Tribunale Napoli sez. VI, 12/02/2024, (ud. 29/01/2024, dep. 12/02/2024), n.1113
Il reato di cui all’art. 570 bis c.p. si configura in caso di mancato adempimento, totale o parziale, dell'obbligo di corresponsione degli assegni di mantenimento stabiliti da un provvedimento civile, indipendentemente dallo stato di bisogno dell'avente diritto. Tale condotta costituisce una violazione degli obblighi economici derivanti dalla separazione o affidamento dei figli. L’inadempimento parziale, pur rilevando per la graduazione della pena, non esclude la rilevanza penale della condotta. È inoltre necessario provare l’incapacità economica assoluta, persistente e incolpevole del soggetto obbligato, che non può essere genericamente dedotta o allegata. La condanna per violazione degli obblighi di mantenimento prevede anche il risarcimento del danno in favore della parte civile.
Svolgimento del processo
L'imputato in epigrafe è stato tratto, nelle forme della citazione diretta, innanzi al giudizio del Tribunale di Napoli in composizione monocratica per rispondere del reato ascrittogli giusto decreto del P.M. datato 30 novembre 2022.
In sede di prima udienza in data 3 aprile 2023, dichiarata l'assenza dell'imputato SU.Ga. in quanto ritualmente citato ma ingiustificatamente non comparso, si procedeva a rinvio atteso il mancato perfezionamento del rapporto processuale nei confronti della persona offesa D.ME.
Alla successiva udienza del 17 luglio 2023 si procedeva a nuovo rinvio al 20 novembre 2023 su richiesta della difesa della persona offesa per trattative di bonario componimento in corso, con sospensione dei termini di prescrizione.
In quella sede, ammessa la costituzione di parte civile in seguito a comunicazione della mancata conclusione delle suddette trattative di bonario componimento ed appurata l'assenza di questioni o eccezioni preliminari, si dichiarava aperta la fase dell'istruttoria dibattimentale e le parti avanzavano le rispettive richieste di mezzi di prova che il Giudice, valutatene la pertinenza e la rilevanza ai fini della decisione, ammetteva nei sensi e nei limiti di cui all'ordinanza resa a verbale, disponendo infine rinvio all'udienza dell'11 dicembre 2023 stante l'assenza dei testi.
In tale ultima data, revocata la dichiarazione di assenza dell'imputato in quanto presente, si procedeva all'esame dibattimentale della persona offesa, della teste PR.Lu., nonché ad esame dell'imputato SU.Ga.
Infine, su concorde richiesta delle parti, onde consentire ulteriori trattative di bonario componimento, si disponeva rinvio.
Alla successiva udienza del 29 gennaio 2024 la difesa comunicava il mancato buon esito delle trattative, motivo per cui il Giudice acquisiva il provvedimento civilistico prodotto dalla difesa di parte civile e, non essendovi ulteriori incombenti istruttori, invitava le parti alle rispettive conclusioni ritirandosi, infine, in Camera di Consiglio ove decideva come da dispositivo di cui si dava pubblica lettura in pari data.
Motivi della decisione
Rileva il Giudicante che, alla stregua delle emergenze istruttorie, debba essere formulato giudizio di penale responsabilità dell'imputato dal momento che il reato ascrittogli risulta integrato in ogni suo elemento ontologico e strutturale.
Decisive in proposito devono ritenersi le dichiarazioni rese in sede dibattimentale dalla persona offesa Daniela D.ME.
La stessa alla pubblica udienza dell'11 dicembre 2023 dichiarava di aver avuto una relazione sentimentale con l'imputato SU.Ga. e che da tale unione è nata in data (…) una figlia, De., ad oggi ancora minorenne.
La D.ME. lamentava di non aver ricevuto nel periodo in contestazione i 300,00 Euro mensili di mantenimento previsti dal provvedimento civile in maniera costante: "non è mai stato preciso", "qualcosa sì ma non è mai stato preciso con i tempi e con la somma giusta del mantenimento", precisando che in alcuni mesi versava l'intera somma di Euro 300,00, altri 200,00 o 100,00, mentre per otto mesi non ebbe a versare nulla. Tra il 2019 e il 2021 riferiva di aver ricevuto il pagamento circa otto-nove volte, seppur in misura parziale.
Circa le spese straordinarie a domanda rispondeva di non aver mai ricevuto alcuna cifra, nonostante il provvedimento civile ne prevedesse un contribuzione nella misura del 50 per cento.
