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Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti: nel caso di reato commesso da singoli componenti del CdA ciascuno degli altri amministratori risponde per concorso
Cassazione penale , sez. III , 04/05/2021 , n. 30689
In tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull'andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all' art. 2392 c.c. (Fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti).
Norme di riferimento
La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 21.12.2020 il Tribunale di Firenze, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di C.F., indagata in qualità di componente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Il Perseo, esercente l'attività di movimento merci relative a trasporti terrestri, insieme al Presidente e ad un altro consigliere, dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 ed 8.
Ritiene, in sintesi, il Tribunale che il Consorzio, che si relazionava con una pluralità di cooperative, ognuna di breve durata, con esso consorziate, formalmente affidasse loro il subappalto dei servizi di trasporto, ma di fatto usufruisse di somministrazione illecita di manodopera interponendosi fittiziamente alle cooperative che erano prive di qualsiasi autonomia gestionale e finanziaria e che perciò avevano accumulato ingenti debiti nei confronti dell'Erario corrispondenti all'IVA sulle false fatture emesse: la prestazione figurava cioè svolta dal personale delle cooperative che emettevano fatture per il lavoro svolto ma, essendo il personale riconducibile invece allo stesso Consorzio, il meccanismo fraudolento proprio del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 consisteva nell'inesistenza dell'operazione sottostante (ovverosia relativa alle operazioni di trasporto) alle suddette fatture, tutte recanti una causale estremamente generica, che venivano contabilizzate quali costi del Consorzio e che, dissimulando una prestazione di manodopera, non consentivano l'apposizione di IVA costituente un costo a tutti gli effetti fittizio, essendone la somministrazione di manodopera esente, a maggior ragione quando come nel caso di specie illecita.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'indagata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 40 c.p., comma 2 e artt. 2381 e 2392 c.c., l'erroneità del principio affermato dal Tribunale in ordine alla responsabilità, conseguente alla mera accettazione della carica, del membro del consiglio di amministrazione per il mancato svolgimento del controllo e della vigilanza sull'operato di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, valevole, secondo la difesa, per l'amministratore di diritto, mero prestanome, rispetto all'operato dell'amministratore di fatto, cui si riferiscono gli arresti citati nell'ordinanza in esame, e non già per il consigliere privo di deleghe nel reato commissivo posto in essere dal Presidente del Consiglio di Amministrazione. Deduce che il presupposto su cui poggia la responsabilità dell'amministratore ex art. 40 c.p. è costituito dalla sussistenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento, che la riforma operata in materia societaria dal D.Lgs. n. 6 del 2003 ha cancellato per i consiglieri non operativi, sia privandoli di strumenti impeditivi essendo loro attribuita solo la facoltà di richiedere informazioni, sia circoscrivendone i compiti alla mera valutazione dell'andamento della società in funzione dei ragguagli loro forniti dal Presidente del Consiglio di Amministrazione, laddove la facoltà da parte di costoro di chiedere informazioni agli organi operativi in tanto può trasformarsi in un obbligo positivo di condotta in quanto derivi dalla sentenza di fattori di sospetto concreti in grado di allertarti, venendo altrimenti ripristinato l'obbligo di vigilanza che la riforma ha volutamente eliminato. In altri termini assume la difesa che la responsabilità del consigliere privo di delega presuppone la prova che lo stesso sia stato debitamente informato oppure che vi fossero segnali peculiari di una gestione illecita, dimostrazione nella specie del tutto carente, avendo i giudici del riesame paradossalmente valorizzato circostanze emblematiche dell'estraneità dell'indagata alle determinazioni gestionali del Consorzio, quali il fatto che non svolgesse attività nella sede da oltre due anni, che non avesse un personal computer negli uffici, che la sua casella di posta elettronica inoltrasse automaticamente le e-mail a costei indirizzate al signor M.T. e che neppure figurasse nell'organigramma della società l'elementi cui deve aggiungersi altresì il fatto, evidenziato dalla difesa nella memoria presentata all'udienza di riesame, che in quegli anni fosse in attesa di un bambino, poi partorito, avendone già altri due molto piccoli.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 2312 c.c., la mancata disamina della questione di diritto posta al Tribunale del riesame in ordine al fatto che nel caso di specie trattasi non già di attività di impresa, bensì di consorzio con attività esterna il quale incassa i corrispettivi degli appalti affidati alle consorziate restando un soggetto neutrale rispetto alle operazioni sottostanti in quanto non persegue una finalità di lucro, ma opera al diverso fine di favorire attraverso servizi ed acquisti centralizzati l'acquisizione di commesse per le consorziate e la razionalizzazione dell'organizzazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In relazione al primo motivo, occorre premettere che l'art. 2392 c.c., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all'interno delle s.p.a., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l'art. 2381 c.c., comma 2. Dovendosi perciò distinguere l'ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che a meno che l'atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano,-salvo il meccanismo di esonero contemplato dall'art. 2392 c.c., comma 3 che prevede l'esternazione e l'annotazione dell'opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colparò degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.
Diversa è invece l'ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite ad uno o più amministratori, nel qual caso gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati, salva in tal caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega, in conseguenza non già della posizione di garanzia sancita dall'art. 2392 c.c., comma 11, bensì per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava, anche a seguito della riforma legislativa attuata con il D.Lgs. n. 6 del 2003, sui singoli amministratori in ordine all'andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative che pone su costoro, in presenza di segnali di allarme, l'onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell'atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.
