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Reati tributari: dichiarazione fraudolenta configurabile per operazioni inesistenti e dolo eventuale con finalità evasiva

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti:

Cassazione penale sez. III, 11/04/2024, n.32106

In tema di reati tributari, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o documenti per operazioni inesistenti, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, è ascrivibile all’imputato qualora le operazioni sottostanti alle fatture risultino oggettivamente inesistenti. La configurabilità del dolo specifico, rappresentato dalla finalità evasiva, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che la presentazione della dichiarazione, includente fatture inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte. La reiterazione della condotta per più anni di imposta e attraverso una pluralità di false fatture emesse da diverse società è ulteriore indice della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 luglio 2023, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del 25 febbraio 2022, con cui il Tribunale di Brescia aveva condannato Pe.Gi. alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli art. 81 cod. pen. e 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentante della società "Sipi Italia Srl a socio unico", con sede in C S/M, indicava, nelle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, per gli anni 2012, 2013 e 2014, elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti emesse negli anni 2012, 2013 e 2014; fatti commessi in Brescia, rispettivamente, il 27 settembre 2013, il 27 settembre 2014 e il 28 settembre 2015. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, Pe.Gi., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi. Con il primo, la difesa contesta il giudizio sulla sussistenza del reato con riguardo alle società Ventinove Srl, Poltex Srl, Italtex Srl e Ma.pri. Srl, indicate come false cessionarie delle merci alla società amministrata da Pe.Gi. I giudici di merito hanno infatti ritenuto come prova delle mere presunzioni, quali quelle secondo cui le società cedenti non avevano struttura e capacità di acquistare a loro volta le merci cedute alla SI.PI. Italia Srl, non essendo stata compiuta nel corso delle indagini una ricognizione esaustiva e completa su eventuali acquisti da aziende nazionali in ambito italiano, essendo stata tale lacuna investigativa indebitamente sanata dal vizio motivazionale della sentenza impugnata. Del tutto ignorate sono rimaste poi le testimonianze rese dall'autotrasportatore Fo.Ca. e dalle impiegate Fa.Si. e Fr.Je., che hanno riferito in merito all'effettivo trasporto e scarico delle merci e alle contabilizzazioni delle medesime. Con il secondo motivo, sempre riferito alle operazioni riferibili alle società Ventinove Srl, Poltex Srl, Italtex Srl e Ma.pri. Srl, si censura la mancata distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva delle cessioni di merci, distinzione necessaria, atteso che l'inesistenza soggettiva rileva solo ai fini Iva, per cui sarebbe stato necessario chiarire perché le operazioni sarebbero tutte oggettivamente inesistenti, il che avrebbe richiesto una seria verifica, ancorata a solide risultanze probatorie, sulla natura delle singole cessioni di filati e tessuti effettuate. Parimenti carente sarebbe stato inoltre l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato, non essendo stata adeguatamente provata la consapevolezza da parte del soggetto che riceve la merce della mancata corrispondenza tra cedente ed emittente, a nulla rilevando il fatto che l'imputato conoscesse l'operatore tessile La.Sa. da vari anni. Con il terzo motivo, anch'esso riferito alle operazioni riferibili alle società Ventinove Srl, Poltex Srl, Italtex Srl e Ma.pri. Srl, la difesa eccepisce la inutilizzabilità delle prove su cui si fondano le argomentazioni della Corte territoriale circa l'inesistenza delle fatture e l'ipotetica retrocessione del denaro, essendo stata indebitamente valorizzata una testimonianza de relato, quella del Maggiore della Guardia di Finanza Soragnese, che ha riferito peraltro su intercettazioni ambientali mai acquisite, perché riferite a un diverso procedimento e a differenti annualità, con violazione degli art. 270 e 271 cod. proc. pen. e dell'art. 27, comma 2, Cost. Con il quarto motivo, si censura il giudizio relativo alle operazioni di cessione di macchinari riferibili alla Metaplast Srl, osservandosi in proposito che i macchinari di cui alle fatture del 2012 consistono in arrotolatori metallici e presse piegatrici industriali, macchinari notevolmente ingombranti e pesanti diverse tonnellate, essendo uso comune che tali macchinari, come peraltro indicato nelle fatture, siano tenuti in deposito presso la società venditrice, anche con il fine di farle vedere in funzione all'acquirente, posto che solo una volta perfezionata la vendita i macchinari sono smontati e trasportati presso l'acquirente finale, anche alla luce degli elevati costi delle operazioni di smontaggio, rimontaggio e trasporto, per cui sarebbe del tutto illogica l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'inesistenza delle fatture era dimostrata dal fatto che i macchinari non sono stati consegnati alla "Sipi", società che peraltro ben poteva acquistare