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Reati tributari: visto di conformità leggero IVA senza presupposti costituisce contributo concorsuale al reato di dichiarazione fraudolenta

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti:

Cassazione penale sez. III, 13/02/2024, n.14954

In tema di reati tributari, il rilascio, da parte di professionista abilitato, del cd. visto leggero di conformità della dichiarazione IVA, avvenuto in difetto dei necessari presupposti, configura contributo concorsuale, causalmente rilevante ex art. 110 c.p. , al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, posto che tale condotta, poiché di norma precedente alla presentazione della dichiarazione, agevola o rafforza l'altrui proposito criminoso.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 14 febbraio 2023, la Corte di appello di Milano, pronunciando in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano all'esito di giudizio abbreviato, per quanto di interesse in questa sede, ha: 1) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di Al.Do. e di Sa.Gi. per reati di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, di Ch.Sa. e di Ma.Re. per reati di cui all'art. 2 e di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, quest'ultimo con riferimento ai reati commessi a far data dal 14 febbraio 2013; 2) dichiarato l'estinzione per prescrizione dei reati contestati a Ma.Re. di cui all'art. 2 e di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, con riferimento ai fatti commessi fino alla data del 14 febbraio 2013; 3) confermato le pene irrogate ad Al.Do., Sa.Gi. e Ch.Sa.; 4) rideterminato, riducendola, la pena inflitta a Ma.Re. Secondo la Corte d'appello, precisamente: 1) Sa.Gi. e Al.Do., il primo nella qualità di legale rappresentante della "Sapo Exim Srl", ed il secondo come coadiutore del primo, sarebbero concorsi nell'emissione di tre fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di 350.000,00 euro e per IVA complessiva di 77.000,00 euro, tra il 31 ottobre 2015 ed il 5 novembre 2015 (capo E); 2) Al.Do., nella qualità di coadiutore del gestore di fatto della società "Star Work s.c.a.r.l.", sarebbe concorso nell'emissione di quattro fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di 100.000,00 euro e per IVA complessiva di 22.000,00 euro, tra il 30 settembre 2014 ed il 31 dicembre 2014 (capo F); 3) Ch.Sa., nella qualità di caoadiutore del gestore di fatto della società "Specris Srl", e al fine di consentire a questa di evadere le imposte, avrebbe predisposto e trasmesso la dichiarazione annuale IVA per l'anno 2014, apponendovi il visto di conformità necessario per la compensazione dei crediti, nonostante tale dichiarazione utilizzasse fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro, tra il 30 aprile 2015 ed il 28 settembre 2015 (capo H); 4) Ch.Sa., nella qualità di caoadiutore del gestore di fatto della società "Specris Srl", avrebbe compensato crediti IVA inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità, risultanti dalle dichiarazioni della medesima società per l'anno 2014, tra il 16 marzo 2015 ed il 17 dicembre 2015 (capo I); 5) Ma.Re., nella qualità di amministratore pro tempore della "Star Work s.c.a.r.l.", avrebbe presentato la dichiarazione IVA per l'anno 2013 utilizzando, al fine di evadere le imposte, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 2.774.989,80 euro, comprensivo di IVA per 481.609,80 euro, il 20 febbraio 2014 (capo P); 6) Ma.Re., nella qualità di amministratore pro tempore della "Star Work s.c.a.r.l.", avrebbe compensato crediti IVA inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità, risultanti dalle dichiarazioni della medesima società per l'anno 2013, fino al 29 gennaio 2015 (capo Q). 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Sa.Gi. e Al.Do., con un unico atto sottoscritto dall'avvocato Domenico Putrino, Ch.Sa., con atto sottoscritto dall'avvocato Pietro Pace, e Ma.Re., con atto sottoscritto dall'avvocato Pietro Catanoso. 3. Il ricorso di Sa.Gi. e Al.Do., contenuto in un unico atto, è articolato in tre motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F). Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata è gravemente carente perché si limita a richiamare quella di primo grado nonché quella pronunciata in altro processo, affermativa della penale responsabilità dei ricorrenti per la partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata la commissione di reati fiscali diretta da Cr.Br. Si osserva, con riferimento all'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, che la dichiarazione di colpevolezza è fondata sul dato dell'avvenuta cessazione della partita IVA da parte della società emittente le fatture ritenute mendaci, e che, però, tale circostanza non è stata dimostrata, come non è stata provata la fittizietà dei rapporti sottostanti. Si rileva, poi, che non vi sono elementi per ritenere accertato il dolo specifico di evasione, e che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'accettazione, quale prestanome, della carica di amministratore di una società, non dimostra l'immediata consapevolezza, nel medesimo soggetto, della preordinazione dell'omessa dichiarazione dell'IVA al mancato pagamento dell'imposta (si cita, in particolare, Sez. 3, n. 36474 del 07/06/2019). 