedere cosa volesse, gli aveva girato le spalle senza rispondere ed era andata via, suscitando l'ira del padre che non tollerava questi atteggiamenti di arroganza.

Dagli screenshot prodotti dal P.M. - relativi alle conversazioni che i due coniugi avevano avuto successivamente alla separazione - emerge una preoccupazione educativa del CO. nei confronti soprattutto della figlia Si. ed un rimprovero alla moglie, che lui rimproverava di assecondare troppo.

Il narrato delle due figlie era di tenore completamente differente. Ciascuna delle due ragazze riferiva gli stessi episodi contestati nel capo di imputazione e già riferiti dalla madre, ma dichiarando che il padre era sempre molto aggressivo e violento, che spesso era ubriaco (circostanza che la Mo. aveva negato, su espressa domanda), che spesso intervenivano1 vicini di casa per calmare l'agitazione e che in una occasione (quella del tappo della vasca da bagno) il padre aveva messo le mani al collo della moglie, tanto che una delle due sorelle era stata costretta a chiedere l'intervento dei vicini.

Si., in particolare, invitata a riferire del clima che c'era a casa ed incalzata dalle domande della scrivente, riferiva che finché erano state piccole il clima a casa era stato armonioso e che solo quando loro erano cresciute e avevano iniziato a non accettare più le regole di convivenza familiare erano iniziati i litigi, non tanto con la madre, quanto con il padre che cercava di imporgliele.

Anche i due vicini di casa, più volte citati come persone che erano a conoscenza dei litigi frequenti che si svolgevano in casa, Pa.Or. e So.Sa., riferivano che talvolta erano intervenuti per cercare di calmare gli animi, ma non avevano mai assistito ad episodi di violenza nei confronti della moglie o delle figlie del CO., circoscrivendo gli episodi a loro conosciuti a urla che spesso sentivano provenire dalla casa dei vicini, senza distinguere cosa accadesse nello specifico, precisando che dopo i litigi i rapporti comunque si ricomponevano e tornava la serenità. Entrambi concordavano sul fatto che le liti erano diventate più frequenti da quando le figlie erano diventate adolescenti e poi adulte ed i ogni caso negavano di aver mai visto il CO. ubriaco o la moglie e le figlie con segni di percosse e lesioni sul viso o sul corpo.

Nel corso del suo esame l'imputato, pur non negando di aveva talvolta dato qualche schiaffo alle figlie, soprattutto alla piccola, Si. (mai volontariamente alla moglie, che se era stata colpita, lo era stata solo perché si metteva in mezzo tra lui ed una delle due nel corso di qualche discussione), affermava che in realtà ciò accadeva quando lei lo portava all'esasperazione con il suo comportamento volutamente provocatorio, che portava avanti ad oltranza fino a fargli perder la pazienza. L'uomo affermava che la moglie era molto debole di carattere e no era mai stata in grado di porre dei veti alle figlie su nessun aspetto, quindi era stato lui a dover imporre delle regole di comportamento alle figlie, che queste mal tolleravano. I problemi, poi, si erano acuiti da quando lui aveva iniziato ad avere delle difficoltà economiche, dovute alla necessità di far fronte al pagamento di un mutuo che aveva contratto per l'acquisto della loro casa di abitazione, acuiti poi dal fatto che durante il periodo COVID lui aveva dovuto interrompere il secondo lavoro che faceva per affrontare tutti gli impegni economici. Fino a quel momento il loro tenore di vita era stato particolarmente agiato, non aveva fatto mai mancare nulla alla famiglia, comprese vacanze estive, viaggi, gite e uscite con gli amici per le ragazze; poi, da quando erano iniziati i problemi finanziari si erano acuite molto le tensioni in casa ed i litigi, anche per l'insofferenza delle figlie a questo mutato stile di vita e al ridimensionamento che avevano dovuto avere.

Infine, il teste della difesa, Co.Pa., fratello dell'imputato, riferiva di frequentare la casa del fratello e di avere rapporti con la sua famiglia, ma di non avere mai assistito ad episodi specifici di violenza o a litigi particolari, era una famiglia serena come tante altre, compreso il fatto di aver sentito talvolta le figlie rispondere male al padre. Orbene, tali essendo i fatti, deve concludersi che le risultanze istruttorie non abbiano dato riscontro all'assunto accusatorio.

