RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 8 settembre 2021, la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza emessa in data 29.03.2018 dal Tribunale di Verbania, con la quale C.D. era stato ritenuto responsabile del reato di falso ideologico ex art. 479, in relazione all'art. 476 c.p., comma 2, per avere nell'esercizio delle sue pubbliche funzioni - in qualità di Segretario comunale del Comune di Craveggia, nonché in quanto responsabile del servizio "opere pubbliche" e responsabile del procedimento di espropriazione per pubblica utilità, di cui alla Delib. di giunta del Comune di Craveggia n. 5 del 14.01.2014, attestato circostanze non vere in un atto pubblico fidefacente, ossia nel decreto di esproprio n. (Omissis), la pubblica utilità dei terreni censiti in catasto al fg. (Omissis), nonostante si fosse antecedentemente dato conto del fatto che essi non erano più di alcuna utilità per l'ente territoriale all'attualità e nell'immediato futuro.
1.1. La Corte territoriale rispetto alle contestazioni e alla sentenza di primo grado limitava la falsità ascritta all'imputato all'aspetto di pubblica utilità di tali terreni di proprietà dei fratelli Barera, ribadita nel decreto di esproprio, benché nella Delib. della giunta comunale n. 35 del 06.05.2014 si desse espressamente atto della non utilità per le attività istituzionali
dell'Ente, presenti e immediatamente future, dei terreni ai mappali de quibus acquisiti al patrimonio del Comune, disponendosi la perizia di stima dei detti mappali e l'alienazione dei medesimi, con vendita all'asta - per il prezzo, a base d'asta, di Euro 80.000, indetta con determina n. (Omissis) e nonostante l'inequivoco contenuto dei detti atti - entrambi sottoscritti dal C., quale Segretario comunale e responsabile del Servizio finanziario e ciò in violazione della imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, in presenza di accordo amichevole sull'indennità di esproprio, privo di causa giustificativa, con omissione della rilevazione del sopravvenuto venir meno della p.u..
2. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., con atto a firma del proprio difensore di fiducia, affidando le proprie censure a quattro motivi, con i quali deduce:
2.1. con il primo motivo, dopo aver evidenziato in premessa la non precisione e chiarezza del capo di imputazione e la non organicità dell'integrazione tra la motivazione della sentenza di primo e la motivazione della sentenza di secondo grado, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e il vizio di motivazione, per aver la Corte territoriale mancato di procedere, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., commi 2 e 3 respingendo, in palese violazione del principio del contraddittorio e del principio di formazione della prova in dibattimento, la richiesta avanzata dalla difesa di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, volta specificamente ad introdurre nel procedimento le dichiarazioni di G.P., all'epoca Sindaco del Comune di Craveggia, mediante una dichiarazione scritta dallo stesso sottoscritta, ovvero mediante la sua escussione quale testimone; invero, l'integrazione probatoria - decisiva al fine di escludere sia il profilo oggettivo che il profilo soggettivo della fattispecie criminosa contestata - avrebbe in particolare evidenziato che alla data di sottoscrizione del decreto di esproprio la Pubblica Amministrazione non aveva ancora formalmente e in via definitiva rinunciato al vincolo di pubblica utilità, disposto a ragione della realizzazione dell'area verde inizialmente pianificata, all'evidenza dunque trattandosi quanto affermato dal ricorrente non di una deliberata falsità, ma di mero contrasto tra atti amministrativi diversi, avvenuto assolutamente in buona fede;
2.2. con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente la fattispecie criminosa di cui in contestazione, ritenendo la attestazione di pubblica utilità, relativa ai terreni di cui in contestazione, contenuta nel decreto di esproprio del 03.06.2014 non corrispondente a verità, perché venuta meno a ragione di quanto affermato nei due atti amministrativi (datati 06.05.2014 e 07.05.2014) deponenti in senso contrario; la prova del fatto illecito dunque, è tratta dal solo confronto tra atti amministrativi contenenti difformi attestazioni che, in quanto tali, avrebbero dovuto essere apprezzate nella loro verità o falsità sulla base di riscontri fattuali oggettivi ed