RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12.5.2022, la Corte d'appello di Brescia ha confermato la decisione del Gup presso il Tribunale della stessa città, emessa all'esito di giudizio abbreviato, che aveva condannato S.M. alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 6.000 di multa in relazione al delitto di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 1, 2, 4 e 7, in relazione alla detenzione e cessione di armi comuni da sparo (capo B) e della contravvenzione di detenzione di munizioni (capo C).
Dagli atti di indagine era emerso che il S. aveva ereditato dal padre una pistola Beretta, cal. 7,65 e un fucile automatico Beretta cal. 12, che aveva trasferito in un luogo nella sua disponibilità. Si era inoltre impossessato di una pistola marca Colt, modello Pyton, cal. 357 magnum, detenuta dalla madre. Successivamente aveva ceduto tali armi ad un conoscente, tale E.B.A., come da costui confermato. Inoltre, nell'abitazione dell'imputato la moglie aveva rinvenuto 16 proiettili cal. 357 magnum compatibili con il munizionamento della Colt Pyton.
Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale ha ritenuto l'imputato responsabile dei reati contestati.
2. Avverso tale sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi trattati unitariamente, con cui deduce plurimi profili di censura.
Si contesta, innanzitutto, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e g) e comma 3, in ragione della errata indicazione della data dell'udienza contenuta nel dispositivo, il quale reca la data del 12 maggio 2022, mentre l'udienza in camera di consiglia presso la Corte d'appello era fissata per il 16 maggio 2022 e in quel giorno la difesa aveva ricevuto dalla cancelleria della Corte territoriale il verbale di udienza e il dispositivo. Inoltre, anche la motivazione della sentenza, nella parte illustrativa dello svolgimento del processo, indicava una data di udienza ancora diversa, facendo riferimento al 22 aprile 2022. Ciò integrerebbe la violazione dell'art. 546 c.p.p. determinando un vizio invalidante della decisione impugnata.
Si contesta, inoltre, il vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata ingloberebbe in sé parti della pronuncia di primo grado senza tuttavia evidenziarle in alcun modo, così rendendone difficoltosa l'interpretazione, non essendo comprensibile quali parti rechino argomentazione dei giudici di appello e quali siano riportino in modo acritico la motivazione del giudice di primo grado.
Inoltre, la motivazione sarebbe in più punti imprecisa e caratterizzata da errori non trascurabili, oltre che mancante in relazione al profilo della responsabilità dell'imputato, essendosi la Corte territoriale limitata a citare precedenti giurisprudenziali senza tener conto della fattispecie concreta e delle doglianze della difesa in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 1,2,4 e 7, contestato al capo b) dell'imputazione, alla luce del particolare contesto familiare in cui si erano svolti i fatti. Mancherebbe altresì la motivazione in ordine alla qualificazione del fatto in termini di tentativo come prospettato dalla difesa.
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. Con successiva memoria la difesa ha ribadito le proprie censure insistendo per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo profilo di censura è manifestamente infondato.
Dalla documentazione allegata al ricorso e dall'esame del fascicolo, cui questa Corte ha accesso, atteso il carattere processuale della censura, risulta evidente che l'indicazione nel dispositivo della sentenza impugnata della data del 12 maggio 2022 costituisce frutto di mero errore materiale. Ciò è invero comprovato dal verbale dell'udienza in Camera di consiglio presso la Corte territoriale, il quale è stato sottoscritto oltre che dal Presidente del Collegio, anche dall'assistente giudiziario, nel quale si dà atto che il giorno 16 maggio 2022 la Corte d'appello ha pronunciato il dispositivo che era stato allegato al verbale medesimo.
Secondo il costante e assolutamente orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel procedimento penale il verbale d'udienza fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall'art. 2700 c.c. (Sez. 4, n. 5627 del 24/01/2023, Testa, Rv. 284098 - 01; Sez. 1, n. 1553 del 19/11/2018, dep. 2019, Maurino, Rv. 274796 01; Sez. 3, n. 13117 del 27/01/2011, A., Rv. 249918 - 01; Sez. 1, n. 20993 del 01/04/2004, Ivone, Rv. 228196 - 01; Sez. 3, n. 9975 del 28/01/2003, Adamo, Rv. 223819 - 01; Sez. 3, n. 7785 del 1996, Rv. 206056-01. Unico precedente difforme, cui peraltro questo Collegio non intende dare seguito, è costituito da Sez. 2, n. 40756 del 21/10/2021, Aleo, Rv. 282432 - 01 secondo la quale il verbale di udienza non ha valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del suo contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell'ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all'art. 2 c.p.p., comma 2).
