RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, assolveva il B. dal reato di cui all'art. 495 c.p., sub capo a) dell'imputazione, per insussistenza del fatto, riducendo la provvisionale in favore della parte civile costituita e confermando nel resto la sentenza appellata.
E' dunque residuata, all'esito del giudizio di gravame, la condanna nei confronti dell'imputato per il delitto di cui al capo b), poiché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avrebbe attestato all'avv. Cecilia Ruggeri, curatrice dell'eredità giacente di V.M., deceduto in data (Omissis), di essere erede legittimo dello stesso, quale parente di quinto grado, per la quota della metà, tacendo l'esistenza di parenti più prossimi del de cuius entro il quarto grado, parenti dei quali pure gli era nota l'esistenza in vita. Con tale condotta - aggravata ex art. 476 c.p., comma 1, in quanto il rendiconto del curatore dell'eredità giacente avrebbe dovuto ritenersi atto facente fede fino a querela di falso - egli avrebbe indotto in errore la predetta curatrice la quale, in conseguenza della sua dichiarazione, redigeva gli atti depositati in Tribunale nell'ambito della procedura di eredità giacente, a far data dall'11 luglio 2014, individuando quali eredi tre parenti di quinto grado del defunto, ossia, oltre al B. nella misura della metà, V.G. e V.F. in quella di un quarto, e non anche i parenti di quarto grado la cui esistenza era ad essa taciuta.
La ricostruzione operata dalla Corte territoriale si fonda, dunque, sul silenzio che sarebbe stato maliziosamente serbato dall'imputato in ordine all'esistenza di parenti più prossimi del de cuius pur a fronte delle specifiche richieste della Curatrice dell'eredità giacente.
Detto malizioso silenzio avrebbe indotto in errore la curatrice dell'eredità giacente, da ritenersi pubblico ufficiale, come chiarito dalle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U civ. n. 11619/1997), e ciò sino alla conclusione della procedura anche ove, dissimilmente da quanto di solito avviene, come nella fattispecie che ne occupa, l'accettazione dell'eredità intervenga prima e non dopo la predisposizione del rendiconto finale.
La sentenza impugnata ha in particolare ritenuto configurabile il reato di falso ideologico in atto pubblico per induzione sull'assunto della natura di atto fidefacente del rendiconto del curatore dell'eredità giacente in quanto atto volto a ricostruire l'esatta composizione dell'asse ereditario ed a certificare quali siano i soggetti legittimati a ricevere, in tutto o in parte, l'eredità giacente e quindi a provare i presupposti dell'atto di assegnazione dell'eredità e degli altri atti della procedura sino alla chiusura della stessa da parte del Tribunale. Ha ulteriormente precisato, a riguardo, che, nonostante il disposto dell'art. 532 c.c. stabilisca che la curatela dell'eredità giacente cessa con l'accettazione dell'eredità, sino alla chiusura della procedura permarrebbe il ruolo di pubblico ufficiale del curatore.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Torino l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, a firmai del difensore di fiducia avv. Daniela Adornato, articolando otto motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. peri.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), nullità della sentenza per inosservanza e mancata applicazione dell'art. 532 c.c.. Secondo la prospettazione del B., in particolare, poiché in forza dell'art. 532 c.c. la curatela dell'eredità giacente cessa con l'accettazione dell'eredità, vengono in quel momento meno anche le funzioni pubbliche temporaneamente attribuite al curatore, sicché quest'ultimo non avrebbe potuto commettere il reato ascrittogli perché, alla data dell'11 luglio 2014, aveva accettato l'eredità e, quindi, quando aveva posto in essere la condotta contesta la curatrice non rivestiva più funzioni pubbliche.
2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente deduce violazione, da parte della sentenza impugnata, dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p., contestato sulla base della condotta di cui all'art. 495 c.p., reato dal quale era stato invece assolto per insussistenza del fatto. La Corte territoriale sarebbe invero incorsa nella contraddizione di assolverlo dall'accusa, versata nel capo a) dell'imputazione, di aver reso false dichiarazioni all'avv. Ruggeri e al Notaio Scilabra, condannandolo, invece, per il reato di cui al capo b) per avere, con false dichiarazioni, indotto in errore la Ruggeri nella predisposizione degli atti depositati in Tribunale nell'ambito della procedura di curatela dell'eredità giacente.
