RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Napoli, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero e in parziale accoglimento dell'appello proposto dagli imputati, ha così provveduto sulla sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato in data 15 giugno 2020 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli:
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di B.A. per i reati di cui al capo D) e rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 629 cpv. c.p., in anni 3 e mesi 10 di reclusione ed Euro 1.000 di multa;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di E.C. per i reati di cui ai capi C) ed E) e rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 416-bis, comma 4, c.p., in anni 5 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di E.G. per i reati di cui ai capi F) e II) e rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 74, commi 3 e 4, TU Stup., in anni 6 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.G. per i reati di cui ai capi A), con il ruolo di promozione, direzione e organizzazione, F), G), I), L), M), N), O), P), S), T), U), Z), AA), EE), nonché per i reati di cui ai capi A), B), C) e D) (secondo rinvio a giudizio) e rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 74, commi 3 e 4, T.U. Stup., in anni 14 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.N. per i reati di cui ai capi A), con il ruolo di promozione, direzione e organizzazione, e rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 416-bis c.p., comma 4, in anni 8 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.S. per i reati di cui ai capi A), con il ruolo di promozione, direzione e organizzazione, nonché per i reati di cui ai capi DD), EE), e FF), e ritenuta la continuazione con i reati giudicati con sentenza del GUP del Tribunale di Napoli in data 28 ottobre 20016, irrevocabile in data 8 ottobre 2019, fatti giudicati più gravi, rideterminato il trattamento sanzionatorio, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante ex art. 416-bis c.p.,, comma 4, in anni 16 e mesi 10 di reclusione;
- ha dichiarato V.A. responsabile anche del reato di tentato omicidio aggravato di cui al capo GG) e, unificati i reati sotto il più grave capo HH) per il quale già vi era stata condanna in primo grado, lo ha condannato alla pena di anni 15 e mesi 8 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di V.P. per i reati di cui ai capi HH), con il ruolo di promozione, direzione e organizzazione, in esso assorbita la pena inflitta per i reati giudicati con sentenza del GUP del Tribunale di Napoli in data 24 giugno 2019, irrevocabile in data 18 novembre 2019, e rideterminato la pena in anni 20 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di C.C. per i reati di cui al capo F) e la pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione;
- ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.S. per i reati di cui al capo M) e la pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 8.000 di multa.
1.1. La sentenza impugnata ricostruisce, in totale consonanza con quella di primo grado, gli equilibri criminali nel territorio del quartiere (Omissis), interessato nel corso degli anni da faide tra diversi gruppi criminali che si contendevano il territorio.
Oggetto del giudizio sono, in particolare, le attività del clan S.. I giudici di merito si soffermano sulla genesi del clan S.: a seguito delle pronunce definitive della Autorità giudiziaria, scomparsi il clan M. ed il clan T., il clan L.R. aveva esteso il proprio potere nel quartiere (Omissis), così scatenando la reazione delle famiglie storiche del quartiere, tra queste quella dei S., reazione culminata con l'omicidio di B.F..
L'esistenza e l'operatività del clan S. risulta accertata con sentenze definitive. In particolare, con sentenza n. 1370/09 in data 18 maggio 2009 del GUP di Napoli, S.N. e S.S. sono stati condannati per distinte imputazioni di cui all'art. 416-bis c.p. con riferimento al periodo dal 1994 al 2005 in relazione al clan M. e poi dall'anno 2005 sino alla pronunzia della sentenza di primo grado, quale gruppo autonomo-scissionista operante nella zona di (Omissis) del quartiere (Omissis); con sentenza n. 3134/16 del 28 ottobre 2016, emessa nell'ambito del proc. pen. 1334/16 RGNR, S.S. è stato condannato quale capo dell'organizzazione clan S. per l'aiuto prestato al clan B., offrendo la disponibilità di uomini e mezzi per la espansione del potere criminale del sodalizio.
Storico antagonista del clan S. è il clan V., capeggiato da V.P., referente dei L. nel quartiere (Omissis), il quale, a seguito dell'omicidio di E.P., eliminato grazie alla collaborazione del clan L.R., aveva nuovamente affermato il suo potere nel quartiere (Omissis).
1.2. Sono state giudicate determinanti, per la ricostruzione degli assetti criminali sul territorio, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia L.R.C., D.C.G., D.M.C., M.S. e O.M., già poste alla base di sentenze di condanna definitive che hanno accertato l'esistenza del clan S., e le più recenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia D.S.R. e P.D. che hanno consentito di accertare l'operatività del clan nel periodo oggetto di contestazione nel presente procedimento.
Il materiale probatorio, oltre ai provvedimenti definitivi della Autorità giudiziaria e alle dichiarazioni dei collaboratori, è costituito: a) dagli esiti della attività di intercettazione dei colloqui in carcere di S.S., S.N., E.A., L.M.S.; b) dalla attività di captazione eseguita all'interno delle abitazioni di alcuni degli odierni imputati, c) dagli esiti della attività di intercettazione telefonica.
In particolare, dalla captazione dei colloqui in carcere di S.S. e S.N., è emerso che gli stessi nonostante la detenzione proseguivano a reggere il clan impartendo ordini nel corso dei colloqui e tramite lettere spedite dal carcere agli affiliati.
Il contenuto delle conversazioni captate ha consentito di fare luce sui gravi fatti di omicidio consumati nel 2016 a seguito della definitiva rottura degli equilibri tra il clan S. ed il clan V.: la scarcerazione di V.P. nel 2015 aveva scosso gli equilibri criminali con il clan S..
Il duplice omicidio di M.C., uomo del clan S., e di E.S., boss del C. e alleato con i S., il tentato omicidio di A.P., altro membro del clan S. (fatti verificatisi nell'agosto del 2016), segnavano l'inizio di un periodo di forte conflittualità tra i due clan, caratterizzato da atti di violenza e gravi fatti di omicidio (l'omicidio di V.V., il tentato omicidio di P.A., l'aggressione a B.G.).
La sentenza esamina le vicende della associazione criminale armata, denominata clan S., diretta da S.N., S.S. e S.G. (di N.) (capi A) (ordinanza cautelare n. 58/19) ed E) (ordinanza cautelare n. 96/19), si sofferma sulla esistenza ed operatività di una parallela organizzazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, diretta dal capo S.G. (capo F) (ordinanza cautelare n. 58/19), esamina poi la condotta associativa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, contestata agli imputati V.A. e V.P. al capo HH).
Dalle conversazioni captate all'esito di intercettazioni è emersa, secondo la valutazione dei giudici di merito, una precisa gestione del territorio nel quartiere (Omissis), ripartito rigorosamente tra l'organizzazione facente capo ai S. e gli altri clan, il clan V. e il clan M., nel cui ambito possono operare solo gli spacciatori autorizzati, costretti alla corresponsione di una "quota", per essere "autorizzati" a vendere nella zona.
I proventi di tale attività sono investiti in parte nell'acquisto di ulteriori forniture e per il resto confluiscono nelle casse del clan, contribuendo a far fronte alle spese per il sostentamento dei detenuti ed affiliati.
I singoli imputati sono stati poi ritenuti responsabili dei delitti scopo riconducibili a tali associazioni, loro rispettivamente ascritti nei capi da G) a CC), Il) e LL) (trattasi dei delitti scopo riconducibili alle associazioni criminali dedite al narcotraffico).
Altre contestazioni (capi A) B) C) D) dell'ordinanza cautelare n. 96/19) hanno invece ad oggetto gli episodi estorsivi consumati ai danni di G.F., gestore di fatto della sala scommesse (Omissis), in relazione ai quali vengono in rilievo, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, le dichiarazioni della parte offesa, gli esiti della attività di intercettazione delle conversazioni tra la vittima e la moglie, il riconoscimento fotografico operato dalla vittima, la visione dei filmati delle telecamere di sorveglianza installate nel locale della vittima, gli esiti della attività di osservazione della polizia giudiziaria.
