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Concorso nel reato proprio non esclusivo: responsabilità del non qualificato con il contributo dell'intraneus

Falso ideologico

Cassazione penale sez. V, 14/12/2022, n.2245

In tema di concorso di persone nel reato proprio "non esclusivo", l'azione tipica può essere compiuta dal concorrente non qualificato, a condizione che l'"intraneus" conferisca il proprio contributo, sotto qualsiasi forma, materiale o morale, attiva o omissiva, alla realizzazione del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l'affermazione di responsabilità, per falso materiale del pubblico ufficiale in atto pubblico, della segretaria comunale, quale concorrente morale nel delitto, materialmente commesso da soggetto non qualificato).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 febbraio 2020 il Tribunale di Cuneo ha condannato alla pena di giustizia condizionalmente sospesa gli imputati V.B., G.E. e F.L. per il reato di cui all'art. 476 c.p. (in esso assorbito il reato di cui all'art. 479 c.p.) di cui al capo G) della rubrica, previa esclusione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 61 c.p., nn. 2 e 5 e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 476 c.p., comma 2. Il Tribunale ha dichiarato altresì la falsità del documento costituito dal verbale di delibera della Giunta Comunale n. 24 del 18 dicembre 2013. A seguito dell'appello proposto dagli imputati, la Corte di Appello di Torino con sentenza del 10 novembre 2021 ha riformato la sentenza impugnata, riconoscendo le già concesse attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante; ha altresì concesso a tutti gli imputati il beneficio della non menzione della condanna sul certificato del casellario giudiziale. Ai ricorrenti è contestato di avere, il V. nella qualità di Sindaco del Comune di Roburent, la F. nella qualità di Segretario comunale, il G. nella qualità di Vicesindaco e di assessore (in concorso con G.U., responsabile dell'Ufficio tecnico comunale non ricorrente), falsamente creato ex novo la delibera di giunta comunale del 18 dicembre 2013 subito dopo la revoca da parte del Sindaco dell'assessore N.G. (revoca avvenuta proprio perché tale assessore voleva accertare la legittimità della delibera di riduzione del canone di affitto dell'appalto degli impianti scioviari comunali nei riguardi della Robur Coop), delibera falsa con la sottoscrizione in calce di F. (apocrifa) e di G., dopo che la prima aveva più volte fraudolentemente modificato il relativo brogliaccio della seduta di giunta, e che il tecnico comunale G. firmava per regolarità tecnica e redigeva nel software Venere, su suggerimento della F., ed in cui si attestava falsamente che il sindaco V. si era assentato per ragioni di opportunità per quella delibera e il vice sindaco Giunta aveva effettuato la relazione favorevole alla approvazione della stessa che non veniva peraltro mai pubblicata. Con l'aggravante di essere l'atto fidefaciente. 2. Avverso la decisione della Corte di appello hanno proposto ricorso gli imputati attraverso i rispettivi difensori di fiducia e con distinti atti, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. La ricorrente F., attraverso il difensore di fiducia avv. Leone Alberto, ha formulato tre motivi di ricorso. 2.1.1. Con il primo motivo, articolato a sua volta in tre specifiche censure, è stato dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata. 2.1.1.1. Quanto alla prima doglianza, lamenta la difesa che la Corte territoriale ha omesso di considerare che la F., quale segretario comunale, ha sempre ritenuto che non vi fosse incompatibilità per il V. nel partecipare alla delibera, incompatibilità che poteva derivare dall'essere lo stesso al contempo Sindaco e dipendente della Robur Coop. Sul punto la sentenza impugnata non offre risposta alla obiezione difensiva dell'assenza di un interesse alla falsificazione della delibera e a fare risultare il Sindaco assente anziché presente. Del resto, come peraltro riconosciuto dalla sentenza di primo grado, non esisteva un obbligo di astensione del V.. 2.1.1.2. Con la seconda doglianza la ricorrente lamenta, sotto il profilo del vizio della motivazione, che la sentenza risulta contraddittoria in relazione alla falsa sottoscrizione della falsa delibera. In particolare la perizia calligrafica ha accertato la falsità della sottoscrizione della F. sul verbale di delibera. La Corte territoriale valorizza siffatto argomento ritenendo che la falsa firma rappresentava una cautela per evitare che la imputata potesse essere chiamata a rispondere dell'atto, laddove non si fosse scoperto che anche il brogliaccio era stato alterato. Atteso che l'alterazione del brogliaccio è successiva alla apposizione delle firme false non può certo la falsa sottoscrizione considerarsi una cautela per evitare la scoperta di un falso che non era stato ancora realizzato. 