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Il verbale d'udienza penale è atto pubblico con piena prova fino a querela di falso

Falso ideologico

Cassazione penale sez. IV, 24/01/2023, n.5627

Il verbale d'udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall'art. 2700 c.c.

Falso ideologico del pubblico ufficiale: attestazioni o omissioni non veritiere in atto pubblico

Concorso nel reato proprio non esclusivo: responsabilità del non qualificato con il contributo dell'intraneus

Falsa attestazione sulla legittimità di opere edilizie: reato ex art. 20, comma 13, d.P.R. 380/2001

Il registro cimiteriale come atto pubblico fidefacente con presunzione di verità assoluta

Il verbale d'udienza penale: atto pubblico con piena prova ex art. 2700 c.c.

La falsa dichiarazione di trasferimento di dimora abituale configura il reato di falso ideologico ex art. 483 c.p.

Falsa dichiarazione al medico sui sintomi: reato di falso ideologico in atto pubblico

La relata di notifica: atto pubblico fidefacente impugnabile solo con querela di falso

Il verbale d'udienza penale è atto pubblico con piena prova fino a querela di falso

Concorso materiale tra falsità materiale in atto pubblico e false dichiarazioni all'autorità giudiziaria

Inammissibilità parziale del ricorso per cassazione: effetti sui reati unificati dal vincolo della continuazione

Falso ideologico e curatela ereditaria: esclusione del reato per dichiarazioni mendaci dopo l'accettazione dell'eredità