Partendo dall'analisi della posizione della moglie, la teste, nel corso di tutta la sua escussione testimoniale, ed in questo smentendo il contenuto della denuncia sporta, ha riferito che il marito mai aveva alzato un dito su di lei e che imputò gli episodi da lei riferiti, in cui era stata attinta da qualche colpo inferto dal CO., la causa era ricercarsi esclusivamente nel fatto che si era intromessa tra lui e le figlie, a causa di un qualche alterco insorto tra loro. La Mo. ha precisato che il rapporto con il marito - che peraltro nelle more è stato anche ricucito, poiché i due hanno ripreso a vedersi, pur nella ferma avversione delle figlie, che hanno sempre voluto fortemente che la madre si allontanasse dal padre - era stato sempre caratterizzato da una normale armonia e serenità, che si erano incrinate solamente quando le figlie (soprattutto la più piccola, Si., spalleggiata dalla sorella) crescendo, avevano iniziato ad assumere un atteggiamento ribelle ed insofferente nei confronti del padre, molto più rigoroso della madre nella loro educazione, che mal tolleravano e alla quale si ribellavano, anche con modalità molto arroganti e proterve. Da lì erano scaturiti tutti i loro litigi, che tuttavia avevano sempre come epicentro il mancato rispetto da parte delle ragazze delle regole di normale convivenza che il padre voleva loro impartire e che la madre - afflitta da una cronica depressione non era in grado di far rispettare. Con riguardo alla donna, dunque, manca l'elemento caratterizzante la condotta del reato in contestazione, ossia l'intenzione criminosa da parte dell'imputato di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo con più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, con l'intento di infliggere abitualmente tali sofferenze alla vittima. Venendo alla posizione delle figlie, dalle deposizioni dei testi escussi, dalle dichiarazioni dell'imputato - apparse genuine e prive di qualsiasi intento denigratorio nei confronti delle sue accusatrici dalla mancanza di una qualsiasi denuncia precedente o di segnalazioni da parte delle forze di polizia su una eventuale condizione di criticità della famiglia, è emerso che più che di maltrattamenti nei loro confronti si sia trattato di reazioni, a volte eccessive, da parte del padre nei confronti delle arroganti pretese di due ragazze, abituate a vivere in una condizione di agiatezza nella quale l'uomo le aveva cresciute, insofferenti alle regole di comportamento che devono essere tenute all'interno del consorzio familiare e che devono essere impartite da un genitore nell'ambito del proprio diritto-dovere educativo. A fronte di richieste assolutamente legittime del genitore (l'essere avvisato in caso di ritardo nel rientro a casa, soprattutto a tarda notte, lasciare in ordine la casa dopo una festa con gli amici che pur era stata tranquillamente consentita - aiutate nel governo delle faccende domestiche, soprattutto in un momento di minorazione fisica da parte sua) le figlie avevano sempre mostrato indolenza e riottosità nel rispetto di quanto richiesto dal padre, assumendo di volta in volta atteggiamenti di superiorità, di totale indifferenza e di iattanza, tali da portare il padre all'esasperazione e, di conseguenza, all'uso della violenza, manifestatasi per lo più con schiaffi. Non ha trovato riscontro dibattimentale, invece, l'accusa mossa al CO. dell'uso di una violenza ulteriore rispetto a queste manifestazioni di ius corrige udì nei confronti delle figlie, ed in particolare che abbia colpito la figlia Si. alla spalla con una stampella la sera dell'1 marzo 2021, e neppure che abbia messo le mani alla gola della moglie nell'episodio del 2018.

Quanto alle minacce rivolte alle congiunte, mentre è risultata assolutamente indimostrata l'accusa di aver minacciato la moglie, sempre nell'episodio dell'1 marzo 2021 (circostanza recisamente smentita dalla stessa), è emerso che nel corso delle liti l'imputato ha qualche volta proferito minacce di morte nei confronti della figlia Si., ma tali minacce correlate allo stato di grave alterazione in cui si veniva a trovare in occasione di queste liti, anche perché fortemente e scientemente provocato dalla stessa figlia - devono rapportarsi all'instabilità emotiva data dall'animosità della situazione e soprattutto devono ritenersi pronunciate in assenza di una reale pericolosità e volontà di realizzazione e comunque non sono mai state da ingenerare in alcun modo nella destinataria alcun timore per la propria incolumità personale, com'è reso palese dal fatto che la ragazza, anche dopo che il padre l'aveva asseritamente minacciata di morte, aveva continuato serenamente nelle proprie attività. Deve pertanto certamente escludersi, anche in relazione alle due figlie, la ricorrenza del reato di maltrattamenti, di cui manca ogni elemento costitutivo, oggettivo e soggettivo; tale reato è costituito da una condotta abituale che si estrinseca in più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, tali da infliggere abitualmente tali sofferenze. E ad integrate l'abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati ed "unificati", anche se per un limitato periodo di tempo (cfr. Cass. Pen., sez. V, 09.01.1992 n. 213).

E' stato inoltre chiarito che la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l'intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 18.2.2010 n. 16836), laddove nel caso di specie è stato dimostrato che alcuna vessazione voleva il CO. perpetrare verso moglie e figlie.

Il dolo è generico, sicché non si richiede che l'agente sia animato da alcun fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 8.1.2004 n. 4933).

Come risulta evidente dalla esposizione dei fatti oggetto del presente processo, tutti questi elementi sono assenti nel caso di specie. Inoltre, secondo la più accreditata giurisprudenza, seguita dalla scrivente, episodi di violenza nei confronti del figlio minore (in relazione al più risalente fatto qui contestato, quello del 2015), pur reiterati - per ammissione dello stesso imputato o per dichiarazioni generiche delle testi, ma non quantificabili, legati a reazioni occasionali, seppur non condivisibili, a condotte del figlio, non sono sufficienti ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, mancando gli elementi della prevaricazione e della vessazione del figlio connotati da un unico disegno criminoso. Le predette condotte sporadiche ed occasionali, mancando di una continuità e della finalità predetta, non consentono neppure la riqualificazione nel reato di utilizzo abusivo dei mezzi di correzione, eventualmente configurabile sempre in riferimento all'episodio del 2015, l'unico in cui la figlia Si. era ancora minorenne, essendo un principio consolidato quello secondo cui il reato di abuso dei mezzi di correzione può delinearsi solamente nei confronti di soggetti minorenni, che siano sottoposti alla posizione di autorità da parte di determinati soggetti (genitori, educatori, insegnanti).

Tanto basta, a parere della scrivente, per giungere ad una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto.

La complessità della ricostruzione degli avvenimenti e le diverse sentenze assunte in decisione alla medesima udienza giustificano la riserva del termine per il deposito dei motivi.

P.Q.M.
Letto l'art. 530 c.p.p.,

assolve CO.St. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Letto l'art. 544 c.p.p., fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Nola il 25 settembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2023.

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