i macchinari, occupandosi in un momento successivo di cercare l'acquirente finale, non potendo la non condivisione delle scelte imprenditoriali di Pe.Gi. risolversi in un argomento a base dell'inesistenza delle operazioni sottostanti alle fatture. A ciò si aggiunge che parimenti improprio sarebbe il passaggio della motivazione in cui si è sostenuto che i macchinari sarebbero del tutto inconferenti rispetto all'attività tessile, posto che l'oggetto sociale della "Sipi", società di puro trading di macchinari, contempla anche "l'acquisto e la vendita di tecnologia nel settore di pompe e apparecchiature per irrorazione a uso industriale e agricolo, macchinari per l'agricoltura, macchine utensili, lavorazioni meccaniche di metalli ferrosi e non ferrosi, nonché l'attività di commissionaria". Il quinto motivo è infine dedicato al diniego delle attenuanti generiche, non essendosi considerato che Pe.Gi. si è sempre presentato come un imprenditore serio e non aduso a occultare i profitti della propria attività, tanto è vero che non è stato mai colpito da alcuna misura ablatoria, avendo solo il Tribunale disposto la confisca. In ogni caso, le argomentazioni adoperate dalla Corte di appello sarebbero del tutto apodittiche e sganciate da elementi di riscontro probatorio, non risultando in alcun modo dimostrata l'asserita vicinanza di Pe.Gi. al circuito criminale, tanto è vero che mai all'imputato è stato contestato il delitto di associazione a delinquere. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 1. Premesso che i primi quattro motivi sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato non presenta alcun vizio di legittimità. Ed invero la Corte di appello, nel richiamare e nello sviluppare le pertinenti considerazioni del primo giudice, ha richiamato gli accertamenti svolti dall'Agenzia delle Entrate di Brescia, dalla Guardia di Finanza di Mirano e dall'Agenzia delle Dogane, da cui è emerso che la società "Sipi Italia Srl a socio unico", di cui era legale rappresentante Pe.Gi. , si è avvalsa di fatture per operazioni inesistenti, avendo così indicato elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni riferite agli anni 2012, 2013 e 2014, in tal modo evadendo le imposte sui redditi e l'Iva. È in particolare stato accertato che la "Sipi" era priva di dipendenti, attrezzature e locali e che operava in una situazione di opacità circa la distribuzione di costi, compiti e merci in entrata e uscita dai magazzini, utilizzando manodopera e spazi riconducibili ad altre società di cui Pe.Gi. era socio, come la Sicoma e la HSG. In questo contesto, sono stati in particolare esaminati i rapporti tra la "Sipi" e altre società che hanno avuto con essa apparenti relazione commerciali, ossia la Metaplast Srl, la Ventinove Srl, la Poltex Srl, la Italtex Srl e la Ma.pri. Srl 1.1. Rispetto alla Metaplast Srl, è stato evidenziato nella sentenza impugnata (pag. 19-24) che quest'ultima ha emesso nei confronti della "Sipi" nel 2012 tre fatture per macchinari tessili di notevole importo, sebbene la società amministrata dall'imputato si occupasse non della lavorazione, ma solo della commercializzazione di filati, per cui le fatture sono state riferite a operazioni inesistenti, e ciò anche in ragione del fatto che le fatture risultano pagate tre anni dopo e solo in minima parte. È stato del resto ritenuto inverosimile che una Srl a socio unico come la "Sipi", la cui redditività discendeva esclusivamente dal ricarico sulle vendite di materiale tessile, potesse acquistare per la successiva rivendita a terzi macchinari per lavorazioni tessili che la esponevano pesantemente sotto il profilo finanziario, essendo in ogni caso tale prospettiva rimasta priva di alcun conforto probatorio, non essendo stati indicati eventuali acquirenti interessati. A ciò deve aggiungersi che, nonostante la mancata consegna dei macchinari acquistati con le prime due fatture del maggio 2012 (le n. 75 e 78), la "Sipi", il 29 dicembre 2012, comprava dalla Metaplast altre due macchine piegatrici, cui conseguiva l'emissione della terza fattura, la n. 218, dell'importo di 278.910 euro, cui devono sommarsi 58.571 Euro per l'Iva; tale iniziativa sul piano della logica commerciale non ha trovato alcuna spiegazione, se non quella di far conseguire alla "Sipi" un sicuro beneficio fiscale mediante l'abbattimento dei carichi erariali, essendo altresì significativo, da un lato, che la Metaplast non ha inserito le tre fatture emesse nel 2012 nello "spesometro" o nell'anagrafe tributaria, e dall'altro che la predetta società, con note di credito, ha poi annullato le tre fatture solo nel 2015, ovvero a indagine ormai avviata. 1.2. Quanto alle società Ventinove Srl, Poltex Srl, Italtex Srl e Ma.pri. Srl, emittenti fatture nei confronti della "Sipi", le due conformi sentenze di merito (pag. 11 ss. della pronuncia di primo grado e pag. 24 ss. della decisione impugnata) ne hanno sottolineato la natura di società cartiere, trattandosi di enti con sedi solo formali, prive di dipendenti e di attrezzature, che avevano rapporti con società estere a loro volta esistenti solo sulla carta, risultando ciò sufficiente a ritenere inesistenti le operazioni sottese alle fatture emesse, a nulla rilevando la mancata prova della retrocessione del denaro, atteso che, come emerso dalle indagini che in maniera più estesa hanno riguardato altre società coinvolte, al pari della "Sipi", nel meccanismo illecito de quo, facente capo a La.Sa.