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. D.C.D., T.S., T.F. ed F.A. (con F.L. la cui posizione, come si dirà, è stata poi separata) venivano rinviati a giudizio per rispondere (in neretto i restanti ricorrenti): - F.L., D.V.G., F.A. (e con M.P.) A) delitto di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis, 4 e 6 poiché in concorso tra loro, in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente detenevano, ai fini di spaccio, e poi vendevano a T.S. e a D.C.D., sostanza stupefacente presumibilmente del tipo marijuana (Il Tabella) del peso di circa 10 kg e del valore corrispondente al prezzo di circa Euro 12.000,00. Con i seguenti ruoli: - F.L., quale soggetto che promuoveva e dirigeva l'operazione delittuosa; - D.V.G., quale soggetto che offriva assistenza e supporto logistico alle varie fasi in cui si articolava l'operazione delittuosa; - M.P., quale addetto al trasporto della sostanza stupefacente; - F.A., quale addetto alla custodia dello stupefacente successivamente oggetto di vendita a T. e D.C.. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in più di tre persone. In agro di (Omissis). - T.S. e D.C.D.. A1) delitto di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis e 4 poiché, in concorso tra loro, in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente acquistavano e detenevano, ai fini di spaccio sostanza stupefacente presumibilmente del tipo marijuana (Il Tabella) del peso di circa 10 kg e del valore corrispondente al prezzo di circa Euro 12.000,00. In agro di (Omissis). - F.L., F.A., D.V.G. (e M.P.). B1) Delitto di cui agli artt. 110,81 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis 4 e 6 poiché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente ricevevano e detenevano al fine di spaccio circa 30 Kg di sostanza stupefacente presumibilmente del tipo marijuana (2^ tabella), che, due giorni dopo, vendevano a T.S. e D.C.D.. Con i seguenti ruoli: - F.L., quale soggetto che promuoveva e dirigeva l'operazione delittuosa; - D.V.G., quale soggetto che offriva assistenza e supporto logistico alle varie fasi in cui si articolava l'operazione delittuosa; - M.P., quale addetto al trasporto della sostanza stupefacente; - F.A., quale addetto alla custodia dello stupefacente. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in più di tre persone. In (Omissis). C) delitto di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, bis, 4 e 6, art. 80, comma 2, L. n. 146 del 2006, art. 4, poiché in concorso tra loro nonché con D.B.C. e S.I. (nei confronti dei quali si è preceduto separatamente perché arrestati in flagranza) e con L.F. (per il quale si è proceduto separatamente perché arrestato a seguito di misura cautelare emessa nei suoi confronti per questo fatto reato nel p. p. 20083/13 Mod. 21 DDA), in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente importavano dall'Albania e detenevano al fine di spaccio, un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marjuana (2^ tabella), pari a 1080 kg lordi, con un principio attivo puro THC complessivo pari a circa kg. 143,296 equivalente a 5.731,840 dosi singole droganti occultato in un natante da diporto condotto dai due soggetti sopra indicati, arrestati in flagranza di reato. Con i seguenti ruoli: - F.L. e L.R., quali soggetti che promuovevano e dirigevano l'operazione delittuosa; - D.V.G. e L.F., (nei cui confronti si procede separatamente), quali soggetti che offrivano assistenza e supporto logistico alle varie fasi in cui si articolava l'operazione delittuosa; - M.P., F.A. e P.M., quali incaricati del trasporto della sostanza stupefacente dal natante al furgone messo a disposizione da L.R.; - T.F., quale soggetto che metteva a disposizione per l'approdo del natante che trasportava lo stupefacente, la struttura denominata "(Omissis)" di cui lui aveva la disponibilità, dovendo fingere da "palo" durante le fasi di trasbordo dello stupefacente del natante al furgone, per il successivo trasporto su strada sino ai luoghi di stoccaggio. - G.G., quale soggetto che forniva assistenza e supporto provvedendo alle operazione di ripartizione dei propulsori dell'imbarcazione da diporto, consapevole che sarebbe stata utilizzata per il trasporto dello stupefacente. - D.B.C. e S.I. (nei cui confronti di costoro si è proceduto separatamente) quali addetti al trasporto dello stupefacente in Italia. Con l'aggravante dell'ingente quantità. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in più di tre persone. Con l'aggravante della transnazionalità, essendovi stato il contributo di un gruppo criminale composto da narcotrafficanti albanesi, impegnato in Albania e in Italia. In (Omissis). - T.S.. B2) delitto di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis, e 4 poiché in concorso con altri, in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente acquistava e deteneva, ai fini di spaccio, sostanza stupefacente presumibilmente del tipo marijuana (2^ Tabella) per un peso imprecisato, ma comunque rilevante. In (Omissis). - D.V.G. e F.L.. E) delitto di cui agli artt. 110,81 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4 per avere, in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 17, ceduto in più occasioni, a D.M., imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente tipo marijuana (2^ tabella) per un peso uguale o superiore a kg. 3 e per un valore complessivo di 3900,00 Euro (pari ad Euro 1300 -prezzo dello stupefacente al kg- x 3, numero di kg acquistati) nonché un ulteriore quantitativo imprecisato di marijuana consegnato al D. il 22.5.2014. In (Omissis). - F.L., L.R., L.F., D.V.G., F.A., M.P.. F) Del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, (Ndr: testo non comprensibile da cartaceo) e 4 e L. n. 140 del 2006, art. 4 per essersi associati allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75. Con i seguenti ruoli: - F.L., quale capo del sodalizio; - L.R. e L.F., partecipi con il ruolo di stabili approvvigioni del sodalizio; - D.V.G., partecipe con il compito di supportare le operazioni di approvvigionamento di spaccio all'ingrosso oltre che di provvedere allo spaccio al dettaglio dello stupefacente del sodalizio; - M.P., partecipe con il ruolo di corriere- trasportatore con il compito di supportare le operazioni di approvvigionamento; - F.A., partecipe con la funzione di custode dello stupefacente del sodalizio con il compito di supportare le operazioni di approvvigionamento. Con l'aggravante della disponibilità delle armi; Con l'aggravante della transnazionalità, essendovi stato il contributo di un gruppo criminale composto da narcotrafficanti albanesi, impegnato in Albania e in Italia. In (Omissis). Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale per D.C.D.. Con la recidiva specifica ed infraquinquennale per F.A.. Con la recidiva specifica e reiterata per F.L.. Con la recidiva specifica e reiterata per T.S.. 2. Con sentenza del 22/7/2020 il Tribunale di Foggia: - dichiarava F.L. responsabile dei reati di cui ai capi a), b1), c), e), f) e, ritenuta la continuazione fra gli stessi, escluse la recidiva contestata nonché l'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena finale di anni ventidue di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia. - dichiarava F.A. responsabile dei reati di cui ai capi a), b1), c), f), e, ritenuta la continuazione tra gli stessi, escluse la recidiva contestata nonché l'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena finale di anni undici e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia. - dichiarava T.S. responsabile dei reati di cui ai capi a1) e b2), e, ritenuta la continuazione tra gli stessi, concesse le attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva e all'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 contestate, lo condannava alla pena finale di anni sei di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. - dichiarava D.C.D. responsabile del reato di cui al capo A1), e, concesse le attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva contestata, lo condannava alla pena finale di anni quattro di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. - dichiara T.F. responsabile del, reato di cui al capo c) e, concesse le attenuanti generiche in misura equivalente all'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, lo condannava alla pena finale di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 40.000.00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 29 e 32 c.p., dichiarava F.L., F.A., T.S. e T.F., interdetti in perpetuo dai pubblici uffici nonché interdetti legalmente per la durata della pena. Letto l'art. 29 c.p. dichiarava D.C.D. interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Letto l'art. 230 c.p. disponeva applicarsi nei confronti di F.L. e F.A. la misura di sicurezza personale non detentiva della libertà vigilata per la durata di anni tre per ciascuno. Ordinava la confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro e la confisca di quant'altro in sequestro. Ai sensi dell'art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), sospendeva i termini cautelari di custodia durante la pendenza del termine per il deposito della motivazione. 