2.1.1.3 Con la terza doglianza la ricorrente lamenta difetto di motivazione in relazione alla valutazione della chiamata in correità del tecnico comunale (non ricorrente) G.. Questi, nelle sue dichiarazioni ha affermato di avere ricevuto l'ordine da parte della F. di fare risultare assente il V. nella seduta ed è stato ritenuto attendibile dal momento che ha reso non solo dichiarazioni eteroaccusatorie, ma anche autoaccusatorie. In realtà la dichiarazione confessoria del G. è stata resa solo a seguito degli esiti della consulenza tecnica informatica sul suo computer che inequivocabilmente aveva consentito di provare la sua colpevolezza. La modifica del brogliaccio rappresenterebbe solo un post factum penalmente irrilevante e le pressioni per la modifica della delibera erano state realizzate dall'ex assessore N. nei confronti del G., non certo della F.. 2.1.2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione di legge avuto riguardo all'art. 476 c.p.. Vi è la prova in atti che la firma della ricorrente sulla delibera non sia stata da lei apposta. La mancanza di sottoscrizione da parte del segretario comunale dell'atto pubblico è condizione di inesistenza dello stesso, con la conseguenza della insussistenza di un falso atto fidefaciente. 2.1.3. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto vizio di motivazione quanto alla natura fidefaciente dell'atto. La sentenza impugnata ha omesso di motivare quanto alla natura fidefaciente della delibera. L'atto di per se stesso non è dotato di fede privilegiata essendo indispensabile la partecipazione attiva del pubblico ufficiale cui la legge, i regolamenti, e l'ordinamento riconoscono poteri di attestazione e certificazione dei pubblici poteri. Nel caso di specie ciò non è avvenuto in quanto il verbale è stato elaborato da un soggetto diverso dal Segretario comunale e di quest'ultimo non reca la sottoscrizione. 2.2. Il ricorrente G., attraverso il difensore di fiducia avv. Mittone Alberto, ha formulato i seguenti motivi di ricorso. 2.2.1. Con il primo motivo, è stata dedotta violazione di legge in relazione all'elemento soggettivo del reato contestato. Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha erroneamente escluso la sussistenza del cd. falso innocuo, in relazione al quale la difesa richiama alcune pronunzie di questa sezione (Sez. 5 n. 5896/2020; n. 28599/2017; n. 2809/2014). In realtà secondo il ricorrente il falso sarebbe da considerarsi innocuo in quanto, se le falsità contestate fossero state effettivamente commesse, le stesse non sarebbero perseguibili in quanto ininfluenti rispetto alla delibera adottata. 2.2.2. Con il secondo motivo è stata dedotto vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato. Se è vero che il ricorrente ha riferito che il Sindaco era stato sempre presente alle riunioni e anche alla seduta del 18 dicembre 2013, siffatta ammissione non dimostra che egli abbia letto la delibera da sottoscrivere e dunque non prova che abbia sottoscritto un documento infedele. Anche il passo motivazionale in cui la Corte di appello valorizza il dato che il G. abbia sottoscritto un documento in cui risultava falsamente come presidente della seduta, è illogico perché si fonda sul presupposto che il G. abbia letto il documento sottoscritto. L'argomentazione che la mancata lettura di un verbale comunque sottoscritto sarebbe punibile a titolo di dolo eventuale appare contraddittoria e illogica. Sarebbe contraddittoria nella misura in cui se si aderisce alla tesi difensiva secondo la quale il G. si sarebbe fidato del G. e dell'atto da questi predisposto, non si può immaginare che nel sottoscrivere, si sia rappresentato la possibile falsità del documento. La ritenuta sussistenza del dolo si fonda su di una mera congettura svincolata da riscontri esterni. 