(che frequentava la sede della società amministrata da Pe.Gi.), le somme scaturenti dalle evasioni fiscali per cui si è proceduto, quantificate in circa 750 milioni di euro, venivano reintrodotte in I secondo modalità costanti, ossia recuperando il denaro in contanti presso banche estere con successivo trasferimento in Italia tramite i ed. spalloni. La falsità delle fatture, comunque, discende autonomamente dalla verifica della natura di cartiere delle società emittenti le fatture e della società destinataria, avendo i giudici di merito desunto l'inesistenza delle operazioni da una pluralità di convergenti elementi documentali e dichiarativi diffusamente esposti nelle sentenze di primo e secondo grado; rispetto a tale verifica la difesa non ha offerto seri elementi di smentita, dovendosi altresì rimarcare l'assenza di spiegazioni alternative da parte di Pe.Gi. a fronte degli accertamenti circa l'inidoneità delle società coinvolte a svolgere l'attività di impresa. Resta solo da precisare che alcun rilievo è stato attribuito alle intercettazioni ambientali, che sono state evocate genericamente nel ricorso, senza alcun richiamo ai passaggi motivazionali che le avrebbero citate. Alla luce di tali premesse fattuali, i giudici di merito hanno dunque legittimamente ritenuto ascrivibile a carico dell'imputato il reato continuato di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, stante l'inesistenza oggettiva delle operazioni sottostanti alle fatture utilizzate dall'impresa amministrata dal ricorrente, non essendo emersi spunti probatori idonei a far ritenere che l'inesistenza fosse soltanto soggettiva, aspetto che comunque non eliderebbe il disvalore penale della condotta in esame. Deve ritenersi immune da censure anche il giudizio sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, dovendosi in tal senso richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, Rv. 274104), secondo cui il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l'evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell'accettazione del rischio che l'azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l'evasione delle imposte dirette o dell'Iva, profilo quest'ultimo (almeno) ravvisabile nel caso di specie, non potendosi sottacere, da un lato, la pluralità delle false fatture annotate, emesse da una molteplicità di compagini societarie e, dall'altro, la circostanza che le dichiarazioni fiscali fraudolente dell'imputato hanno riguardato tre distinte annualità di imposta. 1.3. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, il giudizio delle due conformi sentenze di merito sulla configurabilità del reato ascritto al ricorrente resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita, peraltro in termini non adeguatamente specifici, rivelando il ricorso palesi limiti di autosufficienza nel richiamo a fonti di prova il cui contenuto non è stato allegato o riportato, una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Non sono infatti deducibili innanzi a questa Corte le censure che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, al pari di quelle che, come nel caso di specie, sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. in termini Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747). Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità. 2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quinto motivo. Al riguardo occorre innanzitutto richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. È stato inoltre precisato (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. Orbene, in applicazione di tale premessa interpretativa, devono escludersi i vizi motivazionali invocati dalla difesa, avendo i giudici di merito sottolineato, in maniera non illogica, l'assenza di elementi meritevoli di positiva considerazione, non potendo ritenersi di per sé tali né la condizione di incensurato di Pe.Gi., fermo restando che la Corte territoriale non ha mancato di sottolineare la pregnanza negativa di altri elementi di fatto, come la circostanza che le produzioni operate dal ricorrente alla Guardia di Finanza e all'Agenzia delle Entrate sono consistiti in documenti fittizi, o come la presenza di La.Sa. (persona attorno cui ruotava il complesso sistema illecito delineato dalle prove raccolte) presso la sede della società dell'imputato, dato questo idoneo a comprovare che Pe.Gi. non fosse una mera pedina del gioco, avendo egli rapporti diretti con il vertice del sodalizio creato a fini di evasione fiscale, circostanza questa autonomamente valorizzabile, al di là del fatto che al ricorrente non siano state elevate contestazioni in tema di associazione a delinquere. 2.1. Dunque, in presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, non vi è spazio per l'accoglimento delle obiezioni difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità. Ne consegue che, anche rispetto al diniego delle attenuanti generiche, la sentenza impugnata resiste ampiamente alle obiezioni difensive, invero non specifiche. 3. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di Pe.Gi. deve essere quindi dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.
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