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Reati divenuti perseguibili a querela: possibile modifica dell'imputazione con aggravante per la procedibilità d'ufficio

Furto

Cassazione penale sez. V, 02/05/2024, n.33657

In tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lg. 10 ottobre 2022, n. 150, è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all'art. 85 del d.lg. citato, modificare l'imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un'aggravante che rende il reato procedibile d'ufficio. (Fattispecie relativa a furto di energia elettrica, in cui la Corte ha annullato la decisione di proscioglimento del Tribunale, che aveva ritenuto tardiva la contestazione suppletiva dell'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Erma impugna, per violazione degli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., nonché dell'art. 624, comma 3, cod. pen., la sentenza del Tribunale di Enna che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputata Oc.Ro., perché l'azione non poteva essere proseguita per difetto di querela, in relazione al reato di furto di energia elettrica, aggravato dalla violenza sulle cose, alla luce dell'entrata in vigore della nuova formulazione dell'art. 624, comma 3, cod. pen., introdotta dall'art. 2, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 150 del 2022. 2. Il pubblico ministero ricorrente evidenzia che, nonostante il rappresentante dell'accusa abbia dichiarato, all'udienza del 6.12.2023, la propria volontà di voler contestare l'aggravante prevista dall'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. dell'essere la cosa provento di furto destinata ad un pubblico servizio - aggravante che avrebbe reso procedibile d'ufficio il reato, come stabilito dal nuovo testo del citato art. 624, comma 3, cod. proc. pen. -, il giudice monocratico l'ha ritenuta tardiva e inammissibile, sul presupposto di un principio di antecedenza logica e cronologica dell'accertamento della mancanza di condizione di procedibilità sul potere del pubblico ministero di proporre contestazione suppletiva. Secondo il giudice, poi, la sola indicazione della natura del bene sottratto e della persona offesa non sono sufficienti a ritenere richiamata già di fatto l'aggravante della destinazione della cosa sottratta al pubblico servizio. Entrambe tali prospettive sono errate a giudizio del pubblico ministero ricorrente. Anzitutto, si evidenzia che il potere-dovere di modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero è cogente ed immanente, secondo la definizione della giurisprudenza di legittimità: il suo esercizio non può soggiacere a specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l'imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l'accusa esercitando ogni prerogativa difensiva. Anche la Corte costituzionale - secondo la Cassazione - condivide tale conclusione, poiché il regime processuale delle contestazioni suppletive è volto a scongiurare la celebrazione di un nuovo dibattimento in ordine ad ulteriori o nuove evenienze, in linea con i principi di immediatezza e di concentrazione posti a base del "giusto processo" (sentenza n. 177 del 1996 Corte cost.). Il diritto di difesa esteso in caso di modifica della contestazione chiude il cerchio (si richiamano le sentenze n. 241 del 1992, n. 265 del 1994, n. 333 del 2009, n. 237 del 2012, n. 530 del 1995 della Corte costituzionale). Inoltre, anche richiamando recente giurisprudenza, il pubblico ministero fa rilevare che l'aggravante dovrebbe considerarsi adeguatamente contestata quando, come accaduto nel caso di specie, vi siano riferimenti diretti nell'imputazione alla natura del bene oggetto di reato, vale a dire l'energia elettrica sottratta da una rete pubblica che costituisce bene oggettivamente destinato ad utilità collettiva. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Antonio Balsamo, ispirandosi alla recente sentenza Sez. 5, n. 14888 del 2024, ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovendo ritenersi contestata utilmente l'aggravante che rende procedibile d'ufficio il reato, prevista dall'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., della destinazione del bene energia elettrica a pubblico servizio. E tale conclusione è valida sia che si acceda alla tesi secondo cui l'aggravante in esame ha natura valutativa sia che la si ritenga contestabile "in fatto", secondo la distinzione delle Sezioni Unite, operata nella sentenza Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436. 