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Truffa: può concorrere con il reato di abusivismo finanziario?


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Il reato di abusivismo finanziario, previsto dall' art. 166, comma 1, d.lg 24 febbraio 1998, n. 58 , può concorrere con quello di truffa, stante la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie, in quanto l'abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l'interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonché l'interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati, mentre la truffa è reato istantaneo di danno, che, per la sua esistenza, richiede l'effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell'uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele, e si consuma al momento della produzione dell'effettivo pregiudizio del raggirato e del conseguimento dell'ingiusto profitto dell'agente (Cassazione penale , sez. V , 16/10/2020 , n. 32514)

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. V , 16/10/2020 , n. 32514

RITENUTO IN FATTO

1. Per quanto ancora rileva, con sentenza del giorno 08/01/2019 la Corte d'appello di Bologna: a) ha confermato l'affermazione di responsabilità di M.R., in relazione ai reati di cui al capo 1) (art. 81 c.p., comma 2, art. 640 c.p., comma 1, art. 61 c.p., n. 7 e 11), quali ritenuti dal giudice di primo grado e salve le puntualizzazioni, in tema di prescrizione, di cui subito infra, e al capo 3 (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 166, comma 1, - t.u.f.), anche quest'ultimo nei termini puntualizzati dal primo giudice; b) ribadita la natura istantanea del delitto di truffa, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del M., in relazione ai reati di cui al capo 1 commessi anteriormente al 06/03/2011 (identica pronuncia era stata assunta dal Tribunale con riguardo a episodi indicati con riguardo a specifiche parti civili e descritti nella sentenza impugnata come risalenti a prima del 16/03/2009); c) salva la modulazione espressa in dispositivo, quanto agli importi liquidati a titolo di provvisionale o di risarcimento danni, ha confermato la condanna del M. e del responsabile civile, Banca Mediolanum s.p.a., nei termini specificati in dispositivo.


La Corte territoriale ha, innanzi tutto, sinteticamente richiamato la ricostruzione delle vicende criminose operata dal Tribunale e non oggetto di contestazione, rilevando che il M., promotore finanziario di Banca Mediolanum s.p.a., si era appropriato per vari anni delle somme di denaro che gli erano state consegnate da numerosissime persone, perchè fossero investite in prodotti finanziari, impiegando le stesse, in parte, per finalità personali e, in parte, per operare restituzioni e pagamenti di interessi, al fine di non insospettire i risparmiatori e proseguire nell'acquisizione di nuovi clienti e nuove somme.


In relazione alle questioni ancora in discussione, la Corte d'appello ha ritenuto: a) che le condotte di cui al capo 1) erano state esattamente qualificate come truffe, alla luce delle modalità, fondate sull'inganno, con le quali il M. aveva ottenuto dalle vittime, dopo averne carpito l'incondizionata fiducia, le somme delle quali si sarebbe appropriato, sebbene avesse fatto credere ai risparmiatori che avrebbe investito, tramite Banca Mediolanum s.p.a., il loro denaro in strumenti finanziari particolarmente remunerativi, giungendo a consegnare loro falsi certificati di investimento; b) che il reato di abusivismo finanziario sussiste anche quando il promotore esorbiti, come nella specie, dai poteri conferitigli dall'intermediario, senza che rilevi, venendo in questione un reato di pericolo, il modo, fedele o non, con il quale avvenga la gestione dei risparmi e, in particolare, senza che assuma significato decisivo la mancanza dell'investimento prospettato; c) che, quanto al tempus commissi delicti, doveva escludersi che le truffe potessero essere considerate - anche in relazione alla posizione di ciascuna vittima - come reati a consumazione prolungata o ad esecuzione frazionata - individuati dalla giurisprudenza in relazione a fattispecie strutturalmente diverse-, sia perchè il delitto di cui all'art. 640 c.p. è illecito istantaneo di danno, sia perchè, in difetto di un contratto tra il promotore e ciascun risparmiatore, non era configurabile la cd. truffa contrattuale; d) che, pertanto, doveva aversi riguardo al momento in cui si era realizzata, per ciascuna vittima, ogni dazione di denaro, frutto dei raggiri del M..


Quanto poi alla posizione del responsabile civile, la sentenza impugnata ha rilevato: a) che il M., solito affermare che "la banca era lui", non si era mai proposto ai clienti come intermediario diverso e alternativo rispetto a Banca Mediolanum s.p.a., come dimostrato dal fatto che, a fronte dei fittizi investimenti, aveva utilizzato modulistica recante la dicitura "Programma Italia Investimenti" con il logo della banca e consegnato certificati relativi a prodotti in passato trattati da quest'ultima; b) che gli elementi di anomalia sottolineati dal responsabile civile non erano tali da interrompere il nesso di "occasionalità necessaria" tra l'incarico di promotore del M. e le condotte illecite poste in essere, anche alla luce della fama di persona affidabile e competente acquisita nel tempo dal primo, attraverso le specifiche modalità della condotta, come pure delle caratteristiche delle persone offese, persone semplici, ingenue, prive di titoli di studio elevati, spesso anche molto anziane; c) che, in definitiva, non era ravvisabile quel coefficiente di consapevolezza integrante "connivenza" o "collusione" dell'investitore richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per ritenere interrotto il menzionato nesso di "occasionalità necessaria"; d) che condivisibilmente il giudice di primo grado aveva ritenuto che, oltre a non potersi far credito alle parti civili di quelle specifiche conoscenze e competenze che avrebbero potuto rendere percepibili le segnalate anomalie procedurali, non erano ravvisabili i casi peculiari, nei quali la giurisprudenza aveva escluso la responsabilità solidale dell'intermediario; e) che, del pari condivisibilmente, il Tribunale aveva ritenuto sussistente un concorso di colpa con riguardo alla posizione di P.M., il quale, oltre agli ingenti importi consegnati e alla frequenza con la quale aveva effettuato i versamenti, era soggetto che, al di là del grado di istruzione, non risultava certo uno sprovveduto, con la conseguenza che era nella condizione di percepire, meglio di tutti gli altri, il mutamento del modus operandi del M. e le anomalie della situazione.


