RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Messina ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di M.L. in relazione al reato di cui agli artt. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, perché, al fine di trarne profitto, si impossessava di Kwh 20341 di energia elettrica, sottraendola alla E-Distribuzione, in una prima fase, mediante allaccio diretto alla rete realizzato con la manomissione della calotta del contatore e dei tenoni di fissaggio posteriori in modo tale da alterare la registrazione dei consumi di energia elettrica con un errore negativo pari al 59,23% e, in una seconda fase, quando la fornitura era interrotta (realizzando un allaccio diretto alla presa di alimentazione, in modo tale da escludere la registrazione dei consumi di energia elettrica - con l'aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle cose e valendosi di un mezzo fraudolento (in (Omissis)).
Il Tribunale, ad un'udienza successiva a quella di apertura del dibattimento e di ammissione delle prove, ha evidenziato che la persona offesa del reato non aveva sporto querela, nonostante in base alla disciplina vigente, prevista dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 2, lett. i), (disposto in attuazione della Legge Delega 27 settembre 2021, n. 134), entrato in vigore in data 30 dicembre 2022, il reato oggetto del presente procedimento fosse divenuto procedibile a querela di parte.
Nella sentenza impugnata si è sottolineato che, pur maturato il termine entro il quale la persona offesa avrebbe potuto sporgere querela e, di conseguenza, pur difettando il reato della necessaria condizione di procedibilità, il pubblico ministero di udienza aveva contestato una nuova circostanza aggravante, cioè quella prevista dall'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, deducendo che l'energia elettrica poteva essere qualificata come "cosa destinata a pubblico servizio", in quanto rientrante nel novero dei beni destinati a tale finalità; secondo la Procura, la contestazione di tale circostanza aggravante determinava un mutamento della procedibilità del reato, in quanto il D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 2, lett. i), nel prevedere la procedibilità a querela dei reati di furto aggravato, ha mantenuto il regime precedente relativo alla procedibilità d'ufficio per i reati di furto, se ricorre taluna delle circostanze di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, (salvo le ipotesi di fatto commesso su cose esposte alla pubblica fede) e n. 7-bis, rendendo così procedibile d'ufficio il reato in esame. La difesa eccepiva la tardività della contestazione. della nuova aggravante e chiedeva emettersi sentenza di non doversi procedere per difetto di querela.
In relazione alla contestazione dell'aggravante, il Tribunale ha premesso di essere a conoscenza del principio espresso dalla Corte di legittimità in merito alla qualificazione dell'energia elettrica quale bene destinato al pubblico servizio, anche qualora sia funzionale ad alimentare un'abitazione privata. Tuttavia, pur prendendo atto della configurabilità in astratto di tale circostanza aggravante, il Giudice di primo grado ha ritenuto tardiva la predetta contestazione, in quanto effettuata in un momento successivo al perfezionamento dei termini di improcedibilità del reato.
Il Giudice a quo ha rilevato che la condizione di improcedibilità del reato impedisce al giudice qualunque accertamento, anche parziale, sul fatto e impone l'immediata declaratoria della causa estintiva del reato stesso, incompatibile con la prosecuzione del processo, determinata da una contestazione suppletiva formulata successivamente al maturare della condizione di improcedibilità; ha osservato che tale principio è stato affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte nelle pronunzie che hanno ritenuto illegittima la contestazione di una circostanza aggravante, comportante il prolungamento del termine di prescrizione del reato, avvenuta in un momento in cui il reato era già pacificamente prescritto, sulla scorta della considerazione per cui la contestazione di una circostanza aggravante non può determinare la "reviviscenza" di un reato ormai estinto/ in quanto, una volta maturato il termine di prescrizione, la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato.
Secondo il Tribunale, tale principio doveva essere esteso all'ipotesi per cui si procede, del tutto equiparabile a quella concernente l'estinzione del reato. L'organo giudicante, pertanto, ha rilevato l'illegittimità della contestazione suppletiva riguardante la circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, effettuata dal pubblico ministero, essendo già maturata la condizione di improcedibilità del reato per difetto di querela.