3.1. La difesa dell'imputata Oc.Ro. ha depositato memoria con cui chiede che sia rigettato il ricorso del pubblico ministero di Enna, non potendosi ritenere legittimamente contestata in fatto l'aggravante della destinazione a pubblico servizio del bene sottratto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 2. Il Collegio intende ribadire i recenti approdi della giurisprudenza della Quinta Sezione Penale in casi analoghi (tra le molte, Sez. 5, n. 14890 del 14/3/2024, Bevacqua, Rv. 286291; Sez. 5, n. 14888 del 14/3/2024 e, successivamente alla presente decisione, Sez. 5, n. 28108 del 7/6/2024), secondo cui l'aggravante con natura "valutativa" dell'essere la cosa sottratta destinata a pubblico servizio (art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.) è da ritenersi adeguatamente contestata anche ove venga evocata non esplicitamente ma con perifrasi o espressioni che la riguardino puntualmente, idonee a consentire all'imputato di difendersi e, per questo, utili a prendere il posto della contestazione formale. Ciò perché le Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436, distinguendo tra aggravanti contestabili in fatto ed aggravanti con natura "valutativa", che hanno bisogno di essere specificamente evocate nell'imputazione per potersi ritenere validamente contestate, ricostruiscono in modo articolato, e non con una soluzione rigida, la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica di essere "autoevidenti", vale a dire immediatamente percepibili da un agente "medio" nella loro portata aggravatrice del trattamento sanzionatorio, sì da potersi legittimamente ritenere contestabili "in fatto". Per le Sezioni Unite, nel primo caso, è doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l'imputato ad una difesa accorta e puntuale, visto che l'intera disciplina delle coerenza tra contestazione e sentenza è funzionale ad assicurare la piena esplicazione del diritto di difesa; ma è anche consentito che l'aggravamento derivante dalla destinazione pubblica del bene sottratto possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante "espressioni evocative" che lo riguardino puntualmente, espressioni che, perciò, risultano anche idonee a prendere il posto della contestazione formale (quella cioè effettuata mediante l'indicazione dell'articolo di legge o del comma in cui è menzionata l'aggravante). Seguendo la preziosa ermeneutica della sentenza Sez. 5, n. 14890 del 2024, è proprio questo lo snodo rilevante della pronuncia Sorge che, se da un lato offre indicazioni circa i limiti da porre alla c.d. "contestazione in fatto" quando l'aggravante è di natura "valutativa", d'altra parte, per questa ipotesi, non pretende di dettare un "criterio inflessibile" riguardante le modalità attraverso le quali possa perseguirsi l'intento di una contestazione chiara e precisa circa la natura effettiva del fatto aggravatore. Si opta, quindi, per una soluzione che necessariamente è influenzata dall'analisi della fattispecie concreta, con una consistente incidenza, e variabilità, delle scelte, da effettuarsi caso per caso. Si legittimano, in tal modo, accanto alla contestazione formale di un'aggravante, anche metodi di contestazione non formale, purché capaci di rendere evidente all'imputato, con adeguata puntualità, che dovrà difendersi da un'accusa più grave; nella specie, l'accusa di avere sottratto un bene che si caratterizza per la specifica natura di essere posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa. 2.1. Tale scopo di chiara "divulgazione processuale" di un reato aggravato appare raggiunto quando - come nella specie e a differenza del caso deciso da Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, Mascali, Rv. 285878 - nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di energia, evidenziando la dicitura del servizio elettrico nazionale come ente che ha subito il reato, senza che rilevi, peraltro, il fatto che l'allaccio abusivo insista su terminali collocati in una proprietà privata, poiché ciò che conta è la destinazione finale della res sottratta ad un pubblico servizio da cui viene distolta. Nel caso della sentenza n. 14890 del 2024, ad esempio, si è ritenuta correttamente contestata l'aggravante in esame nel caso di imputazione costruita intorno al richiamo all'allaccio diretto alla rete di distribuzione dell'ente gestore, la quale garantisce l'erogazione di un "servizio" destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un'esigenza di rilevanza "pubblica". La casistica può essere, ovviamente, la più varia, ma l'essenziale è comprendere che il criterio di valida contestazione dell'aggravante con natura valutativa non è rigidamente ancorato a determinate terminologie ma postula margini di flessibilità lessicale e sintattica, avendo come unico obiettivo quello di informare adeguatamente l'imputato circa la natura del fatto che vale ad aggravare le conseguenze sanzionatorie. Una tale necessità, inequivocamente stabilita dalle plurime norme codicistiche che descrivono la modalità con la quale deve essere effettuata la contestazione del fatto e delle sue aggravanti, deriva anzitutto dai principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti umani, che garantisce effettivi livelli di tutela