esterni per essere l'una privilegiata rispetto all'altra, operazione invero che non è affatto stata compiuta dai giudici di merito; inoltre, la Corte territoriale ha considerato elemento idoneo a ritenere provata la responsabilità del ricorrente tale mera difformità tra atti amministrativi, mancando di adeguatamente valorizzare la pacifica circostanza oggettiva che i due atti afferivano a procedimenti - espropriativo l'uno e volto all'alienazione dei terreni acquisiti l'altro - ancora in itinere e per tale motivo soggetti a modifiche ed integrazioni, privi di statuizioni definitive rilevanti esternamente al procedimento e inidonei ad affermare la prevalenza di un'attestazione sull'altra; la sentenza impugnata, inoltre, va censurata quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice, da individuarsi nel dolo generico, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la consapevolezza e volontà, in capo al ricorrente, della non veritiera attestazione a ragione della mera contraddizione della stessa con un precedente atto amministrativo, mancando di tenere adeguatamente in considerazione che in plurime occasioni il ricorrente ha precisato di aver formato e sottoscritto l'atto assolutamente in buona fede e su indicazione dell'organo di gestione dell'ente territoriale;
2.3 con il terzo motivo, i vizi di violazione di legge e di motivazione, per avere la Corte territoriale fatto indebita applicazione delle norme di diritto amministrativo di cui doveva invero tenere conto nell'applicare la legge penale; orbene, pur essendo pacifico che i terreni in questione erano oggetto della Delib. del 14.01.2014 e in forza di tale delibera assoggettati ad espresso vincolo pubblicistico ed oggetto della procedura di ablazione che da detta delibera originava, l'azione amministrativa è tuttavia un'azione procedimentalizzata e fondata sul principio di legalità, il quale impedisce che un avviato procedimento amministrativo possa essere interrotto con un provvedimento avente carattere indiretto o inespresso o implicito, necessitandosi invece che la Pubblica Amministrazione eserciti uno specifico potere (jus poenitendi) al fine di revocare la procedura in atto, connotandosi per essere il provvedimento di revoca un provvedimento caducatorio avente carattere fortemente discrezionale; la sentenza impugnata va dunque censurata nella parte in cui ha ritenuto di affermare la falsità delle attestazioni sottoscritte dal ricorrente, mancando di adeguatamente tenere in considerazione che al momento di emissione del detto decreto, in mancanza di un espresso atto caducatorio, la dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delib. del 14.01.2014, era ancora formalmente presente e compiutamente produttiva dei propri effetti giuridici e imponeva la conclusione del procedimento ablativo in essere;
2.4. con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, per avere la Corte territoriale, nell'affermare la responsabilità del ricorrente, limitato la falsità delle attestazioni - escludendo specificamente due su tre dei profili di falsità dell'atto individuati dai giudici di prime cure - alla sola dichiarazione di pubblica utilità contenuta nella premessa del decreto espropriativo, mancando tuttavia di ridurre di conseguenza la pena comminata dai giudici di primo grado e di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante il lungo tempo trascorso dai fatti di causa e il leale comportamento processuale del ricorrente - sottolineandosi altresì, da parte della difesa, che il precedente di cui si fa menzione nella pronuncia impugnata, aveva determinato l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 445 c.p.p., commi 1 e 1 bis, per come formulato antecedentemente alla riforma intervenuta con la L. n. 134 del 2003, quando dunque la sentenza in parola non era equiparata a sentenza di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1. Il primo motivo di ricorso - con il quale il ricorrente censura la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., commi 2 e 3, mediante l'escussione o l'acquisizione di dichiarazione scritta, di G.P., all'epoca dei fatti Sindaco del Comune di Craveggia, che avrebbe evidenziato come alla data di sottoscrizione del decreto di esproprio in contestazione la Pubblica Amministrazione non aveva ancora formalmente e in via definitiva rinunciato al vincolo di pubblica utilità sui terreni oggetto di giudizio - si presenta manifestamente infondato.