I giudici di merito si sono soffermati sulla disamina di specifici episodi delittuosi comunque riferibili alla vita della organizzazione criminale denominata clan S., in particolare: le condotte di ricezione di somme di denaro dal clan da parte delle mogli di affiliati al sodalizio in stato di detenzione (capi C D ed E della rubrica contestati ad E.S., F.C. e B.M., rispettivamente mogli e/o compagne di S.S., E.A., L.M.S.); i delitti di falso contestati ai capi DD) EE) FF) della rubrica in relazione alla certificazione sanitaria prodotta da alcuni affiliati al clan S. alle Forze dell'Ordine per giustificare la mancata presentazione in caserma per l'obbligo di firma nel periodo di grave conflittualità armata con il clan V.; gli episodi di minaccia e danneggiamento, porto e detenzione di arma contestati ai capi B) e B1) all'imputato M., il reato di tentato omicidio di S.G., contestato al capo GG) a V.A..
1.3. Nel corso del giudizio di appello alcuni imputati rinunciavano ai motivi di gravame nei termini di seguito indicati:
- E.G. rinunciava al motivo assolutorio limitatamente ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73;
- B.A. rinunciava ai motivi assolutori;
- S.S. rinunciava ai motivi di gravame sub 1) (assoluzione dal reato associativo perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, o perché il fatto non costituisce reato, quantomeno ex art. 530 cpv. c.p.p.), 2) (dichiararsi l'improcedibilità dell'azione penale ex art. 649 c.p.p., comma 2, in relazione alla sentenza del GUP del Tribunale di Napoli del 28 gennaio 2016, confermata dalla Corte di Appello di Napoli in data 29 marzo 2018, irrevocabile in data 8 ottobre 2019), 3.1) (assoluzione dai reati di cui ai capi DD, EE, FF) perché il fatto non sussiste, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2) 3.2) (assoluzione dai reati di cui ai capi DD, EE, FF) perché il fatto non costituisce reato, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2,) 3.3) (assoluzione dai reati di cui ai capi DD, EE, FF) perché il fatto non costituisce reato ex art. 54 c.p.);
- S.G. rinunciava ai motivi di gravame di cui ai numeri 1) (assoluzione dal reato associativo di cui al capo A) quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2,), 4) (assoluzione dal reato associativo di cui al capo F) quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2,), 6) (assoluzione dai reati di cui ai capi L, O, Z, AA, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2,), 7) (assoluzione dal reato di cui al capo EE, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2), 8) (assoluzione dai reati di cui ai capi A, B, C, D, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2), 10) (esclusione dell'aggravante ex art. 416-bis c.p., comma 4, in relazione al capo A), 11) (esclusione dell'aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. in relazione ai delitti di cui ai capi F, L, O, Z, AA), 15) (esclusione dell'aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. in relazione ai delitti di cui ai capi A, B, C, D), 16) (esclusione dell'aggravante ex art. 629 cpv c.p. in relazione ai delitti di cui ai capi A, B, C, D);
- S.N. rinunciava ai motivi di gravame di cui ai numeri 1) (assoluzione, quantomeno ex art. 530 c.p.p., comma 2), 10) (esclusione dell'aggravante ex art. 416-bis c.p., comma 4,) e 17) (esclusione della recidiva);
- E.C. rinunciava ai motivi di gravame di cui ai numeri 3) (assoluzione dal reato associativo di cui al capo E), 9) (assoluzione dal reato di cui al capo C), 10) (esclusione della contestata aggravante di cui all'art. 416-bis c.p., comma 4,) e 15) (esclusione della contestata aggravante di cui all'art. 416-bis.1 di cui al capo C);
2. Ricorrono gli imputati B.A., C.C., E.C., E.G., S.S., S.G., S.N., S.S., V.A., V.P., a mezzi dei rispettivi difensori.
3. B.A., con il difensore avv. Giovanni Carlino, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata esclusione dell'aggravante del metodo e dell'agevolazione mafiosi ex art. 416-bis.1 c.p. contestata in relazione ai delitti di concorso in estorsione consumata e tentata ai danni di G.F. (capo D dell'ordinanza cautelare n. 96/2019), mancando la prova della ignoranza colpevole da parte dell'imputato dell'utilizzo del metodo mafioso e dell'agevolazione del clan poiché egli si è limitato a essere presente al momento del fatto e accompagnare i coimputati; in ultima analisi manca il dolo intenzionale richiesto per l'agevolazione mafiosa.
4. C.C., con i difensori avv. Mario Bruno e avv. Andrea Imperato, denuncia la violazione di legge, per mancanza grafica della motivazione in relazione ai motivi di appello, e il vizio della motivazione con riguardo alla:
- partecipazione all'associazione dedita al narcotraffico di cui al capo F), perché l'imputato è soltanto un acquirente che compare in una sola conversazione e che non è neppure citato dai collaboratori di giustizia. L'esistenza di un debito verso l'organizzazione non può essere utilizzata quale elemento dimostrativo del vincolo, mancando la volontà di associarsi e comunque un qualunque apporto;
- sussistenza dell'aggravante del metodo e dell'agevolazione mafiosi ex art. 416-bis.1 c.p. contestata in relazione al capo F), essendo apoditticamente affermata l'agevolazione derivante dagli acquisti di droga e mancando la prova della specifica volontà dell'imputato di agevolare il clan per mezzo della condotta di narcotraffico. Del resto, l'aggravante in parola è incompatibile con l'associazione dedita al narcotraffico, poiché per questa via si giunge in realtà a configurare la partecipazione all'associazione mafiosa.
5. E.C., con il difensore avv. Leopoldo Perone, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla determinazione dell'aumento di pena per la continuazione per il reato di cui al capo C).
6. E.G., con il difensore avv. Mauro Dezio, denuncia:
- la violazione di legge con riguardo al rigetto della richiesta di riqualificazione del reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 nell'ipotesi di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, attenuata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;
- la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata esclusione della aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. sotto il profilo dell'agevolazione del clan.
7. S.S., con il difensore avv. Mauro Dezio, denuncia:
- la violazione della legge processuale con riguardo agli artt. 266 e 192 c.p.p. per la rilevanza probatoria delle intercettazioni etero accusatorie;
- il vizio della motivazione con riguardo alla mancata esclusione della aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. sotto il profilo dell'agevolazione del clan;
- il vizio della motivazione con riguardo alla riqualificazione del reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
8. S.G., con il difensore avv. Leopoldo Perone, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo:
- al ruolo di vertice dell'associazione camorristica di cui al capo A), poiché in realtà la sentenza richiama unicamente gli elementi posti a fondamento della declaratoria di responsabilità per la partecipazione all'associazione dedita al narcotraffico di cui al capo F);
- al ruolo di vertice dell'associazione dedita al narcotraffico di cui al capo F);
- alla mancata qualificazione dell'associazione di cui al capo F) alla stregua dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 74, comma 6, TU Stup., trattandosi dello smercio di modiche quantità;
- alla mancata esclusione, per l'associazione di cui al capo F), della circostanza aggravante dell'associazione armata di cui all'art. 74, comma 6, TU Stup., non essendo indicato l'uso o la disponibilità delle armi, salvo che si intenda ingiustificatamente estendere al sodalizio la disponibilità delle armi ritenuta per l'associazione mafiosa.
9. S.N., con il difensore avv. Leopoldo Perone, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo:
- al ruolo di vertice dell'associazione camorristica di cui al capo A), poiché in realtà la sentenza richiama le contraddittorie indicazioni dei collaboratori di giustizia, che si erano contestate in appello, e alcune conversazioni di contenuto generico e male interpretate;
- al mancato riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati con la sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 5 luglio 2010, irrevocabile in data 31 ottobre 2010, poiché si tratta della prosecuzione del progetto egemonico che già aveva visto l'imputato al vertice dei clan M. e T.;
- al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 416-bis c.p., comma 4,;
- al trattamento sanzionatorio.