2.3. Con il terzo motivo l'imputato denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), nullità della sentenza per inosservanza ed omessa applicazione dell'art. 521 c.p.p., n. 2, stante l'avvenuta condanna per un fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio, in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Il vulnus deriverebbe dalla circostanza che nell'imputazione la commissione del reato è temporalmente circoscritta al periodo ricompreso dall'11 luglio 2014 al 30 ottobre 2014, mentre la sentenza fa riferimento anche a episodi anteriori (e, in particolare, a un fatto del maggio 2014) rispetto ai quali, considerando il tenore dell'imputazione, non avrebbe potuto esercitare il proprio diritto di difesa.
2.4. Il B., con il quarto motivo, lamenta nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, stante il travisamento dei fondamentali riscontri documentali relativi alla ritenuta sussistenza del rapporto di causalità fra la condotta illecita attribuita all'imputato e l'evento. Invero, nella sentenza una delle condotte "maliziosamente omissive" circa l'esistenza di altri eredi attribuita al ricorrente è temporalmente collocata in un incontro del (Omissis), data nella quale, tuttavia, come risulterebbe ex artis, egli non aveva ancora ricevuto la comunicazione mediante raccomandata con ricevuta di ritorno in pari data con la quale il curatore lo invitava a recarsi presso il suo studio e neppure sapeva dell'esistenza del de cuius V.M..
Con lo stesso motivo, viene dedotta, inoltre, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla c.d. "integrazione del rendiconto", poiché mera "ritrascrizione" del precedente rendiconto finale. In particolare, assume a riguardo il B. che, per il deposito del rendiconto integrativo, avvenuto in data 14 luglio 2014, il curatore dell'eredità giacente aveva fatto sottoscrivere, in atto separato, una dichiarazione ad esso ricorrente ed a V.G. e V.F.G. (che con lui avevano accettato l'eredità del congiunto V.M. in data 11 luglio 2014), dichiarazione meramente confermativa della circostanza, peraltro indiscussa, di essere eredi legittimi di V.M., dichiarazione ottenuta la quale la Curatrice, a sua volta, ritrascriveva il precedente rendiconto finale già predisposto e depositato in Tribunale.
2.5. L'imputato denuncia, con il quinto motivo, nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 48 e 479 c.p.: invero, ai fini della configurazione del reato contestato è indispensabile che l'immutatio veri inerisca a fatti dei quali l'atto pubblico è destinato a provare la verità, fatti tra i quali non rientrerebbero le dichiarazioni degli eredi, dichiarazioni in forza delle quali non deve essere "confezionato" l'atto. Peraltro, nella fattispecie per cui è processo tali dichiarazioni non avrebbero avuto alcun rilievo poiché, già nel primo rendiconto depositato il 19 maggio 2014, il Curatore aveva indicato il B. e V.G. e V.F.G., e dette circostanze che erano state
meramente confermate a seguito della dichiarazione da essi sottoscritta dopo l'accettazione dell'eredità l'11 luglio 2014, e così trasfuse nel successivo rendiconto del 15 luglio 2014, depositato quando, a fronte di tale accettazione, il curatore non rivestiva del resto più alcuna funzione pubblicistica.
2.6. Il ricorrente lamenta altresì, con il sesto motivo, violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza e mancata applicazione dell'art. 532 c.c. in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 476 c.p., comma 2, nonché, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo la prospettazione del B., infatti, per le dichiarazioni rese dopo l'accettazione dell'eredità in data 11 luglio 2014 non potrebbe essere configurabile detta aggravante in quanto le stesse sarebbero contenute in un documento separato dall'atto pubblico e in ogni caso, nell'indicata data, erano cessate le funzioni pubblicistiche temporaneamente demandate al curatore dell'eredità giacente ex art. 532 c.c..
