RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23 novembre 2023, il Tribunale di Catania ha dichiarato non doversi procedere, nei confronti di Li.Ma., perché l'azione penale non poteva essere proseguita, per mancanza di querela, in relazione al delitto previsto dagli artt. 624 e 625, primo comma, nn. 2 e 7, cod. pen., per essersi l'imputata impossessata, al fine di trarne un ingiusto profitto per sé o per altri, di quantitativi di energia elettrica, sottraendoli all'Enel, alla cui rete aveva collegato abusivamente, mediante allaccio diretto, l'impianto di Via Sa, n. (omissis), di cui aveva la disponibilità, con le aggravanti di avere commesso il fatto con violenza sulle cose, consistita nel porre in essere le manovre necessarie a realizzare il suddetto allaccio diretto al flusso di energia elettrica, attraverso il punto di accesso alla rete, quest'ultimo esposto, per necessità e consuetudine, alla pubblica fede; fatto accertato in Catania in data 11 settembre 2017.
1.1. Secondo il Giudice procedente, sopraggiunta, a seguito dell'art. 2, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 150 del 2022, la procedibilità a querela in relazione al delitto contestato, il Pubblico ministero, una volta preso atto che l'imputazione originaria non conteneva la contestazione "in fatto" dell'aggravante, non avrebbe potuto procedere alla modifica del capo d'imputazione ai sensi degli artt. 516 ss. cod. proc. pen., contestando l'aggravante dell'avere commesso il fatto su "cose destinate a pubblico servizio o pubblica utilità". Ciò in quanto detta modifica era intervenuta successivamente al 30 marzo 2023, data dopo la quale il reato era divenuto ope legis improcedibile. Invero, secondo il Giudice procedente, avendo la querela una natura mista (tanto sostanziale, quanto processuale), le modifiche del regime di procedibilità più favorevoli per l'imputato configurano una lex mitior applicabile ai procedimenti pendenti, con conseguente obbligo, per il giudice, di dichiarare immediatamente la non procedibilità ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non essendo la querela intervenuta nei termini previsti dalla normativa sopravvenuta ed essendo mancata la volontà punitiva della persona offesa, necessaria finanche per la valida costituzione del rapporto processuale. Tale conclusione si imporrebbe anche alla luce della giurisprudenza formatasi in relazione alla contestazione suppletiva avvenuta dopo il decorso del termine di prescrizione del reato come originariamente contestato, essendosi affermato che una volta maturato il termine di prescrizione, la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato, non potendo pervenirsi ad alcuna modifica del capo di imputazione che peggiorerebbe retroattivamente la posizione dell'imputato e sarebbe contraria con le finalità della ed. Riforma Cartabia enunciate nella relazione illustrativa, secondo cui estendere la procedibilità a querela "è del tutto ragionevole e rispondente a criteri di efficienza".
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 516 cod. proc. pen. In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che il Tribunale non abbia ritenuto ammissibile una modifica dell'imputazione benché la citata disposizione processuale non consenta al giudice alcun sindacato prevenivo sull'ammissibilità della contestazione di un fatto diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio o di una circostanza aggravante non menzionata in tale decreto, essendo la formulazione di una nuova contestazione un potere esclusivo del pubblico ministero; e non potendo nemmeno ipotizzarsi alcuna tardività della contestazione in dibattimento della circostanza aggravante tenuto conto che, a norma dell'art. 517 cod. proc. pen., il pubblico ministero "contesta all'imputato" il reato connesso o la circostanza aggravante emersa dagli atti del dibattimento, senza alcuno spazio di intervento per il giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
2. Va premesso che a seguito della modifica dell'art. 624, comma 3, cod. pen., operata dall'art. 2, primo comma, D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. Riforma Cartabia) e in vigore dal 30 dicembre 2022, applicabile anche a reati anteriormente commessi in quanto norma più favorevole all'imputato (Sez. 2, n. 12179 del 25/01/2023, Pisante, Rv. 284825 - 01), il delitto in imputazione è divenuto procedibile a querela. Quest'ultima va presentata, ai sensi dell'art. 124 cod. pen., entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato, salvo che la legge disponga diversamente. La novella ha però mantenuto il regime di procedibilità d'ufficio del delitto di furto nelle seguenti ipotesi: se la persona offesa è incapace, per età o per infermità; se ricorre taluna delle circostanze di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., ovvero se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza, mentre è punibile a querela se il fatto è commesso su cose esposte alla pubblica fede; se ricorre taluna delle circostanze previste dall'art. 625, primo comma, n. 7-bis, cod. pen., vale a dire se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto a infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.