3. La Corte d'Appello di Bari, con sentenza del 20/9/2021, in riforma della sentenza di primo grado appellata dagli imputati D.C.D., T.S., T.F., F.L. e F.A. così provvedeva: - assolveva F.L. dall'imputazione di cui al capo F) della rubrica perché il fatto non sussiste e per l'effetto in concorso di circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ritenuto più grave il reato sub capo c) della rubrica, rideterminava la pena per i residui a lui ascritti in anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa, revocava la misura di sicurezza della libertà vigilata e la pena accessoria dell'interdizione legale; sostituiva l'interdizione perpetua dai pubblici uffici con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque; - assolveva F.A. dalla imputazione di cui al capo F) della rubrica perché il fatto non sussiste e per l'effetto in concorso di circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ritenuto più grave il reato sub capo c) della rubrica, rideterminava la pena per i residui reati a lui ascritti in anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa; revocava la misura di sicurezza della libertà vigilata e la pena accessoria dell'interdizione legale; sostituiva l'interdizione perpetua dai pubblici uffici con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Confermava nel resto e condannava D.C.D., T.S. e T.F. al pagamento delle spese del grado; sospendeva i termini di durata delle misure cautelari in atto in pendenza del termine per il deposito della motivazione che fissa in novanta giorni. 4. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. - F.A. (Avv. Starace Innocenza). Con un primo motivo lamenta violazione o erronea interpretazione della legge ed in particolare di quanto disposto dagli artt. 177 e 179 c.p.p.. Il difensore ricorrente ricorda che aveva chiesto, in via preliminare, che venisse delibata la questione di nullità assoluta, non rinunciabile, prospettata e sviluppata nei motivi di gravame per la parte relativa alla nullità del decreto di citazione a giudizio emesso dal GIP Dott. De Palo a seguito della rinuncia alla celebrazione del giudizio abbreviato non essendo lo stesso affatto notificato all'imputato F.A.. Nullità - si sottolinea - rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Più precisamente, aveva segnalato che, prima della fissazione dell'udienza di trattazione del giudizio abbreviato, il difensore, con istanza del 15/5/2017, rinunciava al giudizio abbreviato e il Gip Depalo, con provvedimento del 16/5/2017, notificato al solo difensore in data 17/5/2017, rilevata l'ammissibilità della richiesta di rinuncia al giudizio abbreviato, richiamato il decreto di giudizio immediato del 28/3/2017, fissava la celebrazione del dibattimento all'udienza del 14/6/2017 dinanzi al Tribunale di Foggia. Tale provvedimento -ci si duole- non veniva notificato agli imputati, mentre veniva comunicato all'avv. Starace Innocenza senza rispettare il termine di trenta giorni tra la notifica al difensore avvenuta il 17/5/2017 e la data del 14/6/2017 fissata per il giudizio dibattimentale. All'udienza del 14/6/2017, il Tribunale di Foggia, preso atto dell'astensione degli avvocati indetta dall'associazione di categoria, sospendeva i termini di prescrizione e rinviava il processo in fase preliminare all'udienza del 10/7/2017. All'udienza del 10/7/2017 il Tribunale di Foggia disponeva la riunione del processo a carico degli imputati D.C.D., T.F. e T.S. con quello a carico di F.L. e A.. Alla stessa udienza, in via preliminare, l'avv. Starace Innocenza chiedeva sostanzialmente la rinnovazione della notifica del provvedimento del GIP del Tribunale di Bari, Dott.ssa De Palo, notificato, a seguito della rinuncia, al solo difensore e non ai propri assistiti F.L. e A.. Inoltre, il provvedimento del Gip del Tribunale di Bari, con cui veniva fissata l'udienza dibattimentale del 14/6/2017, dopo avere accolto l'istanza di rinuncia al rito abbreviato, veniva comunicato al difensore senza rispettare il termine di trenta giorni tra la notifica del 17/5/2017 e la fissazione dell'udienza del 14/6/2017, mentre lo stesso non veniva notificato agli imputati. La Difesa eccepiva che il Tribunale, all'udienza del 10/7/2017, con ordinanza, che impugnava, rigettava erroneamente l'eccezione difensiva con la seguente motivazione "osservato che a prescindere dalla fruizione completa o meno dei termini utili ai fini dell'accesso ai riti alternativi decorrenti dalla notifica del giudizio immediato attivato per gli imputati, i medesimi hanno di fatto già potuto usufruire delle opzioni processuali che tali termini a difesa avrebbero loro consentito, già scegliendo la decisione del processo a loro carico nelle forme del giudizio abbreviato che poi è stato oggetto di rinuncia da parte dei medesimi". La Difesa osserva anche in questa sede che l'opzione processuale di svolgere il procedimento nella forma del rito abbreviato a seguito del giudizio immediato e la successiva rinuncia al giudizio abbreviato non fanno venir meno i vizi di notifica del nuovo decreto di giudizio immediato (decreto Dott.ssa De Palo) altrimenti l'imputato verrebbe pregiudicato di tutti i diritti difensivi derivanti proprio da una regolare notifica del decreto di citazione a giudizio. La nullità del decreto di citazione a giudizio, nella specie il nuovo decreto di giudizio immediato emesso a seguito della rinuncia dalla Dott.ssa De Paolo, è generale ed implica, secondo la valutazione del legislatore, la lesione di un bene-interesse giuridicamente rilevante, in particolare il diritto di difesa. Pertanto, l'omessa notifica agli imputati del decreto di giudizio immediato ed in particolare il decreto del GIP Dott.ssa De Palo, comporterebbe una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile d'ufficio ai sensi degli artt. 178,179 c.p.p. con conseguente obbligo di rinnovazione della notifica dell'atto nullo. Si osserva ancora che all'udienza del 27/11/2017, a seguito del mutamento del giudice, l'avv. Starace Innocenza riproponeva l'eccezione E' il Tribunale la riteneva inammissibile poiché il processo era nella fase di apertura del dibattimento ai sensi dell'art. 492 c.p.p. e non in quella delle questioni preliminari di cui all'art. 491 c.p.p.. Successivamente, tuttavia, le Sezione Unite, con la sentenza 41736/2019 hanno stabilito il principio che la rinnovazione del dibattimento, a seguito del mutamento del giudice, consente alle parti di proporre dinanzi al nuovo giudice le questioni preliminari già tempestivamente sollevate al precedente magistrato. L'avv. Donatacci Michele, richiamata la citata sentenza, riproponeva, in sede di discussione, all'udienza del 17/6/2017, la questione di nullità del decreto di giudizio immediato non essendo stato notificato agli imputati o essendo la notifica fuori termine. Sul punto, il Tribunale, a pagina 226 della sentenza appellata, si è riportato all'ordinanza emessa all'udienza del 10/7/2017", evidenziando che gli imputati F.L. e F.A. hanno usufruito delle opzioni processuali previste, formulando istanza di giudizio abbreviato, poi oggetto di rinuncia. Pertanto, in ragione del raggiungimento dello scopo, non si rileva alcun vulnus difensivo.". Le difese impugnavano l'ordinanza del Tribunale e reiteravano negli atti di appello, ma ci si duole in ricorso che la Corte territoriale, in violazione di legge ed erroneamente interpretando la ratio delle norme di cui agli art. 177 e 179 c.p.p., per quanto attiene all'unica eccezione di nullità residua (solo durante la celebrazione del giudizio di appello è stato trovato il decreto di giudizio immediato del GIP Dott. Mastrorilli) ravvisabile, ha ritenuto che, l'istanza di rinuncia al giudizio abbreviato, e la contestuale richiesta di procedersi con il rito ordinario, comportasse la decadenza da parte del F.A., del diritto alla notifica del decreto di giudizio immediato emesso dalla Dott.ssa De Palo. Secondo la Corte di Appello, che faceva proprie le motivazioni del rigetto delle eccezioni procedurali da parte del Tribunale, gli imputati non dovevano avere una nuova notifica in quanto avevano già potuto esercitare le opzioni relative a riti speciali. Riteneva, inoltre, che la indicazione da parte della difesa della data in cui si sarebbe celebrato il giudizio ordinario, effettuata nell'atto di rinuncia dalla difesa e la presenza in aula (perché tradotto) dell'imputato, durante l'udienza in cui era stato accolta la adesione allo sciopero fatta dalla difesa e, in via assolutamente preliminare rinviato ad altra data il dibattimento, avesse sanato ogni nullità. La Corte territoriale, dunque, secondo la tesi sostenuta in ricorso continuando nel proprio errore, ha ritenuto che la richiesta del difensore di celebrare l'udienza dei propri assistiti nella stessa data dei coimputati, equivalesse ad una non espressa, ma implicita, rinuncia ai termini della notifica ed alla notifica stessa del decreto di citazione. Si eccepisce, tuttavia, che la legge prevede in modo tassativo che la possibilità di rinuncia alla notifica del decreto di citazione, anche solo tardivo, spetti esclusivamente all'imputato personalmente. Non si tratta di un diritto rinunciabile nemmeno da parte di un procuratore speciale. Nel caso di specie, tra l'altro, non vi era stata alcuna rinuncia da parte del difensore ma, solo, l'indicazione di una data al fine di permettere un giusto contraddittorio. Con un secondo motivo si assume violazione di legge penale e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante della transnazionalità D.L. n. 146 del 2006, ex art. 4, non essendo stata dimostrata l'esistenza di un gruppo criminale ultroneo in territorio estero che abbia agevolato la commissione del reato per cui si procede al capo C). Il difensore ricorrente eccepisce che la difesa non rinunciava, così come riportato nel verbale di udienza del 20 settembre 2021 e nella intestazione della sentenza di appello all'eccezione di insussistenza delle aggravanti di cui alla D.L. n. 146 del 2006, art. 4 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2. La