2.7. Il B. denuncia, inoltre, con il settimo motivo di ricorso, nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché travisamento degli ulteriori riscontri probatori risultanti dall'istruttoria dibattimentale di primo grado. In particolare: a) rispetto all'esame della teste Ruggeri, la Corte territoriale avrebbe trascurato tutti i riscontri documentali e testimoniali illustrati a pag. 53-55 dell'atto di appello; b) quanto alla testimonianza dell'avv. Nuvolin, a differenza di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, lo stesso avrebbe confermato che all'imputato l'albero genealogico sarebbe stato mostrato solo nell'incontro del luglio 2014; c) rispetto alle dichiarazioni rese in sede dibattimentale dal B., la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato che lo stesso avrebbe confermato di aver dichiarato che non vi erano altri parenti, mentre dalle trascrizioni dibattimentali risulterebbe che egli aveva riferito di aver dichiarato che non vi erano altri eredi V. (ciò che non equivarrebbe ad affermare che non vi sarebbero altri eredi V. in assoluto).
2.8. Con l'ultimo motivo di ricorso l'imputato deduce nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, nonché travisamento di un ulteriore riscontro probatorio risultante dall'istruttoria dibattimentale di primo grado. Il vizio denunciato deriverebbe dall'illogica inferenza, da parte della Corte territoriale, che la visita, nel 2013 o nel 2014, e comunque la conoscenza dell'esistenza dei cugini R. da parte del B. confermerebbe in capo allo stesso il dolo omissivo circa l'esistenza in vita di altri parenti di V.M.. In realtà, poiché fino al (Omissis) il ricorrente neppure sapeva dell'esistenza del defunto V.M. non avrebbe per tale ragione potuto sapere a fortiori né che vi era un rapporto di parentela del de cuius anche con i R. (che non vedeva da oltre 50 anni al tempo della predetta visita) né di quale grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati unitariamente, sono fondati, per le ragioni di seguito indicate.
L'eredità giacente, nella più lata e romanistica accezione individua la situazione nella quale l'eredità viene a trovarsi nel tempo di vacatio tra delatio e aditio.
L'istituto è considerato e disciplinato dal legislatore non già in sé, quale condizione giuridica del patrimonio ereditario nell'intervallo tra delazione ed accettazione, bensì quale situazione meritevole di tutela le volte in cui ricorrano determinati presupposti, e, per l'appunto, allorquando manchi il chiamato accettante l'eredità o il chiamato nel possesso di beni ereditari, che possano essi stessi avere cura effettiva del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva devoluzione: il primo in quanto con l'accettazione ha acquistato l'eredità, assumendo la qualità di erede (art. 459 c.c.), ed il secondo perché dotato di poteri di amministrazione del patrimonio ereditario e di rappresentanza della eredità (artt. 485 e 486 c.c.).
In particolare, il curatore dell'eredità giacente è nominato dal tribunale del circondario in cui si è aperta la successione,, "su istanza delle persone interessate o anche d'ufficio", quando il chiamato non ha accettato l'eredità e non è nel possesso di beni ereditari (art. 528 c.c., comma 1).
Tale situazione si verifica anche allorché si ignori se il de cuius abbia eredi e se questi siano ancora in vita, e perdura fin quando, essendo acquisita la certezza della loro inesistenza, non ne derivi la posizione di erede dello Stato (Sez. 2 civ., n. 3087 del 31/03/1987, Rv. 452184 - 01) ovvero un chiamato all'eredità non accetti la delatio.
La nomina del curatore dell'eredità giacente può avvenire, ove ne ricorrano i presupposti, anche d'ufficio poiché allo stesso sono clemandate funzioni pubblicistiche di cura del patrimonio: è infatti necessario che, mentre l'eredità è "vacante", ossia non appartiene ad alcun soggetto, i beni facenti parte del compendio vengano amministrati correttamente e senza dispersione alcuna di valore (cfr. Corte Cost. sent. n. 83 del 2021; Sez. Un. civ., 21/11/1997, Rv. 510232 - 01).
Proprio questa funzione cui è preposta l'attività del curatore dell'eredità giacente nell'amministrazione del compendio ereditario, allo scopo di conservare il valore dello stesso nonché di evitare che l'incuria nella manutenzione dei beni che ne sono oggetto arrechi danni a soggetti terzi, così promuovendo le ragioni che afferiscono al patrimonio ereditario e rispondendo alle istanze contro il medesimo proposte (Sez. 2, n. 970 del 11/05/1967, Rv. 327222 - 01), illumina la ratio del disposto dell'art. 532 c.c. che riconduce espressamente la cessazione delle stesse funzioni nel momento stesso in cui si realizza l'accettazione dell'eredità.