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia omessa assunzione di prova decisiva, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata assunzione di perizia calligrafica sulle fatture, al fine di verificare se la firma apposta sulle stesse sia effettivamente di Sa.Gi. Si deduce che la sentenza impugnata non ha spiegato in alcun modo perché non deve ritenersi necessaria la perizia calligrafica richiesta. 3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., e 157 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Si deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione dei reati per prescrizione, in quanti il capo E) è stato commesso il 5 novembre 2015 ed il capo F) è stato commesso il 31 dicembre 2014. 4. Il ricorso di Ch.Sa. è articolato in due motivi. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo in ordine ai reati contestatigli, per mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Si deduce che l'affermazione del dolo dell'imputato discende da un'analisi parcellizzata delle risultanze istruttorie e dal difetto di un effettivo confronto con le prospettazioni della difesa, evidenzianti la non consapevolezza del medesimo del mendacio relativo alle operazioni poste a base della dichiarazione alla quale egli ha apposto il visto di conformità. 4.1.1. Si premette che l'accertamento della consapevolezza del professionista abilitato di rilasciare un visto mendace non può prescindere dal tipo di attività di controllo al medesimo richiesta. Si osserva che il c.d. visto di conformità "leggero" richiede di vagliare la sola corrispondenza formale dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione, al fine di evitare errori materiali e di calcolo, a differenza del c.d. visto di conformità "pesante", il quale implica una verifica sostanziale sulla corretta applicazione della disciplina tributaria. Si precisa che questa premessa è tanto più rilevante nel caso di specie, perché il ricorrente non era organico al sodalizio criminale nel cui ambito sono stati commessi anche i reati a lui contestati come concorrente. Si aggiunge che la sentenza impugnata non ha spiegato perché l'attività di controllo effettuata non è sufficiente a ritenere adempiuti i doveri connessi al rilascio del visto "leggero", e perché avrebbe dovuto procedere a controlli ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge. 4.1.2. Si rappresenta, in secondo luogo, che il ricorrente ha adempiuto i doveri gravanti per legge, e secondo prassi, sul professionista che rilascia il c.d. visto leggero di conformità, e che questo fatto, specificamente indicato con un motivo di appello, è stato del tutto trascurato dalla sentenza impugnata. Si segnala che il ricorrente: 1) ha verificato la genesi del credito IVA, accertando la sua derivazione da un elevato volume di acquisti non seguito da un corrispondente volume di vendite e dal riporto di un credito dalla dichiarazione precedente; 2) ha verificato la regolare tenuta delle scritture contabili, e in particolare dei registri IVA e dei registi acquisti e vendite; 3) ha verificato tutte le fatture di acquisto e di vendita della società "Specris Srl", senza limitarsi ad una verifica a campione; 4) ha rilevato la mancata corrispondenza tra l'attività risultante dalle fatture esaminate e il codice ATECO, ha preteso la correzione dell'errore, ed ha proceduto alla dichiarazione IVA solo dopo aver ricevuto conferma dell'avvenuta correzione; 5) si è fatto trasmettere una bozza della dichiarazione IVA 2015, attività non dovuta, per avere una conferma della correttezza dei suoi calcoli; 6) ha accertato l'inizio delle attività di compensazione dei crediti IVA da parte della "Specris Srl" entro la soglia consentita dei 5.000,00 euro, traendo da ciò ulteriore conferma di regolarità delle operazioni; 7) ha sottoposto alla società il problema del versamento dell'IVA a debito per i mesi di luglio e agosto 2014. Si evidenzia, inoltre, che il ricorrente era soggetto del tutto estraneo alla società, come riconosce la stessa sentenza impugnata, è stato remunerato sulla base delle ordinarie tariffe professionali, ed ha accettato l'incarico per le garanzie sull'affidabilità della "Specris Srl" ricevute da Gi.Pa., con il quale aveva già collaborato in passato senza incappare in problemi. Si conclude che, in altri termini, che il ricorrente è stato ritenuto consapevole del mendacio per aver omesso accertamenti non dovuti, perché estranei al ed. visto "leggero". 4.1.3. Si osserva, in terzo luogo, che, ai fini del giudizio di colpevolezza, sono stati valorizzati elementi privi di qualunque significato. Si espone che la scelta della "Specris Srl" di avvalersi, per l'apposizione del visto di conformità, di un professionista estremo, quale appunto il ricorrente, non poteva essere un campanello di allarme per lo stesso, come invece ritiene la Corte d'appello. In proposito, si rileva che: a) i commercialisti in rapporti con la società erano privi di abilitazioni in proposito, e ciò è riconosciuto anche dalla sentenza impugnata; b) il ricorrente è stato contattato da Gi.Pa., persona la quale gli aveva già presentato altri clienti per l'apposizione del visto leggero di conformità, e da tali prestazioni non gli era derivato alcun problema. 