2. Sono stati proposti distinti ricorsi nell'interesse: a) del M.; b) di alcune delle parti civili ( C.G., Co.Vi., in proprio e nella qualità di erede di Co.Gi., G.A., Co.El., quale erede di Co.Gi., T.N., in proprio e nella qualità di erede di Co.Gi., G.A., L.C., G.G., N.S., Z.V., O.L., V.G., O.L., R.R., in proprio e nella qualità di erede di C.M.R., V.G., V.L., P.G., B.U., in proprio e nella qualità di erede di P.E., Pr.Cr., in proprio e nella qualità di erede di P.E., Gh., Gh.Sa., S.F., L.L., Ca.Od., F.G., Le.Ad., N. Graziella, L.F.) difese dall'avv. Stefano Scafidi (d'ora innanzi: le parti civili difese dall'avv. Scafidi); c) di altre parti civili ( S.U., B.C., A.E., B.D., C.G., G.G., G.L., G.L., C.A., R.V., C.S., C.S., B.S., B.L., M.G., S.R., F.V., P.M., A.G., B.O., A.R., T.I., C.A., S.F., P.G., C.G., C.R., S.E., Z.F., S.F., B.C., R.N., C.N., G.A., B.G., M.N., C.M., F.F., Z.R., T.R., P.D., P.M., B.A.M., T.D., G.E., V.D., R.A., B.P., B.G., O.G., L.M., L.C., V.G.P., O.G., F.A., O.M., O.G., A.E., D.D., T.I.) difese dall'avv. Bruno Barbieri (d'ora innanzi: le parti civili difese dall'avv. Barbieri); d) della responsabile civile Banca Mediolanum s.p.a..


3. Il ricorso proposto nell'interesse del M. è affidato ai seguenti motivi.


3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla mancata riqualificazione del reato di abusivismo finanziario di cui al capo 3) in quello di appropriazione indebita.


Rileva il ricorrente: a) che la riqualificazione era imposta dal rilievo che la pacifica, mancata collocazione sul mercato mobiliare del denaro raccolto dai clienti escludeva la configurabilità del reato di cui all'art. 166 t.u.f., per l'insussistenza del pericolo di lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ossia l'interesse del mercato mobiliare e dei singoli operatori; b) che la conclusione della Corte territoriale conduce ad un esito paradossale, nel senso che, in caso di mancato investimento del denaro, l'agente risponderebbe di abusivismo finanziario e di truffa (o, secondo la tesi propugnata dal ricorrente, di appropriazione indebita), mentre, nel caso di investimento, residuerebbe soltanto il reato di abusivismo finanziario; c) che, peraltro, la circostanza che il M., per alimentare la fiducia che gli investitori riponevano in lui, consegnasse falsi certificati di investimento, confermava la qualificazione della condotta esclusivamente come appropriazione indebita, giacchè gli artifici e i raggiri erano posti in essere dopo l'appropriazione dei beni, ad esclusivi fini dissimulatori; d) che da quest'ultima considerazione scaturiva la conseguenza dell'annullamento senza rinvio della sentenza per difetto della condizione di procedibilità.


3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla mancata riqualificazione del delitto di cui al capo 1) in quello di appropriazione indebita, alla stregua di considerazioni sovrapponibili a quelle sviluppate nel primo motivo, ossia in quanto il M., promotore finanziario di Banca Mediolanum, dopo avere ottenuto lecitamente dai propri clienti il denaro da investire, lo aveva, in parte, trattenuto per sè e, in parte, restituito ad altri clienti per rafforzare la sua credibilità.


4. Il ricorso proposto nell'interesse delle parti civili difese dall'avv. Stefano Scafidi è affidato ad un unico motivo, con il quale, limitatamente agli effetti civili, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale: a) dichiarato non doversi procedere nei confronti del M., in relazione ai reati di cui al capo 1), commessi anteriormente al (OMISSIS), perchè estinti per prescrizione, con le correlate conseguenze quanto alle statuizioni civilistiche; b) l'appello proposto avverso la declaratoria di non doversi procedere nei confronti dei medesimi reati commessi in data anteriore al (OMISSIS).