10. S.S., con il difensore avv. Andrea Imperato, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo:
- all'affermazione di responsabilità per il delitto di falso ideologico ai sensi dell'art. 479 c.p., ricorrendo invece la diversa ipotesi di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico a norma dell'art. 483 c.p., perché i certificati medici si limitano a riportare le dichiarazioni del paziente, prive della diagnosi del medico, sicché quanto eventualmente falsamente dichiarato resta unicamente riferibile al paziente e non assume il crisma della falsità commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico; i giudici di appello hanno omesso di rispondere alle specifiche doglianze difensive sviluppate nell'atto di appello. D'altra parte, la sentenza è viziata (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019 - dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395) per l'illegittimo utilizzo, a fini di prova, delle intercettazioni delle conversazioni autorizzate per altri reati, poiché non sussisteva alcuna connessione con essi mentre il reato di cui all'art. 483 c.p. non rientra tra quelli previsti dall'art. 270 c.p.p.;
- al mancato riconoscimento della continuazione con i reati giudicati con la sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 5 luglio 2010, irrevocabile in data 31 ottobre 2010, anche con riferimento alla omessa risposta ai motivi di appello, sussistendo il medesimo disegno criminoso tra i fatti, tutti relativi alla partecipazione ad associazione mafiosa, seppure per un diverso ambito temporale;
- alla determinazione della porzione di pena per i reati satellite che sono stati unificati sotto il vincolo della continuazione (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269).
11. V.A. e V.P., con unico atto a firma dei difensori avv. Sergio Cola e avv. Arturo Cola, denunciano:
- per V.A. e V.P. la violazione di legge con riguardo al capo HH), relativo alla condanna di entrambi gli imputati per il reato di associazione dedita al narcotraffico, per violazione del bis in idem ex artt. 649 e 648 c.p.p. rispetto alla sentenza di condanna per art. 416-bis c.p. pronunciata a carico di entrambi dal GUP del Tribunale di Napoli in data 26 aprile 2019, irrevocabile in data 18 novembre 2019, anche sotto il profilo del vizio della motivazione per contraddittorietà con riguardo alla richiamata sentenza irrevocabile, al verbale di interrogatorio reso da P.D. e alla statuizione della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la continuazione tra il suddetto delitto e quello di associazione mafiosa giudicato con il richiamato provvedimento irrevocabile, anche in riferimento alla sentenza Sez. 4, n. 28154/2021, prodotta con la memoria che non è stata esaminata dalla Corte d'appello. La sentenza irrevocabile contiene la descrizione della condotta finalizzata anche al traffico di stupefacenti e si basa sullo stesso compendio probatorio su cui si fonda l'attuale contestazione associativa, sicché risulta identico il fatto storico sottoposto a giudizio (Corte Cost. sentenza n. 200 del 2016). Il giudice di primo grado aveva escluso l'identità del fatto storico naturalistico perché l'associazione dedicata al narcotraffico si sarebbe costituita nel 2014, cioè in epoca precedente a quella mafiosa (2015), mentre la sentenza irrevocabile attesta la costituzione di quest'ultima associazione a partire dal 2013 - 2014, come pure conferma il collaboratore di giustizia P. le dichiarazioni del quale sono riportate nella richiamata sentenza di primo grado. I giudici di appello hanno invece affermato, ribaltando le conclusioni del primo giudice, che l'associazione dedita al narcotraffico era stata costituita in epoca successiva a quella di tipo mafioso, così travisando il contenuto della sentenza divenuta irrevocabile nella quale si è accertata l'operatività del clan V. dalla seconda metà degli anni 90, per essere poi soppiantato da altre organizzazioni criminali, e ricostituirsi a partire dal 2013 proprio grazie all'opera di reclutamento di V.A.; il nuovo clan includeva nel progetto criminale anche il traffico di sostanze stupefacenti che divenne la principale attività illecita; nel settembre 2014 il progetto di riconquista del territorio subiva una battuta d'arresto, per poi riprendere nel 2015. D'altra parte, l'avvenuto riconoscimento della continuazione tra l'associazione dedita al narcotraffico e quella di tipo mafioso rende evidente l'illogicità della motivazione di rigetto della richiesta di declaratoria di bis in idem poiché è stata riconosciuta la continuità temporale tra le condotte. Del resto, con sentenza n. 28.154 del 2021 la Corte di Cassazione aveva riconosciuto, con riguardo all'imputato C.S., l'esistenza del bis in idem tra le richiamate condotte;
- per V.A. il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per il capo GG) che è stata affermata in violazione del ragionevole dubbio e dei principi di valutazione della prova di cui all'art. 192 c.p.p., nonché per mancanza della motivazione in merito alla memoria depositata in data 9 settembre 2021 e delle dichiarazioni di P. e B.. La responsabilità è stata affermata unicamente sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenuti inaffidabili dal giudice di primo grado, mentre le intercettazioni non offrono riscontri individualizzanti. Non sono stati, dunque, acquisiti ulteriori elementi di prova in grado di superare la motivazione del primo giudice, mentre la Corte d'appello non ha provveduto a redigere una motivazione rafforzata. P. ha invertito la scansione temporale della "stesa" (proiettili sparati sotto il balcone di P.) rispetto al tentato omicidio di S.G.. Il giudice di primo grado aveva ritenuto generiche le dichiarazioni di B. e perciò non idonee a riscontrare quelle di P., mentre la Corte di appello ha valorizzato una intercettazione ambientale che in realtà contraddice le dichiarazioni del primo. La Corte d'appello non ha neppure esaminato la memoria difensiva che riguardava l'attendibilità dei collaboratori di giustizia e la falsità delle dichiarazioni di P. circa la partecipazione di V.F. alla riunione in cui sarebbe stato pianificato il delitto; del resto P. aveva avuto modo di conoscere l'esito delle indagini di polizia giudiziaria secondo le quali il tentativo di omicidio era da attribuire a V.A., sicché la sua dichiarazione risulta priva di genuinità. Anche B. ha invertito la successione cronologica degli episodi, ma di ciò il giudice di secondo grado non ha tenuto conto per valutare la attendibilità e credibilità delle dichiarazioni;
- per V.A. la violazione della legge processuale con riguardo alla mancanza di motivazione sulla responsabilità per i reati di detenzione e porto di armi, non essendo stata accertata l'illiceità della detenzione e del porto, nonché la violazione della legge sostanziale, in riferimento all'art. 15 c.p., dovendosi ritenere il delitto di detenzione assorbito in quello di porto della medesima arma, mancando la prova che la detenzione sia iniziata prima del porto;
- per V.A. e V.P. la violazione di legge con riguardo all'art. 416-bis.1 c.p., nella forma oggettiva del metodo mafioso, con riguardo alla responsabilità per il delitto di cui all'art. 74 T.U Stup. (capo HH);
- per V.P. la violazione di legge con riguardo all'aumento di pena della metà per la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., mancando la motivazione che giustifichi l'aumento massimo, soprattutto ove si consideri che per il reato associativo di narcotraffico la pena è stata individuata nel minimo edittale;
- per V.A. e V.P. il vizio della motivazione con riguardo alla mancata concessione ad entrambi gli imputati delle circostanze attenuanti generiche che sono state invece applicate agli altri imputati per il solo fatto di avere rinunciato ai motivi di impugnazione, senza che si sia tenuto conto che V.A. e V.P. non hanno impugnato la sentenza di primo grado per quello che riguarda la responsabilità per il reato di associazione mafiosa, limitandosi a impugnare altri capi della sentenza soltanto per violazione di legge;
- per V.A. il vizio della motivazione con riguardo alla determinazione della pena: i giudici di secondo grado hanno ritenuto di individuare nel minimo edittale la pena base per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico, fissandolo però in anni 12 di reclusione;
- per V.A. il vizio della motivazione con riferimento all'aumento di pena pari ad anni 4 e mesi 6 di reclusione per i reati satellite di cui al capo GG), in considerazione della elevata entità della pena, mentre per reati di pari gravità (partecipazione ad associazione mafiosa; estorsione, armi; lesioni) l'aumento complessivo è stato contenuto in soli due anni di reclusione;
- per V.P. l'incostituzionalità, con riferimento agli artt. 3,13 e 27 Cost., della pena minima non inferiore a vent'anni per il ruolo direttivo nel reato associativo finalizzato al narcotraffico: la sanzione minima edittale è palesemente sproporzionata con riguardo ad associazioni di pari o superiore gravità, quale quella mafiosa; l'asimmetria si coglie ancora di più confrontando le pene previste per coloro che partecipano a dette associazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sono inammissibili i ricorsi di B.A., E.C. e S.S..