4.1.4. Si rappresenta, in quarto luogo, che illegittimamente sono valorizzate alcune omissioni di controlli dai quali sarebbe stato possibile conoscere la falsità dei dati contabili comunicati al ricorrente dalla "Specris Srl", perché si tratta di verifiche di tipo sostanziale, estranee a quelle richieste per il rilascio del visto di conformità "leggero". Si segnala che la sentenza impugnata, di fatto, ha trasformato il visto di conformità "leggero" in visto di conformità "pesante". Si osserva che: a) l'accertamento della permanenza all'estero dell'amministratore di "Specris Srl" era verifica del tutto estranea ai controlli richiesti per il rilascio del visto di conformità "leggero", e neppure di agevole fattibilità, posto che non è decisivo a tal fine il dato anagrafico della formale residenza all'estero; b) l'identità grafica delle fatture provenienti da cinque società diverse non costituiva ragionevole "campanello di allarme", in quanto le indicate ditte erano tutte gestite da persone di nazionalità cinese e tutte operanti nel distretto commerciale di Roma, e, quindi, verosimilmente, utilizzavano il medesimo software (del resto, sono risultate false anche le fatture emesse da ulteriori ditte, sebbene caratterizzate da forme grafiche diverse); c) l'anomalia del codice ATECO, indicato nella comunicazione annuale dei dati IVA 2015, riferito a "costruzione di edifici residenziali", è stata immediatamente rilevata e segnalata dal ricorrente, ed è stata superata dalla comunicazione dell'impegno alla trasmissione alla segnalazione della variazione da parte dello studio incaricato della tenuta della contabilità di "Specris Srl", nonché dalla notizia dell'effettuazione di compensazioni dei crediti IVA, da parte della medesima società, nei limiti per i quali non era necessario il visto di conformità. 4.1.5. Si rileva, in quinto luogo, che illegittimamente sono state considerate irrilevanti, con una motivazione meramente apparente, diverse circostanze indicative della buona fede del ricorrente segnalate con l'atto di appello. Si rappresenta che la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevanti: a) la durata della verifica, pari a sette giorni; b) la mancata conoscenza, da parte del ricorrente, della presenza dell'interesse di Gi.Pa. nella società "Specris Srl"; c) la mancata conoscenza, da parte del ricorrente, del a verifica fiscale in corso all'epoca dei fatti nei confronti della "Specris Srl"; d) la continuità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, avendo lo stesso sempre riferito che la "Specris Srl" nel 2014 si era occupata solo di abbigliamento e nel 2015 avrebbe iniziato ad interessarsi di attività edilizia. 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo in ordine ai reati contestatigli, per travisamento della prova. Si deduce che la sentenza impugnata ha valorizzato elementi probatori inesistenti, quali: a) il rapporto di affinità tra il ricorrente e Gi.Pa., definito suo cognato, contrariamente al vero; b) il dato quantitativo delle fatture verificate dal ricorrente in sette giorni, definite "numerosissime", e, però, pari a 55, di cui 25 di vendita e 30 di acquisto (tra queste ultime rientrano anche due note di credito), come risultante dall'apposito registro; c) l'affermazione del ricorrente di essere incorso, durante i colloqui telefonici, ini uno scambio di persona tra il reale gestore della "Specris Srl", il calabrese Cr.Br., con l'amministratore dell'impresa, il romeno St.Pe., sebbene l'imputato avesse detto di aver compreso solo nel corso delle indagini di aver avuto un incontro con persona diversa da St.Pe., e precisamente con Cr.Br., e, perciò, di essersi relazionato con questo reputando il / medesimo l'amministratore della società. 5. Il ricorso di Ma.Re. è articolato in due motivi. 5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,. avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di cui al capo P. Si deduce che il ricorrente, legale rappresentante della "Star Work Srl", è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 in difetto di elementi da cui desumere il dolo specifico di sottrarsi al pagamento delle imposte. Si evidenzia che il ricorrente ha rappresentato, in un memoriale, di aver accettato l'incarico di legale rappresentante della "Star Work Srl" solo nella prospettiva di avere un lavoro, e di aver sottoscritto in totale buona fede documenti di cui ignorava il contenuto, in cambio di somme "simboliche", erogategli a titolo di rimborso spese. 5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena. Si deduce che la sentenza impugnata, sul punto, è motivata in modo carente ed errato, perché non spiega il giudizio prognostico negativo, nonostante l'incensuratezza del ricorrente, la giovane età del medesimo, all'epoca di fatti appena ventiseienne, la modesta entità della pena inflitta, omettendo inoltre di confrontarsi con gli elementi di cui avrebbe dovuto tener conto a norma dell'art. 133 cod. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate. 2.1 ricorsi di Sa.Gi. e Al.Do., proposti con un unico atto, espongono censure in parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità nonché prive di specificità, e in parte manifestamente infondate. 2.