RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19/01/2023, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza emessa in data 23/11/2020 dal Tribunale di Firenze, con la quale Le.Sa., nella qualità di amministratore della PALAZZO DEL RE SHOPS Srl, era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all'art. 2 D.Lgs. 74/2000 contestategli ai capi a) e b) dell'imputazione e condannato alla pena di anni due e mesi tre di reclusione ed alle correlate pene accessorie.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Le.Sa., a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 2 D.Lgs. 74/2000 e correlato vizio di motivazione con riferimento al reato di cui al capo a).
Argomenta che la condotta contestata al capo a) non integra gli estremi del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 74/2000, in quanto nella dichiarazione ai fini IRES per l'anno di imposta 2013 veniva annotato come elemento passivo la somma di Euro 200 mila come "fatture da ricevere"; le fatture in questione venivano ricevute e materialmente registrate solamente nel 2014 e ai fini IVA venivano inserite della dichiarazione relativa all'anno di imposta 2014, con imposta IRES evasa pari ad Euro 54.000,00; difettando la materiale registrazione delle fatture per operazioni ritenute inesistenti non poteva configurarsi il reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 74/2000, ma, al più, quello di cui all'art. 4 del D.Lgs. 74/2000, nella specie non punibile per il mancato superamento della soglia di punibilità.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta che la Corte di appello aveva denegato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche con motivazione illogica, dando rilievo alla circostanza che il pagamento del debito tributario era avvenuto a distanza di anni e ad opera di soggetto diverso dall'imputato, e contraria allo spirito delle norme che regolano la materia dei reati tributari e, in particolare, quelle di cui agli artt. 13 e 13-bis del D.Lgs. 74/2000.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 531 cod. proc. pen., 27 Cost e 6CEDU e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilità.
Lamenta che la motivazione afferente alla affermazione di responsabilità dell'imputato era illogica ed in contrasto con il principio generale dell'onere della prova gravante sulla pubblica accusa; l'affermazione che le fatture indicate in imputazione- emesse dalla TECNICA COSTRUZIONE Soc. Coop, e ritenute relative ad operazioni inesistenti - erano state emesse da una società "cartiera" e che riguardavano lavori mai eseguiti non aveva trovato alcun tipo di riscontro nel processo, ma si basava su argomentazioni congetturali; inoltre, l'imputato aveva espressamente riferito di aver constato che i lavori di cui alle fatture in questione erano stati effettivamente eseguiti, tanto che nei locali interessati operava una filiale di banca; i lavori in questione, inoltre, erano stati regolarmente pagati, come dimostrato dalla relazione redatta dal consulente tecnico della difesa.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Il difensore del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso. È stata, poi, depositata memoria, con motivi nuovi ed allegata documentazione, nella quale il difensore del ricorrente ha ribadito il primo motivo di ricorso ed ulteriormente argomentato in merito, rimarcando la diversità di numero e di oggetto delle fatture dichiarate nell'anno 2014 e di quelle dichiarate nell'anno 2015 ed evidenziando che la condotta di contabilizzare come costo, come elemento passivo in dichiarazione a prescindere dalla registrazione delle fatture (come affermato nell'impugnata sentenza), non è di per sé sufficiente ad integrare il reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 74/2000 ma integra il differente reato di cui all'art. 4 D.Lgs. citato; ha, quindi, richiamato le considerazioni relative agli ulteriori motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Deve osservarsi che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è integrato dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall'inserimento nella dichiarazione d'imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità (Sez. 3, n. l4855 del 19/12/2011, dep. 18/04/2012, Rv. 252513-01);e si è precisato che i delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall'agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi ovvero di false rappresentazioni con l'uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento (Sez.3, n. 52752 del 20/05/2014, Rv.262358-01).
Nella specie, la Corte territoriale, in conformità ai principi di diritto suesposti, ha correttamente ritenuto integrato il reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, evidenziando, condividendo la valutazione del primo giudice, che nel 2013 l'elemento negativo di reddito veniva annotato ai fini delle imposte dirette (l'operazione era annotata sotto il profilo economico reddituale a fronte di fatture da ricevere) e che nel 2014, quando pervenivano le fatture, esso confluiva nella dichiarazione dei redditi 2014 per l'anno di imposta anno 2013: al momento della presentazione della dichiarazione le fatture erano, quindi, già pervenute ed erano state annotate in contabilità; ai fini IVA, invece, l'operazione era registrata dopo la materiale ricezione delle fatture nel 2014 e, quindi, confluiva nella dichiarazione IVA del 2015 per l'anno di imposta 2014 (cfr pp. 4 e 30 della sentenza impugnata).