Corte sul punto avrebbe emesso una sentenza affetta da difetto di motivazione e da erronea interpretazione del fatto per le seguenti ragioni. La difesa produceva sentenza passata in giudicato relativa al correo, giudicato in separato procedimento, D.B.C. (che si allega al ricorso) e per il coimputato non veniva contestata l'aggravante della trasnazionalità e la sentenza passata in giudicato, ad avviso del ricorrente, doveva essere esaminata dalla Corte di Appello, quantomeno al fine di argomentare sul contributo del F.A. alla realizzazione del reato contestato ed alla sua consapevolezza di quanto andava ad accadere. La Corte territoriale riteneva che le stesse modalità realizzative del reato di cui al capo C) rivelassero l'operatività in Albania di un gruppo di fornitori di stupefacente e, pur ritenendo "una seppur elementare organizzazione", desumeva la sua esistenza sulla base di elementi che a parere della difesa non sono stati dimostrati esistere: a. la dichiarata disponibilità di più soggetti, anche in grado di interloquire in lingua italiana e sostituire eventualmente il più volte nominato S.I. nella conduzione dell'imbarcazione; ID. la fruibilità di natanti alternativi rispetto a quello degli italiani. La non occasionalità od estemporaneità del gruppo organizzato e la relativa costituzione in funzione della commissione anche di un unico reato e per il conseguimento di un vantaggio finanziario traspaiono, a loro volta, secondo la Corte territoriale dalla dichiarata disponibilità albanese di ingenti quantitativi di stupefacente e dalla giù rimarcata intransigenza manifestata ai complici albanesi da tale "Ed" rispetto al celere soddisfacimento di un preteso credito. I giudici del gravame del merito rimarcano, sul punto, che il fatto che il gruppo criminoso albanese aveva un'organizzazione, sia pure minimale, è dimostrato dalla capacità di far fronte alle richieste di approvvigionamento, provenienti dal F., di grosse partite di droga, come quella del 12 giugno 2014. Ebbene, evidenzia il ricorrente che, come si evince dalla lettura della motivazione della sentenza, la Corte stessa afferma che le richieste di approvvigionamento provengono dal solo F.L.. Ci si duole, perciò, che la Corte territoriale non esamini le condotte di F.A. e ne presuma la consapevolezza di quanto avvenisse in terra albanese. E non esamini in alcun modo la posizione del F.A., nemmeno per i reati satelliti che si limita a determinare nella pena da applicare. La sentenza difetta di motivazione in quanto l'aggravante della transnazionalità prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4 può trovare applicazione anche quando il gruppo criminale organizzato operante in più - di uno Stato presti il suo contributo alla commissione di un reato associativo ma solo a condizione che non ricorrano elementi di immedesimazione fra le due strutture criminose. Ebbene applicando i presenti principi al caso concreto, dagli atti processuali non sarebbe emerso con evidenza che la struttura associativa descritta abbia operato con altro gruppo criminale organizzato diverso e autonomo in relazione al quale non ricorressero elementi di immedesimazione con quello noto, in esame. L'unica condotta contestata è relativa, infatti, ad un unico carico di sostanza stupefacente, per il quale al correo D.B. non è contestata l'aggravante e la sentenza, acquisita è passata in giudicato, diventando prova certa a discarico per la difesa che la ha prodotta. Evidenzia il ricorrente che l'unico soggetto in contatto con i complici in Albania è F.L., ma non vi sono state trasferte in Albania di nessuno. Il che per il ricorrente non possa portare ad affermare l'esistenza di una stabile organizzazione autonoma che abbia operato in più di uno Stato. Lo scafista, D.B.C. è stato utilizzato in modo occasionale e non vi è prova che altri fossero o meno stabilmente organizzati ovvero se fossero dei complici occasionali. E sarebbe del tutto evidente - e ciò emerge dalle intercettazioni esaminate- che i correi attendessero una fornitura dall'Albania e quindi che fossero consapevoli della provenienza da stato estero dello stupefacente. Ma non era in alcun modo noto se, sul territorio albanese o altrove, l'intermediario facesse affidamento su un gruppo criminale organizzato certo e determinato ovvero se si avvalesse di collaborazioni estemporanee. Nel caso de quo, la difesa rileva che la presunta associazione albanese, dedita al traffico di sostanza stupefacente, opererebbe esclusivamente nel territorio italiano, non essendoci prova che lo smercio della droga sia avvenuto in Albania o in altri Stati Esteri; non è dato sapere se la predetta associazione è effettivamente organizzata e da quante persone è composta; non si conoscono i dati identificativi dei soggetti presumibilmente appartenenti al gruppo albanese. Per quanto illustrato, la tesi sostenuta in ricorso è che l'aggravante della transnazionalità non doveva essere applicata in riferimento al residuo capo C) della imputazione. Con un terzo motivo si lamenta che la sentenza sia affetta da difetto di motivazione ed errore nella determinazione della pena da irrogare, con particolare riferimento alla pena base da cui partire per F.A. ed alla omessa motivazione, in difformità da quanto statuito Sezioni Unite il 24 dicembre 2021 sulle ragioni del calcolo degli aumenti per la continuazione, stabilita per i singoli reati. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, ritenuta l'insussistenza della fattispecie associativa di cui ai capo F), avrebbe rideterminato i trattamenti sanzionatori nei confronti di F.A. e L., trattando le posizioni dei due in modo unitario, non valutando la diversa personalità, il diverso ruolo, ed il conseguente diverso trattamento sanzionatorio da cui è partito il Tribunale (24 anni L., 11 anni A.). F.A. - si sottolinea - ha un unico precedente penale per il reato di detenzione di sostanza stupefacente, la cui condotta è richiamata in sentenza, commesso nello stesso spazio temporale. Il Tribunale ha infatti escluso la recidiva, essendo il reato commesso nello stesso periodo di quello qui in esame. La Corte territoriale - ci si duole - non ha vagliato le singole posizioni né ha gradato e distinto le pene da comminare sulla base delle singole condotte e degli apporti concorsuali.. In particolare F.A. ha avuto lo stesso trattamento sanzionatorio di F.L., nonostante la sua posizione processuale sia identica a quella di D.M.P.. Per il ricorrente la pena base doveva essere pari ad anni tre e mesi cinque di reclusione, che aumentata per i reati di cui ai residui capi di imputazione doveva portare a comminare la pena di anni cinque ed Euro 25.000,00,non avendo il F.A. diritto alla riduzione per li rito. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. - D.C.D. (Avv. Mastrangelo Giuseppe e Avv. Censano Ettore, con due separati atti, per il secondo comune anche a T.S.). L'Avv. Mastrangelo Giuseppe) deduce violazione di legge e mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riguardo al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo A1) e per avere escluso l'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. In relazione al primo, richiamata la motivazione di cui a pag. 22 del provvedimento impugnato, si sottolinea l'incongruenza della stessa in relazione al fatto che la sostanza stupefacente è stata rinvenuta il 16/7/2014 mentre la presunta cessione sarebbe avvenuta due mesi prima (l'11/5/2014). Si richiama poi la pag. 24 del provvedimento impugnato sottolineando l'illogicità di quanto affermato e la mancanza di riscontri oggettivi, laddove all'interno dell'autovettura fermata dalla PG l'11/5/2014 non è stata riscontrata né le presenza dei soggetti che avrebbero preso parte al reato e nemmeno la droga. Quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi meno grave di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il difensore ricorrente, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, rileva che il provvedimento impugnato non ne opererebbe un buon governo non avendo valutato tutte le circostanze concrete dell'azione. L'Avv. Censano Ettore con unico motivo deduce erronea applicazione di legge e motivazione illogica nel giudizio di responsabilità dei prevenuti in relazione ai capi A1) e B2), stante gli esiti negativi delle perquisizioni svolte durante gli o.c.p. attivati in occasione delle presunte consegne a loro favore di sostanza stupefacente in data 11.5.2014 (capo A1) e 28.6.2014 (capo B2). - T.S. (Avv. Cenzano Ettore). Come già anticipato, il difensore, con unico atto, ha proposto le difese sia per il T. che per il D.C.. Rimandando a quanto detto per il D.C., va aggiunto che, in particolare, la tesi difensiva è volta ad affermare che, in assenza di riscontri, il quadro indiziario ritenuto dai giudici del merito atto a fondare l'affermazione di responsabilità degli imputati difettasse dei richiesti requisiti di precisione e concordanza. Ci si duole, in particolare, che nel provvedimento impugnato non sia stata spesa una parola per spiegare la ragione per cui la tesi difensiva, "sebbene suggestiva e ben articolata non convince". Si lamenta che la pronuncia di appello - di cui in ricorso vengono riportati ampi stralci - ripercorra acriticamente il decisum del primo grado. Anche tale difensore insiste sul rinvenimento allo stupefacente il 16/7/2014, ovvero due mesi dopo la contestata cessione. Quanto al reato di cui al capo A1) si sottolinea come l'incontro alla stazione ferroviaria di (Omissis) sia stato interamente monitorato dagli inquirenti mediante un servizio di