RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 04/07/2023, la Corte d'Appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza emessa con rito abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Brescia, in data 01/02/2023, con la quale Na.Sa. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritti in qualità di titolare dell'impresa individuale ARIS DI Na.Sa.
In particolare, la Corte d'Appello riteneva la condotta di cui all'art. 8 assorbita in quella di dichiarazione fraudolenta, riducendo conseguentemente il trattamento sanzionatorio e confermando nel resto.
2. Ricorre per cassazione il Na.Sa., a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alle criticità segnalate dalla difesa nelle dichiarazioni di Fe.Gi., quanto ai rapporti avuti con il Na.Sa. Si segnala la contraddittorietà intrinseca della motivazione rispetto alle dichiarazioni effettivamente rese dal Fe.Gi. e alla documentazione contabile da lui esibita. Si lamenta inoltre l'omessa motivazione in ordine ai rilievi formulati in ordine alla mancata acquisizione "in originale" della fattura, all'inserimento nel registro IVA 2016 della fattura, all'utilizzo della fattura ai fini della sola dichiarazione IVA.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta nell'ipotesi di contraffazione materiale della fattura ad opera del soggetto utilizzatore. Si deduce la contraddittorietà della sentenza, dovendo la fattura avere i requisiti di cui all'art. 21 D.P.R. 633 del 1972, e la violazione di legge correlata alla necessità di ricondurre la fattispecie nell'alveo dell'art. 3 (anziché 2) D.Lgs. n. 74 del 2000, come affermato dalla dottrina maggioritaria.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'esclusione dell'art. 131-bis cod. pen. Si censura la sentenza per aver considerato negativamente le interlocuzioni con l'Agenzia delle Entrate, intervenute non al momento della commissione del reato, e per aver ritenuto "non assolutamente trascurabile" il profitto del reato, per quanto "non elevato".
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Si censura il silenzio della Corte territoriale sugli elementi positivamente valutabili (esiguità del profitto, sporadicità della condotta, carattere risalente dei precedenti, buon comportamento processuale).
2.5. Violazione di legge con riferimento alla mancata concessione di un termine per consentire al Na.Sa. una valutazione in ordine alla possibilità di sostituzione della pena detentiva, dopo l'avviso ex art. 545-bis cod. proc. pen. pronunciato dal G.i.p. dopo la sentenza. Si osserva che la nuova disposizione non prevede alcun termine decadenziale per la manifestazione del consenso, e che il termine doveva essere concesso per assicurare un adeguato contraddittorio.
3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per il carattere generico e reiterativo delle questioni prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Per ciò che riguarda il primo ordine di censure, è opportuno prendere le mosse dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 -01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, le doglianze difensive non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni operate dalla Corte d'Appello (in piena sintonia con il primo giudice), e nella reiterata prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento in questa sede è evidentemente precluso.
2.2. D'altra parte, la Corte d'Appello ha diffusamente esposto le ragioni a sostegno della ritenuta attendibilità di quanto prospettato in sede di verifica da Fe.Gi. (che aveva escluso di aver mai emesso la fattura utilizzata dal Na.Sa.) e, per converso, della inconsistenza degli argomenti addotti da quest'ultimo per comprovare l'effettività dell'acquisto documentato dalla fattura, utilizzata per dedurre costi che in realtà solo apparentemente erano stati sostenuti.
Si allude in particolare: alla mancanza di giustificazione patrimoniale e operativa per l'acquisto di un macchinario dispendioso come quello riportato in fattura (dell'importo di Euro 58.000); alla mancata indicazione, da parte del Na.Sa., delle successive sorti del macchinario asseritamente acquistato (eventuale rivendita a terzi, ecc.); alla mancata esibizione, nonostante plurimi inviti degli operanti, di riscontri documentali relativi al pagamento del macchinario (o al finanziamento dell'importo spettante al Fe.Gi.); alle intrinseche contraddizioni rilevabili nelle dichiarazioni del Na.Sa., sia quanto all'esistenza stessa della fattura in questione (della quale, in un primo tempo, aveva negato la ricezione), sia quanto all'esistenza di mastrini contabili, ecc. (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).
Si tratta di un percorso argomentativo del tutto immune da criticità qui rilevabili, che certamente non appare in alcun modo vulnerato dai rilievi difensivi concernenti il fatto che le verifiche fiscali avevano preso le mosse dalla posizione del Fe.Gi., ovvero il fatto che le dichiarazioni di quest'ultimo avevano dato atto a discrasie interpretative (peraltro risolte dalla Corte territoriale: cfr. pag. 14 della sentenza, in cui si evidenzia l'erroneità della lettura del registro IVA del Fe.Gi., nel quale, per l'anno di imposta 2016, era presente una fattura emessa nei confronti della AMIS Sas DI Na.Sa., ovvero di un soggetto giuridico diverso (pur se forse riconducibile anch'esso all'odierno ricorrente) dalla ditta individuale ARIS DI Na.Sa.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d'Appello ha condivisibilmente richiamato l'indirizzo interpretativo ormai del tutto consolidato, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui "in tema di frodi fiscali, è configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 del 2000, ogni qualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni realmente non effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale". (Sez. 3, n. 6360 del 25/10/2018, dep. 2019, Capobianco, Rv. 275698 - 01, la quale, in motivazione, ha escluso che il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell'art. 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo dopo la riforma di tale disposizione operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, abbia inciso sul rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l'utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l'impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità. In senso conforme, cfr. anche Sez. 3, n. 10916 del 12/11/2019, dep. 2020, Bracco, Rv. 279859 - 03).
In tale cornice ermeneutica, pienamente condivisibile, deve ritenersi del tutto immune da censure la riconduzione nell'alveo dell'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 dell'ipotesi che qui rileva, concernente l'utilizzo, da parte del Na.Sa., della fattura materialmente falsa perché solo apparentemente emessa dal Fe.Gi.
4. Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza deve pervenirsi quanto al motivo concernente l'art. 131-bis cod. pen.
Invero, la valorizzazione della condotta decettiva complessivamente tenuta (non solo in sede dichiarativa ma anche in quella si successiva verifica) appare del tutto coerente con la possibilità di apprezzare, ai fini specifici che qui rilevano, anche la condotta susseguente al reato. Altrettanto immune da censure risulta poi la valutazione circa il profitto conseguito, ritenuto "non elevato" ma al contempo assolutamente "non trascurabile".
5. Anche il motivo sulla mancata concessione delle attenuanti generiche non può trovare accoglimento. Invero, il rilievo assorbente conferito ai precedenti a carico (tra l'altro per bancarotta fraudolenta e violazione degli obblighi di assistenza familiare) appare in linea con l'indirizzo interpretativo secondo cui "in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli Rv. 271269 - 01, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto sufficiente il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato).
6. Anche la residua censura appare priva di fondamento.
La Corte d'Appello ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale in ordine all'impossibilità di concedere un rinvio per la eventuale manifestazione del consenso alla sostituzione della pena detentiva, essendo il differimento espressamente previsto, dall'art. 545-bis, qualora il giudice - dopo aver acquisito il consenso dell'imputato, "personalmente o a mezzo di procuratore speciale", alla sostituzione - si trovi nella impossibilità di decidere immediatamente.
7. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.