Sono infondati i ricorsi di C.C., S.G., S.N. e S.S..
Il ricorso di E.G. è fondato limitatamente al reato di cui al capo F) (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) e all'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., contestata al capo II), mentre nel resto è infondato.
Sono fondati i ricorsi di V.A. e V.P..
2. Il ricorso di B., che pone la questione - pure agitata da altri ricorsi ai quali si fornisce risposta in questo paragrafo - che riguarda l'aggravante del metodo e della finalità mafiosi di cui all'art. 416-bis.1 c.p., è inammissibile.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe" (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019 - dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734).
Premesso che la contestazione attiene sia alla finalità agevolatrice, sia a quella del metodo mafioso, sicché il ricorso di B., al pari di quello di S.S., non è decisivo là dove si limita a contestare la natura soggettiva dell'aggravante, è opportuno ricordare che i giudici di merito hanno, in proposito, evidenziato il carattere servente del sodalizio mafioso rispetto agli scopi del sodalizio dedito al traffico di stupefacenti e degli altri reati fine (tra i quali l'estorsione), e in particolare, la funzionalità delle estorsioni e dello spaccio di stupefacenti al rafforzamento economico dell'associazione mafiosa, senza che le due condotte siano identiche o sovrapponibili.
Da ciò discende pure la logica conclusione che l'adesione all'associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, con la consapevolezza del legame funzionale tra i due sodalizi, è senz'altro indice significativo (anche) dell'appartenenza all'associazione mafiosa e della piena consapevolezza dello scopo perseguito dall'associazione ex art. 74 TU Stup.
Del resto, il conflitto tra i clan per il controllo e la gestione in via esclusiva delle piazze di spaccio e delle attività illecite estorsive, riflette la logica di camorra, idonea a integrare l'aggravante mafiosa di cui all'art. 416-bis.1 c.p., comma 1.
D'altra parte, la compresenza nell'ambito dei due sodalizi criminosi di sodali appartenenti all'una e all'altra associazione e l'attività di collegamento svolta da soggetti impegnati su entrambi i fronti dà conto della riconducibilità del traffico di droga tra le finalità perseguite dal sodalizio mafioso e, quindi, della natura stabile dell'accordo sul narcotraffico.
Ciò premesso, il ricorso non si confrontai con la motivazione del provvedimento impugnato che ha tratto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che risultano reciprocamente confortate nonché rafforzate dalle captazioni, la logica conclusione secondo la quale l'associazione dedita al narcotraffico, oltre ad agire ed operare sul territorio sotto l'egida dell'associazione mafiosa, svolgeva una funzione d'ausilio anche sotto il profilo del finanziamento.
2.2. Per quello che riguarda, in particolare, B. il ricorso è inammissibile perché del tutto generico circa la ritenuta piena consapevolezza, tenuto conto del ruolo dallo stesso ricoperto e della attività che gli era affidata proprio con riguardo alle estorsioni e perché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato (pag. 54 e segg.), facendo richiamo alla ricostruzione in fatto che il ricorso non contesta, il metodo camorristico impiegato per commettere il reato.
3. Il ricorso di C., che contesta la partecipazione al delitto associativo ex art. 74 TU Stup. e l'applicazione della richiamata aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., è nel complesso infondato.
3.1. E', in particolare, infondato il motivo sulla responsabilità in quanto deduce doglianze, in parte inammissibili perché generiche e non consentite, poiché basate sul richiamo ad atti del procedimento che sono citati soltanto per stralcio, senza neppure una puntuale indicazione della loro fisica localizzazione e tantomeno senza una puntuale allegazione, ciò in contrasto con quanto previsto dall'art. 165-bis disp. att. c.p.p..
Si e', infatti, chiarito che "in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 - dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
3.2. E' nel complesso infondata la questione della responsabilità perché non è idonea a superare le puntuali indicazioni in proposito offerte dalla sentenza impugnata che compendia il risultato delle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle intercettazioni e, nell'esaminare i motivi di appello, fornisce una specifica risposta (pagg. 60 e segg.) che il ricorso si limita a non condividere.
Va richiamato il condiviso principio da tempo espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale "integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all'acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l'operatività dell'associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l'acquirente ed i fornitori" (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto, Rv. 267991; nella specie si è affermato che la partecipazione all'associazione non è esclusa dal fatto che l'indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale).
Sotto tale profilo, invero, si è più volte stabilito che, ai fini della sussistenza della partecipazione dell'acquirente all'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il soggetto stabilmente disponibile a ricevere la droga assume una posizione ed una funzione continuativa che trascende il significato privatistico-negoziale delle singole operazioni e costituisce una componente organica della struttura, sì da rendere possibile l'esercizio dell'intera
attività criminosa (Sez. 6, n. 21116 del 08/05/2006, Esposito, Rv. 234288); in conclusione, nessuna violazione di legge è riscontrabile avendo il giudice di merito esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.
Nemmeno è sussistente il lamentato deficit motivazionale, non essendo di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione dei fine comune che lo scopo personale fosse solo quello di continuare ad approvvigionarsi di stupefacente, senza avere l'intima convinzione di aderire all'associazione: infatti la partecipazione di fatto dell'abituale acquirente (o fornitore) nel sodalizio dedito al commercio di stupefacenti, risiede nella reciproca consapevolezza (tanto dell'acquirente - o fornitore - che delle sue controparti) che la stabilità del rapporto così instaurato garantisce l'operatività dell'associazione in quanto tale, rivelando così ex se l'affectio societatis dello stesso acquirente o fornitore.
E', in particolare, infondata la doglianza concernente l'assenza di un ruolo dinamico del ricorrente, in quanto non scardina la motivazione del provvedimento impugnato che ha illustrato il ruolo concretamente svolto dal ricorrente quale gestore di "una piazza di spaccio" sotto l'egida del clan S., dal quale l'imputato deve acquistare lo stupefacente e periodicamente corrispondere una percentuale sul ricavato, trattandosi di una organizzazione che manifesta l'assoluto controllo del territorio in cui è "autorizzato" ad operare C..
Si è chiarito che per "l'individuazione di una cosiddetta "piazza di spaccio" è necessaria la presenza di un'articolata organizzazione di vedette e controllo, posta a supporto e difesa della zona, nonché la turnazione dei soggetti dediti allo spaccio, così da garantire lo smercio senza soluzione di continuità" (Sez. 6, n. 37077 del 30/06/2021, Atafoh, Rv. 282111), sicché il ricorso risulta infondato là dove, non contestando l'esistenza del controllo territoriale che consente l'attività di smercio indubbiamente compiuta dall'imputato, si limita a svalutare gli stabili rapporti esistenti con il capo clan che, oltre ad "autorizzare" lo spaccio, ha messo a disposizione del ricorrente, a fronte dell'impegno ad acquistare la droga e a restituire una parte dei proventi, l'intera infrastruttura di controllo del territorio che ha reso possibile la cessione al minuto dello stupefacente nel territorio di competenza (tale contesto, del resto, esclude in radice la possibilità di ravvisare l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma 5, TU Stup.: Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529).
Più in generale, va ribadito che "ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, è sufficiente anche l'adesione e l'apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata. Fattispecie relativa alla gestione di una piazza di spaccio" (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Ciccarelli, Rv. 276677), sicché risultano manifestamente infondate le doglianze, peraltro di merito, volte a sminuire la durata temporale del rapporto associativo.
3.2. Sull'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p. valgono, da un punto di vista generale, le considerazioni che si vsvolte al paragrafo n. 2.