La Corte territoriale, dopo aver rilevato che la prova testimoniale richiesta non è "nuova", sicché si versa nel caso contemplato dall'art. 603 c.p.p., comma 1, ha ritenuto che, quanto alla richiesta di rinnovazione mediante l'escussione dibattimentale del G. in merito all'iter amministrativo della pratica di esproprio, essa non risulta essere di alcuna utilità ai fini dell'accertamento della penale responsabilità dell'imputato, tenuto conto che il compendio probatorio acquisito al processo risulta completo ed esaustivo, mentre, quanto alla richiesta di acquisire la nota nella quale sono state raccolte le dichiarazioni dello stesso G., essa risulta inammissibile, essendo il processo penale governato dal principio di oralità nell'acquisizione delle prove dichiarative e dal principio del contraddittorio nell'assunzione della prova, sicché la testimonianza non può essere veicolata nel processo attraverso una produzione documentale, salvo che non vi sia l'accordo fra le parti o che non si versi nelle ipotesi specificamente regolate dal codice di rito, situazioni che nella fattispecie non sussistono.
Tale valutazione risulta immune da censure, facendo corretta applicazione, con riguardo specifico alla rinnovazione mediante la prova testimoniale, dei principi più volt affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui alla rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello, di cui all'art. 603 c.p.p., comma 1, può ricorrersi solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Rv. 256228).
Peraltro, il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, Rv. 280589).
In ogni caso, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014).
2. Infondato si presenta il secondo motivo di ricorso circa l'insussistenza della fattispecie di falso ideologico ascritta al C..
2.1. All'uopo è opportuno premettere l'iter argomentativo della sentenza impugnata, che - a fronte di una descrizione molto più ampia dei fatti di cui al capo di imputazione- ha circoscritto la contestazione alla condotta dell'aver il C., Segretario comunale del Comune di Craveggia, responsabile del servizio opere pubbliche presso il medesimo ente, nonché responsabile del procedimento di espropriazione in questione, nella qualità, dunque, di pubblico ufficiale, attestato circostanze non vere nel decreto di esproprio del (Omissis), da lui sottoscritto, concernente i terreni di cui al foglio (Omissis) in località (Omissis).
Tale falsità ideologica ha riguardato specificamente l'attestazione della (persistente) pubblica utilità dei terreni di cui ai mappali oggetto di acquisizione pubblica, sebbene in atti precedenti al decreto espropriativo del medesimo Comune e sempre a firma dell'imputato, emergesse esattamente il contrario, ossia l'inutilità per l'ente dei terreni in questione non essendo prevedibile che in futuro potessero servire per le attività istituzionali.
In particolare, la falsità ideologica è stata ritenuta integrata appunto dall'attestazione della sussistenza della "pubblica utilità" all'acquisizione dei mappali suddetti, condizione espressa per poter espropriare ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 8, o comunque della persistenza della pubblica utilità, nonostante l'adozione di ben due provvedimenti formali da parte della pubblica amministrazione, indicanti il sopravvenuto venir meno di essa: la Delib. di giunta comunale numero 41 del 6 maggio 2014, in cui veniva espressamente dato atto del fatto che i terreni di cui mappali (Omissis), acquisiti di recente al patrimonio del Comune, interclusi tra le altre proprietà, non erano di alcuna utilità, né era prevedibile in futuro un utilizzo di essi per le attività istituzionali dell'ente, sicché si proponeva al consiglio comunale l'alienazione dei medesimi, atto questo redatto con l'intervento del segretario comuna(e appunto il C. e con sua sottoscrizione di talché l'imputato non poteva che esserne a conoscenza; la determina del (Omissis) del servizio di segreteria del medesimo Comune, sottoscritta dal C., in cui si ribadiva che i mappali de quibus, interclusi tra le altre proprietà non erano di alcuna utilità, né era prevedibile che in futuro potessero servire per le attività istituzionali dell'ente, disponendosene la vendita all'asta per il prezzo a base d'asta di Euro 80.000.
Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale ha concluso nel senso che non fosse revocabile in dubbio che nel momento in cui i( C., formava e sottoscriveva il decreto di esproprio del (Omissis) -con cui attestava che i terreni di cui mappali (Omissis), erano finalizzati alla realizzazione di opera di pubblica utilità- fosse perfettamente consapevole del contenuto inveritiero del decreto di esproprio, essendo stati dichiarati tali terreni un mese prima privi di pubblica utilità tanto da essere messi all'asta.
2.2.Tanto premesso si osserva che la delimitazione dell'addebito nell'ambito del profilo di falsità indicato integra una mera precisazione, a delimitazione della più ampia descrizione della condotta, che non incide sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente dispiegamento dell'esercizio diritto di difesa.
In tale contesto si osserva innanzitutto che integra il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.), la condotta del pubblico ufficiale che formi un atto pubblico avente contenuto non veritiero e nell'ipotesi di atto a contenuto dispositivo, nella parte descrittiva, che nel documentare una certa situazione, quale necessario presupposto delle relative determinazioni, attesti l'esistenza di una situazione di fatto o di diritto contraria al vero; in tal modo, si genera su di essa l'affidamento dei terzi, in quanto si tratta di attestazione fidefacente proveniente da un pubblico ufficiale (arg. ex Sez. 6, n. 12305 del 23/10/2000, Rv. 217898; Sez. 5, Sentenza n. 20073 del 24/02/2003,Rv. 224945;Sez. 5, n. 20550 del 27/03/2007, Rv. 236598). Del resto il falso ideologico può essere integrato anche per omissione allorché l'attestazione incompleta - perché priva dell'informazione su un determinato fatto - attribuisca
all'atto il significato di un'attestazione non conforme ai fatti
(Sez. 5, n. 22200 del 19/01/2017, Rv. 270215).
Orbene, nella fattispecie in esame la Corte territoriale nel ritenere integrato nei confronti del C., il reato di falso ideologico ha correttamente applicato i principi di diritto innanzi enunciati, avendo l'imputato con il decreto di esproprio n. 68 del 3.6.2014, a sua firma, dato atto in premessa della pubblica utilità o meglio della persistenza della pubblica utilità, quale condizione necessaria per l'espropriazione dei terreni fl. (Omissis), conferita con la Delib. N. 14 gennaio 2014, non evidenziando che tale pubblica utilità era venuta meno per effetto di atti della stessa pubblica amministrazione antecedenti al decreto espropriativo (e segnatamente per effetto della deliberazione Giunta comunale n. 41 del 6.05.2014, nella quale si premette che i terreni recentemente acquisiti- di cui ai mappali (Omissis)- non sono di pubblica utilità, disponendosi di proporne l'alienazione al Consiglio Comunale; della determinazione del Servizio di segreteria n. (Omissis) a firma dell'imputato nella quale premesso che il Comune era proprietario di terreni (edificabili) che non sono di alcuna utilità nel presente o nell'immediato futuro, se ne disponeva l'alienazione; dell'avviso d'asta in data 08.05.2014, con il quale i terreni acquisiti -di cui ai mappali 62, 645, 647, 891, 894 del foglio n. 37- erano stimati aventi un valore di circa Euro 80.000, e si invitava chiunque interessato a far pervenire la propria offerta).
Risulta, pertanto, correttamente configurata a carico del C. la falsità ideologica in relazione alla parte descrittiva del decreto di esproprio, vale a dire in relazione alla attestazione della (persistente) pubblica utilità dei terreni oggetto di esproprio, dato questo costituente un presupposto indispensabile per il compimento dell'atto.