del diritto di difesa (cr. art. 6, par. 3, lett. a, CEDU). Come ha ben chiarito ancora la sentenza n. 14890 del 2024, "il parametro per riconoscere la immediata percepibilità della portata giuridica aggravatrice insita nella evocazione di un fatto o di un atto è, dunque, la sfera delle conoscenze dell'uomo medio e cioè la possibilità per tale "agente" di percepire con un ragionamento semplice e diretto, la natura dell'atto o comportamento contestati come capaci di rendere il fatto in esame, esposto ad una valutazione più severa". Pertanto, considerato che, nel caso sottoposto al Collegio, l'imputazione, così come formulata, consente ad un agente medio di confrontarsi adeguatamente con l'accusa specifica che gli viene mossa, con la natura del bene sottratto e, quindi, con la ragione del trattamento sanzionatorio maggiormente gravoso, il Tribunale di Enna ha errato nel dichiarare l'improcedibilità per mancanza di querela, trattandosi di reato procedibile d'ufficio, così come rappresentato dal ricorrente. 3. La decisione impugnata non è condivisibile anche sotto l'ulteriore profilo inerente alla lettura dell'art. 129 cod. proc. pen. ed al fatto che la contestazione suppletiva non possa spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inibiti dall'ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela, ad opera della persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023, secondo quanto previsto dall'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022. Alla luce dei principi affermati dalla richiamata, recente giurisprudenza di questa Quinta Sezione Penale e dell'approfondita analisi, ivi contenuta, del quadro normativo e giurisprudenziale sotteso alla soluzione della questione che, di fondo, permea il ricorso, deve affermarsi che va riconosciuto al pubblico ministero il potere processuale di modificare l'imputazione, analogamente a quanto previsto per la persona offesa dal reato, cui il legislatore ha riservato un termine per la proposizione della querela dopo il mutamento del regime di procedibilità. Ciò perché va tutelata, in adesione ai principi costituzionali previsti dagli artt. 3,111, comma 2, e 112 Cost., anche la posizione processuale della pubblica accusa, la quale si sia trovata nella situazione di non aver contestato sin dall'origine tutte le circostanze aggravanti caratterizzanti il delitto di furto, per qualsiasi ragione. Anzi, la mancata proposizione di un termine analogo per il pubblico ministero - lungi da costituire un argomento di una volontà legislativa che puntava ad impedire un epilogo di modifica della contestazione - si collega coerentemente con la previsione, nel nostro sistema processuale, di un mezzo ordinario (ed eventuale, collegato alla scelta, ancora una volta, dell'ufficio di Procura) di ripristino della situazione di procedibilità di un reato, qualora sussistano le condizioni di legge e quelle della fattispecie concreta. Tale mezzo è la contestazione suppletiva della circostanza aggravante che renda il reato procedibile d'ufficio alla prima occasione utile, da intendersi, quando il processo è già in corso - come nel caso dì specie ed in quelli decisi dalle sentenze cui il Collegio intende adeguarsi - alla prima udienza utile. E sul punto - come hanno osservato le sentenze espressione dell'orientamento cui si aderisce - sarebbe irragionevole far dipendere la procedibilità del delitto dalla fissazione, o meno, di un'udienza utile alla contestazione suppletiva prima della data del 30 marzo 2023. In particolare, tenuto conto del momento in cui si è posto il tema della nuova procedibilità del reato, e della durata del conseguente regime transitorio disegnato per la iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l'eventuale inattività processuale durante tale periodo, di fatto, impedirebbe al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato. Sicché non è ragionevole impedirgli - come accaduto nel caso di specie - di esercitare il potere di contestazione suppletiva della circostanza aggravante nella prima udienza utile, anche se fissata, dopo la data del 30 marzo 2023 e precisamente all'udienza del 6.12.2023. Del resto, la sistematica dei rapporti tra gli artt. 129 e 517 cod. proc. pen. - arricchiti dall'art. 554-ter cod. proc. pen. - restituisce un quadro in cui, da un lato, vi è il potere/dovere del giudice, in via generale, di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità "in ogni stato e grado del processo"; dall'altro, sul versante dell'art. 517 cod. proc. pen., si riconosce, nel dibattimento - come anche nella udienza preliminare ai sensi dell'art. 423 cod. proc. pen. e nella udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis cod. proc. pen. - il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nel provvedimento introduttivo, senza necessità di autorizzazione del giudice. Come hanno chiarito le sentenze