2.3. Il ricorrente V., attraverso il difensore di fiducia avv. Drago Fabrizio, ha formulato i seguenti motivi di ricorso. 2.3.1. Con il primo motivo, è stata dedotta violazione di legge in relazione all'elemento materiale del reato contestato. La sentenza impugnata, nell'indicare il ricorrente come concorrente nel reato contestato, non ha indicato in concreto quale sia stato il comportamento concretamente tenuto dal V. "nella gestione concordata" con la F.. Trattandosi del concorso di un extraneus nel reato proprio dal momento che la redazione dell'atto pubblico falso era di competenza del segretario Comunale F., non può darsi rilievo al contenuto della intercettazione avvenuta con il segretario in data 2 settembre 2015 dal momento che il contributo non può essere rappresentato da un post factum. 2.3.2. Con il secondo motivo, è stato dedotto vizio di motivazione in relazione all'elemento materiale del reato contestato. La sentenza impugnata, nell'indicare il ricorrente come concorrente morale nel reato contestato, ha fondato la motivazione su due elementi di prova: l'intercettazione telefonica intercorsa con la F. nel settembre 2015 e il suo interesse alla formazione della delibera falsa. La motivazione apoditticamente traduce siffatti elementi in un concorso morale "(..)in linea con il fatto che il sindaco non ha nessuna facoltà di compiere attività di redazione delle delibere (..)." Ne' la Corte territoriale ha spiegato in che modo siffatto generico accordo abbia inciso causalmente nella redazione del delitto di falso. 2.3.3. Con il terzo motivo, è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla conversazione telefonica intercettata, frutto di travisamento. La conversazione intercettata è intercorsa tra la F. e il V. dopo che la prima aveva reso sommarie informazioni testimoniali alla PG; nel corso della conversazione la imputata raccontava al suo interlocutore cosa avesse detto agli inquirenti, aggiungendo di avere omesso qualcosa. Siffatti contenuti, nella prospettazione accusatoria, consentirebbero di ravvisare una gestione concordata della vicenda dal momento che la Segretaria comunale ha inteso dar conto immediatamente al Sindaco delle sue dichiarazioni circa la presenza o meno del V. in seduta di giunta. La frase "Alcune cose che mi ricordavo, ho fatto finta di non ricordarmele" pronunziata dalla F. al più potrebbe avere valenza autoaccusatoria dal momento che il Segretario Comunale ha il compito di redigere il verbale di Giunta. Così come la circostanza che l'imputata abbia immediatamente chiamato il Sindaco si comprende sulla base dell'id quod plerumque accidit dal momento che si trattava di vicende che riguardavano il Comune. La conoscenza della vicenda non è mai stata negata dal ricorrente, conoscenza acquisita a seguito di numerosi sequestri ed acquisizione di documentazione presso il Comune, ma non può certo ritenersi che la semplice conoscenza di indagini in corso di svolgimento possa integrare un concorso nel reato. 2.3.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in relazione alla specifica censura contenuta nell'atto di appello circa l'insussistenza di consenso del V. nel corso della telefonata. Con i motivi di appello il ricorrente aveva evidenziato che nel corso della telefonata il V. non aveva in alcun modo condiviso il racconto della F., laddove, travisandone i contenuti, il giudice di primo grado aveva affermato che il Sindaco aveva ripetutamente annuito nel corso della conversazione. A prescindere alla improprietà lessicale (sull'annuire nel corso di una conversazione telefonica) la Corte non ha fornito risposta a siffatta specifica obiezione. 2.3.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in relazione alla sussistenza in capo al ricorrente di uno specifico interesse da valutare quale indizio ex art. 192 c.p.p.. Se è vero che la giurisprudenza di questa Corte riconosce alla sussistenza di un interesse la valenza di un indizio a carico dell'imputato, tuttavia deve trattarsi di un interesse supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante che risultano mancanti nel caso in esame. 