In tale contesto la specifica censura effettuata con il secondo motivo di ricorso, secondo cui la Corte territoriale avrebbe ricavato la falsità del decreto di esproprio dal solo confronto tra atti amministrativi contenenti difformi attestazioni, appare infondata, non apparendo censurabile il percorso argomentativo della sentenza impugnata che ha confrontato dati emergenti da atti aventi contenuto univoco.
Per quanto concerne, poi, la circostanza che gli atti messi a confronto- espropriativo l'uno, mentre l'altro volto all'alienazione dei terreni acquisiti - erano ancora in itinere e per tale motivo soggetti a modifiche ed integrazioni, privi di statuizioni definitive rilevanti esternamente al procedimento e inidonei ad affermare la prevalenza di un'attestazione sull'altra, anche tale deduzione si presenta infondata, se solo si tiene conto del fatto che, all'esito della Delib. della Giunta comunale n. 41 del 6.05.2014 - e della determina n. 35 del 07.05.2014 è stata disposta la vendita all'asta dei terreni oggetto della dichiarazione di p.u., con tempestiva offerta di acquisto.
2.3. Quanto all'elemento soggettivo, la Corte territoriale ha evidenziato come dallo snodo dei fatti emerga che il C. fosse perfettamente consapevole del carattere inveritiero del decreto espropriativo, avendo partecipato alla formazione degli atti che contraddicevano l'acquisizione per pubblica utilità dei terreni.
La consapevolezza del C. di dichiarare il falso nel momento in cui formava il sottoscriveva il decreto di esproprio del 3 giugno 2014- con cui attestava che i terreni erano finalizzati alla realizzazione di opere di pubblica utilità, che meno di un mese prima erano state dichiarate espressamente privi di tale qualità, tanto da essere messi all'asta- emerge altresì, come rilevato dalla Corte territoriale, dalla stipula dell'accordo bonario ai fini dell'espropriazione per il corrispettivo di Euro 19.000 e dal fatto che non appena raggiunto tale accordo i terreni perdevano rilevanza pubblicistica e passavano da agricoli e non edificabili a edificabili e messi in vendita all'asta come poi venduti ad Euro 80.000 ad un privato per la realizzazione di una villetta con conseguente guadagno il comune all'epoca in grave situazione finanziaria.
D'altra parte al fine di integrare il falso ideologico è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell-immutatio veri", mentre non è richiesto ranimus nocendi" né l'"animus decipiendi", con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno (Sez.5, n. 6182 del 03/11/2010, Rv. 249701; Sez. 6, n. 21969 del 14/12/2012, Rv. 256544).
3.Infondato si presenta altresì il terzo motivo di ricorso circa l'impossibilità una volta avviato il procedimento espropriativo di interromperlo con un provvedimento avente carattere indiretto o inespresso o implicito, occorrendo invece l'esercizio da parte della Pubblica Amministrazione di uno specifico potere (jus poenitendi), al fine di revocare la procedura in atto, connotandosi per essere il provvedimento di revoca un provvedimento caducatorio avente carattere fortemente discrezionale; sicché il decreto espropriativo del ricorrente non poteva che qualificarsi quale "atto obbligato".