Rilevano i ricorrenti che erroneamente la Corte d'appello aveva escluso che ricorresse, nel caso di specie, una ipotesi di reato a consumazione prolungata o, meglio, a condotta frazionata, avendo trascurato di considerare che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, siffatto inquadramento doveva essere apprezzato non sul piano dell'astratta descrizione normativa della fattispecie incriminatrice, ma su quello delle specifiche modalità di attuazione del proposito criminoso. Quest'ultimo, nella vicenda in esame, per come ricostruita dalla stessa sentenza impugnata, era fondato sul fattore temporale, nel senso che l'inganno orchestrato dal M. era destinato, in ragione degli specifici raggiri posti in essere (l'impiego delle somme ricevute da alcune delle vittime anche per operare il pagamento di interessi, in favore di altre, e talora anche la restituzione di somme, in favore di quanti le avessero richieste), a protrarsi nel tempo, con la conseguenza che lo sviluppo continuativo delle varie azioni, tra loro coordinate, era strutturalmente e teleologicamente destinato ad aumentare, con l'ampliamento del giro d'affari dell'imputato, l'ingiusto profitto da lui conseguito e il correlato danno per le persone offese.


5. Il ricorso proposto nell'interesse delle parti civili difese dall'avv. Barbieri è affidato ai seguenti motivi.


5.1. Il primo motivo sviluppa censure sostanzialmente sovrapponibili nelle conclusioni al primo motivo del ricorso proposto dalle parti civili difese dall'avv. Scafidi.


5.2. Con il secondo motivo, sempre nella medesima prospettiva del primo motivo, si lamenta inosservanza o erronea applicazione di norme di legge, per avere la Corte territoriale contraddittoriamente, per un verso, riconosciuto che l'operato del M. rientrava in un contesto di truffa contrattuale e, per, altro verso, escluso l'esistenza di un contratto tra l'imputato e i risparmiatori, senza considerare che, invece, tra questi ultimi e Banca Mediolanum s.p.a. era stato concluso il contratto quadro, rispetto al quale i singoli investimenti, realizzati a seguito dell'intervento del mandatario M., si presentavano come disposizioni meramente esecutive.


5.3. Con il terzo motivo, concernente la posizione del solo P.M., si lamentano vizi motivazionali, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente a carico del P. un concorso di colpa, quantificato nella misura di un terzo, in ragione dell'entità dell'investimento, svoltasi continuativamente nel tempo, e del fatto che la persona offesa, certamente non sprovveduta, era in grado, meglio di tutti gli altri, di avvertire il mutamento del modus operandi del M..


Si rileva: a) che la stessa Corte d'appello aveva riconosciuto che le modalità con le quali il P. aveva affidato i risparmi al M. non differivano da quelle degli altri investitori, per i quali il concorso di colpa era stato escluso; b) che non era stato indicato l'elemento processualmente acquisito in grado di dimostrare che il P., laureato in farmacia, fosse un soggetto "certamente non sprovveduto"; c) che la fiducia riposta dalle vittime nella Banca Mediolanum e, in conseguenza, nel promotore M. era profilo ben diverso dal disinteresse per i propri investimenti.


6. Il ricorso proposto nell'interesse di Banca Mediolanum s.p.a. è affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 31 t.u.f e dell'art. 2049 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la responsabilità della banca, nonostante il riconoscimento dell'esistenza di indici di grave anomalia nella condotta delle parti civili.


Rileva la ricorrente: a) che non aveva mai dedotto l'esistenza di una malafede delle parti civili; b) che il fondamento della responsabilità vicaria della banca va ricercato nell'esigenza di tutelare il legittimo ed incolpevole affidamento del cliente, sorto per effetto (e, in ciò si coglie il requisito della "occasionalità necessaria") dell'incarico affidato all'agente, che abbia agevolato o comunque reso possibile la condotta illecita del promotore; c) che, pertanto, siffatta responsabilità è insussistente non solo nei casi in cui il danneggiato abbia agito con dolo o connivenza - secondo quanto erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale-, ma anche quando, come nella specie, rilevanti indici di anomalia nella condotta del promotore escludano l'incolpevole affidamento ed esprimano una fattiva acquiescenza alla sistematica violazione delle regole di protezione del cliente; d) che, nella vicenda in esame, le persone offese erano ben consapevoli del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, dal momento che, secondo le stesse ammissioni delle parti civili, ad una prima fase iniziale in cui queste ultime avevano investito, per il tramite del M., in prodotti intermediati da Banca Mediolanum s.p.a., nel rispetto delle regole procedurali previste, era seguita una seconda fase, nel corso della quale erano state effettuate operazioni con modalità completamente diverse, disattendendo le regole procedurali sopra menzionate; e) che la Corte d'appello, in assenza di un motivo di gravame, aveva rilevato che solo alcune parti civili - peraltro neppure individuate - era state clienti della banca, in tal modo superando la non impugnata contraria affermazione, di carattere generale, della sentenza di primo grado; f) che, infatti, nel corso dell'istruttoria dibattimentale di primo grado, era stato dimostrato o ammesso dalle parti civili che, dopo la prima fase caratterizzata da un investimento presso società del Gruppo Mediolanum, le somme erano state correttamente disinvestite e poi accreditate su conti accesi dalle parti civili su banche terze, in tal modo sfuggendo al controllo di Banca Mediolanum s.p.a.; g) che il denaro era stato consegnato al M. in contati o a mezzo di assegni bancari emessi "in bianco" o intestati "a me medesimo" e poi girati "in bianco"; h) che, peraltro, tutte le parti civili avevano riconosciuto e anche questo punto non era stato impugnato in appello - che avevano assecondato il M., in quanto quest'ultimo aveva loro prospettato la possibilità di ottenere rendimenti che le società del Gruppo Mediolanum - così come gli altri operatori del settore - non erano in grado di offrire; i) che ancora nessuna parte civile, pur avendo ricevuto nella prima fase del rapporto, la rendicontazione da parte di Banca Mediolanum s.p.a., si era rivolta a quest'ultima per ricevere spiegazioni del mancato invio di documentazione nella seconda fase; I) che tutte le parti civili avevano confessato - ciò che era stato affermato dal giudice di primo grado - che solo nella seconda parte del rapporto il M. aveva iniziato a restituire l'importo investito o a corrispondere gli interessi pattuiti a mezzo di dazioni in contanti o con assegni personali o emessi da soggetti terzi; m) che le parti civili, pur avendo ricevuto, a far data dal 31/12/2010, per tre volte, in aggiunta alla rendicontazioni periodiche il "(OMISSIS)", non avevano mai preso contatti con la Banca al fine di chiedere lumi in merito al fatto che le somme da loro consegnate al M. non vi erano incluse.