Risulta doveroso vagliare preliminarmente le suddette dichiarazioni alla luce della peculiare posizione processuale rivestita dalla persona offesa.
La Giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha infatti affermato il principio per cui, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole di cui ai commi tre e quattro dell'art. 192 c.p.p. - richiedenti la presenza di riscontri esterni - occorre pur sempre, in considerazione dell'interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone (Sez. Un. n. 41461/2012).
E' da ritenersi, pertanto, che l'accusa della vittima sia, di per sè, una fonte di prova a tutti gli effetti che il Giudice è tenuto a sottoporre ad un accertamento ancor più rigoroso alla luce dell'insondabile pulsione e tensione emotiva che inconsapevolmente può indurre la persona a "distorcere" strumentalmente la realtà dei fatti al fine di fornire una versione degli stessi interessata e fuorviante.
Ci si preoccupa, cioè, di garantire che le dichiarazioni di accusa della vittima siano il più possibile genuine, "disinteressate" e quindi intrinsecamente attendibili, ma allorché sia provato tale loro carattere le dichiarazioni della persona offesa, pur se astrattamente non equiparabili a quelle del testimone estraneo, possono fondare autonomamente - senza cioè la necessità di riscontri esterni - una pronuncia di condanna.
Ciò chiarito deve subito sottolinearsi che non può farsi discendere una inattendibilità intrinseca da eventuali discordanze o imprecisioni su fatti marginali della vicenda, in quanto anche qualche contraddizione può non essere rilevante allorché l'impianto narrativo sia nel suo complesso logico e coerente.
Una versione dei fatti, d'altronde, affatto identica e senza incertezze, che, come un cuneo inarrestabile, superi il lasso cronologico e tutte le fasi processuali ben può apparire sospetta, perché magari studiata "a tavolino". Insomma, ben può essere ritenuta credibile ed attendibile la persona offesa che, pur con qualche comprensibile e giustificabile tentennamento, mantenga ferma la sua versione accusatoria nei punti essenziali della vicenda che l'hanno, suo malgrado, vista protagonista.
Può allora dirsi che l'attendibilità del dichiarante può essere affermata allorchè la versione accusatoria presenti oggettive lacune, spiegabili però, sotto il profilo della logica e del dato fattuale.
Orbene le dichiarazioni rese nel caso di specie sono apparse in sè lineari, credibili, coerenti e non sorrette da eccessivo rancore nei confronti dell'imputato, né caratterizzate da "amnesie tattiche" e/o opportunistiche rimodulazioni in corso d'opera a seconda delle contestazioni che potevano essere mosse ai testi, di talché possono essere ritenute attendibili.
A riscontro esterno di quanto dichiarato dalla D.ME. è versato in atti su accordo delle parti e, pertanto, nella piena utilizzabilità ai fini del decidere, decreto emesso dal Tribunale di Napoli - XIII Sezione Civile - in data 17 marzo 2021 in cui è posto a carico dell'odierno imputato SU.Ga. l'obbligo di versare la cifra di Euro 300,00 mensili in favore della minore De., oltre al 50 per cento delle spese straordinarie.
All'udienza dell'11 dicembre 2023 veniva, inoltre, escussa la teste Lu.PR., madre della persona offesa, la quale dichiarava di essere a conoscenza del fatto che l'imputato non ha sempre adempiuto all'obbligo di mantenimento posto a suo carico. Affermava, inoltre, di ospitare in casa propria la D.ME. e la nipote De. e di provvedere personalmente ai bisogni delle stesse data l'assenza del contributo del SU.
Ad ulteriore riscontro è dato richiamare il materiale documentale versato in atti dalla difesa dal quale emergono pagamenti parziali, così come riferito dalla D.ME., riferibili al 2023, con un'unica ricevuta recante l'importo di 301,50 euro che però non indica la data della transazione.
Lo stesso imputato all'udienza dell'11 dicembre 2023 ha ammesso di aver versato solo dei pagamenti parziali dell'assegno dovuto per difficoltà economiche presentatesi a seguito della separazione dalla D.ME. che lo hanno costretto a spostarsi fuori Napoli: "a parte che non ho giustificazioni, posso solo dire che ero in una città nuova, dovevo un attimino prendermi la posizione", "ho dovuto riiniziare altrove lavorando nei Ristoranti e qua a Napoli è molto ristretto, è molto più dura e mi sono ritrovato a lavorare fuori Napoli per esigenze".