Tutto ciò premesso, risulta affermato dall'ordinanza impugnata, senza che l'assunto sia stato fatto oggetto di alcuna specifica confutazione, che all'interno del consiglio di amministrazione del consorzio Il Perseo a nessuno dei consiglieri che ne erano parte fosse stata attribuita alcuna delega. Muovendo da tale dato fattuale, le dissertazioni spese dalla difesa in ordine alla mancanza di un obbligo di vigilanza gravante sul consiglieri privi di deleghe devono ritenersi inconferenti, trattandosi di principi applicabili alla diversa ipotesi in cui vi sia stata attribuzione specifica di materie o compiti a taluni componenti del cda: non vi è dubbio che la riforma del 2003 abbia alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe, responsabili verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie, quali stabilite dalla disciplina normativa, rimuovendo il generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione (già contemplato dall'art. 2392 c.c., comma 2) e sostituendolo con l'onere di agire informato, atteso il dovere nell'ottica di una gestione informata di assumere informazioni sancito dall'art. 2381 c.c., u.c., accompagnato dal potere di richiedere ulteriori informazioni (cfr. Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 20933 del 30/09/2009, Rv. 610513), ma trattasi di disposizioni applicabili in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri.
Conseguentemente, le dispiegate doglianze, volte a sostenere che l'interpretazione adottata dalla ordinanza impugnata sia in contrasto con l'ordinamento vigente in cui le disposizioni incriminatrici in tema di diritto penale societario si svuotano di contenuto laddove rivolte a soggetti che non si identifichino in un amministratore delegato, non colgono nel segno posto che ad esse non si accompagna la deduzione, sulla quale soltanto avrebbe potuto fondarsi l'invocata assenza di responsabilità, che ad altri consiglieri fossero state attribuite specifiche deleghe in materia di sub-appalto o di adempimenti fiscali-tributari, limitandosi invece la difesa ad evidenziare che la C. fosse priva di deleghe, circostanza questa già accertata dai giudici del riesame.
Invero, è solo per l'amministratore privo di delega che si pone il problema, quale necessario antecedente logico della posizione di garanzia, derivata dall'accettazione della carica in seno al consiglio di amministrazione, della "conoscibilità" delle determinazioni pregiudizievoli assunte dal o dai titolari della delega, occorrendo in tal caso segnare il limite operativo dell'art. 40 c.p., comma 2, al fine di evitare di sovrapporlo ad una responsabilità di natura colposa, incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatici, che configurando comportamenti modulati su consapevolezza dolosa, non consentono di addebitare all'autore di volontaria omissione, con argomentazione propria della colpa (e cioè con rimprovero di imperizia, o di negligenza, o di imprudenza), l'evento che egli ha l'obbligo giuridico di impedire.
Siffatti principi non hanno invece alcuna attinenza con il caso di specie. Invero, in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione del Consorzio, deve ritenersi gravante su tutti i consiglieri, come sopra rilevato, la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi.
Ancorché la giurisprudenza citata nell'ordinanza impugnata riguardi la responsabilità dell'amministratore di diritto che funga da mero prestanome per essere in fatto la società gestita da terzi, i principi ivi affermati sono perfettamente applicabili per i membri del consiglio di amministrazione di una società di capitali in assenza di deleghe su specifiche materie o attribuzioni concernenti la gestione della società. Immuni da censure devono ritenersi conseguentemente i rilievi spesi dal Tribunale fiorentino in ordine alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 c.c. ricoperta dall'indagata che, proprio perché investita, al pari di ogni altro componente del consiglio di amministrazione, "da generali compiti di amministrazione diretta, aveva uno specifico obbligo di vigilanza, quand'anche di fatto le determinazioni sul conferimento dei sub-appalti e sui conseguenti obblighi tributari non fossero state da costei direttamente assunte, sull'andamento della gestione societaria o a titolo di dolo generico per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino.
Anche seguendo la prospettazione difensiva secondo la quale la C. non si occupava da tempo di alcuna incombenza all'interno del Consorzio, non vi è perciò alcuna ragione per discostarsi dal principio generale condivisibilmente affermato da questa Corte secondo il quale il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell'operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 c.c., in forza della quale l'amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. (cfr. Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass. 26 novembre 1999 Dragomir Rv 215199; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 - dep. 04/07/2006, Furini, Rv. 234474; Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 - dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080 che ha precisato che in tema di reati tributari il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società).
Sussiste pertanto la responsabilità dell'amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, afferenti cioè a prestazioni inesistenti, con l'amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all'interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40 c.p., comma 2, l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull'operato dell'amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita.
Il motivo in esame deve perciò ritenersi inammissibile.
2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il secondo motivo.
Del tutto ininfluente ai fini della configurabilità del reato in contestazione è la circostanza che nel caso di specie il soggetto giuridico di cui l'indagata ricopriva il ruolo di membro del consiglio di amministrazione fosse un Consorzio e non un'impresa, posto che si tratta comunque di un soggetto produttore di reddito e perciò, indipendentemente dalle finalità speculative o meno specificatamente perseguite, destinatario di obblighi fiscali, il mancato assolvimento dei quali rende i suoi rappresentanti legali passibili delle incriminazioni previste in materia tributaria.
Segue all'esito del ricorso la condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non potendosi ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021
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