osservazione e appostamento, nel corso del quale non è stato registrato alcuno scambio tra i soggetti intervenuti, né veniva rilevata la consegna di alcunché tra un'autovettura e l'altra. E la successiva perquisizione dava esito negativo. In data 28/11/2022 risultano depositati nell'interesse del T. motivi aggiunti a firma dell'Avv. Vianello Accorretti Valerio con un primo, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, censurando sentenza impugnata merita una prima fondata censurai nella parte in cui ha confermato la responsabilità del T. per i fatti di cui al capo A1) di imputazione, pur nella assenza di elementi idonei a poter legittimamente confermare la commissione di condotte sussumibili nell'alveo delittuoso del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. La sentenza - ci si duole - presenterebbe anche gravi discrasie in ordine alla riferibilità della condotta di reato al T., stante la scarsa precisione gravità e concordanza degli elementi di prova, rilevando ovviamente l giurisprudenza in tema di valutazione della prova indiziaria che - anch'essa - deve esser sottoposta ad un iter valutativo più rigoroso. Il tenore meramente deduttivo e illogico delle considerazioni spese in sentenza, infatti, oltre a non aver confutato compiutamente gli argomenti della difesa (articolati nell'atto di appello), non ha rispettato i canoni interpretativi di cui all'art. 192 c.p.p., giungendo a una conclusione frutto di una valutazione meramente sommaria degli indizi, priva di ulteriori elementi di conferma. Si deducono, ancora, violazione di legge e vizio motivazionale in quanto viziata sarebbe anche la motivazione relativa alla conferma della condanna intervenuta per il Capo b2) della rubrica, ove viene contestata una ipotesi ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in concorso con una persona rimasta ignota, relativa all'acquisto di sostanza stupefacente di tipo marijuana in data (Omissis). Si sottolinea che anche per tale episodio non è stato operato alcun sequestro di sostanza stupefacente. Oltre a ciò, il provvedimento impugnato - come già sottolineato nel ricorso principale - fonderebbe il giudizio di responsabilità del ricorrente su alcuni presupposti errati: 1. la ritenuta certezza che le utenze nn. (Omissis) e (Omissis) fossero in uso al T.; 2. la convinzione che, laddove l'esito della perquisizione non aveva dato alcun riscontro alla sola ipotesi accusatoria, l'acquisto era avvenuto utilizzando il metodo della "staffetta". Per il ricorrente, nonostante sul punto la Corte di Appello manchi effettivamente di rispondere alla difesa, occorre rilevare che le utenze telefoniche in questione, ritenute essere in uso al T., sono state oggetto di un'attività di intercettazione, ma - sarebbe questo è l'elemento dirimente - nell'arco temporale dell'attività di indagine non sono stati mai registrati dialoghi,, in quanto l'utenza veniva utilizzata soltanto per l'invio di SMS. Nessun riconoscimento vocale degli interlocutori è stato dunque effettuato dalla P.g. Ma vi è di più. Sempre in merito all'episodio contestato al Capo b2), si sottolinea che, a seguito di controllo e monitoraggio da parte della P.G. (e dunque la presenza degli inquirenti sul luogo del presunto incontro di natura illecita), l'esito della o.c.p. è stato - anche in questo caso - negativo, in quanto la perquisizione dell'auto su cui si presumeva fosse stata caricata la droga destinata al T. non aveva prodotto frutti rispetto all'attività di indagine. Per il ricorrente, la motivazione resa dalla Corte territoriale, nonostante tracci l'illogica conclusione a cui era giunto il Pubblico Ministero nel rinviare a giudizio il ricorrente in ordine a tale ipotesi di reato - confermando che l'auto condotta da M.P. era venuta "in contatto" solo con un'altra vettura, condotta da L.M. - finirebbe poi per contraddirsi, reputando possibile (giudizio di verosimiglianza) che ad attendere il concorrente nel reato vi fosse stata un'altra non riscontrata auto, che avrebbe funto da staffetta. Il tutto però senza riuscire a spiegare come fosse stato possibile che tale e, solo presunto, scambio della sostanza psicotropa fosse sfuggito al controllo degli inquirenti, i quali, presenti nel luogo dell'incontro, non solo non avevano osservato la presenza di altri soggetti, ma avevano finito per fermare e perquisire l'auto sbagliata, non rilevando al suo interno la ben che minima traccia di narcotico. Con un terzo motivo si lamentano violazione ed erronea applicazione dell'art. 69 c.p. in relazione all'art. 62-bis c.p., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nell'avere la Corte territoriale confermato il giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante. Con un quarto motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 133 c.p., e mancanza della motivazione, quanto alla parte di sentenza dedicata al trattamento sanzionatorio, in cui la Corte territoriale - considerato il minimo edittale di anni 6 e pur dinanzi a diverse posizioni imputate -, senza sviluppare alcuna considerazione effettivamente circostanziata rispetto ai fatti oggetto di giudizio, e agli eventuali sintomi di gravità, ha individuato una pena base sensibilmente superiore al minimo. - T.F. (Avv. Guerra Michele e Avv. Giulitto Giuseppe). Con il primo motivo i difensori ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per la ritenuta partecipazione del prevenuto al fatto di cui al capo C), non avendo la Corte territoriale assunto un'autonoma argomentazione rispetto alla pronuncia di primo grado a cui meramente si richiama. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge penale e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante della transnazionalità D.L. n. 146 del 2006, ex art. 4 in relazione al capo C), non essendo stati identificati i soggetti albanesi asseritamente facenti parte di "un gruppo criminale organizzato" in contatto con L.R. e non essendo dimostrata l'esistenza di un gruppo ultroneo in territorio estero che abbia agevolato la commissione del reato per cui si procede, censurandosi anche la mancata analisi di profili di imputazione soggettiva dell'aggravante. Tutti i ricorrenti, pertanto, chiedono annullarsi la sentenza impugnata. Aveva originariamente proposto ricorso a mezzo dei propri difensori di fiducia Avv. De Perna Gaetano e Donatacci Michele F.L.. I medesimi difensori e procuratori speciali facevano, tuttavia, pervenire in data 14.10.2022, atto di rinuncia al ricorso. In data 30.11.2012 sono state depositate conclusioni scritte a firma dell'Avv. Starace Innocenza, con allegati, nell'interesse di F.A. che ha insistito sui proposti motivi e ribadito la richiesta di accoglimento del ricorso. IL PG in data 2.12.2022 ha fatto pervenire memoria scritta ex art. 121 c.p.p. chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi propositi da D.C.D., T.S., T.F. e F.L., e rigettarsi il ricorso proposto da F.A. con le conseguenti statuizioni ai sensi dell'art. 616 c.p.p.. Il processo, originariamente a carico anche di F.L., veniva fissato davanti a questa Corte di legittimità per l'udienza del 14.12.2022. A tale udienza, tuttavia, come segnalato dal medesimo con nota del 5.12.2022, il processo veniva rinviato per l'omessa notifica all'Avv. Guerra Michele, codifensore di T.F.. Nelle more i difensori di F.L., in data 15.12.2022, essendovi stata rinuncia al ricorso, avanzavano istanza di immediata trattazione e, con provvedimento del Presidente titolare della Quarta Sezione Penale del 19.12.2022, la posizione dello stesso veniva separata e decisa con ordinanza di inammissibilità all'udienza del 21.12.2022. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le doglianze proposte nell'interesse di tutti i ricorrenti appaiono manifestamente infondate e, pertanto, i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili. 2. In via preliminare va rilevato che inammissibili sono le doglianze rubricate come terzo e quarto motivo, in punto di trattamento sanzionatorio, proposte con i motivi aggiunti in data 28/11/2022 a firma dell'Avv. Vianello Accorretti Valerio per T.. Ed invero, quanto ai motivi aggiunti, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio che la facoltà conferita all'appellante ed al ricorrente dall'art. 585 c.p.p., comma 4, deve trovare necessario riferimento nei motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti già dedotti (cfr. Sez. 3, n. 18293 del 20/11/2013, dep. 2014, G., Rv. 259740 che in motivazione ha evidenziato che l'ammissibilità di censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione determinerebbe una irragionevole estensione dei tempi di definizione del processo oltre che lo scardinamento del sistema dei termini per impugnare; conf. Sez. 1, n. 46950 del 2/11/2004, Sisic, Rv. 230281). Ne consegue che motivi nuovi ammissibili sono soltanto quelli con i quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi principali d'impugnazione, si alleghino ragioni "giuridiche" diverse da quelle originarie, non potendo essere ammessa l'introduzione di censure nuove con le quali si intenda allargare l'ambito del "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini tassativi previsti per l'impugnazione (Sez. 6, n. 36206 del 30/9/2020, Tobi, Rv. 280294). I motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono, pertanto, avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di impugnazione a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a) (Sez. 6, n. 73 del 21/9/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780; conf. Sez. 2, n. 1417 dell'11.10.2012, dep. 2013, Rv. 254301). Il che non è quanto avvenuto nel caso in esame. Ebbene, nel ricorso del 18.1.2022 a firma dell'Avv. Cenzano Ettore non veniva proposta alcuna censura afferente al trattamento sanzionatorio, per cui tali doglianze non possono trovare ingresso con i motivi aggiunti. Sempre in via preliminare, va anche evidenziato che inammissibili sono tutti i motivi di ricorso che propongono una violazione dell'art. 192 c.p.p. in quanto va peraltro ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, poiché la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata" (così questa Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196). 