7. Sono state depositate memorie nell'interesse di Banca Mediolanum s.p.a. e delle parti civili difese dall'avv. Barbieri.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Ricorso M..


1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.


Secondo il fermo e risalente orientamento di questa Corte, integra il reato di abusivismo, previsto dall'art. 166 t.u.f., la condotta del promotore finanziario che, anzichè limitarsi ai compiti a lui ordinariamente spettanti (quali la promozione dei prodotti finanziari e le connesse attività materiali volte a favorire la conclusione del contratto tra cliente e intermediario, per conto del quale opera, nonchè la limitata attività di consulenza, intesa ad orientare le scelte del risparmiatore), stipuli con il cliente un contratto di gestione degli investimenti finanziari e percepisca le somme all'uopo destinate (v., già, Sez. 5, n. 22419 del 02/04/2003, Castelli, Rv. 22495101).


Da quest'ultima sentenza si desume la conseguenza, esattamente colta dalla Corte territoriale, che ricorre il reato de quo ogni qualvolta, come nella specie, il promotore esorbiti dai limiti del mandato conferitogli dall'intermediario,


Sin dalla citata Sez. 5, n. 22419 del 02/04/2003, Castelli, questa Corte ha poi affermato che il reato di abusivismo finanziario può concorrere con il reato di truffa, stante la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie, in quanto l'abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l'interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonchè l'interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati (per il carattere plurioffensivo del reato del quale si discute, v. anche Sez. 5, n. 28157 del 03/02/2015, Lande, Rv. 26491701); la truffa, invece, è reato di danno, che, per la sua esistenza, richiede l'effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell'uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele.


Del tutto fuorviante è la lettura, prospettata nel primo motivo, di Sez. 5, n. 22597 del 24/02/2012, Cattabiani, Rv. 25295801, la quale non affatto affermato che la mancata collocazione del denaro dei clienti sul mercato mobiliare rende insussistente il pericolo alla lesione dell'interesse dell'investitore e del mercato, ma, al contrario, che il reato di abusivismo è integrato dalla condotta di colui che stipuli, ancorchè privo di abilitazione, un contratto di gestione degli investimenti e, quindi, di trasferimento di risorse economiche mobiliari dell'altro contraente, con la prospettiva reale o fittizia di profitti, percependo le somme di denaro a tal fine.


L'ulteriore puntualizzazione della sentenza Cattabiani è che, una volta immessi i risparmi nel mercato mobiliare (ciò che non rappresenta affatto un elemento costitutivo della fattispecie, ma una eventualità che può concretamente verificarsi nel caso di condotta abusiva), dal soggetto non abilitato - e, quindi da soggetto idoneo a ledere l'interesse dell'investitore, del complessivo interesse del mercato mobiliare e dei singoli operatori - non ha rilevanza in quale modo fedele o infedele - sia avvenuta la gestione dei risparmi degli investitori.


In altre parole, come emerge in modo non equivoco della motivazione della sentenza appena citata, il mancato effettivo investimento o comunque l'infedele gestione dei risparmi del contraente, può rivelarsi "inoltre (corsivo di chi scrive) come attività realizzatrice, unitamente a specifici artifici e raggiri, di ipotesi di truffa".


Nè s'intende, per quale ragione, il ricorrente trovi illogico ritenere, in coerenza con la qui condivisa ricostruzione del quadro normativo, non configurabile la truffa, laddove l'investimento vi sia stato e, soprattutto, non si sia realizzata la deminutio patrimonii che della truffa rappresenta elemento costitutivo.