Ciò posto, nella sentenza impugnata è stata dichiarata l'improcedibilità del delitto di furto ascritto all'imputata, a seguito dell'entrata in vigore della riforma Cartabia e, in particolare, del D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 2, comma 1, lett. i), secondo cui tale reato è divenuto procedibile a querela di parte, in assenza delle condizioni contemplate dal nuovo testo dell'art. 624 c.p., comma 3, condizioni non ricorrenti nel caso in esame. Infatti, il termine di mesi tre di cui all'art. 85 D.Lgs. cit., a far data dal 30 dicembre 2022, era decorso, senza che la persona offesa avesse sporto querela.
2. La Procura della pubblica presso il Tribunale di Messina ricorre per Cassazione avverso la suindicata sentenza per vizio di motivazione.
Si deduce che il Tribunale ha inopinatamente fissato un termine di decadenza per la facoltà del pubblico ministero di procedere alla contestazione ex art. 517 c.p.p., sulla scia di due orientamenti giurisprudenziali, il primo relativo alla preclusione per il giudice di qualunque accertamento sul fatto in presenza una condizione di improcedibilità ed un secondo sull'illegittimità di una nuova contestazione in primo grado, a prescrizione già maturata, dj prolungare il termine per l'estinzione del reato.
In virtù di un'interpretazione analogica, il Giudice a quo ha ritenuto di estendere il principio di diritto espresso in materia di prescrizione alla contestazione suppletiva dalla quale derivi un diverso regime di procedibilità.
In realtà, il rapporto processuale si era correttamente instaurato, perché l'azione penale era stata esercitata durante la vigenza di un regime di procedibilità diverso da quello attuale.
L'intervenuta modifica del regime di procedibilità, non poteva rendere de plano non validamente costituito, un rapporto processuale ab origine regolarmente costituito, in misura tale da comportare addirittura il venir meno della legittimazione del pubblico ministero a muovere la contestazione suppletiva ex art. 517 c.p.p. e ciò in violazione del principio generale.e. per cui, fino alla chiusura dell'istruttoria dibattimentale, il capo d'imputazione può essere suscettibile di modifiche, di precisazioni, di ulteriori contestazioni.
La contestazione prevista dall'art. 517 cit. consiste in una mera prerogativa del pubblico ministero, che non prevede una delibazione da parte del Giudice come ricavabile dallo stesso tenore della norma ("il pubblico ministero contesta").
Ne' era condivisibile il richiamo all'orientamento riportato nella sentenza impugnata in materia di prescrizione, perché equiparabile al caso in esame. Il termine ultimo entro il quale possono effettuarsi nuove contestazioni di circostanze aggravanti coincide con la chiusura del dibattimento e dunque a tale scopo, può essere addirittura interrotta la discussione finale.
Applicando i principi espressi in materia di contestazione e prescrizione del reato al caso in esame, alla luce dell'orientamento oggi prevalente, la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, fatta prima della chiusura dell'istruttoria, era pertanto pienamente legittima. Il Tribunale, pertanto, non avrebbe dovuto dichiarare illegittima la contestazione dell'aggravante ex art. 517 c.p.p. e, stante l'intervenuta procedibilità d'ufficio per il reato in questione, avrebbe dovuto disporre la prosecuzione del dibattimento.
3. Con note scritte del 23 ottobre 2023, la difesa della M. chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Si deduce che, con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, qualora l'autorità giudiziaria procedente non riceva la prova dell'avvenuta querela entro i novanta giorni dall'entrata in vigore del D.Lgs. cit., il procedimento penale deve essere dichiarato improcedibile per mancanza di querela con effetto retroattivo.