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità nonché prive di specificità sono le censure formulate nel primo motivo, che contestano l'affermazione di responsabilità penale per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F), deducendo, in particolare, che illegittimamente è stato attribuito valore decisivo alla condanna riportata dai due ricorrente per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere diretta da Cr.Br., che le società, al momento dell'emissione delle fatture, avevano partita IVA attiva, e che nulla è indicato in ordine alla sussistenza del dolo. 2.1.1. La sentenza impugnata ha affermato la dichiarazione di responsabilità dei due imputati anche alla luce del contesto complessivo in cui si sono articolate le loro condotte. Si premette che i due imputati, nel periodo di interesse per i reati di cui ai capi E) ed F), hanno fatto parte di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali organizzata da Cr.Br., come accertato con sentenza irrevocabile pronunciata anche a loro carico. Si rappresenta, poi, in particolare, con riguardo all'attività dell'associazione per delinquere indicata, che: a) Cr.Br. aveva organizzato un sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, a mezzo delle quali venivano creati falsi crediti di imposta poi utilizzati per pagamenti in compensazione, sistema da cui era derivato un danno per l'Erario quantificato in circa 8,6 milioni di euro; b) l'elemento centrale di questo sistema era costituito dalla società "Specris Srl", come confermato dalle dichiarazioni rese dal formale amministratore della stessa, St.Pe., dalla verifica fiscale operata dalla Guardia di Finanza, nonché da intercettazioni telefoniche e tra presenti e da servizi di osservazione della polizia giudiziaria; c) la società "Specris Srl" era stata costituita nel luglio 2014, e nell'arco di soli sei mesi aveva realizzato un fatturato di 5 milioni di euro, generando IVA per oltre 300.000,00 euro, asseritamente effettuando compravendita di indumenti ed accessori, pur avendo come oggetto sociale l'edilizia; d) le società emittenti le fatture nei confronti della "Specris Srl" risultavano, all'atto delle verifiche fiscali effettuate, o già cessate o in liquidazione da vari anni, come ad esempio la ditta individuale di Al.Do., attuale ricorrente, avente ad oggetto sociale l'attività edilizia e già cessata nel 2011, e, tranne quest'ultima, avevano tutte sedi a Roma; e) tutte le fatture scambiate, nonostante provenissero da soggetti diversi, avevano identica veste grafica; f) "Specris Srl" aveva venduto tutta la merce a due sole società, la "Sapo Exim Srl", costituita tredici giorni dopo la costituzione di "Specris Srl", e formalmente amministrata da Sa.Gi., attuale ricorrente, nonché la "Star Work s.c.a.r.l.", avente come oggetto sociale "servizi a sostegno delle imprese n.c.a.", formalmente amministrata nel tempo da diverse persone, tra cui Ma.Re., attuale ricorrente; g) "Sapo Exim Srl" e "Star Work s.c.a.r.l." avevano entrambe assunto come dipendente Cr.Br. e si avvalevano entrambe, per la tenuta della loro contabilità, del commercialista di Cr.Br., il ragioniere Bi.Sa. con studio in P; h) tutte le operazioni di acquisto e vendita cui aveva partecipato "Specris Srl", anche secondo quanto dichiarato al Pubblico ministero da St.Pe., formale amministratore della società, erano "integralmente inesistenti", e si avvalevano di documentazione fornita da professionisti indicati da Cr.Br. e persone a lui vicine. Si evidenzia, poi, con specifico riferimento alla posizione dei due ricorrenti Al.Do. e Sa.Gi. nell'ambito delle attività dell'associazione, che: a) nel corso di una conversazione intercettata il 13 ottobre 2016, St.Pe., parlando con Al.Do., aveva minacciato di denunciare i sodali ed aveva espressamente affermato la falsità delle fatture ricevute da "Specris Srl"; b) subito dopo, come emerge da altre conversazioni intercettate, su disposizione di Cr.Br., Ci.Io., in quel momento formale rappresentante di "Star Work s.c.a.r.l.", si recava dal commercialista Bi.Sa., ritirava le scritture contabili dell'impresa e partiva per la Romania; c) ricevuta dalla polizia giudiziaria la richiesta di documentazione relativa a "Sapo Exim Srl" e "Star Work s.c.a.r.l.", Bi.Sa. consegnava le scritture contabili concernenti la prima società, lettere attestanti la consegna a Ci.Io. delle scritture contabili concernenti la seconda società e ammetteva agli inquirenti come la gestione di fatto delle due ditte fosse nelle mani di Cr.Br.; d) successivamente a tali vicende, come emerge da intercettazioni e pedinamenti, Ci.Io. veniva fatto rientrare dalla Romania per chiudere il conto corrente intestato alla società "Star Work s.c.a.r.l.", partecipava a ad una riunione con Cr.Br., Al.Do. e Sa.Gi., quindi si recava con gli stessi a P dal ragioniere Bi.Sa. per un colloquio, ed infine veniva riaccompagnato in auto al confine per ritornare in Romania da Cr.Br. e da Sa.Gi.; e) in linea generale, Al.Do., come emerge dalle conversazioni intercettate, ha coadiuvato Cr.Br., in particolare coordinando le attività di Sa.Gi., di Ci.Io. e di St.Pe., mentre Sa.Gi. è stato il legale rappresentante di "Sapo Exim Srl" sin dalla costituzione, ed ha operato in stretta sinergia con Al.Do.; f) dalla documentazione della "Sapo Exim Srl" risulta sia movimentazione di denaro solo per cassa in