3. Vanno affrontate, in primis, le questioni processuali proposte nell'interesse di F.A., che appaiono manifestamente infondate. 3.1. Quanto alla prima, come si evince ex actis è emerso dinanzi alla Corte di Appello solo durante la celebrazione del giudizio, che i provvedimenti emessi per la fissazione dell'udienza dibattimentale in primo grado sono stati due, quello del GIP Dott. Mastorilli, in data 28.3.2017 e quello del GIP Dott.ssa Depalo, in data 14/6/2017. Il primo decreto di giudizio immediato - regolarmente notificato anche all'imputato - è pienamente rispettoso della disciplina di cui all'art. 456 c.p.p. secondo cui debbono essere indicate al ricorrente le prerogative difensive per formulare istanza di riti alternativi, in concreto finanche esercitate con la richiesta di rito abbreviato poi oggetto di rinuncia. Non vi è chi non veda come il secondo provvedimento (che, peraltro, richiama il primo) si sovrapponga alla precedente citazione senza determinare un "nuovo" diritto alla notifica già esauritosi con il primo atto, non dando neppure prova - il difensore - che i due provvedimenti in esame riportino una data per l'udienza dibattimentale differente. Ricorda il provvedimento impugnato - ed è peraltro incontestato - che il decreto di giudizio immediato emesso in data 28/03/2017, è stato regolarmente notificato a mani degli imputati F.A. e L. in data 6/4/2017, presso la casa circondariale di (Omissis), come risulta dalle relate, che espressamente richiamano il decreto. relate prodotte dal P.G. in copia, in udienza, e peraltro presenti nel fascicolo processuale. Il decreto di giudizio immediato, così notificato, citava in giudizio i prevenuti per l'udienza dibattimentale dell'8/05/2017. Corretto, pertanto, è il rilievo dei giudici di appello circa la piena regolarità della notifica del detto decreto (nel rispetto del termine a comparire), notifica effettuata 32 giorni prima della udienza dibattimentale con conseguente infondatezza dell'eccezione come sopra formulata. A seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, con istanza dell'11.4.2017, l'avv. Starace Innocenza, procuratore speciale di F.L. e A., presentava richiesta di definizione del processo nelle forme del rito abbreviato. Successivamente alla data dell'udienza dibattimentale già fissata con il decreto di giudizio immediato, precisamente in data 15.5.2017, l'avv. Starace, rappresentando che nel frattempo il dibattimento (era stato rinviato in via preliminare all'udienza del 14.6.2017, chiedeva trasmettersi con urgenza il fascicolo al giudice del dibattimento per la trattazione unitaria del procedimento, previa rinunzia al rito abbreviato già richiesto. Con provvedimento del 16.5.2017, il G.I.P., preso atto della rinuncia, atteso che non era stata ancora fissata l'udienza per la celebrazione del rito abbreviato, fissava per la celebrazione del dibattimento proprio l'udienza indicata dalla difesa di F.L. e A., vale a dire l'udienza, ad essi già nota, del 14.6.2017. Il provvedimento di fissazione della nuova udienza dibattimentale veniva notificato al procuratore speciale in data 17.5.2017, a mezzo pec (cfr. produzione cit. e atti); All'udienza del 14.6.2017, gli imputati presenziavano all'udienza e consentivano l'adesione del difensore all'astensione proclamata (cfr. verbale in atti e produzione cit.) con sospensione dei termini di custodia cautelare; Alla successiva udienza del 10.07.2017, l'avv. Starace eccepiva l'inosservanza del termine a comparire dei propri assistiti e, precisamente, eccepiva che "...il decreto di giudizio immediato non e stato notificato nei termini" (così testualmente dal verbale di udienza del 10/07/2017, atti) ai suoi due assistiti e il Tribunale decideva rigettando l'eccezione. Come rileva la Corte territoriale l'eccezione, riproposta più volte, è stata sollevata anche in quel grado di giudizio e correttamente, sebbene formalmente rinunziata, in quanto involgente, a dire della difesa, una questione rilevabile di ufficio, è stata puntualmente scrutinata e motivatamente disattesa. Per la Corte territoriale la questione, apparentemente prospettata come mancata notifica del decreto di giudizio immediato, è destituita di fondamento perché il decreto venne puntualmente notificato agli imputati tanto che essi optarono per il rito alternativo e, ripensandoci dopo che la udienza dibattimentale indicata nel decreto era già stata celebrata, tramite il loro procuratore speciale, hanno rinunciato al rito alternativo già opzionato, chiedendo espressamente la trasmissione del fascicolo e indicando essi stessi la data della comparizione per la udienza già fissata per il 14.6.2017 (come precisa il G.I.P. nel provvedimento con cui fissa la nuova udienza dibattimentale), udienza di cui erano a conoscenza e alla quale hanno personalmente preso parte (così il verbale dell'udienza cit.). Da ciò si ricava logicamente, per i giudici di appello, che, di conseguenza, la sollevata eccezione, non riguarda la mancata notifica del decreto di giudizio immediato (già prima regolarmente notificato ai fratelli F.) ma, semmai, l'inosservanza del nuovo termine a comparire visto che, tra la data di comunicazione alla difesa del decreto del G.I.P. - che, accogliendo la richiesta, rimetteva le parti all'udienza dibattimentale già nota alle parti - e la data di comparizione delle parti stesse, non vi erano i 30 giorni previsti dalla legge. Sul punto, la sentenza impugnata ricorda come, in un'ipotesi analoga, questa Corte di legittimità abbia espressamente statuito che, in tema di giudizio immediato, l'inosservanza del termine a comparire conseguente alla tardiva notificazione del relativo decreto non è motivo di nullità, atteso che l'art. 456 c.p.p., comma 1, richiamando le disposizioni dell'art. 429 c.p.p., commi 1 e 2, prevede la nullità del decreto soltanto nell'ipotesi di inidonea indicazione del fatto e/o luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento che l'imputato, non comparendo, sarà giudicato in contumacia (così Sez. 1, n. 865 del 23/9/2015, dep. 2016, Rv. 265715 nella quale la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato avverso l'ordinanza del Tribunale che, su eccezione del difensore, aveva, tra l'altro, rinviato il processo per un tempo sufficiente a reintegrare di fatto il termine incompleto, consentendo così all'imputato di inoltrare al G.i.p. la richiesta di rito abbreviato). Nel caso di specie, come rileva correttamente il giudice del gravame del merito, con la notifica del decreto di giudizio immediato gli imputati sono stati regolarmente evocati in giudizio sicché, la loro richiesta di procedere nelle forme ordinarie (con rinunzia all'abbreviato già richiesto) quando era già decorsa la prima udienza dibattimentale ha lasciato fermo l'originario decreto di giudizio immediato - valido, come già detto - dando causa alla sola fissazione di un'altra udienza che sono state le stesse parti interessate, attraverso il loro procuratore speciale, ad indicare G.I.P., in tal modo dimostrando di conoscere (oltre alla data dell'udienza), l'ora e l'organo giudicante (cfr. istanza cit.) dinanzi al quale chiedevano di essere rimesse per la trattazione della propria posizione. Rileva peraltro la Corte barese come, per di più, come nel caso indicato dalla sentenza di legittimità del 2016 appena citata, nel corso dell'udienza del 14.6.2017, gli imputati nulla eccepirono in merito e il rinvio alla successiva udienza del 10.7.2017, sanò ampiamente il termine di comparizione non osservato (ma neppure osservabile e, persino, implicitamente rinunciato, visto che è stato il difensore di fiducia ad indicare al G.I.P. la data di comparizione utile e lo ha fatto il 15.5.2017 quando sarebbe già stato impossibile osservare i richiamati 30 giorni liberi). Il tutto - rileva, infine, la Corte territoriale - in disparte la presunta nullità derivante dalla mancata notifica agli imputati del decreto con cui il G.I.P., preso atto della rinuncia al rito abbreviato già richiesto, fissò la nuova udienza dibattimentale, atteso che gli imputati presenziarono a quella udienza che, come già detto molte volte, venne fissata dal G.I.P. su espressa indicazione del procuratore speciale dei due imputati F.L. e A.. Immune dalle prospettate censure di legittimità appare, pertanto, il decisum della Corte barese, che ha ritenuto che l'eccezione come sopra prospettata andasse respinta non essendo stata inficiata, in alcun modo, la partecipazione degli imputati al processo. 