Pertanto, il pubblico ministero d'udienza, in Considerazione della improcedibilità con effetto retroattivo, non avrebbe potuto contestare una nuova aggravante per difetto di querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Con riferimento all'unico motivo di ricorso, va premesso che, secondo un orientamento remoto ed ormai superato l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, relativamente al furto su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, presuppone che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico o resa inutilizzabile la cosa destinata a pubblica utilità (Sez. 2, n. 1176 del 20/06/1967, Corona, Rv. 105901; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, Russo, Rv. 104749; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, Grutti, Rv. 104369).
In seguito, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente riconosciuto la validità dell'opposto indirizzo ermeneutico, cui si ritiene di aderire, secondo cui, in tema di furto, è configurabile l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, in caso di sottrazione di energia elettrica mediante allacciamento abusivo e diretto alla rete esterna, indipendentemente dal fatto che tale condotta abbia arrecato effettivo nocumento alla fornitura di energia di altri utenti (Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, Cagnassone, Rv. 266229). In linea con tale principio, si è osservato che tale aggravante è configurabile in caso di sottrazione mediante allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata, rilevando, non già l'esposizione alla pubblica fede dell'energia mentre transita nella rete, bensì la destinazione finale della stessa a un pubblico servizio dal quale viene distolta, destinazione che comunque permane anche nella ipotesi di una tale condotta (Sez. 5, n. 27996 del 18/05/2023, Tomasello, non massimata; Sez. 5, n. 29329 del 23/03/2023, Mellina, non massimata; Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Mondino, Rv. 282543).
Le ipotesi descritte nell'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, infatti, trovano il loro comune fondamento nel maggiore rispetto che deve essere assicurato a determinate cose in ragione delle condizioni in cui le stesse si trovano o della loro destinazione; in particolare, sono qualificabili come cose destinate a pubblico servizio quelle che servono ad un uso di pubblico vantaggio o di utilità collettiva, per volontà del detentore o del proprietario o per le qualità ad esse inerenti, appartenenti alla pubblica amministrazione o al privato (linee e vetture ferroviarie, valori bollati, elettrodotti, acquedotti, gasdotti, linee telefoniche, fontane pubbliche, biblioteche, farmaci situati in un ospedale o in un pronto soccorso, ecc.). E' irrilevante, pertanto, il dato della loro appartenenza alla pubblica amministrazione o ad un privato, risultando sufficiente soltanto il loro attuale svolgimento di una funzione di utilità generale.
Il significato letterale dell'indicazione normativa ex art. 625 c.p., comma 1, n. 7, e la ratio delle relative ipotesi, individuate dal legislatore come evenienze idonee ad influire sulla gravità del reato e sulle conseguenze sanzionatorie, inducono ad avvalorare un'interpretazione circa la ricorrenza di essa in senso oggettivo, condizionata solo alla loro effettiva presenza, a prescindere dagli effetti provocati dall'azione delittuosa sul bene ritenuto meritevole di speciale tutela (Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617).
3. Quanto alle modalità di contestazione di una circostanza aggravante, occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di reato di falso in atto pubblico, hanno affermato il principio, secondo cui non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 476 c.p., comma 2, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436, relativa a fattispecie in cui, in applicazione del principio delle Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine, in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione).
Le Sezioni Unite hanno considerato preferibile il filone giurisprudenzialei, secondo cui la contestazione meramente in fatto dell'aggravante in discussione non è consentita, occorrendo che l'addebito dell'ipotesi aggravata risulti nell'imputazione dall'indicazione specifica della violazione dell'art. 476 c.p., comma 2, o, in mancanza di essa, quanto meno dall'uso di sinonimi o di formule linguistiche equivalenti al contenuto della previsione normativa (Sez. 3, n. 6809 del 08/10/2014, dep. 2015, Sauro, Rv. 262550; Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso, Rv. 260209) ovvero chiaramente evocative dell'efficacia fidefacente dell'atto ritenuto falso (Sez. 5, n. 30435 del 18/04/2018, Trombetta, Rv. 273807).