ordine agli acquisti dei capi di abbigliamento dalla "Specris Srl" e alle rivendite degli stessi ad una società romena, nonostante si fosse trattato di operazioni formalmente effettuate per milioni di euro, sia l'effettuazione di trasporti della merce verso la Romania mediante un vettore con una partita IVA già cessata al momento di detti trasporti. Si segnala, quindi, con riguardo ai fatti per i quali è stata pronuncia condanna nel presente processo, che: a) le tre fatture emesse da "Sapo Exim Srl" nel 2014, e le quattro fatture emesse da "Star Work s.c.a.r.l." nel 2015 sono state tutte indirizzate alla società "Eco Consul Srl", gestita da Cr.Br., ed avente ad oggetto l'esercizio di attività di smaltimento di rifiuti; b) "Sapo Exim Srl", "Star Work s.c.a.r.l." ed "Eco Consul Srl" erano tutte società prive di qualsiasi organizzazione aziendale e produttiva; c) non risultano pagamenti di sorta con riferimento ad alcuna delle fatture, sebbene quelle emesse da "Sapo Exim Srl", erano complessivamente relative alla somma di 350.000,00 euro più 77.000, euro per IVA, e risultano datate tutte tra il 31 ottobre ed il 5 novembre 2015; d) Sa.Gi., al momento del rilascio delle fatture, era il legale rappresentante di "Sapo Exim Srl"; e) Al.Do. ha coadiuvato Cr.Br. nella gestione effettiva delle società "Sapo Exim Srl" e "Star Work s.c.a.r.l.", e più in generale, nelle attività del sodalizio criminale, nel periodo di tempo rilevante, come risulta anche dalla conversazione intercettata del 13 ottobre 2016, intercorsa con St.Pe., formale amministratore della "Specris Srl", come confermato anche dalla condanna irrevocabile per il reato di cui all'art. 416 cod. pen.; f) Sa.Gi. ha partecipato attivamente alle operazioni illecite del gruppo diretto da Cr.Br., come risulta anche dalla collaborazione prestata a quest'ultimo e ad Al.Do. in occasione del rientro in Italia di Ci.Io., formale amministratore di "Star Work s.c.a.r.l.", per risolvere le criticità relative agli accessi della Guardia di Finanza presso il commercialista eli questa impresa e della "Sapon Exim Srl", e come confermato anche dalla condanna irrevocabile per il reato di cui all'art. 416 cod. pen. 2.1.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi. I Giudici di merito, infatti evidenziano numerosi, gravi, precisi e concordanti elementi da cui inferire che le condotte di emissione di fatture per operazioni inesistenti sono state consapevolmente compiute da Sa.Gi. con riferimento ai fatti di cui al capo E) e da Al.Do. in relazione ai fatti di cui ai capi E) ed F), quali segmenti di un'attività complessivamente diretta frodare il Fisco per importi di oltre otto milioni di euro. Le censure proposte dai due ricorrenti sono meramente assertive, anche perché non denunciano né documentano travisamenti della prova, non si confrontano con la gran parte dell'imponente mole di elementi a carico indicati dalla sentenza impugnata, e, di fatto, si limitano a prospettare una diversa ricostruzione delle risultanze istruttorie. 2.2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel secondo motivo, che contestano l'affermazione di responsabilità penale per i reati di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F), deducendo la mancata assunzione di perizia calligrafica, da parte del giudice di appello, invocata per verificare se la firma apposta sulle fatture emesse da "Sapon Exim Srl" sia effettivamente quella di Sa.Gi. La sentenza impugnata ha escluso la necessità di procedere alla richiesta perizia calligrafica osservando che l'individuazione dell'autore della sottoscrizione sulle fatture di cui al capo E) è irrilevante, perché occorre considerare il contesto associativo nel quale le condotte in questione sono state commesse. A queste considerazioni, sicuramente corrette per escludere la configurabilità di un vizio di motivazione, deve aggiungersi un'ulteriore, dirimente considerazione, perché le censure contestano il mancato espletamento di perizia da parte del giudice di appello in termini di omessa assunzione di prova decisiva, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. Invero, costituisce principio ampiamente consolidato, enunciato anche dalle Sezioni Unite, quello secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01). 2.3. Manifestamente infondate sono anche le censure proposte nel terzo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Invero, i fatti di cui al capo E) attengono al reato di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000 e sono stati commessi tra il 31 ottobre ed il 5 novembre 2015, mentre i fatti di cui al capo F) attengono anch'essi al reato di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, ma sono stati commessi tra il 30 settembre e il 31 dicembre 2014. Ciò posto, ai fini della individuazione del tempo necessario a prescrivere, deve trovare applicazione la disciplina di cui al comma 1-bis dell'art. 17 D.Lgs. n. 74 del 2000, entrato in vigore il 17 settembre 2011, in quanto aggiunto, nel corpo dell'art. 17 D.Lgs. n. 74 del 2000, dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lett. I), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Secondo l'art. 17, comma 1 -bis, D.Lgs. n. 74 del 2000: "I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo". Di conseguenza, per l'applicazione di questa previsione in combinato disposto con quelle di cui agli artt. 157,160 e 161 cod. pen., il termine di prescrizione per i reati previsti dagli articoli da 2 a 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 è pari ad otto anni, più due anni per l'interruzione. Ne discende che alla data della sentenza di appello (ma anche ad oggi), non era ancora decorso il termine di dieci anni necessario a prescrivere né con riferimento ai fatti di cui al capo E), né con riferimento ai fatti di cui al capo F). 