D'altra parte la dichiarazione resa dalla D.ME. e confermata dalla madre circa la contribuzione al mantenimento della minore da parte della PR., conferma la situazione di bisogno in cui versava la minore proprio in assenza dell'assunzione delle responsabilità genitoriali da parte del padre.
La condotta tenuta dallo stesso, quale emerge dalle suddette dichiarazioni ammissive dell'addebito, integra, dunque, la fattispecie tipica del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all'art. 570 bis del codice penale.
Si premette che tale ipotesi delittuosa è stata introdotta dall'art. 2, comma 1, lettera c), del D.lgs. n. 21 del 2018, meglio noto come "Riforma della Riserva di Codice", sostituendo l'art. 12 sexies della Legge del 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e l'art. 3 della Legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), contestualmente abrogati dall'art. 7, comma 1, lettere b) e o), del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018.
Tale reato si contraddistingue per la mera violazione del provvedimento civilistico, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato di bisogno o della minore età dei discendenti. Trattasi, infatti, di concetto differente e di più ridotta perimetrazione rispetto allo stato di bisogno derivante dalla mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza che è elemento costitutivo del diverso reato di cui all'art. 570 c.p.
La violazione del provvedimento civilistico è, pertanto, la peculiarità del delitto di cui all'art. 570 bis c.p., non necessario, di contro, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice di cui al disposto normativo dell'art. 570 c.p.
Elemento focale è rappresentato, pertanto, dalla violazione dell'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in ragione di scioglimento, cessazione o nullità degli effetti civili del matrimonio ovvero dalla violazione di obblighi economici in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli, prescindendo dalla prova circa lo stato di bisogno dell'avente diritto.
Nel caso di specie è da chiarire in primo luogo che l'adempimento parziale non esclude la rilevanza penale del fatto ai sensi dell'art. 570 bis c.p., ma che tuttavia, la sussistenza di documentati pagamenti parziali comporta la minore gravità del fatto rispetto a quello incriminato al secondo comma dell'art. 570 c.p., attesa la assenza dell'elemento dello stato di bisogno.
La Giurisprudenza pacificamente afferma, infatti, che l'inadempimento parziale dell'obbligo di mantenimento integra il reato di cui all'art. 570 bis c.p. (Cass. n. 1879/2020). Può dirsi, dunque, perfezionato nel caso di specie il fatto tipico di reato, dal momento che le cifre pagate saltuariamente e documentate per il mantenimento, che vanno da Euro 50,00 ad Euro 250,00, sono ben lontane dal ricoprire integralmente la quota dovuta di 300,00 Euro al mese, cifra che il Tribunale ha ritenuto congrua per il mantenimento della minore, come da decreto versato in atti del 17 marzo 2021.
Appurata la sussistenza della omissione, seppur parziale, di pagamento dell'assegno in quanto le dichiarazioni rese dalla D.ME. sono valutate quali lineari, credibili e pertanto attendibili, nonché supportate da riscontri esterni di natura documentale, oltre che dalle dichiarazioni dello stesso imputato rese all'udienza dell'11 dicembre 2023, è E' necessario chiarire che il delitto di cui all'art. 570 bis c.p. integrato anche in caso di assenza del vincolo matrimoniale e soprattutto anche in caso di affido esclusivo come nel caso che ci occupa, attese le difficoltà poste dal dettato normativo.
Sul primo punto, come anticipato, l'art. 570 bis c.p. è stato introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera c), del D.lgs. n. 21 del 2018, meglio noto come "Riforma della Riserva di Codice", sostituendo l'art. 12 sexies della Legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), contestualmente abrogati dall'art. 7, comma 1, lettere b) e o), del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018.
Tuttavia, il Legislatore del 2018, andando oltre quanto disposto dalla legge delega, non si è limitato a trasfondere intra codicem l'anzidetto disposto normativo, operando invece una modifica del precetto primario circoscrivente la sua applicabilità agli interessi patrimoniali dei soli figli nati da coppie coniugate, mentre in passato era assente una simile specificazione.
Un tale intervento ha comportato una situazione di dubbio circa la perdurante rilevanza penale dell'omesso versamento ai figli nati fuori dal matrimonio, alimentando al contempo seri dubbi di ragionevolezza ed eccesso di delega ex artt. 3 e 76 della Costituzione. Ci si è chiesti, cioè, se l'introduzione della nuova norma avesse determinato in realtà una parziale abolitio criminis con riferimento alla condotta del genitore nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio. Condotta quest'ultima che la Giurisprudenza dominante considerava abbracciata dalla fattispecie criminosa di cui all'art. 3 della Legge n. 54 del 2006, grazie alla clausola di estensione di cui all'art. 4, comma 2, della medesima Legge: "Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati".