Come detto, la conclusione qui condivisa esprime un orientamento assolutamente consolidato di questa Corte, di recente ribadito anche da Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019 - dep. 07/01/2020, Bonometti, Rv. 27781401; v. anche Sez. 2, n. 42085 del 09/11/2010, Rv. 248510; nonchè Sez. 5, n. 43026 del 24/09/2009 - dep. 11/11/2009, Viada, Rv. 24543301).


2. Inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità è anche il secondo motivo, giacchè la qualificazione delle condotte di cui al capo 1) come truffa e non come appropriazione indebita è stata saldamente ancorata al principio - peraltro condiviso dallo stesso ricorrente, per cui sussiste il delitto di truffa quando l'artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione, mentre ricorre il reato di appropriazione indebita quando gli artifizi e raggiri siano posti in essere dopo. l'appropriazione del bene a soli fini dissimulatori (Sez. 2, n. 51060 del 11/11/2016, Losito, Rv. 26923401).


Il ricorrente, sul punto, valorizza il fatto che il M., dopo aver ricevuto il denaro dai clienti, rilasciava false certificazioni, ma omette del tutto di confrontarsi con i rilievi dei giudici di merito, quanto al fatto che la consegna di siffatti documenti avveniva al momento dell'investimento ed era destinata ad "alimentare la fiducia" riposta dai clienti nel promotore (ciò che vale evidentemente ad assumere rilievo anche per le truffe successivamente poste in essere) e soprattutto quanto alle condotte (le visite periodiche, il rilascio di promemoria manoscritti, destinati a rappresentare più fedelmente e chiaramente la situazione finanziaria, le frequentazioni extra-professionali per accattivarsi le simpatie dei suoi interlocutori) con le quali era riuscito a carpire l'incondizionata fiducia delle vittime, alle quali aveva fatto credere che, attraverso Banca Mediolanum s.p.a., sarebbe stato in grado di assicurare loro investimenti particolarmente remunerativi.


Al riguardo, va ribadito che la mancanza di specificità del motivo, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).


3. L'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).


Ricorso delle parti civili difese dall'avv. Scafidi e dall'avv. Barbieri.


4. Il primo motivo di entrambi i ricorsi e il secondo motivo del ricorso proposto dalle parti civili difese dall'avv. Barbieri, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.


Si è ben consapevoli dei principi affermati da Sez. 2, n. 13916 del 11/12/2013 - dep. il 25/03/2014, Bignami, resa da questa Corte, in un caso nel quale l'imputato aveva "creato un vero e proprio "marchingegno continuativo" costituito dall'intreccio di diverse pratiche e dall'utilizzo del denaro destinato ad alcune di esse da far valere su altre posizioni, per celare momentaneamente l'inganno - i cui effetti, oltremodo dannosi soprattutto dal punto di vista patrimoniale per le persone offese" si erano manifestati successivamente.


Come pure è noto l'impianto teorico che sorregge la decisione e che ha indotto a valorizzare il fattore temporale, dall'imputato consapevolmente programmato, anche in ragione del nascondimento dell'illecito, come funzione quantitativamente necessaria ad incrementare il profitto.


In tale cornice di riferimento, secondo la menzionata Cass. 13916 del 2014, "la presenza di una quantità di tempo come elemento necessario alla realizzazione di quella specifica ideazione criminosa assimila il delitto in esame alla figura dottrinaria e giurisprudenziale del reato c.d. a consumazione prolungata o, con più felice denominazione perchè più consona all'essenza del fenomeno, a condotta frazionata, con ciò volendosi individuare quella particolare fattispecie criminosa, in cui la condotta è destinata, per come è stata ideata, necessariamente a protrarsi nel tempo, anche con soluzione di continuo, prima che il reato, strutturandosi in tutti i suoi elementi, si consumi". Secondo tale prospettiva, "il tempo assume un ruolo tra gli elementi caratterizzanti e il delitto di truffa, per la sua struttura composita che si articola in plurimi elementi, tutti ugualmente necessari alla perfezione della fattispecie tipo (artifici - raggiri induzione in errore - profitto - danno), si presta di buon grado, nella realtà, ad atteggiarsi come reato a condotta frazionata cioè come fatto illecito caratterizzato da un evento che continua a prodursi nel tempo, con soluzione di continuità ma sorretto dalla medesima originaria ideazione, sicchè per le specifiche modalità con cui la condotta criminosa si conforma alla realizzazione del progetto criminoso e si attua, necessita di protrarsi nel tempo".


Ne è stata tratta la conclusione che la truffa, "se anche gli artifici e raggiri e induzione in errore sono la risultante di una molteplicità di atti, frutto della ripetizione di omologhe condotte lesive, debba inquadrarsi nell'ambito dei delitti a "condotta frazionata": in definitiva, le singole ed autonome azioni, pur costituenti altrettante condotte truffaldine, si devono apprezzare e valutare come singoli momenti di un'unica azione lesiva, concepita e sorretta da unitaria volizione.


E, tuttavia, siffatta ricostruzione, con riguardo alla fattispecie della truffa, è rimasta sostanzialmente isolata nella giurisprudenza di questa Corte perchè, in linea generale, la categoria dei delitti a condotta frazionata è stata applicata in subiecta materia in correlazione all'esistenza di effetti, discendenti da un unico e originario comportamento illecito e destinati a prodursi nel tempo, con un aggravamento della lesione dell'interesse giuridico provocata dal primo.