3. Il ricorso di Ma.Re. espone censure iri parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità, e in parte manifestamente infondate. 3.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure formulate nel primo motivo, che contestano l'affermazione di responsabilità penale per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo P), deducendo l'assenza di dolo specifico, avendo egli sottoscritto in buona fede documenti connessi alla carica di amministratore della "Star Work s.c.a.r.l.", in cambio di somme modeste ed al fine di svolgere un lavoro. La sentenza impugnata ritiene Ma.Re. responsabile del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 con riguardo alla dichiarazione presentata quale amministratore della "Star Work s.c.a.r.l." per l'anno 2013, in data 20 febbraio 2014, per aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società "Incorri Plus Sas" per un importo complessivo di 2.774.989,80 euro, di cui 481.609,80 a titolo di IVA. A fondamento di tale conclusione, rappresenta che: a) la società emittente le false fatture, la "Incorri Plus Sas", cessata nel 2014, aveva come oggetto sociale, il commercio di prodotti alimentari e non di vestiario, come invece la destinataria, la "Star Work s.c.a.r.l.", ed era amministrata da un pluripregiudicato vicino a Cr.Br.; b) le fatture utilizzate, anche con riferimento al solo anno 2013, erano di importo ingente; c) Ma.Re. ha accettato di essere formale amministratore della "Star Work s.c.a.r.l." per un periodo di tempo non breve; d) Ma.Re., nella qualità di amministratore della "Star Work s.c.a.r.l." non solo ha sottoscritto dichiarazioni fiscali per importi milionari in relazione ad una società del tutto inattiva e priva di strutture (cfr., sulla inesistenza di tale società quanto indicato in precedenza al par. 2.1.1), ma ha anche effettuato compensazioni utilizzando crediti IVA del tutto fittizi per centinaia di miglia di euro. Conclude, pertanto, che la condotta, non contestata quanto alla sussistenza del fatto oggettivo, deve ritenersi sorretta quanto meno da dolo eventuale, stante l'assenza di qualunque verifica sulle operazioni sottoscritte, nonostante la presenza di ""campanelli di allarme" più che evidenti ed espliciti". Le conclusioni della sentenza impugnata sono correttamente motivate, perché fondate su elementi gravi, precisi e concordanti anche ai fini della prova del dolo specifico. Le censure del ricorrente, incentrate solo sull'asserzione di aver agito in buona fede per l'esigenza di lavorare e in cambio di somme "simboliche", non evidenziano vizi logici o giuridici, ma si traducono, di fatto, in una mera richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie. 3.2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel secondo motivo, che contestano il diniego della sospensione condizionale della pena, deducendo l'assenza di una effettiva motivazione sul punto, anche in considerazione della modesta entità della sanzione irrogata, pari a dieci mesi e dieci giorni di reclusione. La sentenza impugnata, ai fini delle sue determinazioni sul punto, ha valorizzato le condizioni in cui venne consumata l'azione, e, precisamente, il contesto connotato da plurimi ed inquietanti indicatori di illiceità societaria, nonché l'assenza di segnali di resipiscenza o di condotte riparatone. Deve ritenersi che l'esposta motivazione si fondi su elementi precisi e congrui rispetto alla conclusione dell'impossibilità di una prognosi di esclusione del rischio di reiterazione di condotte penalmente illecite da parte dell'imputato. 4. Il ricorso di Ch.Sa. espone censure in parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità e in parte manifestamente infondate. Le censure formulate nei due motivi, da esaminare congiuntamente, che contestano l'affermazione della sussistenza del dolo in capo a Ch.Sa. in ordine ai reati di cui ai capi H) e I), deducendo che il medesimo ha adempiuto tutti i controlli richiesti per il rilascio del visto di conformità c.d. "leggero", che, a suo carico, sono state valorizzate circostanze irrilevanti, o omissioni di controlli richiesti per il visto di conformità c.d. "pesante", mentre non sono state apprezzate circostanze indicative di buona fede, puntualmente segnalate nell'atto di appello, e che, inoltre, la Corte d'appello sarebbe incorsa in alcuni travisamenti di prove. 