Alla luce del valore privilegiato rivestito dal verbale di udienza, ed in mancanza di querela di falso proposta avverso il medesimo, deve ritenersi che l'erroneità della data riportata nel dispositivo, nonché di quella indicata nella motivazione della sentenza impugnata sono frutto di mero errore materiale, come tale inidoneo a inficiare la legittimità della pronuncia d'appello.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Giova preliminarmente ricordare che, con il ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747 - 01).
Per superare il vaglio di ammissibilità, il vizio di motivazione non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest'ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa (Sez. 3, n. 30692 del 23/06/2022 non massimata).
Ebbene, nella specie, il ricorrente si è limitato a dedurre genericamente la presenza di difficoltà interpretative della sentenza impugnata per l'asserita impossibilità di distinguere le valutazioni operate dai giudici di appello rispetto a quelle del GUP, difficoltà in realtà insussistenti, emergendo con chiarezza tale distinzione dalla struttura e dal complessivo contenuto della pronuncia.
Trattasi con evidenza di censura che esula dai limiti dei vizi deducibili in sede di legittimità, oltre che del tutto generica e pertanto inammissibile.
3.2. Quanto alla denunciata mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, la censura è manifestamente infondata.
Nella specie ricorre un'ipotesi di "doppia conforme", di tal che la motivazione della Corte territoriale si integra con quella del primo giudice, il quale ha reso motivazione articolata ed esaustiva in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, rinvenendo la prova del dolo nella dimestichezza del S. con le armi e nella sua lunga convivenza con il padre, agente di polizia municipale e collezionista di armi. Entrambi i giudici di merito, inoltre, hanno fatto applicazione del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma l'erroneo convincimento dell'agente circa l'obbligo di denunciare il possesso dell'arma all'autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all'art. 47 c.p., comma 3, (Sez. 7, n. 24231 del 06/02/2019, Rv. 276481 - 01, la quale ha affermato il principio in fattispecie relativa alla detenzione illegale di una pistola da parte di una vedova il cui marito aveva denunciato - e successivamente rottamato - un'altra pistola avente matricola diversa rispetto a quella che la donna comunque non aveva denunciato in sede di successione. Conf.: Sez. 6, n. 33875 del 26/03/2014, Gasparro, Rv. 262073 - 01).
3.3. Manifestamente infondata è anche la censura con cui si prospetta il vizio di mancata motivazione in ordine alla configurabilità del reato di cessione di armi nella forma tentata. Si tratta di censura aspecifica e sostanzialmente reiterativa di quella proposta con i motivi di appello, la quale è comunque smentita dall'esistenza di una specifica ed adeguata argomentazione sul punto, operata dalla Corte territoriale tenendo conto degli elementi della fattispecie. Essa, infatti, ha rinvenuto la prova della consumazione del reato nelle dichiarazioni di E.B., il quale ha confermato la cessione definitiva delle armi da parte del S.. A fronte di tali conclusioni, del tutto generica appare la censura difensiva, la quale si è limitata a dedurre la mancata valutazione complessiva del compendio probatorio.
A confortare le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale, vale richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 1, si consuma per effetto della semplice messa in vendita delle armi, di parte di esse, non distinguendo la norma tra il carattere negoziale o prenegoziale dell'attività del privato né tra effetti reali o obbligatori, cosicché, ai fini della configurabilità della condotta del "porre in vendita", non sono necessari la diretta disponibilità, nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro né tantomeno che alla condotta seguano effetti traslativi o la materiale consegna delle armi (Sez. 1, n. 10071 del 25/06/2014, dep. 2015, Lanfranchi, Rv. 262691; Sez. 6, n. 3667 del 03/12/2021, dep. 2022, Toriello, Rv. 282782 - 01).
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" (Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2023