Secondo la logica valutazione dei giudici di merito, C. era perfettamente consapevole di contribuire, con i costanti acquisti di stupefacente, a realizzare il fine comune (all'associazione e all'acquirente - venditore) di trarre profitto dal commercio di droga.
Si è evidenziato, senza che il ricorso prenda posizione sul punto, che il rapporto tra l'imputato ed il clan S. è risalente nel tempo, non è mutato neanche quando altre organizzazioni criminali (nella specie il clan V.) si sono affermati nel Quartiere (Omissis) anche nel settore della droga (e nonostante C. avesse legami di parentela con i V.), tanto che C. poteva acquistare lo stupefacente a credito dal clan S. proprio in ragione del rapporto di fiducia risalente nel tempo: egli si rivolge proprio al capo del clan S., S.G., dopo essere stato contattato da altre organizzazioni criminali del quartiere.
La conversazione captata tra l'imputato e il capo clan S.G., l'interpretazione della quale non è seppure sindacata dal ricorso oltre a non essere comunque consentita, il rapporto di stretta collaborazione che il ricorrente aveva da tempo con il sodalizio per le forniture di droga che egli ben sapeva contendersi con altri clan il controllo del territorio, sono circostanze che sono state logicamente giudicate indicative dell'aggravante di agevolazione.
D'altra parte, il ricorso non contesta neppure l'esistenza dell'aggravante in discorso sotto il profilo del metodo, sicché è sul punto privo di decisività.
4. Il ricorso di E.C. è inammissibile, poiché la motivazione si trova, invece, puntualmente espressa a pag. 70 della sentenza impugnata, mediante l'espressa indicazione degli elementi di fatto, rientranti nei parametri di cui all'art. 133 c.p., sui quali ha fatto leva il giudice di merito per determinare la porzione di pena per il reato unificato in continuazione.
5. Il ricorso di E.G., che non contestata la condanna per i reati fine, è fondato per quanto concerne la partecipazione associativa e, conseguentemente, l'aggravante mafiosa.
5.1. Il giudice di secondo grado, come evidenzia fondatamente il ricorso, si limita a richiamare, quanto alla partecipazione associativa, le motivazioni del primo giudice il quale, però, poggia l'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 74 TU Stup. sulla circostanza che E. coadiuvava C.S., definito "stretto collaboratore del capo del sodalizio S.G. nella attività di spaccio".
La motivazione, cui fa richiamo il giudice di secondo grado, non espone gli elementi da cui evincere la consapevolezza, in capo ad E., della intraneità di C. al sodalizio di cui al capo F) e non si sforza di chiarire quale sia il concreto apporto fornito dall'imputato che, d'altra parte, non risulta avere avuto contatti con gli altri associati.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio perché il giudice di merito provveda a sanare i rilevati vizi motivazionali.
5.2. L'accoglimento del ricorso sulla partecipazione associativa determina anche l'accoglimento del motivo sull'aggravante ex art. 416-bis.1 c.p., sulla quale, in ogni caso, è opportuno che il giudice di merito esponga, in caso di conferma della partecipazione associativa, gli specifici elementi dai quali sia possibile trarre l'esistenza dell'aggravante e l'attribuibilità all'imputato.
5.3. Come si è detto, il ricorrente non contesta la responsabilità per i reati fine, giudicati satellite del più grave reato di cui al capo F), sicché se l'accertamento di responsabilità su tali imputazioni è definitivo, non è possibile individuare però il trattamento sanzionatorio; il giudizio di rinvio si occuperà anche di tali questioni.
6. Il ricorso di S.S. è inammissibile.
6.1. E' inammissibile la deduzione della violazione della legge processuale con riguardo alla valutazione degli elementi di prova, in specie delle intercettazioni.
Non è consentito il motivo con il quale si deduce la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi del predetto art. 606, comma 1, lett. c), giacché l'inosservanza dell'art. 192 c.p.p. non è in tal modo sanzionata (Sez. U n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
Non varrebbe, in senso contrario, la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l'errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l'aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità.
6.2. Il motivo di ricorso sull'aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. è generico perché non si confronta con la motivazione estesa alle pagg. 94 e segg. della sentenza impugnata e a quanto si è dianzi rilevato al paragrafo n. 2 in merito all'aggravante mafiosa.
6.3. E', del pari, generico il motivo di ricorso che invoca la qualificazione nell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 3, TU Stup., poiché non si confronta con la motivazione che ha evidenziato la sussistenza, che il ricorso si limita a negare, degli indici di gravità della condotta.
7. Il ricorso di S.G. è nel complesso infondato.
7.1. Il motivo di ricorso sul ruolo apicale di entrambe le organizzazioni criminali (capo A e capo F) è inammissibile poiché si limita a contestare, in modo generico e assertivo, la specifica motivazione del provvedimento impugnato, riproponendo argomentazioni già ampiamente esaminate da entrambi i giudici di merito con puntuale sottolineatura degli elementi probatori dai quali la fattiva posizione apicale è desunta.
7.2. Il motivo sulla riqualificazione nell'ipotesi attenuata di cui all'art. 74, comma 6, TU Stup. è aspecifico perché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato quegli elementi strutturali che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, connotano siffatta ipotesi.
Si e', infatti, chiarito che "la fattispecie associativa prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del D.P.R. n. 309 del 1990, l'art. 73, comma 5" (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019 - dep. 2020, PG c/ Degli Angioli, Rv. 278098), mentre, nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidenziato che il sodalizio gestiva un ampio e radicato commercio di stupefacenti, anche per quantitativi rilevanti, dimostrando capacità finanziaria e controllo del territorio.
7.3. Il motivo sul carattere armato dell'associazione dedita al narcotraffico è infondato alla luce delle non illogiche argomentazioni sviluppate da entrambi i giudici di merito che, ponendo in luce lo stretto legame esistente con l'organizzazione mafiosa armata, hanno ragionevolmente dedotto la sussistenza dell'aggravante da tale accertata sinergia operativa.
Va, infatti, ricordato che "l'aggravante dell'associazione armata, prevista dall'art. 74, comma 4, D.P.R. cit., diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'art. 416-bis c.p., comma 5, quanto all'associazione per delinquere di stampo mafioso, richiede unicamente la disponibilità di armi, non esigendo anche la correlazione tra queste ultime e gli scopi perseguiti dall'associazione criminosa" (ex multis Sez. 2, n. 13682 del 08/01/2009, Aveta, Rv. 243948), sicché, l'accertato impiego di armi da parte della collaterale associazione mafiosa, supporta la logica affermazione dei giudici di merito sulla disponibilità delle armi in capo all'associazione dedita al narcotraffico che della prima è emanazione.
Del resto, l'accertato legame agevolativo e metodologico esistente tra i due sodalizi è stato logicamente ritenuto sufficiente a dimostrare la disponibilità di armi da parte dell'associazione ex art. 74 T.U .Stup.
Quanto all'elemento psicologico, infine, va ricordato che "in tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l'aggravante dell'associazione armata prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, può essere imputata al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale aspetto, consistente quantomeno nella prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell'associazione" (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Borracino, Rv. 281212 - 02), sicché, tenuto conto del ruolo apicale ricoperto dall'imputato in entrambi i sodalizi, i giudici di merito non hanno logicamente avuto dubbi a ravvisare la consapevolezza del ricorrente.
8. Il ricorso di S.N. è nel complesso infondato.
8.1. Il motivo di ricorso sul ruolo apicale è inammissibile poiché si limita a contestare, in modo generico e assertivo, la specifica motivazione del provvedimento impugnato, riproponendo argomentazioni già ampiamente esaminate da entrambi i giudici di merito con puntuale sottolineatura degli elementi probatori dai quali la fattiva posizione apicale è desunta.
In ogni caso, il ricorso è generico perché non si confronta con la motivazione estesa alle pagg. 101 e segg. della sentenza impugnata.