Invero, la circostanza che un soggetto abbia accettato l'eredità del de cuius fa venir meno ex se l'esigenza di amministrare un patrimonio che, sino a quel momento, non era riconducibile ad alcuno anche ai fini dell'attribuzione delle responsabilità per la gestione del medesimo.
Deriva, dunque, dai riferiti principi, ritraibili tanto dalla formulazione letterale dell'art. 532 c.c. che dalla ricostruzione sistematica dell'istituto che le predette funzioni pubblicistiche del curatore dell'eredità giacente vengono meno, come le altre (compresa la legittimazione processuale: Sez. 1, n. 7076 del 05/07/1990, Rv. 468124 - 01), non appena un soggetto chiamato all'eredità accetta la delazione ereditaria.
In sostanza, se il presupposto perché si verifichi una situazione di giacenza è che l'eredità non sia stata accettata, Vaditio determina di diritto la cessazione della curatela e delle funzioni del curatore (Sez. 2, n. 29485 del 19/05/2009, Rv. 244433 - 01).
Non assume pertanto rilievo la circostanza che, in quel momento, in ipotesi, il curatore non abbia ancora depositato il rendiconto finale e chiesto la liquidazione del proprio compenso ai fini del venir meno della qualifica di pubblico ufficiale in capo allo stesso, trattandosi di attività che hanno la necessaria premessa nello svolgimento di quella, unica avente rilievo pubblicistico, ormai cessata (cfr. Sez. 2 civ., n. 7731 del 12/07/1991, Rv. 473092 - 01).
A fronte dell'accettazione della vocatio ereditaria, infatti, il curatore non può che rappresentare al Tribunale detta circostanza a fronte della quale, a propria volta, l'autorità giudiziaria - che ivi interviene nello svolgimento di funzioni sostanzialmente amministrative quali sono quelle ascrivibili alla giurisdizione volontaria (cfr. Sez. 2 civ., n. 6771 del 17/05/2001, Rv. 546741 - 01; Sez. 2 civ., n. 3244 del 27/03/1998, Rv. 514033 - 01) - non potrà che prenderne atto, chiudendo con decreto la procedura stessa.
Peraltro, poiché l'istituto è volto alla conservazione e all'amministrazione del patrimonio ereditario nel suo complesso, e non in una sola sua parte, in attesa della definitiva devoluzione a chi ne abbia titolo, è sufficiente l'accettazione anche da parte di uno solo degli aventi diritto per la cessazione di diritto della curatela dell'eredità giacente, che non è configurabile pro quota (Sez. 2 civ., n. 2611 del 22/02/2001, Rv. 544066 - 01).
Orbene, nella fattispecie in esame - al di là di alcune osservazioni compiute ad abundantiam dalla sentenza impugnata in ordine a condotte del B. antecedenti a tale data - vi è che la Corte territoriale, in conformità al capo sub b) dell'imputazione, ha condannato il B. per avere, in data 11 luglio 2014, serbando un malizioso silenzio circa l'esistenza di parenti più prossimi del de cuius, indotto in errore il Curatore dell'eredità giacente nella predisposizione dei successivi atti della procedura, atti da ritenersi di natura fidefacente.
In particolare, la condotta di induzione in errore del pubblico ufficiale rispetto al falso ideologico in atto pubblico, sarebbe stata posta in essere dall'imputato quando, recatosi con i coeredi nello stesso grado presso lo studio della curatrice avv. Ruggeri subito dopo l'accettazione dell'eredità con atto notarile, avrebbe dichiarato (sottoscrivendo poi una dichiarazione formale del medesimo tenore) che non vi erano altri eredi di V.M..
Tuttavia in quel momento, stante l'avvenuta accettazione dell'eredità, erano già cessate di diritto le funzioni pubblicistiche della Ruggeri, con conseguente inconfigurabilità del fatto di reato contestato.
Restano di qui assorbite le ulteriori questioni circa la idoneità delle dichiarazioni del B. ad indurre in errore il curatore nonché sulla consapevolezza, o meno, in capo allo stesso in ordine all'esistenza di ulteriori eredi.
2. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata perché il fatto non sussiste, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2023