espressione dell'orientamento qui ribadito, lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra "chiesto" e "pronunciato". La stessa sequenza normativa di nuovo conio - art. 554-bis art. 554-tercod. proc. pen. - contribuisce a rafforzare l'idea che le scansioni processuali immaginate dal legislatore, in rapporto logico e cronologico, per l'udienza predibattimentale, vedano, dapprima, il momento della modifica della contestazione (in modo che l'accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali) e successivamente il momento dell'eventuale, immediata definizione del processo con la declaratoria di una delle cause di proscioglimento o di estinzione del reato o di improcedibiità dell'azione penale (art. 544-ter cod. proc. pen., che ha aggiunto anche la sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna). Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui, in tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all'art. 85 del D.Lgs. citato, modificare l'imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un'aggravante che rende il reato procedibile d'ufficio (Sez. 5, n. 14890 del 2024, cit., in una fattispecie - sovrapponibile a quella all'esame del Collegio - relativa a furto di energia elettrica, in cui la Corte ha annullato la decisione di proscioglimento del Tribunale, che aveva ritenuto tardiva la contestazione suppletiva dell'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.). 3.1. Tale soluzione non si pone in contrasto, ovviamente, come è stato espressamente affermato in tutte le sentenze che compongono l'orientamento qui preferito, con i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 49935 del 28/09/2023, Domingo, Rv. 285517 - 01, chè - altrimenti - si sarebbe dovuto agire ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen.). La pronuncia in esame ha affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato. La sentenza Domingo ha siglato un criterio di prevalenza della causa estintiva del reato, di natura sostanziale, costituita dalla prescrizione, rispetto al potere/dovere del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che, eventualmente riconosciuta, avrebbe impedito la declaratoria di prescrizione. Per giungere a tale risultato, le Sezioni Unite hanno rivisto l'orientamento di altra pronuncia del massimo collegio nomofilattico - la sentenza Sez. U, n. 12283 del 25/1/2005, De Rosa, Rv. 230529 - che, stabilendo che il giudice dell'udienza preliminare, investito della richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio dell'imputato, non può emettere sentenza di non doversi procedere de plano dovendo invece procedere necessariamente a instaurare il contraddittorio, previa fissazione della udienza in camera di consiglio - ha fondato tale affermazione ricostruendo l'art. 129 cod. proc. pen. come norma che non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice), ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio. La sentenza De Rosa, esplicitamente, ha collegato la necessità del contraddittorio, dal lato del pubblico ministero - accanto a taluni poteri e diritti dell'imputato e della persona offesa - all'esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l'imputazione, chiarendo che la contestazione suppletiva di un'aggravante capace di incidere sulla procedibilità non poteva che produrre esattamente tale effetto. La pronuncia Domingo ha rimodulato tali approdi in una prospettiva evolutiva ed in un'ottica di ricomposizione costituzionalmente conforme di talune dinamiche interne all'art. 129 cod. proc. pen. quando a venire in gioco sia l'istituto sostanziale della prescrizione del reato, rispetto alla possibilità di contestare l'aggravante della recidiva. Nel richiamare adesivamente anche la sentenza De Rosa, il rapporto di prevalenza fra la contestazione suppletiva e la causa di estinzione precedentemente perfezionatasi è stato ribaltato per il caso della maturata prescrizione del reato, con sterilizzazione degli effetti della contestazione suppletiva stessa. La ragione ispiratrice di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile, come si è già chiarito, all'apprezzamento dei valori costituzionali sottesi alla prevalenza massima accordata al funzionamento della causa di non punibilità della prescrizione del reato e alla accentuazione del suo dover essere dichiarata con "immediatezza", in ossequio al principio della ragionevole durata del processo. Nel caso del rapporto tra improcedibilità per mancanza di querela e contestazione suppletiva, invece, tali esigenze di ordine costituzionale collegate alla ragionevole durata del processo non vengono in rilievo, poiché, anzi, spesso, la declaratoria di improcedibilità attiene ad un momento iniziale del processo, mentre rilevano i principi costituzionali dell'eguaglianza, della parità tra le parti e dell'obbligatorietà dell'azione penale