4.1. La sentenza impugnata afferma la responsabilità di Ch.Sa., per aver apposto il visto e trasmesso la dichiarazione annuale IVA per l'anno 2014 relativamente alla società "Specris Srl", nella quale erano indicate fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro (capo H), e per aver concorso nell'utilizzare per compensazioni i predetti crediti inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità (capo I). La decisione, innanzitutto, offre ampie indicazioni in ordine ai numerosi elementi dai quali desumere la totale inesistenza delle operazioni riportate nelle fatture utilizzate per la dichiarazione annuale IVA della società "Specris Srl" per l'anno 2014, alla quale ha apposto il visto Ch.Sa. (cfr., per una sintesi, quanto indicato in precedenza nel par. 2.1.1). La Corte d'appello, poi, quanto al contenuto degli obblighi di verifica da adempiere per il rilascio del visto di conformità ed. "leggero", quale quello rilasciato dall'attuale ricorrente, osserva, richiamando Sez. 3, n. 19672 del 13/03/2019, Cartechini, Rv. 275998-01, che, anche in tal caso, il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione (oltre che la conformità degli stessi alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di imposta, nonché lo scomputo delle ritenute d'acconto), a norma di quanto previsto dall'art. 2 D.M. n. 164 del 1999. La sentenza impugnata, quindi, rappresenta che molteplici sono gli indici della "malafede del soggetto, o quantomeno di assunzione ampiamente consapevole dell'elevatissimo rischio che i dati contabili che gli erano stati inviati ai fini della compensazione di crediti IVA fossero - come iri effetti risulta accertato, né viene contestato dalla difesa - del tutto falsi, per essere le operazioni portate dalle relative fatture integralmente inesistenti". In particolare, segnala che Ch.Sa.: a) fu chiamato ad apporre il visto alla dichiarazione della "Specris Srl", nonostante questa società fosse assistita da vari studi di commercialisti esperti, uno dei quali faceva capo a Gi.Pa., associato con la sorella del ricorrente, la commercialista Ch.Ma., ed avesse sede in Lombardia, mentre egli aveva studio nel Lazio; b) fu contattato a tal fine da Gi.Pa., il quale è risultato essere l'autore delle false fatture della società; c) attestò la conformità della dichiarazione IVA sette giorni dopo aver ricevuto le fatture, nonostante la pluralità di queste, gli importi milionari recati dalle medesime, e i periodi particolarmente brevi in cui le stesse erano state emesse dalle società fornitrici; d) non effettuò alcun controllo sulle società da cui provenivano le fatture, evitando di accertare come le stesse fossero tutte cessate da anni, né sulle due uniche società acquirenti, la "Sapo Exim Srl" e la "Star Work s.c.a.r.l.", le quali erano mere strutture di comodo; e) non effettuò alcun controllo sull'amministratore formale della "Specris Srl", St.Pe., sebbene si trattasse di persona vivente all'estero, e confuse lo stesso con Cr.Br.; f) non constatò l'identità della veste grafica di tutte le fatture ricevute dalle diverse società; g) si limitò a far correggere il codice ATECO della società "Specris Srl", relativo all'attività edilizia, nonostante le fatture per ingentissimi importi erano relative alla vendita di capi di abbigliamento, senza procedere ad alcuna verifica o approfondimento prima di rilasciare il visto di conformità. Rimanda, inoltre, anche agli ulteriori elementi indicati nella sentenza di primo grado, tra i quali possono citarsi: a) l'anomalia dell'elevatissima fatturazione della "Specris Srl" per l'anno 2014, essendo stata la società costituita solo nel giugno 2014; b) l'assenza di qualunque controllo in ordine ai pagamenti effettuati dalla "Specris Srl" e ai documenti di trasporto (c.d. DDT) a fronte delle ingenti fatture ricevute (l'effettuazione dei controlli avrebbe evidenziato l'assenza di qualunque pagamento tracciabile). 4.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi. 4.2.1. Va innanzitutto rilevato, che, sotto il profilo obiettivo, la condotta di rilascio, da parte di un professionista abilitato, del c.d. visto "leggero" di conformità della dichiarazione IVA, in difetto dei presupposti necessari, configura contributo rilevante, a norma dell'art. 110 cod. pen., con riferimento ai reati di cui all'art. 2 e di cui all'art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla dichiarazione IVA fraudolenta certificata dal professionista ed all'indebita compensazione di crediti inesistenti risultanti da tale dichiarazione. Invero, la condotta del professionista che rilascia indebitamente il visto "leggero" di conformità ad una dichiarazione IVA: a) con riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta, offre un contributo quanto meno agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso, anche perché di norma l'apposizione del visto precede la presentazione della dichiarazione (il visto c.d. "leggero" deve attestare, tra l'altro, a norma dell'art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d'imposta); b) con riguardo al reato di indebita compensazione, costituisce contributo causale, in quanto presupposto formale necessario (almeno in via alternativa ad altri) per effettuare le compensazioni di crediti IVA, a norma dell'art. 10, comma 7, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla l. 3 agosto 2009, n. 102. E, del resto, la configurabilità di un contributo concorsuale rilevante ex art. 110 cod. pen. non è stata specificamente contestata nel ricorso. 