In tali pronunce e in altre di segno analogo (Sez. 5, n. 24643 del 13/04/2018, Degli Angioli, Rv. 273339; Sez. 5, n. 8359 del 05/02/2016, Calì, si è riconosciuto il diritto dell'imputato - affermato anche in sede comunitaria (Corte EDU, 11/12/2007, Drassich c. Italia) - di essere tempestivamente e dettagliatamente informato non solo dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche della qualificazione giuridica ad essi attribuiti da cui deriva la necessità, perché l'esercizio dei diritti di difesa possa dirsi pienamente garantito, che la natura fidefacente dell'atto, oggetto del falso, sia adeguatamente e correttamente esplicitata nell'imputazione.
Le Sezioni Unite hanno specificato che l'art. 417 c.p.p., lett. b), include, fra gli elementi contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio, "l'enunciazione in forma chiara e precisa" non solo del fatto, ma anche delle circostanze aggravanti; previsione ribadita negli stessi termini dall'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. b), per il decreto dispositivo del giudizio - a sua volta richiamato dall'art. 450 c.p.p., comma 3, per la citazione a giudizio direttissimo dell'imputato libero e dall'art. 456 c.p.p., comma 1, per il decreto dispositivo del giudizio immediato - e dall'art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c), con riguardo al contenuto del decreto di citazione diretta a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica, a chiusura di un sistema processuale in cui tale enunciazione assume il rilievo di una componente essenziale e indefettibile della contestazione dell'accusa. In tale pronunzia si è richiamata la previsione dell'art. 6, comma 3, lett. a) CEDU per la quale "ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico", ove il riferimento alla informazione dettagliata sulla natura dell'accusa non può che comprendere le circostanze aggravanti nella loro incidenza sull'entità del fatto contestato e sulle conseguenze sanzionatorie che ne derivano.
L'imputazione, cioè, deve riportare in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto integranti la fattispecie circostanziale, permettendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell'aggravante può dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perché la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, già affermato dalle Sezioni Unite con riguardo alla correlazione fra l'accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l'imputato di difendersi sull'oggetto dell'addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
L'ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, pertanto, deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato.
Per quanto maggiormente rileva nella fattispecie in esame, le Sezioni Unite hanno sancito quanto segue:
"(...) è evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercizio dei diritti di difesa dell'imputato.
Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Ne' può esigersi dall'imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l'individuazione dell'esito qualificativo che connota l'ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell'autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l'appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessità dell'enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell'imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie (...)".
Pertanto, nell'affrontare la questione inerente alla circostanza aggravante di cui all'art. 476 c.p., comma 2, le Sezioni Unite hanno avuto modo di individuare nei termini sopra delineati l'esatto contenuto dell'imputazione, al fine di stabilire quando possa ritenersi correttamente contestata un'aggravante non esplicitamente riportata.
Alla luce di quanto esposto, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante, non sono indispensabili una formula specifica espressa con enunciazione letterale e l'indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l'aggravante.
E' ammissibile, cioè, la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell'imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l'adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, Latini, Rv. 279090; Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Saracino, Rv. 279335).
I suesposti principi hanno trovato applicazione nelle seguenti fattispecie sottoposte al vaglio di questa Corte:
a) Sez. 4, n. 13210 del 09/03/2022, Nistor, non massimata, vicenda nella quale si è ritenuta implicita la volontà di contestare l'aggravante dell'ingente quantità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, laddove nell'imputazione era indicata la sola detenzione di gr. 5.363,18 di cocaina, quantitativo indubbiamente di molto superiore a quello di duemila volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per tale sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006;
b) Sez. 3, n. 2241 del 07/10/2021, dep. 2022, Esposito, non massimata, in cui la contestazione dell'aggravante del numero delle persone prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 3, è stata desunta dalla mera elencazione nominativa nel relativo capo di imputazione dei nominativi di dieci associati;
c) Sez. 5, n. 7225 del 14/01/2021, Bisello, non massimata, in cui la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 576 c.p., comma 1, n. 5-bis, è stata riconosciuta sulla base del riferimento nell'imputazione al dato della commissione della condotta lesiva ai danni di un agente della polizia giudiziaria, "nell'atto dell'adempimento delle funzioni di servizio";
d) Sez. 7, Ord. n. 24646 del 15/01/2020, Porcedda, non massimata, vicenda in cui l'aggravante prevista dall'art. 625 c.p., n. 8, è stata riconosciuta per essere stato indicato nel capo di imputazione che il furto concerneva "n. 3 capre, n. 15 capretti svezzati, n. 1 agnello, n. 8 maialetti svezzati";
e) Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, Archinit:o, Rv. 271261, relativa a fattispecie in cui si è ritenuta sussistente la circostanza aggravante della premeditazione in conseguenza della sola indicazione nel capo di imputazione delle modalità della condotta e, cioè, "predisponendo mezzi e pianificando l'azione delittuosa con largo anticipo".