2.3.6. Con il sesto motivo di censura è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla differente valutazione del quadro probatorio degli altri imputati. A differenza degli specifici elementi di prova raccolti per i coimputati, l'accertamento della penale responsabilità del ricorrente è affidato a due soli elementi evanescenti e irrilevanti con una conseguente contraddittorietà della motivazione. 2.3.7. Con il settimo motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo del reato. Come già specificamente dedotto nell'atto di appello, le sentenze di merito difettano totalmente di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In realtà, non essendo le pronunzie state in grado di individuare il contributo concorsuale fornito dal V., non hanno consequenzialmente svolto alcun accertamento sul dolo inteso come coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento. 2.3.8. In data 21 novembre 2022 sono pervenuti motivi aggiunti nell'interesse del V.. Con il primo motivo aggiunto il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'art. 192 c.p.p., comma 2. La Corte territoriale ha illogicamente elevato la telefonata al rango di indizio, laddove essa poteva, al più essere qualificata quale sospetto o congettura, disattendendo la distinzione tra indizi e sospetti più volte ribadita da questa Suprema Corte (Sez.5 del 11.12.2020 n. 5209; Sez. 5 del 17.1.2020 n. 17231). Ha omesso di considerare che, in base all'"id quod plerumque accidit" era logicamente comprensibile una telefonata fra le parti (che ben si conoscevano e frequentavano per ragioni di lavoro) anche perché essi all'epoca, come del resto tutti gli altri indagati, erano a conoscenza delle indagini condotte dalla Procura (sequestri, altri interrogatori ecc.) per cui la telefonata trovava spiegazione negli eventi di quel periodo. Inoltre, il contenuto della telefonata è ambiguo, del tutto generico e indeterminato; in essa F.L. non confessa al V. una circostanza specifica, collocata nel tempo e nello spazio, in ordine alle modalità di alterazione della delibera, ma ammette unicamente di avere omesso di riferire "alcune cose". Con il secondo motivo aggiunto ha dedotto vizio di motivazione in relazione alla parcellizzazione della prova. La sentenza, nel giungere alla dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato V., ha effettuato una analisi parcellizzata del materiale probatorio, limitata alla sola telefonata, senza tenere conto di tutti gli altri elementi istruttori emersi nel giudizio, in nessuno dei quali è mai coinvolto il V.. Infatti, nessuna delle emergenze probatorie raccolte nella fase dibattimentale (documenti, esami dei coimputati ecc.) contiene alcun riferimento alla persona di V., né alla condotta di questi ma, nonostante ciò, la sentenza impugnata perviene ad affermarne la penale responsabilità. Così facendo, essa ha violato il principio secondo cui in materia di valutazione della prova, il materiale probatorio deve essere valutato dal giudice di merito complessivamente, ai fini dell'accertamento della convergenza degli elementi di accusa che emergono da tale materiale nella sua interezza e non in base a criteri di valutazione atomistica (Sez. 3, 20/04/2001 n. 1456). Con il terzo motivo aggiunto è stata dedotta violazione di legge per mancata applicazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio in ordine alla responsabilità dell'imputato. La responsabilità di V.B. è stata affermata sia dal Tribunale sia dalla Corte di appello sulla base di un unico elemento, la telefonata F.- V., che si pone quale "post factum" di rilevanza probatoria che poteva, a tutto concedere, legittimare un mero sospetto o congettura a carico dell'imputato, e non certo un indizio, comunque rimasto l'unico e isolato elemento che ha coinvolto il V.; in un quadro istruttorio di assoluto vuoto di prove a carico nei confronti del medesimo. Si è violato il canone di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1, che si è tradotto in una manifesta illogicità della motivazione (Sez. 2 del 9/1/2020 n. 18313). CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono infondati. 1. Occorre preliminarmente evidenziare, quale premessa delle motivazioni di seguito esposte, che nel caso in esame: - risulta pacifica e incontestata la falsità del documento costituito dal verbale di delibera della Giunta Comunale n. 24 del 18 dicembre 2013; - la articolata condotta illecita descritta nel capo di imputazione trae origine da una gestione concordata della vicenda da parte degli imputati; - il nucleo comune delle doglianze si concentra sull'accertamento in fatto degli accadimenti, come tale incensurabile in sede di legittimità. 