Risulta, quindi, manifestamente infondata la censura difensiva, in quanto, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 non deve esserci coincidenza temporale tra la registrazione in contabilità delle false fatture e la dichiarazione d'imposta, risultando sufficiente anche la conservazione a fini di prova delle stesse.
Nè coglie nel segno la censura avente ad oggetto la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, reato per il quale non sarebbe stata superata la soglia di punibilità.
Va ricordato che il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 74/2000 si differenzia dalla frode fiscale essenzialmente per la mancanza di comportamenti fraudolenti che possono ulteriormente caratterizzare la dichiarazione mendace annuale del contribuente; la fattispecie ha natura residuale e si applica ai casi di presentazione di una dichiarazione ideologicamente falsa, in assenza di fatture per operazioni inesistenti o documenti falsi e di mezzi fraudolenti diretti ad occultare il mendacio ed ostacolare l'accertamento (Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito.).
Questa Suprema Corte ha già evidenziato il carattere del tutto residuale del reato di cui all'art. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, chiaramente espresso dalla clausola di sussidiarietà (sulla natura residuale del reato si veda, in motivazione, Sez. 3, n. 2156 del 18/10/2011 - dep. il 19/01/2012, n.m.), che rende impossibile il concorso con il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 74, cit., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione (Sez. 3,n. 28226 del 09/02/2016, Rv.267409-01, nonché Sez. 3 n. 15208 del 11/01/2022,Rv.283036-02, in motivazione). Il reato di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 74, cit., si perfeziona a prescindere dal superamento di soglie di punibilità ed il suo più severo trattamento sanzionatorio, esprime un maggior disvalore penale rispetto alla condotta tipizzata dal successivo art. 4, anche se l'imposta dovesse essere, per avventura, inferiore a quella evasa mediante la presentazione di una dichiarazione infedele.
In particolare, si è rimarcato che il reato di cui all'art 4 D.Lgs. 74/2000 è ipotesi delittuosa di minore offensività per la amministrazione finanziaria, perché di più agevole accertamento rispetto alle dichiarazioni fraudolente, Risulta, pertanto, che l'ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altra documentazione contabile di analoga efficacia probatoria materialmente false non potrebbe sicuramente farsi rientrare nella diversa fattispecie di mera dichiarazione infedele perché in tal modo si configurerebbe un sistema sanzionatorio penale tributario manifestamente irrazionale (Sez. 3, n. 2156 del 18/10/2011 - dep. il 19/01/2012, n.m., cit).
Ciò posto, nella specie, la Corte territoriale ha correttamente escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 4 D.Lgs. 74/2000, a seguito della ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 74/2000.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.l, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di cui all'art.133 cod. pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n.34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
Nella specie, la Corte territoriale ha denegato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando quali elementi ostativi la pluralità dei reati ascritti all'imputato e le modalità di realizzazione degli stessi; ha quindi, valutato l'elemento positivo dedotto in sede di appello, documentazione comprovante l'estinzione del debito tributario, e ritenuto lo stesso irrilevante, rimarcando che il pagamento non era direttamente riferibile all'imputato.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, pertanto, giustificata da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, che è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nei motivi proposti, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento dell'affermazione di responsabilità, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722).
Nel ribadire che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, come si desume da una lettura sistematica degli artt. 606 e 619 cod. proc. pen., ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, comunque, evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
La Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha confermato l'affermazione di responsabilità, condividendo, in aderenza alle complessive risultanze istruttorie,la valutazione del primo giudice, ed evidenziando plurimi elementi fattuali dimostrativi della natura di società" cartiera" della Tecnica Costruzioni Soc, Coop e della concreta impossibilità di realizzare le operazioni ed attività di cui alle fatture oggetto di imputazione; ha, inoltre, fornito adeguata e congrua risposta alle censure mosse con l'atto di appello (pp 22,23,24,25,26,27,28,29,30 della sentenza impugnata).
A fronte di un percorso argomentativo adeguato e non manifestamente illogico, il ricorrente propone doglianze in fatto, finalizzate a sollecitare un riesame delle risultanze istruttorie, precluso in sede di legittimità.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Va dato atto che l'inammissibilità del gravame per manifesta infondatezza o genericità dei motivi proposti, ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., si estende anche ai motivi nuovi, e ciò in applicazione della disposizione, di carattere generale in tema di impugnazioni, dell'art. 585, quarto comma, ultima parte, dello stesso codice, in base alla quale l'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi (cfr. per casi analoghi, Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Rv. 260851; Sez. 1, n. 33272 del 27/06/2013, Rv. 256998; Sez. 6 n. 47414 del 30/10/2008, Rv. 242129; Sez. 1, n. 38293 del 16/09/2004, Rv. 229737; Sez. 6, n. 8596 del 21/12/2000, dep. 01/03/2001, Rv. 219087).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024.