2.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., costituita dall'essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, può ritenersi contestata in fatto "quando nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell'ente gestore, rete, per l'appunto, capace di dare luogo ad un "servizio" e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza "pubblica"" (Sez. 5, nn. 14891, 19206 e 19209 del 2024). Pertanto, il giudice dovrebbe preliminarmente compiere un siffatto scrutinio, onde verificare la sussistenza di una contestazione dell'aggravante già insita negli elementi fattuali descritti nel decreto di citazione a giudizio (v. Sez. 5, n. 19206/2024, cit.).
3. Nel caso di specie, il Tribunale non ha compiuto alcuno scrutinio sull'imputazione originaria, volto a verificare l'avvenuta contestazione "in fatto" dell'aggravante della destinazione della cosa oggetto di sottrazione al pubblico servizio, la cui eventuale sussistenza avrebbe conservato il regime di procedibilità officiosa del delitto di furto così aggravato. Tuttavia, il ricorso non ha specificamente censurato tale profilo, limitandosi a prospettare la violazione dell'art. 517 cod. proc. pen. per avere il Giudice procedente dichiarato l'improcedibilità per mancanza della querela senza riconoscere rilevanza alla previa contestazione suppletiva della aggravante della destinazione del bene al pubblico servizio, effettuata dal Pubblico ministero nel corso del dibattimento.
3.1. Ebbene, nel caso esaminato, risulta dagli atti l'assenza assoluta di attività processuale tra l'entrata in vigore della ed. riforma Cartabia, avvenuta il 30 dicembre 2022, e la maturazione della causa di improcedibilità, il 30 marzo 2023; di tal che, soltanto alla prima udienza utile, il Pubblico ministero ha potuto procedere alla contestazione dell'aggravante ai sensi del citato art. 517 cod. proc. pen.: contestazione idonea, come detto, a determinare la procedibilità di ufficio del reato ascritto all'imputata.
Il Tribunale - ritenendo "tardiva" la contestazione suppletiva - ha irragionevolmente negato gli effetti di tale legittimo atto propulsivo del pubblico ministero, ritenendo operativa la causa di improcedibilità "ora per allora", anche in un caso, come quello in esame, nel quale - pur in assenza assoluta di attività processuale nell'arco temporale suddetto - lo stesso Pubblico ministero non aveva alcuna possibilità di assumere l'iniziativa necessaria per adeguare l'imputazione alle nuove regole. In tal modo, il primo Giudice ha accolto una interpretazione in contrasto con il dovere, costituzionalmente imposto, del titolare dell'azione penale di esercizio e proseguimento della stessa azione. Infatti, nel caso di improcedibilità sopravvenuta, il rapporto con il potere di contestazione suppletiva torna ad essere il frutto di una necessaria valorizzazione del principio costituzionale della obbligatorietà della azione penale, come già ritenuto dall'orientamento di legittimità che il Collegio condivide e riafferma (ex plurimis Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291 - 01; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Bonaurio, non massimata).
4. Deve essere, dunque, ribadito il principio secondo cui è affetta da nullità assoluta di ordine generale, per violazione del principio del contraddittorio, la sentenza di proscioglimento emessa ex art. 129 cod. proc. pen. per carenza della condizione di procedibilità della querela, nel caso in cui il giudice abbia consentito l'interlocuzione delle parti soltanto sulla questione della procedibilità, ritenendo irrilevante, poiché tardiva, la modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero operata mediante la contestazione di un'aggravante idonea, in astratto, a rendere il reato procedibile d'ufficio. Al contrario, il giudice, ai fini della pronuncia di proscioglimento anche per ragioni di rito conseguenti a modifiche normative intervenute nel corso del giudizio, deve tenere conto della contestazione suppletiva di un'aggravante che renda il reato procedibile di ufficio; e deve, inoltre, valutare le sopravvenienze istruttorie acquisite nel corso del giudizio, suscettibili di confortare la plausibilità della contestazione suppletiva medesima (così Sez. 4, n. 14710 del 27/03/2024, Costantino, Rv. 286124 - 01; Sez. 4, n. 48347 del 04/10/2023, Scabra, Rv. 285682 - 01).
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per il relativo giudizio, ai sensi dell'art. 569, comma 4, cod. proc. pen., al Tribunale di Catania in diversa persona fisica. Il Giudice del rinvio, ferma la validità della contestazione suppletiva operata dal Pubblico ministero, dovrà, dunque, verificare la sussistenza dell'aggravante che ne ha costituito oggetto, al fine di stabilire il regime di procedibilità del reato ascritto all'odierna imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, in diversa persona fisica.
Così deciso in data 26 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2024.