All'uopo il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui la destinazione dei terreni alla realizzazione dell'opera di pubblica utilità, conferita con la deliberazione numero 14 del 2014, se poteva essere revocata solo con un atto provvedimentale della pubblica amministrazione, in ogni caso i provvedimenti assunti dall'ente territoriale nelle date del 6 e 7 maggio 2014 (Delib. della Giunta comunale n. 41 del 6.05.2014 e determina n. 35 del 07.05.2014) devono essere considerati a tutti gli effetti atti provvedimentali, idonei a 1, disconoscere ossia a revocare la rilevanza pubblica dei terreni in questione. In particolare, la Delib. numero 41 del 2014, che attestava l'assenza di tale qualità, veniva assunta nella ‘... stessa forma, ossia una deliberazione, della medesima autorità giunta comunale che aveva adottato la precedente Delib. del 14 gennaio 2014. Peraltro la revoca di un provvedimento amministrativo costituisce esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione che segue i principi di legalità efficienza imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa e deve essere assistita dalle garanzie partecipative salvo motivati casi di urgenza, sicché se nel caso di specie la deliberazione assunta dalla giunta comunale il 14 gennaio 2014 era idonea a conferire la natura di pubblica utilità alle opere da realizzare sui terreni in questione, alla stessa stregua deve reputarsi idonea a revocare tale qualità la deliberazione del 6 maggio 2014, assunta con identico atto formale da parte della medesima autorità, contenente un espresso di inequivocabile disconoscimento della pubblica utilità. Essendo stato posto in essere dalla Pubblica autorità un atto contrario a quello del procedimento amministrativo già avviato, in virtù di una sostanziale revoca implicita, quel procedimento non poteva, neppure sotto il profilo più squisitamente amministrativo essere portato a termine. Più volte è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa che "un provvedimento amministrativo implicito può esistere, in astratto, ma la sua configurabilità presuppone le rigide condizioni elaborate dalla giurisprudenza. In particolare è necessario che dal comportamento della amministrazione possa desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile di quello espresso"(cfr. Cons. di Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 5). I requisiti per configurare il provvedimento implicito sono: "a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l'atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell'azione amministrativa; b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l'atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione); c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (ex art. 21 septies cit.); d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione); e) che, in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell'iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 cit.) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato."
La revoca della dichiarazione di pubblica utilità per sopravvenute ragioni di merito, invero, spiega efficacia preclusiva della conclusione del procedimento espropriativo e costituendo condizione risolutiva dell'accordo intervenuto tra il privato e l'Amministrazione espropriante per la determinazione dell'indennità di esproprio, determina l'insorgere di reciproche obbligazioni di restituzione riguardo, rispettivamente, al fondo oggetto di occupazione ed alla somma ricevuta in forza del predetto accordo.
Neppure può ritenersi, pertanto, che l'atto di cessione volontaria stipulata con i proprietari dei terreni fosse ormai irreversibile e che l'emissione del decreto di espropriazione fosse dovuto: con tale atto bonario, infatti, si era prodotta soltanto la disponibilità dei terreni in favore della pubblica amministrazione e non si era realizzato alcun trapasso di proprietà, sicché preso atto del venir meno dell'interesse pubblico ad espropriare i terreni sarebbe stato sufficiente per l'amministrazione restituire il prezzo riscosso dai privati e porre nel nulla il trasferimento di proprietà a norma dell'art. 45 del T.U. sulle espropriazioni.
4. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio inflittogli, non mitigato per effetto della riduzione delle contestazioni mossegli e non comportante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
In proposito il ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte territoriale che dà conto della determinazione del trattamento sanzionatorio, rilevando come il primo giudice aveva fissato la pena base attestata sul minimo edittale, con riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, quasi nella massima estensione, pur risultando il C. gravato da un precedente con pena patteggiata e sospesa per fatti relativi ad abuso d'ufficio turbata libertà degli incanti e corruzione. Tale valutazione appare immune da censure, avendo più volte questa Corte evidenziato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142).
Quanto alla sospensione condizionale della pena, la Corte territoriale ha messo in risalto l'assenza nel caso di specie di elementi idonei per affermare che il C. si asterrà per il futuro dal commettere nuovi reati, viste le modalità dell'agire, la mancanza di un segno di presa d'atto dell'illiceità della propria condotta e di resipiscenza, nonché il precedente penale specifico, sia pure per fatti risalenti.
In proposito, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Rv. 218529, secondo cui in tema di sentenza di patteggiamento, l'estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., comma 2, all'utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dall' art. 164, u.c. e art. 163 c.p., circa la concedibilità di un secondo beneficio (cfr. altresì sul punto Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019, Rv. 276076).
5. Il ricorso va, dunque, respinto e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023