8.2. Il motivo sulla continuazione è infondato poiché il provvedimento impugnato ha evidenziato il tempo decorso dagli accadimenti oggetto della citata decisione definitiva, la diversità del contesto associativo oggetto dei due giudizi, il mutamento degli equilibri tra i vari gruppi criminali che nel corso degli anni si sono contesi il controllo del territorio anche a causa di eventi omicidiari assolutamente non prevedibili ab origine, elementi che, secondo il logico giudizio di merito, ostano al riconoscimento della invocata continuazione.
Tale valutazione e', del resto, pienamente conforme all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità; si è chiarito che "ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l'unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, Carpentieri, Rv. 271569)
8.3. Il motivo di ricorso che contesta il giudizio di comparazione fra opposte circostanze non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931);
Le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito (pag. 104 della sentenza impugnata) sono, pertanto, incensurabili.
8.4. Il motivo di ricorso che contesta l'eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; che nella specie l'onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (pag. 104 della sentenza impugnata).
9. Il ricorso di S.S. è nel complesso infondato.
9.1. Sono infondate le questioni sulla diversa qualificazione giuridica della condotta di cui ai capi DD), EE) e FF), rubricata ex art. 48 e 479 c.p..
9.1.1. Non rileva, anzitutto, la questione della presunta inutilizzabilità delle intercettazioni poiché il ricorso non chiarisce la decisività di tali elementi di prova.
Si e', del resto, chiarito che "in tema di intercettazioni, il principio secondo cui l'utilizzabilità delle intercettazioni per un reato diverso, connesso con quello per il quale l'autorizzazione sia stata concessa, è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p., non si applica ai casi in cui lo stesso fatto-reato per il quale l'autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni. In motivazione la Corte ha precisato che in tale evenienza non vi è elusione del divieto di cui all'art. 270 c.p.p., attese l'intervenuta legittima autorizzazione dell'intercettazione e la modifica dell'addebito solo per sopravvenuti fisiologici motivi, legati alla naturale evoluzione del procedimento)" (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501; Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, Cusumano, Rv. 280981 ha pure precisato che "sono utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto"), mentre il ricorso non allega né specificamente indica i decreti di cui si discute, così da non consentire alla Corte di legittimità di esaminare la doglianza che risulta formulata in modo generico.
9.1.2. In ogni caso, il ricorso è generico perché non si confronta con la motivazione estesa alle pagg. 104 e segg. della sentenza impugnata.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità, cui si è correttamente richiamato il giudice di merito, è costantemente orientata a qualificare i fatti alla stregua del falso ideologico per induzione e non, come infondatamente pretenderebbe il ricorrente, nell'ipotesi del falso ex art. 483 c.p..
Si è chiarito, in proposito, che "integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico, mediante induzione in errore del pubblico ufficiale, la falsa dichiarazione resa dal paziente al medico del pronto soccorso circa l'origine causale delle lesioni lamentate e sottoposte all'esame dei sanitari" (Sez. 5, n. 37971 del 20/06/2017, Franco, Rv. 270915), condotta del tutto sovrapponibile a quella contestata all'imputato quale determinatore e istigatore delle induzioni poste in essere dai suoi sodali per sottrarsi, tramite la falsa certificazione medica rilasciata dai curanti, all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
La condotta di tali soggetti (singoli pazienti e S.S., quale istigatore) è causa efficiente del falso ideologico posto in essere dai medici
(inconsapevoli autori materiali), sicché a essi va imputato il reato, quali autori (come in tutti i casi in cui l'errore sul fatto che costituisce il reato sia determinato dall'altrui inganno).
Ne' vale obbiettare che, in qualche caso, la certificazione medica sia priva di diagnosi poiché ciò che rileva, ai fini della falsità dell'atto del pubblico ufficiale, è il valore saliente del documento che, appunto, ha consentito all'autore materiale di giustificare, per motivi sanitari, l'inadempimento dell'obbligo impostogli dall'autorità giudiziaria.
La certificazione medica, falsamente rilasciata dal medico ex art. 48 c.p., è perfetta in tutti i suoi elementi costitutivi poiché il sanitario, ricevuta la descrizione sintomatica da parte del paziente, l'ha fatta propria, dimostrando di esserne convinto intimamente (perché altrimenti non avrebbe sottoscritto il certificato), così consentendo allo stesso di dimostrare, mediante l'atto pubblico, l'esistenza di una affezione patologica, ancorché - eventualmente - non descritta dal punto di vista nosografico, tale da impedirgli di allontanarsi dalla propria abitazione per adempiere all'obbligo cautelare al quale era sottoposto.
Del resto, si è da tempo chiarito che la condotta può essere qualificata ex art. 483 c.p. soltanto quando il privato, che dichiara il falso, abbia un preciso obbligo giuridico di dire il vero, circostanza che non ricorre nel caso in esame poiché il paziente, pur avendo un generico dovere di riferire le proprie condizioni, non è tenuto ad attestarle al proprio medico curante.
In proposito la giurisprudenza di legittimità è chiarissima e costante nell'affermare che "nell'ipotesi ex art. 483 c.p. il pubblico ufficiale si limita a trasfondere nell'atto la dichiarazione ricevuta, della cui verità risponde il dichiarante in relazione a un preesistente obbligo giuridico di affermare il vero, mentre il pubblico ufficiale risponde soltanto della conformità dell'atto alla dichiarazione ricevuta; invece, nell'ipotesi ex artt. 48 e 479 c.p. la falsa dichiarazione viene assunta a presupposto di fatto dell'atto pubblico da parte del pubblico ufficiale, che forma quest'ultimo, sicché essa non ha alcun rilievo autonomo in quanto conferisce nell'atto pubblico e integra uno degli elementi che concorrono all'attestazione del pubblico ufficiale, con la conseguenza che la stessa promana dal p.u. anche se questo vi sia pervenuto mediante false notizie e indicazioni ricevute dal privato" (Sez. 5, n. 6426 del 26/04/1993, P.G. in proc. Basciano, Rv. 194448; Sez. 5, n. 11597 del 12/02/2010, Deda, Rv. 246711).
9.2. Il motivo sulla continuazione è infondato poiché il provvedimento impugnato ha evidenziato il tempo decorso dagli accadimenti oggetto della citata decisione definitiva, la diversità del contesto associativo oggetto dei due giudizi, il mutamento degli equilibri tra i vari gruppi criminali che nel corso degli anni si sono contesi il controllo del territorio anche a causa di eventi omicidiari assolutamente non prevedibili ab origine, elementi che, secondo il logico giudizio di merito, ostano al riconoscimento della invocata continuazione.
Tale valutazione e', del resto, pienamente conforme all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità; si è chiarito che "ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l'unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, Carpentieri, Rv. 271569).
9.3. Il motivo di ricorso sulla determinazione degli aumenti di pena per i reati satellite/e' inammissibile.
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione della regola di giudizio secondo la quale in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269);
Il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene; tale onere argomentativo è stato assolto (pag. 107 della sentenza impugnata) in presenza di reati omogenei e della impossibilità di affermare l'esattezza di una pena secondo criteri matematici, attraverso l'obiettivo minimo aumento di pena praticato in relazione alla misura della pena base e/o alla violazione più grave individuata dai giudici del merito in quella applicata per il reato già giudicato per il reato per il quale si è proceduto nel presente procedimento.
10. Il motivo di V.A. e V.P. sul bis in idem con riguardo al capo HH) è fondato.
10.1. La questione del concorso tra i reati di associazione mafiosa e di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti deve tenere conto dei principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi" (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008 - dep. 2009, Magistris, Rv. 241883; recentemente Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018 - dep. 2020, Rumbo, Rv. 278583).
Si è precisato che "e' configurabile il concorso tra un'associazione di stampo mafioso e un'associazione per delinquere dotata di un'autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso (nella specie, traffico di sostanze stupefacenti), dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell'interesse del clan. In motivazione, la Corte ha escluso la configurabilità di una violazione del ne bis in idem, mancando, nel rapporto tra le due fattispecie associative, piena coincidenza degli elementi costitutivi" (Sez. 2, n. 41736 del 09/04/2018, M., Rv. 274077 - 02).