3.2. Quanto alla rinuncia ai motivi sulla sussistenza dell'aggravante della transnazionalità - che il ricorrente contesta essere avvenuta - la lettura del verbale dell'udienza del 21/6/2021 dinanzi alla Corte di Appello - cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza proposta - la stessa si palesa inammissibile. Si legge, infatti nel verbale che "L'Avv. Starace deposita sentenza in copia conforme n. 1060/20 emessa da questa Sezione di Corte d'Appello in data 21.4.2020 e passata in giudicato; dichiara altresì di rinunciare a tutti i motivi di impugnazione ad eccezione di quelli relativi al reato associativo di cui al capo F), alla rideterminazione della pena e alla concessione delle attenuanti generiche prevalenti. F.A., interpellato dal Presidente, presta il proprio consenso". Il motivo sulla transnazionalità, dunque, a quanto risulta dal verbale, non risulta tra quelli che sono rimasti fuori dalla rinuncia. E il Collegio ritiene di aderire all'orientamento, da sempre prevalente, secondo cui il verbale d'udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all'art. 2700 c.c. (cfr. Sez. 1, n. 1553 del 19/11/2018m dep. 2019, Marino, Rv. 274796 che, in applicazione del principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso inteso a denunciare la mancata notificazione al condannato del decreto di citazione nel procedimento davanti al tribunale di sorveglianza, non essendo stata proposta querela di falso avverso il verbale d'udienza che riportava la dicitura "notifiche regolari", con conseguente incontestabilità della relativa attestazione; conf. Sez. 3, n. 9975 del 28/01/2003 Adamo Rv. 223819; Sez. 3, n. 13117 del 27/01/2011, A, Rv. 249918; Sez. 1, n. 20993 del 1/4/2004, Ivone, Rv. 228196). Il Collegio, in proposito, non ritiene condivisibile il recente ed unico precedente difforme secondo cui il verbale di udienza non ha valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del suo contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell'ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all'art. 2 c.p.p., comma 2, (Sez. 2, n. 40756 del 21/10/2021, Aleo, Rv. 282432 In motivazione la Corte ha precisato che la falsità del verbale deve essere accertata sulla base dell'univoca capacità dimostrativa delle prove raccolte, attraverso un percorso argomentativo razionale, rigoroso e privo di vizi logici). Peraltro, nulla è stato evidenziato per avvalorare la tesi -meramente enunciata dal difensore - che nel verbale in questione sia stato indicato qualcosa di diverso da quanto accaduto circa il perimetro della rinuncia ai motivi di appello. 4. In ogni caso, la Corte territoriale, ha confutato con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto l'analoga doglianza in punto di sussistenza della circostanza aggravante della transnazionalità proposta nell'interesse del T., il cui ricorso sul punto è manifestamente infondato. Questa Corte ha di recente ricordato (cfr. Sez. 4, n. 39022 del 28/9/2022, Castoro, n. m., alla cui articolata motivazione si rimanda) come, quanto alla circostanza aggravante della transnazionalità, l'orientamento di legittimità sia ormai consolidato, a far tempo dalle Sezioni Unite Adami del 2013 (Sez. Un. 18374 del 31/1/2013, Adami ed altro, Rv. 255033) fino alla recentissima Sez. 4 n. 23132 del 25/5/2022, Nardelli ed altri, non mass. Come ebbero a precisare le Sez. Unite Adami, dirimendo il precedente contrasto giurisprudenziale, l'aggravante speciale della transnazionalità, di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, oggi trasfusa nell'art. 61 bis c.p., che è applicabile anche al reato associativo sempreché il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l'associazione a delinquere, presuppone che la commissione di un qualsiasi reato in ambito nazionale, purché punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall'apporto di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività illecite in più di uno Stato. Ancora, le Sezioni Unite Adami, confortate da tutta la giurisprudenza successiva (vedasi in particolare Sez. 3 n. 2458 del 2/12/2014 dep. 2015, Castorina) ebbero prima a precisare e poi costantemente a ribadire che la transnazionalità non è un elemento costitutivo di un'autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto, a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato (così SS.UU. n. 18374 del 31.1.2013, Adami ed altro, Rv. 255033-34-35-36-37-38, che in motivazione hanno precisato che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla L. n. 146 del 2006 agli artt. 10,11,12 e 13). La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in particolare, ha invitato costantemente ad avere ben presente la differenza tra la L. n. 146 del 2013, artt. 3 e 4. Con l'art. 3, infatti, il legislatore volle offrire la definizione di reato transnazionale, precisando che si considera tale il reato, punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. L'art. 4 - oggi confluito D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ex art. 5, comma 1 lett. a nell'art. 61 bis c.p. - introduce, invece, la diversa figura della circostanza aggravante della transnazionalità, applicabile (con un aumento della pena da un terzo alla metà) per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Si applica altresì, in tali casi, il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni (oggi art. 416bis 1 c.p.). La distinzione è importante, per i motivi che si diranno. Il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento la L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4 - giusto il dictum delle Sezioni Unite Adami - è configurabile, secondo le indicazioni contenute nell'art. 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta Convenzione di Palermo), in presenza dei seguenti elementi: a) stabilità di rapporti fra gli adepti; b) minimo di organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalità o estemporaneità della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale (in motivazione, la Corte ha evidenziato che il gruppo criminale organizzato è certamente un "quid pluris" rispetto al mero concorso di persone, ma si diversifica anche dall'associazione a delinquere di cui all'art. 416 c.p. che richiede un'articolata organizzazione strutturale, seppure in forma minima od elementare, tendenzialmente stabile e permanente, una precisa ripartizione di ruoli e la pianificazione di una serie indeterminata di reati). Nel solco della pronuncia delle SS.UU. Adami, costantemente, si è ribadito che l'aggravante della transnazionalità prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4, può trovare applicazione anche quando il gruppo criminale organizzato, operante in più di uno Stato, presta il suo contributo alla commissione di un reato associativo, nella specie, quello previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 ma solo a condizione che non ricorrano elementi di "immedesimazione" fra le due strutture criminose (cfr. Sez. 3, n. 7768 del 4.12.2013 dep. 2014, Cabeza Valencia, Rv. 258849). La immedesimazione delle due strutture, in altri termini, è incompatibile con l'esistenza dell'apporto causale esterno all'associazione richiesto dalla norma e dà luogo, invece, al carattere transnazionale dell'associazione medesima L. n. 146 del 2006, ai sensi dell'art. 3. (cfr. la recente Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, Anslem, Rv. 280552 e Sez. 3, n. 36381 del 9/5/2019, Cruzado, Rv. 276701, già richiamata da Sez. 4 n. 23132/2022, alla cui condivisibile motivazione ci si riporta). Orbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, ritiene il Collegio che i giudici del gravame del merito, con una motivazione priva di aporie logiche, confutano il rilievo difensivo - che viene riproposto anche in questa sede - evidenziato le ragioni da cui, con prova logica, sia lecito concludere per il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato nel traffico della sostanza stupefacente e di cui gli odierni ricorrenti si sono avvalsi per commettere il reato oggetto di aggravamento. La Corte pugliese, invero, con valutazione di merito non censurabile in questa sede, indica tutta una serie di elementi comprovanti detta sussistenza, dalla presenza di più soggetti in Albania tra loro sostituibili, alcuni dei quali in grado di interloquire anche in lingua italiana, alla fruibilità di natanti alternativi a quelli italiani, alla dichiarata disponibilità di ingenti quantitativi di droga, alla capacità degli "stranieri" di fare celermente fronte alle richieste di stupefacente e ad assolvere a loro debiti. Con un'analitica motivazione, priva di aporie logiche, i giudici del gravame del merito (vedasi per tutte pagg. 69 e ss. della sentenza impugnata) danno conto delle captazioni che provano i contatti che il trafficante albanese, dall'Italia, aveva con i complici rimasti nel Paese d'origine. Quanto poi al profilo della mancata prova che l'associazione criminale operativa all'estero sia diversa da quella vigente in Italia per il solo fatto che di quella estera possano fare parte famigliari del L. (ossia di colui che rappresenta il collegamento tra i due gruppi), appellati come "fratello" e "cugino", lo stesso si concretizza in un motivo generico, non correlato alle ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, in cui si dà atto della configurabilità della circostanza aggravante in esame rispetto ai fatti per cui si procede al capo C) (ossia l'importazione dall'Albania di oltre mille chilogrammi di marijuana il 12.6.2014). Peraltro, come si evidenziava in precedenza, la L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4, trova applicazione ai reati-fine consumati dai sudali di un'associazione per delinquere (diversamente che per l'agevolazione di un reato associativo) anche in caso di immedesimazione tra tale associazione e il gruppo criminale organizzato transnazionale (Sez. 3, n. 10116 del 24/11/2020, dep. 2021, Ausili, Rv. 281481; conf. Sez. 3, n. 38009 del 10/5/2019, Assisi, Rv. 278166 (Sez. 5, n. 7641 del 17.11.2016, dep. 2017, Merisio, Rv. 269371; Sez. 6, n. 47217 del 18/11/2015, Corti ed altri, Rv. 265354). Nel caso in esame, quindi, proprio il riscontro a livello fattuale della sussistenza di un episodio di illecito commercio agevolato da un gruppo organizzato attivo in altro Stato, consente il riconoscimento dell'aggravante in esame in relazione a detto episodio, a prescindere dalla concreta duplicità delle organizzazioni criminali tra loro in collegamento. 