2. Operata questa premessa, indispensabile, quale coordinata ermeneutica della decisione, occorre valutare le specifiche doglianze dei ricorrenti. 2.1. Il primo motivo di ricorso della imputata F. è manifestamente infondato non confrontandosi con il contenuto della motivazione e con la giurisprudenza di questa Corte. 2.1.1. In particolare, risulta manifestamente infondata la prima delle doglianze indicate nel primo motivo. Al riguardo, la circostanza che la ricorrente non avesse interesse alla falsificazione del verbale in quanto non riteneva sussistente la incompatibilità del V. rispetto alla delibera da adottare è un'obiezione alla quale la sentenza impugnata ha fornito adeguata risposta, con motivazione in fatto non contraddittoria, né illogica e come tale non censurabile (p.13): "(..) a torto o a ragione, l'assessore N. nutriva dubbi circa il corretto operato da parte del Sindaco e di una parte della Giunta (della quale faceva parte ma da cui aveva rassegnato le dimissioni) ed aveva sporto denunzia (..)." La ricostruzione complessiva della vicenda effettuata dalla sentenza impugnata ha chiarito che la presentazione della denunzia da parte dell'ex assessore N. e l'avvio delle indagini hanno determinato l'interesse degli imputati alla falsificazione del verbale e della conseguente delibera, a prescindere dalla sussistenza effettiva di una condizione di incompatibilità del Sindaco. 2.1.2 Generica è da considerare la seconda doglianza, avendo la ricorrente censurato la motivazione nella parte in cui valorizza ai fini dell'elemento psicologico la falsità della sottoscrizione apposta sul documento falso, non essendo la stessa riconducibile alla ricorrente. La censura attiene ad una valutazione in fatto che opera la sentenza che non appare né illogica, né contraddittoria; inoltre la doglianza appare non rilevante essendo pacifico che la firma sul documento sia apocrifa. 2.1.3. La terza doglianza del primo ricorso appare anche essa manifestamente infondata. La sentenza impugnata ha fornito adeguata e logica risposta in ordine alla ritenuta inattendibilità della chiamata in correità operata dal coimputato non ricorrente G. (p.14) che ha dichiarato di ricevuto l'ordine dalla F. di indicare come assente il V. nella falsa delibera. La Corte territoriale ha sottolineato la attendibilità intrinseca della chiamata in ragione della coerenza della dichiarazione (auto ed etero-accusatoria) e della logica supremazia che la F. quale segretaria comunale ((..) professionista, tecnica del diritto e preposta a garantire la legittimità degli atti amministrativi(..)) rivestiva nella redazione delle delibere rispetto al G. che era un semplice dipendente comunale. Ne ha valorizzato altresì la attendibilità estrinseca richiamando l'intero compendio istruttorio in relazione alla esplicita ammissione della ricorrente di avere alterato il brogliaccio (che è un elemento di prova a carico e non un post factum irrilevante) e alla telefonata del 2 settembre 2015 intercorsa tra la F. e V.. Priva di rilievo la censura nella parte in cui fa derivare una minore attendibilità della chiamata in correità e quindi delle dichiarazioni etero-accusatorie, dalla ritenuta "inutilità" delle dichiarazioni autoaccusatorie, non essendo prevista alcuna regola di valutazione della chiamata di correo che operi una distinzione tra dichiarazioni autoaccusatorie più o meno utili. 2.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso risultano infondati. La difesa sostiene che la falsificazione materiale dell'atto pubblico con sottoscrizione apocrifa, in quanto posta in essere dal privato e non dalla F. ricorrente pubblico ufficiale, ne avrebbe determinato "l'inesistenza". La mancanza di sottoscrizione da parte del segretario comunale dell'atto sarebbe condizione di inesistenza dello stesso, con la conseguenza della insussistenza di un falso atto fidefaciente. 