10.2. I giudici di merito hanno evidenziato che, alla luce della sentenza definitiva, è stata accertata l'esistenza del clan camorristico V., operante nel quartiere (Omissis), nel periodo temporale dal 1990 per R. e V.P., S.R., E.G., T.R., D.S.R., dal 2012 per gli altri, con condotte perduranti; la sentenza irrevocabile ha, in particolare, accertato l'esistenza nel Rione (Omissis) della famiglia V., storica famiglia camorrista presente da anni nel quartiere che, attraverso l'uso della forza e condotte intimidatorie, aveva costretto nel corso degli anni alla resa altri gruppi criminali della zona (storica alleata con il gruppo dei T., contrapposto alla famiglia dei M.). I V. avevano così realizzato un controllo criminale del territorio affermando la propria forza non solo nei confronti della collettività terrorizzata dalle continue stese e dai fatti di sangue che si verificavano con cadenza quotidiana all'interno del Rione, ma anche nei confronti dei gruppi rivali, costretti ad abbandonare il territorio. Il clan V., secondo quanto accertato con la sentenza definitiva, era dedito ad estorsioni, delitti in materia di armi, nonché traffici di droga.
Per escludere il bis in idem tra detta associazione mafiosa e quella dedita al narcotraffico di cui al capo HH), i giudici di appello hanno evidenziato il diverso ambito temporale nel quale le associazioni hanno operato; ciò, ove effettivamente riscontrato sarebbe sufficiente, per la giurisprudenza dianzi citata, ad escludere la medesimezza del fatto.
10.3. Orbene, premesso che il ricorso non contesta l'affermazione di responsabilità per l'associazione dedita al narcotraffico, che è stata ricostruita dal primo giudice nella sua gerarchia, attività e operatività, ma si limita a dedurre che tale condotta sia la medesima della precedente condanna per art. 416-bis c.p., è il caso di sottolineare che i giudici di merito hanno evidenziato, per respingere la censura, il diverso ambito temporale di riferimento delle due organizzazioni; tuttavia, mentre il primo giudice afferma (p. 481) l'anteriore costituzione dell'associazione ex art. 74 TU Stup., il giudice di appello afferma il contrario (p.116).
Ciò rende evidente il vizio motivazionale in cui è incorsa la sentenza impugnata; il vizio rileva proprio in relazione al bis in idem poiché non risultano indicati altri indici di differenza tra le due condotte.
Il contrasto circa la data di insorgenza dell'associazione dedita al narcotraffico (almeno dal 2014, ma verosimilmente nel 2013 secondo il primo giudice) e quello di consumazione del delitto associativo mafioso (almeno fino al 26 aprile 2019, data della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli), non essendo stata evidenziata una parziale diversità della compagine degli associati, unita al fatto che l'attività di spaccio di stupefacenti costituiva non solo uno dei reati fine del delitto di cui all'art. 416-bis c.p., ma proprio una delle condotte caratterizzanti l'associazione camorristica, non consente di ritenere infondata la censura del bis in idem ex art. 649 c.p.p..
10.4. Del resto, come correttamente fa notare il ricorso, la Corte di cassazione (Sez. 4, n. 28154 del 20/04/2021) ha accolto il ricorso sul punto dei coimputati C. e K., mentre il giudice di secondo grado, al quale la questione è stata sottoposta con una memoria ex art. 121 c.p.p., non ha speso alcuna parola sulla questione.
Va ricordato, infatti, che il capo HH) prevede la compartecipazione associativa, dal 2014 al 3 marzo 2018, di V.P. e V.A., insieme a V.G. e V.S. (deceduti nel 2016), V.V. (deceduto nel 2016), S.V. ed S.E. (deceduti nel 2017) ed altri (tra cui C.S. e K.M.), sicché, non essendo chiarita l'esistenza di altri elementi di diversificazione della condotta rispetto a quella associativa mafiosa (Corte costituzionale n. 200 del 2016), deve essere approfondito il denunciato vizio.
10.5. La sentenza va dunque annullata con rinvio perché, facendo applicazione dei richiamati principi di diritto, sia colmato, nella piena libertà delle valutazioni di merito, il vizio motivazionale sopra evidenziato, dovendosi anche fornire risposta alle argomentazioni relative alla sostanziale identità del compendio probatorio posto a fondamento della sentenza irrevocabile e alla ricostruzione dell'attività del sodalizio mafioso giudicato ("cessazione"; "ricostituzione"; principali "attività", ecc.) rispetto a quello oggetto del presente giudizio, al portato delle dichiarazioni di D.S. e alle argomentazioni poste a fondamento della sentenza Sez. 4, cit.
L'annullamento sul capo HH) impedisce l'esame dei motivi di ricorso: sull'aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. che contestano entrambi i ricorrenti (quarto motivo); sui riflessi sanzionatori di tale aggravante che contesta V.P. (quinto motivo); sulle circostanze attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio, per entrambi gli imputati, di detto capo HH) e degli aumenti di pena per i reati con esso unificati (sesto, settimo e ottavo motivo), trattandosi del reato base del trattamento sanzionatorio irrogato agli imputati; sull'incostituzionalità della pena base stabilita dalla legge per il ruolo di vertice attribuito a V.P. nel capo HH) (nono motivo).
11. Il secondo motivo di ricorso di V.A., che riguarda la responsabilità per i reati di tentato omicidio ai danni di S.G., nonché di detenzione e porto illegale della pistola usata per commetterlo (capo GG), è fondato.
11.1 il primo giudice aveva assolto l'imputato, evidenziando che la chiamata in correità del collaboratore P.D. (che avrebbe partecipato alle riunioni di pianificazione dell'omicidio, nel corso delle quali V.A. e S.A. sarebbero stati incaricati della fase esecutiva del delitto, il primo come sparatore, il secondo come conducente dello scooter) non fosse stata adeguatamente riscontrata dalla chiamata in reità dell'altro collaboratore B..
B., infatti, disse di aver saputo da L.S.E., reale obiettivo dell'agguato (dal quale si salvò), che a sparare era stato V.A.. L.S., tuttavia, escusso nella fase delle indagini, aveva riferito di non aver visto chi fosse il passeggero del motorino dal quale erano stati esplosi i colpi all'indirizzo della vittima.
Secondo il giudice di primo grado, il teste di riferimento, quindi, smentiva la fonte principale delle accuse: il dato è stato fortemente valorizzato dal GIP per pronunciare l'assoluzione dell'imputato.
Il GIP, d'altro canto, evidenziava anche che le dichiarazioni di P. risultavano smentite in relazione ad altre due circostanze: a) il calibro della pistola, erroneamente indicato come cal. 7,65 anziché cal. 9; b) il diverso orario della "stesa" (sparatoria sotto casa) ai danni di P., che non era avvenuta, come riferito dal collaboratore, dopo il tentato omicidio come reazione ad esso da parte del clan colpito, ma prima, nella stessa giornata.
Nel giudizio di appello sono stati nuovamente ascoltati, a seguito di rinnovazione istruttoria, P. e B., che hanno confermato le dichiarazioni rese in precedenza.
Secondo i giudici di appello, P. ha riferito di avere partecipato ad alcune riunioni preparatorie dell'agguato nel corso delle quali, a seguito della deliberazione del capo clan V.P., V.A., figlio del boss, si assumeva l'incarico di fare parte del gruppo di fuoco, composto anche da S.A. (conducente del motorino), nonché affidando ad P.A. il ruolo di cd. "specchiettista"; il gruppo di fuoco avrebbe dovuto colpire un esponente del clan avverso, poi individuato in L.S.E., per vendetta e rappresaglia delle aggressioni e delle perdite subite dal Clan V. e, in particolare, per vendicare l'uccisione di V.V. avvenuta il precedente (Omissis).
Il gruppo di fuoco, travisato da parrucche procurate da G.G., madre dell'imputato, agì il (Omissis), attivato da P. che abitava di fronte alla roccaforte del clan S..