In linea coi suesposti principi giurisprudenziali in materia e con la casistica appena riportata, va osservato che l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, inerente al furto su cose destinate a pubblico servizio risulta correttamente contestata "in fatto".
Come sopra analizzato, quando l'oggetto del furto consiste in energia elettrica, la finalità di pubblico servizio è immanente e ricorre costantemente, indipendentemente dalle modalità concrete di esecuzione della sottrazione, dalla natura pubblica o privata dell'ente erogatore o del fruitore del bene, dall'eventuale danno provocato all'apparecchio destinato alla fornitura e dall'effettivo nocumento arrecato alla somministrazione di energia ad altri utenti.
L'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, pertanto, è in sé integrata dalla sottrazione di energia al servizio elettrico, in ragione della natura pubblica del servizio (Sez. 5, n. 33824 del 05/06/2023, Graziano, non massimata). L'imputazione contiene chiaramente tutti gli elementi fattuali e normativi necessari, per cui consente di ritenere l'imputato edotto della specifica contestazione formulata, anche sotto lo specifico profilo circostanziale, specificamente rappresentato.
In sostanza, il furto di energia elettrica è suscettibile di un unico, ben definito, significato, poiché l'oggetto della sottrazione è indefettibilmente destinato a pubblico servizio e non richiede, ai fini di una compiuta risposta difensiva, nessuna previa e dettagliata esplicazione, per cui la sua contestazione, eseguita mediante la mera enunciazione della condotta incriminata, deve considerarsi ritualmente avvenuta.
Condividendosi l'impostazione delle Sezioni Unite, va escluso che, nel caso in esame, ricorra una previsione normativa comprendente componenti valutative, tali da determinare l'incertezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale.
Questa Corte non ignóra l'opposto principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di furto, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, configurata dall'essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell'imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l'impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Sciortino, Rv. 281556).
Nella decisione appena riportata si è affermato che detta aggravante implica necessariamente l'esercizio di un'opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione. Tale principio, tuttavia, non può essere condiviso, perché, come riportato in precedenza, la specifica destinazione dell'energia elettrica consiste necessariamente nel pubblico servizio, indipendentemente dal carattere pubblico o privato dell'ente erogatore o del fruitore del bene.
Ne consegue che, dovendosi ritenere già ritualmente configurata ab origine l'aggravante in oggetto, la "contestazione" effettuata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 517 c.p.p. può essere agevolmente considerata una mera precisazione, del tutto inidonea a ledere il diritto di difesa in genere e il diritto dell'imputato alla corrispondenza tra reato contestato e reato per cui vi è condanna.
L'esistenza ab origine dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, rende il reato perseguibile d'ufficio.
3.1. La soluzione appena prospettata in relazione alla configurabilità dell'aggravante in questione rende superfluo l'esame dell'ulteriore doglianza prospettata dal pubblico ministero circa la tempestività della contestazione.