La conseguente questione di legittimità costituzionale è stata in seguito rigettata dalla Consulta con Sent. n. 189/2019 ritenendo confutata in maniera convincente la tesi della parziale abolitio criminis da parte del filone interpretativo da ultimo diffusosi in Giurisprudenza, sì da escludere una declaratoria di incostituzionalità. La Cassazione, infatti, a partire dal 2018 ha fatto leva sulla circostanza che le disposizioni abrogative di cui all'art. 7 del d.lgs. 21/2018 non abbiano investito l'art. 4 comma 2 della Legge n. 54 del 2006, ossia la norma che estendeva la disciplina penale dell'art. 3 della stessa legge ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
Con uno sguardo sistematico e non più esclusivamente letterale, la Consulta ha così affermato come la perdurante vigenza del suddetto art. 4 lasci inalterato il perimetro di illiceità penale di cui trattasi, dovendosi ritenere che l'espressione ivi contenuta: "Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati " vada ora riferita non più all'abrogato art. 3 della Legge n. 54 del 2006, bensì all'art. 570 bis c.p. che abbraccerebbe così - oltre al fatto compiuto dal "coniuge" - anche quello compiuto dal genitore nei confronti del figlio nato fuori dal matrimonio.
Altra questione nasce dalla menzione del solo affidamento condiviso dei figli nel testo normativo, lasciando dubbi sulla sussunzione dell'affido esclusivo, presente in casi meno numerosi ma sicuramente più delicati e problematici. La dottrina propende per una abolitio criminis dato il tenore letterale della norma, fondato sarebbe d'altronde il rischio di incorrere di una inammissibile applicazione analogica in malam partem ove si arrivasse ad opposta conclusione.
Sicuramente aderendo a questo orientamento si configurerebbe una limitazione di tutela del tutto irragionevole date le problematicità peculiari legate ad un tal tipo di affidamento, disattendendo, inoltre, anche la natura dichiaratamente compilativa del decreto legislativo attuativo della riforma della Riserva di Codice.
La Giurisprudenza di legittimità si è da ultimo espressa a tal riguardo affermando che la configurabilità del delitto di cui all'art. 570 bis c.p. non postula l'affidamento condiviso dei figli minorenni. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza del disposto affido esclusivo e non congiunto del figlio verso il quale il padre rispondeva di omesso versamento dell'assegno periodico di mantenimento.
A ragionare diversamente, argomenta la Corte, ci si porrebbe in linea di discontinuità rispetto al disposto di cui all'art. 3 della Legge n. 54 del 2006 che si limitava ad estendere l'applicabilità dell'art. 12-sexies della L. n. 898 del 1970 "ai casi di violazione degli obblighi di natura economica conseguenti alla separazione, senza contemplare alcun riferimento ali 'affido condiviso o esclusivo. Si dovrebbe, altrimenti, ritenere che almeno una classe di fatti, in precedenza contemplati dalla norma incriminatrice, avrebbero perso rilevanza penale; ciò tuttavia contrasterebbe con l'intento del legislatore che, come già detto, era invece quello di operare una mera trasposizione delle norme penali speciali all'interno del codice penale, in esecuzione di una delega meramente compilativa che escludeva che, con detta operazione, si realizzassero modifiche alle fattispecie incriminatrice (Cass. Pen. n. 49323/2022).
I reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare possono, infine, essere scriminati unicamente laddove il soggetto agente si sia trovato in una situazione di assoluta, incolpevole e persistente incapacità economica tale da non consentirgli alcun margine di scelta per far fronte all'obbligazione, finendo per elidere la volontarietà della condotta tenuta. Una condizione di ristrettezza economica, anche grave, non esime dal provvedere alle esigenze della famiglia, anche a costo di sacrificare ulteriormente la propria condizione personale. Incapacità economica che deve, peraltro, essere, oltre che assoluta ed incolpevole, anche persistente, dovendosi estendere per tutto l'arco temporale della violazione (Cass. 33997/2015).