Il collaboratore ha pure soggiunto, per averlo in seguito appreso direttamente dall'imputato V.A., che S.G. (parente del boss avversario, ma da tutti ritenuto estraneo al clan) fu colpito per errore con i colpi esplosi da una pistola cal. 7,65, in quanto si trovava in compagnia di L.S., vero obiettivo dell'agguato, che rimase però illeso. Egli ha pure riferito che la reazione del clan S. non si fece attendere, tanto che, la sera dell'agguato, furono esplosi dei colpi di pistola sotto l'abitazione di P. (la cd. "stesa"), evidentemente già individuato come "specchiettista".
Il giudice di appello ha giudicato irrilevante che L.S. (non riesaminato) abbia dichiarato di non aver identificato i suoi assalitori perché questi non avrebbe avuto alcun interesse a rivelare l'identità degli aggressori: se lo avesse fatto, ciò avrebbe significato denunciare il proprio inserimento nei contesti della criminalità organizzata locale (il giudice di appello sottolinea che anche S.G., rimasto ferito nell'agguato, ha tenuto un atteggiamento reticente in ordine alla identificazione dell'autore del ferimento).
Secondo i giudici di appello sono irrilevanti gli errori, in cui è incorso il collaboratore circa:
- il momento in cui si è verificata la "stesa", che precede in realtà il tentativo di omicidio, poiché si tratta di un elemento di contorno, mentre le effettive motivazioni dell'agguato sono da ricercare nel desiderio di vendetta e di supremazia del clan V.;
- il calibro dell'arma utilizzata per l'agguato, che è una cal. 9, poiché il collaboratore, che non ha preso parte alla fase esecutiva, si è limitato a riferire: "se ricordo bene, egli usò una pistola calibro 7,65", così riportando un dettaglio non decisivo per la verifica di attendibilità;
- la presenza anche di V.F. alle riunioni preparatorie, che era stato arrestato già il precedente 13 ottobre 2016, poiché il collaboratore non ha mai affermato che le riunioni si siano tenute nell'imminenza dell'agguato del (Omissis), trattandosi di vari incontri che si sono sviluppati fin dall'estate precedente.
Le suddette dichiarazioni risultano confortate, secondo i giudici di appello, da quelle di B., pure esaminato in secondo grado, il quale ha riferito che L.S., vittima designata dell'attentato, gli aveva confidato che a fare fuoco era stato V.A., essendo stato giudicato irrilevante, per sminuire la portata di riscontro, che il teste di riferimento, appartenente al clan avversario e perciò soggetto al clima omertoso tipico delle organizzazioni mafiose, abbia negato al dibattimento di avere riconosciuto gli autori del fatto.
11.2. Ciò premesso, è utile ricordare che già a partire da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226093, la giurisprudenza di legittimità aveva fatto riferimento al particolare dovere di motivazione che incombe sul giudice di appello che affermi la responsabilità dell'imputato già prosciolto in primo grado; e tale principio era stato poi ribadito e ulteriormente precisato da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679, la quale aveva chiarito che il giudice di appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Sulla stessa linea della sentenza Mannino, Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233083, ha affermato che "la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati".
Successivamente, per effetto del rilievo dato alla introduzione del canone "al di là di ogni ragionevole dubbio", inserito nell'art. 533 c.p.p., comma 1 adopera della L. 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139), si è più volte avuto modo di puntualizzare che nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio" (ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Aimone, Rv. 253718); posto che, come incisivamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, "la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza".
11.3. Dunque, a prescindere dalla considerazione che l'apparato giustificativo del giudice di appello non assurge al rango di "motivazione rafforzata", ma si limita ad accreditare una diversa valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, il Collegio rileva che la sentenza impugnata, come fondatamente denuncia il ricorso, omette di considerare, nel ribaltare la decisione di primo grado, che lo sparatore (in tesi: V.A.), che si trovava quale passeggero della motocicletta usata per l'agguato, indossava una parrucca, al preciso scopo di impedire e, comunque, rendere difficoltoso, il riconoscimento. Si tratta di un dato probatorio, di sicuro rilievo, del quale era necessario tenere conto nel valutare come irrilevanti e scarsamente attendibili le dichiarazioni di L.S..
Non risulta sufficientemente chiarito il percorso logico che ha seguito il giudice di appello nell'affermare l'irrilevanza dell'errore nella collocazione cronologica della "stesa" in danno di P. in cui è incorso P.. Infatti, l'errore viene giustificato "nel fatto che il propalante non ha preso parte personalmente alla fase esecutiva di tali episodi, che si verificavano, comunque, nella stessa giornata e in un momento di fortissima conflittualità armata tra i due opposti clan", ma si tratta di un argomento di scarsa valenza logica.
Non risulta, inoltre, sufficientemente chiarito il percorso logico che ha seguito il giudice di appello nell'affermare l'irrilevanza dell'errore sulla indicazione del calibro della pistola usata nell'agguato; non e', in effetti, sufficiente l'osservazione secondo la quale il collaboratore non si sarebbe espresso in termini di certezza ("se ricordo bene...").
Non risulta, infine, sufficientemente chiarito il percorso logico che ha seguito il giudice di secondo grado nell'affermare l'irrilevanza della deduzione difensiva circa la dichiarazione fatta nel corso del giudizio di appello dal collaboratore relativa alla presenza di V.F. alle riunioni di preparazione dell'agguato. La difesa aveva non illogicamente opposto che V. era stato sottoposto a detenzione dal 13 ottobre al 21 dicembre 2016 e che, quindi, non avrebbe potuto partecipare alle riunioni preparatorie del delitto eseguito il (Omissis). La Corte d'appello si è limitata a notare che: "nulla esclude che le stesse (le riunioni) si siano tenute in epoca precedente al 13.10.2016", così fornendo una motivazione priva di sostrato giustificativo e dal contenuto ipotetico. Del resto, come dedotto puntualmente dal ricorso, la sentenza di primo grado (pag. 166) ha evidenziato che P. riferì di un agguato perpetrato "due o tre giorni dopo" le riunioni preparatorie, sicché il giudice di secondo grado avrebbe dovuto chiarire come V.F., in quei giorni detenuto, abbia potuto prendervi parte, ovvero chiarire le ragioni in forza delle quali è stata attribuita prevalenza alla versione del dichiarante.
Come correttamente sottolinea il ricorso, inoltre, il giudice di secondo grado non chiarisce la reale forza individualizzante degli elementi di riscontro alla chiamata di P., perché, in effetti, essi sembrano essere relativi alla partecipazione all'agguato di S.A. e alla messa a disposizione delle parrucche da parte della madre di V.F., piuttosto che al ruolo attribuito all'imputato.
La sentenza di secondo grado, d'altra parte, non risulta avere esaminato le argomentazioni della difesa sull'attendibilità e convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori che erano compendiate nella memoria difensiva depositata all'udienza del 9 settembre 2021.
11.4. La sentenza va, dunque, annullata con rinvio perché la Corte d'appello, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito, proceda a colmare i sopra indicati vizi motivazionali, attenendosi ai richiamati principi di diritto.
11.5. Le censure, sviluppate al terzo motivo, sulla responsabilità per i reati di detenzione e porto illegale dell'arma usata per il tentativo di omicidio sono assorbite dal disposto annullamento.
A causa dell'annullamento disposto con riguardo al più grave reato di cui al capo HH), è pure precluso l'esame delle censure sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio, pure nonché l'esame delle doglianze relative alla porzione di pena determinata per la continuazione.
12. All'inammissibilità del ricorso di B.A., E.C. e S.S. consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del- ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
Al rigetto dei ricorsi di C.C., S.G., S.N. e S.S. consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna deiricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di E.G. limitatamente al reato di cui al capo F) (art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990) e all'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., contestata al capo II), con rinvio per nuovo giudizio su tali capi e punti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso di E.G..
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di V.P. e V.A., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Rigetta i ricorsi di C.C., S.G., S.N. e S.S. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di B.A., E.C. e S.S. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2023