5. Venendo ai motivi di ricorso in punto di responsabilità proposti nell'interesse di T. e D.C., gli stessi pongono questioni ripetitive di quanto già dedotto dinanzi al giudice di appello e che richiedono una rivalutazione in fatto non consentita in sede di legittimità, lamentandosi sostanzialmente la definizione del giudizio di responsabilità in assenza del sequestro della sostanza stupefacente di marijuana presuntivamente trattata secondo quanto desunto dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Gli atti di impugnazione non propongono un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Quanto alla doglianza proposta dalla difesa del T. secondo cui la Corte di Appello avrebbe recepito integralmente e acriticamente la motivazione dei giudici di prime cure va ricordato che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi. Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n.:34891 del 16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250). Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107). La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera" richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. 2003, Delvai, Rv. 223061). E' stato anche sottolineato da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesta, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell'8.2.2013, Reggio, Rv. 254988). Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Bari non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006). E, ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542). Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'e', in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Com'e' stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che n ma ne giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure in punto di responsabilità per i reati loro ascritti che il T. e il D.C., per il tramite dei loro difensori, rivolgono al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Bari alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato atto degli elementi di prova ritenuti utili ai fini della ricostruzione degli episodi di acquisto e detenzione di sostanza stupefacente in questione da parte di T. e D.C. dai "manfredoniani" F.L. e A. e D.V.G. (in cui il T. avrebbe assunto il ruolo di committente e D.C. - suo genero - quale soggetto incaricato del ritiro della droga). Il ragionamento probatorio del giudice del gravame del merito appare privo di carenze, posto che viene data una spiegazione non illogica alla circostanza per cui, in relazione ad entrambe le consegne, non sia stata reperita la droga sull'autovettura condotta dai "sanseveresi" riceventi la droga da M.P., conducente la vettura Audi A3 ( D.C. per l'episodio del (Omissis) e L.M. per quello del (Omissis)), in ragione di operazioni costruite dai correi in modo meticoloso proprio per confondere le forze di polizia con un servizio di staffette aventi il preciso scopo di impedire che venisse intercettata l'auto ove erano collocati i borsoni contenenti la marijuana. E così, in relazione al capo A1), F.L. e D.V.G., fornitori della sostanza stupefacente, viaggiano su un'Audi A3, mantenendosi in contatto con il complice M.P. (a bordo di una Mercedes classe A) che ha la disponibilità della droga, mentre T.S., conducente una Opel Meriva, mantiene contatti con il genero D.C.D., a sua volta coadiuvato nella ricezione dei borsoni da altri soggetti rimasti ignoti. Analogamente, nei fatti di cui al capo B2), sono coinvolte una Jaguar su cui viaggiano F.L. e D.V.G. con funzioni di staffetta alla vettura Audi A3 condotta da M.P. che, a sua volta, incontra uno sconosciuto che preleva qualcosa dalla macchina, mentre gli operanti controllano l'autovettura Fiat Panda di colore bianco, condotta da L.M., già monitorato come collaboratore di T. (soggetto, peraltro, che non può identificarsi con lo sconosciuto che ha prelevato qualcosa dalla vettura condotta da M., stante le verifiche effettuate dagli operanti sulla voce dello sconosciuto e la circostanza per cui M. lo ha salutato con "ciao, Mi", non ricollegabile al nome " M." di L.). Va evidenziato che, in ricorso, le difese concentrano le proprie doglianze solo sul mancato sequestro della droga, senza indicare in concreto alcuna discrasia motivazionale sul completo iter ricostruttivo e dimostrativo offerto dal giudice del merito, in relazione alla fase della consegna, univocamente dimostrata dai colloqui intrattenuti immediatamente dopo la conclusione l'operazione, tra gli acquirenti, da un lato (con T.S., che si compiace della buona qualità della droga) e i fornitori, dall'altro (con F.L. e D.V.G. che si dedicano al conteggio del denaro). Ne' è corretto sostenere che sia illogico ritenere che nelle conversazioni in esami si alluda al commercio di sostanza stupefacente (piuttosto che, ad esempio, ad armi), pur in assenza di comprovati sequestri, risultando in atti anche tale evenienza, come dimostrato dai sequestri del 16.7.2014 e 12.6.2014 di marijuana, trovata come confezionata in "pacchi" dello stesso tipo di quelli di cui discorrono gli interlocutori degli episodi in esame (peraltro, in un contesto probatorio da cui emerge come, a seguito del buon esito dell'operazione del (Omissis), F. e D.V. si erano impegnati con T. per ulteriori e proficui traffici). Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto. 6. Manifestamente infondata, infine, è la doglianza proposta nell'interesse del D.C. quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi di reato meno grave di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 che la Corte territoriale ha motivatamente escluso sul rilievo che il fatto si inserisce in un consolidato sistema criminale di particolare offensività (immettevano sul mercato notevoli quantità di stupefacente) facendo buongoverno del consolidato principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, - anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. in L. n. 10 del 2014) e della L. 16 maggio 2014, n. 79 che ha convertito con modificazioni il D.L. 20 marzo 2014, n. 36 - può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così le recenti Sez. Un. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. Un, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l'esclusione dell'attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell'attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l'elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/0312015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell'attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell'attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori). 7. Anche la difesa di T.F. (di cui si è già detto in precedenza quanto all'aggravante della transnazionalità) propone dei motivi di ricorso sulla responsabilità inammissibili, in quanto, oltre che risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello, si evidenziano come generici rispetto alla motivazione della Corte territoriale che, diversamente da quanto dedotto, dimostra di avere preso cognizione delle argomentazioni difensive incentrate sulla non attribuibilità al ricorrente di un'utenza oggetto di intercettazione, ribadendo la difesa questioni di merito (alla luce degli esiti della perizia fonica) non ammesse in sede di legittimità, in quanto vagliate dalla Corte territoriale con la ribadita prevalenza probatoria del teste M. (che ha riferito come T. avesse in uso detta utenza) con rilievi privi di vizi motivazionali. Analogamente, la Difesa ribadisce come il ricorrente nel periodo di interesse avesse in uso una Ford Focus e solo a settembre 2015 una Jeep Nissan Terrano e che sia stato custode del (Omissis) solo a partire da luglio 2014, ma la Corte territoriale contrasta nettamente la valenza difensiva di tali allegazioni ritenendole smentite dal contenuto delle intercettazioni sulla base di una interpretazione di tali elementi probatori non irragionevole, ma piuttosto completa e scevra di vizi sindacabili in sede di legittimità (ad esempio, in relazione al dato che il custode della (Omissis) messa a disposizione per lo sbarco del natante venga chiamato dagli interlocutori come (Omissis)). Il ricorso, quindi, è manifestamente infondato in quanto apertamente incentrato solo su doglianze che richiedono una nuova valutazione delle prove. 8. Infine, in merito alle doglianze presentate dalla Difesa di F.A. relativamente trattamento sanzionatorio, la cui lacuna è individuata nella sovrapponibilità delle valutazioni offerte dalla Corte rispetto alla posizione più grave di F.L., le stesse sono manifestamente infondate in quanto non tengono conto di come, in realtà, la pena base per il reato più grave (quella di cui al capo C) sia stata definitiva in termini differenti per i due imputati (vedasi in proposito le pagg. 89 e 90 della sentenza impugnata). 9. Ne' può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata per alcuni reati in contestazione dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema, infatti, ha più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (così Sez. Un. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463). 10. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2023. Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2023
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