In realtà, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la truffa cosiddetta a consumazione prolungata, configurabile quando la frode è strumentale al conseguimento di erogazioni pubbliche il cui versamento viene rateizzato, e che si consuma al momento della percezione dell'ultima rata di finanziamento, necessita che tutte le erogazioni siano riconducibili all'originario ed unico comportamento fraudolento (ancorchè di carattere omissivo: Sez. 2, n. 4150 del 07/11/2018 - dep. 28/01/2019, Gagliardo Di Carpinello), mentre quando per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, è necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, devono ritenersi integrati altrettanti ed autonomi fatti di reato (Sez. 5, n. 32050 del 11/06/2014, Corba, Rv. 260496; Sez. 2, n. 6864 del 11/02/2015, Alongì, Rv. 262601; n. 53667 del 02/12/2016, Bellucci, Rv. 269381; Sez. 2, n. 23185 del 02/05/2019, Dell'Acqua, Rv. 27578401; Sez. 2, n. 3442 del 27/11/2019 - dep. 28/01/2020, Camilleri).


Alla stregua di tale premessa, si è ritenuto che la truffa commessa dall'intermediario finanziario che, senza autorizzazione, percepisca denaro da privati da investire in operazioni di trading mobiliare, abbia natura di reato istantaneo e si consumi al momento della diminuzione patrimoniale e dell'ingiustificato arricchimento quando le parti abbiano concluso contratti di mandato singoli, in forza dei quali l'autore del reato, ottenuto il versamento delle somme, effettua l'investimento, mentre va considerato a consumazione prolungata quando, a fronte di un accordo iniziale, il cliente effettui periodici versamenti di somme scaglionate nel tempo, come nei c.d. piani di accumulo (v. la citata Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019 - dep. 07/01/2020, Bomometti).


In quest'ultima ipotesi, infatti, la percezione dei singoli emolumenti è riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento con la conseguenza che il momento della consumazione del reato - dal quale far decorrere il termine iniziale di maturazione della prescrizione - è quello in cui cessa la situazione di illegittimità (Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, Rv. 272250).


Siffatta soluzione vale, in definitiva, ad escludere che una generica proiezione temporale della condotta, ontologicamente intesa, ancorchè idonea a rendere più efficaci i raggiri posti in essere successivamente al primo atto dispositivo, sia in grado di realizzare, dal punto di vista di giuridico, nel caso della truffa, un dato unificante sul piano della struttura del reato.


Nella ricerca del fondamento della unitarietà o della pluralità di reati, ai vari fini per i quali rileva l'accertamento della consumazione dell'illecito (nel caso di specie, ai fini del decorso del termine di prescrizione), la giurisprudenza concentra quindi la sua attenzione sugli effetti (diminuzione patrimoniale della vittima con ingiusto profitto dell'autore o di terzi) direttamente ricollegabili all'atto dispositivo, in ciò cogliendo i profili che, sul piano normativo e ontologico, giustificano il trattamento unitario.


In tale cornice di riferimento, esattamente la Corte territoriale ha valorizzato i principi desumibili da Sez. 2, n. 11102 del 14/02/2017, Giannelli, Rv. 26968801, che, pur affrontando questione in parte diversa, ha appunto ribadito la centralità della diminuzione patrimoniale e del correlato profitto, quali funzionalmente e unitariamente legati alla conclusione del contratto.


è appena il caso di rilevare che, dal punto di vista penalistico, l'atto dispositivo va colto nella consegna del denaro in relazione allo specifico investimento volta a volta proposto, senza che assuma alcun rilievo la questione, agitata nel secondo motivo del ricorso delle parti civili difese dall'avv. Barbieri, del rapporto tra il contratto quadro e i singoli ordini esecutivi (e comunque, fermo restando, che anche di recente la giurisprudenza civile ha ribadito che gli ordini di investimento, al pari di quelli di disinvestimento, rappresentano un elemento di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto quadro del quale condividono la natura negoziale come negozi esecutivi, concretandosi attraverso di essi i negozi di acquisizione - per il tramite dell'intermediario - dei titoli da destinare ed essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro: Sez. 1, n. 18122 del 31/08/2020, Rv. 658609 - 02).


E tanto ai fini che qui rilevano, esclude che l'unicità del contratto quadro possa, nell'indicata prospettiva penalistica, superare l'autonomia dispositiva correlata alle singole dazioni ricostruite dalla sentenza impugnata.


Ora, la sentenza impugnata, con accertamento di fatto non oggetto di specifica censura, ha escluso che, nelle vicende sottoposte alla sua attenzione, ricorresse un unico investimento con implementazione periodica della provvista, emergendo, al contrario, continui reinvestimenti, ossia autonomi atti dispositivi. In tale cornice, del tutto irrilevante è la restituzione intermedia delle somme, che rappresenta una modalità esecutiva successiva alla consumazione del reato, finalizzata ad escluderne la scoperta in vista della prosecuzione dell'attività criminosa, senza incidere sugli specifici elementi costitutivi di ciascuna, esaurita condotta illecita.