4.2.2. Va poi evidenziato che, per individuare il tipo di controlli che il professionista deve compiere al fine del rilascio della certificazione, la disposizione di immediato interesse è costituita dall'art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la quale prevede, al comma 1, il visto di conformità c.d. "leggero" e, al comma 2, il visto di conformità c.d. "pesante". La disposizione appena citata, in particolare, precisa, con riferimento al visto di conformità c.d. "leggero", che il rilascio dello stesso "implica il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d'imposta, lo scomputo delle ritenute d'acconto". Ne discende che risulta doverosa, da parte del professionista, la verifica in ordine ai documenti relativi ai dati esposti nella dichiarazione. E questa verifica non può intendersi ridotta ad un semplice controllo aritmetico di corrispondenza tra il dato numerico riportato nelle fatture e quello indicato in dichiarazione, così da prescindere persino da accertamenti formali di immediata effettuazione, o, addirittura, da verifiche sulla documentazione strettamente correlata alle operazioni indicate in fattura e anch'essa nella disponibilità del dichiarante (cfr., per conclusioni analoghe, Sez. 3, n. 19672 del 13/03/2019, Cartechini, Rv. 275998-01, in motivazione par. 9). In questa prospettiva, nel caso di specie, una omissione di assoluto rilievo è costituita dalla mancata effettuazione di qualunque approfondimento dopo il rilievo dell'incongruità del codice ATECO della società "Specris Srl" rispetto alle operazioni indicate nelle fatture, e per importi milionari; né tale omissione può essere esclusa solo perché la divergenza è stata semplicemente "sistemata" ex post, in sede di presentazione della dichiarazione, a distanza di tempo dalle transazioni. Inoltre, sempre nella vicenda in esame, sono stati omessi accertamenti formali di immediata fattibilità, come quelli sulla operatività delle società emittenti al momento del rilascio delle singole fatture, o sulle modalità di pagamento, nonostante gli importi fossero cospicui e, per legge, dovessero essere necessariamente tracciabili. 4.2.3. Va quindi osservato che, sotto il profilo del coefficiente della colpevolezza, è necessario che il professionista rilasci il visto "leggero" di conformità omettendo consapevolmente di compiere i controlli dovuti dai quali sarebbe emersa la fraudolenza della dichiarazione fiscale, ed accettando il rischio di agevolare la presentazione di una dichiarazione fraudolenta. Nella specie, la sentenza impugnata ha indicato sia numerose omissioni di Ch.Sa. in ordine a controlli doverosi, sia specifici elementi dai quali il medesimo avrebbe dovuto inferire la irregolarità dei documenti sottoposti al suo esame. In particolare, sotto il profilo formale, vanno evidenziate: a) l'accettazione di una mera sistemazione ex post e a distanza di tempo dell'incongruenza del codice ATECO della società "Specris Srl" rispetto alle fatture contabilizzate; b) la mancata verifica, semplicemente formale, sull'operatività delle ditte emittenti le fatture; c) la mancata verifica in ordine all'effettuazione dei pagamenti delle fatture e ai documenti di trasporto della merce. E tutto questo nonostante si trattasse di fatture: 1) per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro, maturato in un semestre, e con riferimento ad una società appena costituita; 2) di identica veste grafica sebbene provenienti da società diverse. Inoltre, non del tutto irrilevante, per delineare il contesto complessivo dei rapporti tra i partecipi dal reato, è la circostanza segnalata dalla sentenza impugnata, secondo cui la società "Specris Srl" si è rivolta a Ch.Sa. nonostante si avvalesse - contestualmente - di vari studi di commercialisti, tanto più che, tra questi, solo Bi.Sa. è indicato come professionista non abilitato al rilascio del visto di conformità (v. pagg. 51-52). 4.2.4. Va infine escluso che la sentenza impugnata sia incorsa in travisamenti di prove. Ne sono denunciati specificamente tre: a) il rapporto di affinità tra il ricorrente e Gi.Pa., definito suo cognato, contrariamente al vero; b) il dato quantitativo delle fatture verificate dal ricorrente in sette giorni, definite "numerosissime", e, però, pari a 55, di cui 25 di vendita e 30 di acquisto; c) l'affermazione del ricorrente di essere incorso, durante i colloqui telefonici, in uno scambio di persona tra il reale gestore della "Specris Srl", il calabrese Cr.Br., con l'amministratore dell'impresa, il romeno St.Pe.. Tuttavia, quanto al primo dato, la sentenza impugnata evidenzia non un rapporto di affinità tra Ch.Sa. e Gi.Pa., bensì che la sorella di Ch.Sa., Ch.Ma., anch'ella commercialista, era socia di Gi.Pa. (v. pag. 52). Quanto al secondo dato, la indicazione delle fatture come "numerosissime" costituisce l'espressione di un giudizio opinabile e non incongruo, posto che comunque le fatture erano, secondo quanto indicato nel ricorso,55. Quanto al terzo dato, la sentenza impugnata chiarisce espressamente che "l'asserito scambio fra le persone di Cr.Br. e St.Pe." è "circostanza del tutto secondaria", e, quindi, come tale, ininfluente ai fini della decisione. 5. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della cassa delle ammende, a carico di ciascuno di essi, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 13 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria l'11 aprile 2024.
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