Al riguardo, va comunque richiamata la recente pronunzia di questa Corte, che, in fattispecie analoga, implicitamente escludendo la ricorrenza di un'ipotesi di mera precisazione dell'imputazione, ha ritenuto legittima la contestazione dell'aggravante, in ragione del potere-dovere di modifica del capo di imputazione riconosciuto al pubblico ministero dal nostro ordinamento fino alla chiusura del dibattimento (Sez. F, n. 43256 del 22/08/2023, Bonaccorso, non massimata; vedi anche su tale materia, Sez. 5, n. 15814 del 20/01/2020, Morabito, Rv. 279257; Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, dep. 2016, Scalia, Rv. 266081; Sez. 5, n. 19008 del 13/03/2014, Calamita, Rv. 260004).
Tale orientamento, tuttavia, non è condivisibile, perché, nella fattispecie in oggetto, alla luce dell'automatica configurabilità dell'aggravante in caso di furto di energia elettrica e della natura di mera precisazione della segnalazione da parte del pubblico ministero della ricorrenza di un'ipotesi di furto aggravato ex art. 625 c.p., comma 1, n. 7, questo Collegio ha risolto diversamente la questione. Non è necessario, quindi, il richiamo alla consolidata giurisprudenza sull'ampiezza del potere di contestazione del pubblico ministero previsto dall'art. 517 c.p.p..
3.2. Va evidenziato altresì che, ad avviso delle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto specialetalev,i~se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestata (notizia di decisione n. 13 del 28 settembre 2023 nell'ambito del procedimento n. 37844/2022 R.G., Domingo, pronunzia non ancora depositata).
Una pronunzia di questa Corte (Sez. 4, n. 44166 del 03/10/2023, Di Puorto, non massimata) ha ritenuto di estendere il principio affermato dalle Sezioni Unite alla fattispecie di furto aggravato in esame (così come nella stessa sentenza impugnata era stato seguito tale indirizzo prima ancora della pronuncia delle Sezioni Unite).
Si è sostenuta, infatti, la tesi dell'omogeneità tra le ipotesi di contestazione suppletiva della recidiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione del reato e di contestazione di una circostanza aggravante dopo l'intervenuto legislativo di cui al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 2, comma 1, lett. i), applicabile a decorrere dal 30 dicembre 2022, che ha reso perseguibili a querela quasi tutte le fattispecie di furto aggravato. In base a tale decisione, Uon entrerebbe in discussione il potere del pubblico ministero, sancito dall'art. 517 c.p.p., ma esso dovrebbe essere ritenuto precluso o comunque esaurito, allorché la nuova contestazione intervenga in un momento in cui il reato è già estinto (e non potrebbe quindi "rivivere") ovvero quando, come nel caso di specie, l'azione penale non è più proseguibile.
In realtà, proprio tale pronunzia esclude che l'eventuale maturazione del termine di prescrizione nel corso del dibattimento sia concettualmente assimilabile - sul piano delle attività processuali da ritenersi residualmente consentite - alla sopravvenuta sussistenza di una causa di improcedibilità del reato.
Ne' possono invocarsi i principi affermati dalla Corte EDU (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia) e l'esigenza del rispetto del principio del contraddittorio. Ciò va escluso in conseguenza dell'inclusione ab origine dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, nella dizione di furto di energia elettrica, concetto più volte ripetuto supra. In ogni caso, anche a voler ritenere configurabile una vera e propria contestazione, la salvaguardia delle garanzie dell'imputato sarebbe ampiamente assicurata, perché la difesa potrebbe legittimamente richiedere un termine per contrastare l'accusa nonché esercitare ogni prerogativa del caso, come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l'oblazione.
Non appaiono legittime, peraltro, le modalità di declaratoria immediata del difetto della querela scelte dal Giudice a quo. Questi, infatti, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento e l'ammissione delle prove, risulta essersi riservato e aver emesso la sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., senza consentire previamente alle parti di formulare le rispettive conclusioni, di discutere sull'intero merito del procedimento e, conseguentemente, di far valere le proprie difese (vedi, per riferimenti, Sez. 5, n. 12864 del 18/01/2022, F., Rv. 283367 - 03).
4. Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Siracusa, per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Siracusa, per l'ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2023