Essa, in altre parole, è piuttosto espressiva di un persistente e unitario disegno criminoso, idoneo a giustificare il vincolo della continuazione, ma senza alterare i tratti, oggettivi e soggettivi, di ciascuna truffa individuata dai giudici di merito.


5. Per l'esame del terzo motivo del ricorso dell'avv. Barbieri, concernente la posizione della parte civile Pesi si rinvia, per esigenze di economia espositiva, all'esame del ricorso proposto dalla parte civile.


Ricorso di Banca Mediolanum s.p.a..


6. Il motivo di ricorso proposto dalla responsabile civile, unitamente al terzo motivo del ricorso dell'avv. Barbieri, sono, nel loro complesso, infondati.


Al riguardo, occorre considerare che la ragione giustificatrice della responsabilità solidale tracciata dall'art. 31 t.u.f. riposa sul fatto che l'agire del promotore è uno degli strumenti di cui l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali l'ordinamento fa corrispondere il peso economico dei rischi correlati.


In tema di danni derivanti dalla condotta illecita del promotore di prodotti finanziari o assicurativi, la giurisprudenza civile di questa Corte è ormai ferma nel ritenere che la responsabilità della banca o della compagnia di assicurazioni è astrattamente inquadrabile quale responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c., ossia quale ipotesi di responsabilità indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, in quanto agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Sez. 3, n. 857 del 17/01/2020, Rv. 65668701).


Una tale nozione - come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U -, n. 13246 del 16/05/2019, Rv. 65402601, in motivazione, p.p. 46-51) - vale a descrivere null'altro che "una, peculiare specie di relazione di causalità", da valutarsi alla stregua del criterio di regolarità causale con il quale è declinato in ambito civile il principio di equivalenza causale di cui all'art. 41 cpv. c.p., tale per cui "la verificazione del danno-conseguenza non sarebbe stata possibile senza l'esercizio dei poteri conferiti da altri, che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente". Deve dunque trattarsi di una "sequenza tra premesse e conseguenze... rigorosa e riferita a quelle tra queste che appaiano, con giudizio controfattuale di oggettivizzazione ex ante della probabilità o di regolarità causale, come sviluppo non anomalo, anche se implicante violazioni o deviazioni od eccessi in quanto anch'esse oggettivamente prevenibili, di attività rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri. In definitiva, "in tanto può giustificarsi, infatti, la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attività compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi ex ante quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell'organizzazione della propria attività quali componenti potenzialmente pregiudizievoli: e quindi in quanto possa da lui esigersi di prefigurarsi gli sviluppi che possono avere le regolari (in quanto non anomale od oggettivamente improbabili) sequenze causali dell'estrinsecazione dei poteri (o funzioni o attribuzioni) conferiti al suo preposto, tra i quali rientra la violazione aperta del dovere di ufficio la cui cura è stata affidata" (Cass. Sez. U. sent. cit. p.p. 54, 56). Vale, per converso, anche in tale ambito, l'elisione del nesso causale in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per sè solo idoneo a determinare l'evento e trova altresì applicazione la regola generale dell'art. 1227 c.c. in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato.


La colpa del terzo non incide sul fondamento dell'imputazione di responsabilità ma può solo assumere rilievo di fattore all'origine di una diversa serie causale che concorre all'evento dannoso ex art. 1227 c.c., fino eventualmente ad elidere il nesso che collega quest'ultimo al fatto del preponente.


In siffatta prospettiva, la colpa del danneggiato sarà apprezzabile in presenza di un coinvolgimento soggettivo del danneggiato ben più marcato; la credulità del danneggiato va, in altre parole, diversamente ponderata, in detta ipotesi, in considerazione della giustificazione che, almeno in parte, ne può derivare proprio dall'inserimento del preposto nell'organizzazione dell'impresa preponente.


Nella prospettiva qualificatoria di cui all'art. 2049 c.c., la condotta del terzo/investitore - non inserendosi nella situazione di potenzialità dannosa determinata dal contegno della preponente, ma appartenendo ad una serie eziologica diversa e determinante dell'evento - può giungere a interrompere il nesso causale solo allorchè gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al di fuori del rapporto con l'intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell'elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all'irregolare condotta del preposto: acquiescenza desunta dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, dal valore complessivo delle operazioni, dall'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche.


La tematica della responsabilità solidale dell'intermediario è stata ancora di recente esaminata dalla giurisprudenza civile di questa Corte (Sez. 1, n. 17947 del 27/08/2020, Rv. 65857001), la quale, in coerenza con le superiori indicazioni, ha ripercorso l'evoluzione interpretativa con riguardo al nesso di occasionalità necessaria richiesto per l'affermazione della responsabilità dell'intermediario finanziario, ai sensi dell'art. 31 t.u.f..


Si è condivisibilmente rilevato che, in subiecta materia, la società preponente risponde in solido del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da essa indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l'esecuzione delle incombenze affidate al promotore e quindi non solo quando detto promotore sia venuto meno ai propri doveri nell'offerta dei prodotti finanziari ordinariamente negoziati dalla società preponente, ma anche in tutti i casi in cui il suo comportamento, fonte di danno per il risparmiatore, rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze affidategli.