che, tutti, concorrono a comporre le ragioni per le quali può affermarsi che sia consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022, modificare l'imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un'aggravante che rende il reato procedibile d'ufficio. La sentenza Sez. 5, n. 14890 del 2024 ha ricostruito le basi costituzionali più profonde che legittimano a ritenere possibile una differente prospettiva dei rapporti tra art. 129 e art. 517 del codice di rito, secondo che venga in esame la causa di non punibilità dell'estinzione del reato per prescrizione oppure la causa di improcedibilità per mancanza di querela, in relazione alla possibilità di contestare una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc. pen. In particolare, al fine di dare spazio al potere/dovere effettivo del pubblico ministero di operare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante idonea a rendere il reato procedibile d'ufficio, si sono richiamati il registro della "discriminazione irragionevole", previsto in favore dei diritti difensivi nelle sentenze che hanno configurato l'illegittimità dell'art. 517 nella parte in cui, pur a seguito della contestazione "tardiva" di circostanze aggravanti idonee a determinare un significativo mutamento del quadro processuale anche riguardo al regime di procedibilità del reato, non prevede la possibilità di restituzione nel termine per la effettuazione di scelte processuali dell'imputato dipendenti dalla contestazione come rinnovata (cfr. le sentenze della Corte costituzionale: n. 184 del 2014, n. 265 del 1994 e n. 333 del 2009; n. 139 del 2015; n. 141 del 2018, n. 82 del 2019 e n. 146 del 2022). Inoltre, si sono rammentate le affermazioni della Consulta in ordine alla "naturale fisiologia", nell'impianto del nuovo codice accusatorio, delle modifiche della contestazione (v. sentenza n. 82 del 2019, Corte cost., par.2.1.), nonché, sia pur in un'ottica di tutela delle garanzie difensive e per le esigenze ineludibili del "giusto" processo, la nozione di "ragionevole" durata del processo, che è declinata sempre come frutto di un bilanciamento delicato di configgenti interessi pubblici e privati, tra i primi elencando "l'obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità" (v. Corte cost. sent. n.317 del 2009; n. Ili del 1993 e n. Ili del 2022). Infine, soprattutto se funzionale a una lettura compatibile costituzionalmente con il fenomeno processuale in rilievo, è condivisibile anche la conclusione cui giunge l'orientamento di cui è capofila la sentenza n. 14890 del 2024, quanto alla possibilità di immaginare un trattamento differenziato delle diverse situazioni processuali disciplinate dall'art. 129 cod. proc. pen., facendo leva, in sintesi: - sulla natura di "giudicato affievolito" che produce, in qualche modo, la declaratoria di improcedibilità per mancanza della condizione relativa: essa non rappresenta una decisione che investe la regiudicanda, ma si arresta ad uno stadio pregiudiziale vale a dire al rilievo del difetto di una condizione necessaria perché il giudizio possa svolgersi o possa proseguire; - sulla diversa regolamentazione della declaratoria di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità prevista nel primo e nel secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen.: in base al primo comma, rappresenta un epilogo processuale che opera al pari di quella sostanziale per proscioglimento nel merito o per estinzione; invece, nel secondo comma, la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non viene menzionata insieme alle cause di estinzione del reato che, dal canto loro, sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito, quando evidente; - sul diverso atteggiamento della giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite nel disciplinare il rapporto tra cause di non punibilità, inammissibilità e giudicato sostanziale: infatti, la remissione di querela, diversamente dalla causa estintiva della prescrizione, è stata ritenuta capace di prevalere sull'inammissibilità e il giudicato sostanziale (Sez.U, n. 24246 del 2004, Rv 227681, Chiasserini). 3.2. Pertanto, il complesso del rapporto così ricostruito fra contestazione suppletiva e maturata causa di improcedibilità, in relazione alle coordinate temporali sopra evidenziate e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema, induce a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata dal pubblico ministero di udienza, pur quando la improcedibilità si è virtualmente prodotta. 4. Alla luce di quanto sin qui esposto, il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, disponendosi la trasmissione degli atti al Tribunale di Enna per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Enna per l'ulteriore corso. Così deciso il 2 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2024.
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