2.2.1. In realtà, per la configurazione del concorso in delitto proprio (nel caso in esame delitto di falso in atto pubblico commesso dal Pubblico ufficiale) non è necessario che l'intraneus (in questo caso il Pubblico Ufficiale) sia l'autore del delitto (in questo caso colui che ha formato l'atto materialmente falso) essendo sufficiente che la sua partecipazione sia determinata dalla sua particolare qualità. (Sez. 5, n. 17189 del 25/09/95, Piacenti ed altri). Il concorso della ricorrente sussiste inequivocabilmente quanto meno sotto il profilo morale considerato che il comportamento degli imputati, ivi compreso quello della ricorrente, ha rafforzato, se non addirittura provocato il proposito preventivo e il disegno criminoso dell'autore materiale ed ha rappresentato un contributo causale determinante, nonché la volontà di cooperare per il raggiungimento dello scopo penalmente illecito. Del resto, le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza di questa Corte sullo specifico tema ribadiscono il medesimo principio e cioè che non è necessario che sia l'intraneo a porre in essere la condotta tipica, ad eccezione dei reati propri "cd. esclusivi": "Nel caso di concorso di soggetti non qualificati nella commissione di un reato proprio non è indispensabile che proprio l'intraneo sia l'esecutore dell'azione tipica, che può materialmente essere realizzata da altro concorrente, purché quello qualificato dia, secondo le regole generali, il suo contributo efficiente, in qualsiasi forma, compresa, quindi, quella omissiva della volontaria e concertata astensione dall'obbligo di impedire l'evento. Nei reati propri cosiddetti esclusivi (o di propria mano) occorre invece che il soggetto qualificato (o intraneo), concorrente con altri, sia il personale esecutore del fatto tipico (ad esempio, nel reato di incesto), essendo questa l'indispensabile condizione per la sussistenza del reato proprio, prospettandosi, in difetto, reato comune ovvero nessun reato. Soltanto in tali ipotesi si esige dunque la personale realizzazione della fattispecie tipica ad opera dell'intraneo, e tale condizione va ricavata dalla descrizione letterale della condotta materiale o dalla natura del bene o interesse giuridicamente protetto o da altri elementi significativi - ad esempio, particolari rapporti tra autore e soggetto passivo. (Sez. 1, n. 4820 del 05/02/1991, Rv. 187201). La sentenza impugnata ha operato corretta applicazione dei principi suindicati evidenziando che a G. era stato chiesto dalla F. di modificare la delibera; l'avvenuta e ammessa alterazione del brogliaccio da parte della Segretaria si spiega soltanto con l'esigenza di conformare il contenuto rispetto alla delibera che a quel punto recava l'assenza di V.. G., oltre ad autoaccusarsi della commissione della falsità, ha indicato nella F. colei dalla quale aveva ricevuto l'ordine di "dare assente" il V.. 2.2.2. Infondata è la censura relativa alla mancata natura di atto fidefaciente. Un autorevole contributo alla delineazione del concetto di atto pubblico fidefacente si deve alle Sezioni Unite di questa Corte che, nella sentenza Sorge (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436), hanno ricordato che l'efficacia fidefacente è descritta dall'art. 2700 c.c. quale idoneità dell'atto a fare piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti; tale efficacia è attribuita dalla stessa norma all'atto pubblico indicato dal precedente art. 2699 c.c. come "il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato". Due sono - hanno sostenuto quindi le Sezioni Unite - gli elementi essenziali per l'iscrizione di un atto nel novero di quelli pubblici fidefacenti: per un verso, l'atto deve provenire da un pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti o dall'ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all'atto pubblica fede; per l'altro, la fede privilegiata deve investire le attestazioni del documento su quanto fatto o rilevato dal pubblico ufficiale, o su quanto avvenuto in sua presenza. L'approdo in parola non si discosta dalle definizioni rinvenibili nella giurisprudenza precedente, laddove l'atto pubblico di fede privilegiata era ritenuto quello emesso dal pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale l'atto assume una presunzione di verità assoluta. Alla luce di questi principi il verbale di giunta Comunale e la conseguente delibera del dicembre 2013 può senz'altro considerarsi atto fidefaciente. 