Siffatta responsabilità solidale, si è ribadito, non viene meno per il fatto che il preposto, abusando dei suoi poteri, abbia agito per finalità estranee a quelle del preponente, ma deve essere esclusa quando la condotta del danneggiato presenti connotati di anomalia nel senso sopra descritto (vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle stesse, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche).


Invero, la violazione da parte del promotore finanziario degli obblighi di comportamento che la legge pone a suo carico non esclude la configurabilità di un concorso di colpa dell'investitore, qualora questi tenga un contegno significativamente anomalo ovvero, sebbene a conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti osservanti delle regole dell'ordinaria diligenza od avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente e alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell'evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell'attività di investimento.


In questo quadro, la citata ordinanza 17947 del 27/08/2020 ha ritenuto insindacabile l'accertamento del giudice di merito, in una vicenda, peraltro, nella quale le anomalie descritte erano state vagliate dalla Corte d'appello insieme al dato, pacifico, circa la mancata spendita da parte dell'autore delle condotte del nome della società di intermediazione mobiliare preponente (laddove, nella vicenda in esame, la Corte territoriale ha particolarmente valorizzato il fatto che il M. impegnasse il suo ruolo di promotore di Banca Mediolanum, utilizzando moduli e carta intestata di quest'ultima).


Accanto a siffatto rilievo, deve poi considerarsi che, nell'orientamento di questa Corte, le anomalie procedurali rilevano in quanto percepibili come tali.


Ciò posto, si osserva, in primo luogo, che, sebbene sul piano dell'inquadramento teorico astratto, la sentenza impugnata si esponga in effetti alle critiche della responsabile civile, nella misura in cui sembra assegnare rilievo, ai fini della interruzione del nesso di occasionalità necessaria, solo alla connivenza o alla collusione dell'investitore, tuttavia, nel concreto, ha operato una valutazione fondata proprio sull'esistenza della consapevole accettazione della deviazione, da parte del promotore, delle regole procedimentali.


E, in tale contesto, tenuto conto delle peculiari condizioni soggettive delle vittime delle truffe operate dal M., della loro età, delle loro condizioni sociali e del livello di istruzione, è giunta, per un verso, ad escludere che le parti civili considerate potessero disporre delle conoscenze e competenze per percepire, anche nei mutamenti operativi del M., delle" anomalie procedurali e, per altro verso, a valorizzare il diverso grado di istruzione del Pesi e l'ammontare delle somme investite (oltre che l'attività professionale svolta, in quanto proprietario di farmacia, secondo quanto dedotto in ricorso, e in cui deve cogliersi il sostrato obiettivo del non essere persona sprovveduta, secondo l'affermazione della sentenza impugnata), per giustificare il concorso di colpa di quest'ultimo.


Si tratta di accertamenti di merito, insindacabili in questa sede (e sotto questo esclusivo profilo si apprezza l'inammissibilità delle censure).


A tal riguardo, deve ribadirsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di legittimità quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/04/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369; Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 07/12/2012, Consorte, Rv. 254063).


I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.


In questa prospettiva, a tacer della genericità del richiamo ad atti prodotti nel corso del giudizio di merito, deve solo osservarsi, in via assorbente, che non sono in discussione le specifiche modalità fattuali attraverso le quali il M. riuscì a conseguire le somme dalle persone offese (le anomalie procedimentali, sulle quali insiste il ricorso della responsabile civile), ma la loro percepibilità, da parte delle specifiche vittime la cui posizione è stata esaminata dalla Corte d'appello, come irregolarità, rispetto al modello di diligente condotta del promotore, osservante delle regole che ne disciplinano l'attività, idonee a richiamare l'attenzione delle prime.


7. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso del M. consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. Al rigetto dei restanti ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei restanti ricorrenti, sempre ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.


Quanto al regolamento delle spese relative ai rapporti civilistici, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti, in ragione della soccombenza reciproca, per compensare le spese tra tutti i ricorrenti, con l'unica eccezione del rapporto tra il M. e la responsabile civile, che resta disciplinato dal principio della soccombenza.


Inoltre il M. e Banca Mediolanum s.p.a. sono condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti delle parti civili comparse non ricorrenti, quali indicate in dispositivo, tra le quali vanno annoverate anche quelle difese dal medesimo avv. Barbieri e non incluse tra le parti civili ricorrenti difese da quest'ultimo professionista.


In relazione all'attività svolta, le spese vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di M.R. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta i restanti ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio tra tutte le parti ricorrenti con l'eccezione del ricorrente M. che sarà tenuto alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del ricorrente Banca Mediolanum s.p.a. e che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori di legge. Condanna il ricorrente M. e la ricorrente Banca Mediolanum s.p.a. in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili difese dall'avvocato Bruno Barbieri, che liquida in complessivi Euro 12.000,00, delle parti civili difese dall'avvocato Eugenio Maria Zini, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, delle parti civili difese dall'avvocato Beatrice Capri, che liquida in complessivi Euro 2.800,00 e infine delle parti civili difese dall'avvocato Marcello Rambaldi, che liquida in complessivi Euro 2.800,00,oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2020.


Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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