Circa la prova dell'impossibilità ad adempiere questa, dunque, non solo deve essere rigorosa, non essendo sufficiente la mera allegazione dello stato di disoccupazione da parte dell'obbligato, ma deve anche riguardare tutto il periodo dell'inadempimento in quanto assoluto, incolpevole e persistente (Cass. 50075/2016). Parimenti non è ritenuta idonea la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici, la generica allegazione di difficoltà ad adempiere, la semplice documentazione formale del proprio stato di disoccupazione o, ancora, l'intervenuta ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 10085/2005).
Nel caso di specie la dichiarazione resa dall'imputato circa la generica e non documentata situazione di difficoltà economica subita a seguito della separazione che lo ha costretto a lavorare fuori Napoli non può essere ritenuta sufficiente ai fini della scriminante de qua, mancando tutti i requisiti probatori richiesti dalla Giurisprudenza di legittimità su illustrati, nonché la perduranza di tale stato economico. Il periodo in contestazione presenta la perduranza di condotta, per cui la circostanza che l'imputato attualmente lavori come dichiarato dalla persona offesa ma anche dallo stesso imputato nell'ambito della ristorazione, esclude la perduranza dello stato di disoccupazione lamentato e comunque non adeguatamente provato.
Esclusa, quindi, per l'assenza di qualsivoglia riscontro in proposito, la sussistenza di uno stato di incapacità ad adempiere dell'imputato, nessun dubbio può residuare circa la consapevolezza e la volontarietà della condotta di sottrazione dagli obblighi di assistenza familiare, integrando così la fattispecie incriminatrice p. e p. dall'art. 570 bis c.p. anche nel suo elemento soggettivo del dolo generico.
Quanto al trattamento sanzionatorio poiché tale ipotesi delittuosa è il risultato della trasposizione intra codicem di quella prevista e punita all'art. 12 sexies della Legge n. 898 del 1970 e dall'art. 3 della Legge n. 54 del 2006 ad opera, come detto, della riforma della riserva di codice di cui al decreto legislativo n. 21 del 2018.
Le Sezioni Unite hanno chiarito già nel 2013 con la Sent. n. 23866 come il rinvio presente nel dettato normativo dell'art. 12 sexies della Legge n. 898 del 1970 (richiamato dall'art 3 della Legge n. 54 del 2006) all'art. 570 c.p. costituisse un rinvio quoad poenam limitato alle pene alternative previste dal primo comma di quest'ultimo, trattandosi di una condotta omissiva propria non parificabile a quella di danno - costituito dallo stato di bisogno conseguente alla condotta di far mancare i mezzi di sussistenza - di cui al secondo comma dell'art. 570 c.p., propendendo così per l'opzione maggiormente in favor rei. Pacificamente una simile interpretazione è adottata in sede di applicazione del nuovo art. 570 bis c.p. (ex multis Cass. n. 1810/20; n. 33165/20).
In termini di quantificazione della pena ali1 interno della forbice edittale - nell'ottica del doveroso adeguamento della sanzione al fatto concreto - risulta equa l'applicazione in concreto della multa pari ad Euro 600,00 così ex art. 62 bis c.p. la pena base individuata in Euro 900,00 di multa.
Questo Giudice ritiene, infatti, di concedere il beneficio delle circostanze attenuanti generiche all'imputato, nell'ottica del doveroso adeguamento della sanzione al fatto concreto.
Ex lege segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
L'imputato SU.Ga. va, altresì, condannato al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio - in favore della costituita parte civile nonché alla refusione in favore della stessa delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio che liquida in complessivi Euro millesettecentoventicinque,00 (Euro 1.750,00) di cui Euro 1.500,00 per onorario ed Euro 225,00 per spese oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. Rigetta le richieste di provvisionale avanzate dalla parte civile.
Il notevole carico di lavoro dell'udienza e complessivo ha, infine, determinato il ricorso ad un più ampio termine per il deposito delle motivazioni della sentenza pari a giorni trenta.
P.Q.M.
Letti gli arti 533, 535, 538 c.p.p. dichiara SU.Ga. responsabile del delitto ascrittogli e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di Euro seicento,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì SU.Ga. al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio - in favore della costituita parte civile nonché alla refusione in favore della stessa delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio che liquida in complessivi Euro millesettecentoventicinque,00 (Euro 1.750,00) di cui Euro 1.500,00 per onorario ed Euro 225,00 per spese oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. Rigetta le richieste di provvisionale avanzate dalla parte civile. Indica in giorni trenta il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza.
Così deciso in Napoli il 29 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.