3. Infondato risulta altresì il ricorso del coimputato G.. 3.1. Il primo motivo risulta infondato. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che "in tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto "falso innocuo" nei casi in cui l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto" (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, (2021) Rv. 280453; Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013, (2014), Rv. 258946). Difatti, in tema di falso: - facendo applicazione dell'art. 49 c.p., deve distinguersi "l'inidoneità della azione, che ricorre nel cosiddetto falso "grossolano", nel falso, cioè, che per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno, dall'inesistenza dell'oggetto, che ricorre nel cosiddetto falso cd. "inutile", nel falso, cioè, che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria" (Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Rv. 185132; Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Rv. 270245). La punibilità del falso è esclusa, per inidoneità dell'azione, tutte le volte in cui l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso materiale) non esplicano effetti sulla funzione documentale dell'atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395). 3.1.1. Nel caso in esame non si versa in una ipotesi di falso innocuo. Come correttamente ha motivato la Corte territoriale, dall'atto fidefaciente emergeva una realtà diversa da quella avvenuta nel corso della riunione di giunta del dicembre 2013. "(...) il carattere di atto pubblico della delibera - nella misura in cui dà conto di quanto avvenuto in occasione della riunione, di chi vi avesse preso parte e delle decisioni assunte - impedisce di aderire alla tesi difensiva (..)". 3.2. Manifestamente infondato il motivo relativo all'assenza di elemento soggettivo non confrontandosi con la ricostruzione fattuale della vicenda contenuta nella sentenza e con la nozione di dolo in relazione al reato di falso. Anche in tal caso con una corretta, logica e non contraddittoria motivazione non censurabile in questa sede la Corte di appello, nell'analizzare la condotta e le obiezioni difensive contenute nell'atto di appello, ha evidenziato sotto il profilo soggettivo che: - G. ha apposto la firma alla delibera in qualità di Vicesindaco ora per allora; - ha ammesso che V. era presente anche alla seduta del 18 dicembre 2013 e dunque firmando un atto in cui il V. era indicato come assente, era consapevole che lo stesso fosse presente; - era stato falsamente indicato come presidente della seduta e firmando ha fatto proprie quelle indicazioni. Manifestamente infondata la tesi difensiva secondo la quale per superficialità il G. non abbia letto il documento prima di firmarlo: la natura dell'atto e il contesto in cui è stata apposta la firma rende comunque rimproverabile il G. a titolo di dolo eventuale. 4. Infondato il ricorso del V.. 4.1. I primi cinque motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono alla ritenuta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento materiale del reato contestato, al ruolo concretamente svolto dal ricorrente e alla valenza probatoria degli elementi raccolti. Nella premessa della motivazione si è evidenziato che la sentenza impugnata con motivazione che si presenta logica e non contraddittoria ha correttamente ricostruito gli accadimenti fattuali che hanno condotto ad una gestione concordata dei coimputati della falsificazione del verbale e della delibera, in quanto tutti portatori di uno specifico interesse alla falsificazione a seguito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica in ragione dell'esposto dell'ex assessore N.. 4.1.1. Il ricorso, dunque, non si confronta con la motivazione nella parte in cui la stessa indica specificamente che l'apporto concorsuale si è tradotto nel contributo morale - in linea con il fatto che il Sindaco non ha nessuna facoltà di compiere attività di redazione delle delibere - la cui prova è stata ricostruita chiaramente (p.16). Il compendio probatorio è rappresentato non solo dallo specifico, incontestato e concreto interesse del ricorrente, alla falsificazione, ma anche dalla più volte citata conversazione telefonica intercorsa tra il ricorrente e la F. dopo che la stessa era stata escussa in sede di indagini. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, i contenuti della conversazione telefonica non possono essere considerati "un post factum" irrilevante, ma sono da intendersi correttamente una piena e chiara prova a carico. A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell'iter argomentativo sviluppato dai giudici della sentenza impugnata il ricorso si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito (ad esempio il significato dell'espressione annuire avuto riguardo al consenso manifestato dal ricorrente a fronte del racconto della F.), non consentita in questa sede, anche a seguito della novella dell'art. 606 c.p.p., lett. e) a opera della L. n. 46 del 2006, art. 8 che, pur avendo eliminato la preclusione dell'esame degli atti processuali e pur consentendo di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, lascia fermo il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (ex multis, Sez.1, n. 25117, del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167). Il ricorso propone, inoltre, una rilettura del contenuto della intercettazione, omettendo di confrontarsi con il principio per cui è possibile, in sede di legittimità, prospettare un'interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Maro, Rv. 272558 N. 38915 del 2007 Rv. 237994, N. 11189 del 2012 Rv. 252190, N. 7465 del 2013 Rv. 259516). Di guisa che, nel prospettare una interpretazione minimalista delle fonti di prova, il ricorrente si limita a ripercorrere i fatti e ad offrirne una lettura alternativa, mentre dal testo della sentenza impugnata non è dato ravvisare alcuna disarticolazione del ragionamento probatorio, con il quale si omette il confronto (Sez. un. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822), prospettando una diversa concludenza delle prove e sostanzialmente richiedendo, in questa sede, una inammissibile rivalutazione dei fatti e dei dati dimostrativi (ex multis Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623). La sentenza affronta le risultanze del contenuto intercettizio superando le possibili riletture della conversazione e assegnando alla stessa un contenuto logico e non contraddittorio non censurabile in questa sede. 4.2. Il sesto e il settimo motivo appaiono aspecifici. Con il sesto motivo il ricorrente reitera in maniera generica le doglianze in relazione alla "evanescenza" del quadro probatorio, censura che ha ricevuto adeguata risposta nella sentenza impugnata. Egualmente aspecifico il motivo relativo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, limitato alla generica doglianza circa la mancata individuazione della consapevolezza e volontà della condotta imputata, laddove, come più volte chiarito, la sentenza impugnata nell'intero corpo motivazionale offre una ricostruzione fattuale che individua inequivocabilmente l'interesse e la volontà del Sindaco di falsificare l'atto. 4.3. I motivi aggiunti, oltre a ribadire le argomentazioni contenute nel ricorso, evidenziano la mancanza di un compendio probatorio che risponda ai criteri di cui all'art. 192 c.p.p., comma 2 e al significato della prova indiziaria, mancante nel caso in esame in quanto la penale responsabilità è stata affermata sulla base di meri sospetti in violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Anche siffatti motivi possono ritenersi manifestamente infondati non operando una corretta interpretazione del concetto di prova indiziaria come declinato dalla giurisprudenza di questa Corte. Al riguardo il consolidato e costante orientamento di questa Corte ha ormai chiarito che: "In tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, (2021), Rv. 280605). Contrariamente a quanto rappresentato nei motivi aggiunti, la sentenza ha operato buon governo dei richiamati principi dal momento che attraverso i singoli elementi indiziari raccolti, valutati nella loro valenza intrinseca ed in relazione al complessivo quadro probatorio, ha fornito una ricostruzione della intera vicenda in termini di assoluta logicità, coerenza e non contraddittorietà, escludendo concreta praticabilità di ipotesi alternative pur astrattamente formulabili. 5. Al rigetto dei ricorsi consegue il pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2022. Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2023
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