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Aggravante per furto di beni destinati a pubblica reverenza: interpretazione dell’art. 625 c.p.

Furto

Cassazione penale sez. V, 17/04/2024, n.22558

L'aggravante prevista dall'art. 625, n. 7, ultima parte c.p., relativa alla destinazione delle cose a pubblica reverenza, è configurabile in caso di beni aventi una funzione di culto o di devozione, in quanto rispettati dalla generalità dei consociati per essere espressione del sentimento religioso o di elevati valori civili, non essendo, invece, sufficiente la sola circostanza che essi si trovino in un luogo di culto. (Nella specie, la Corte ha escluso la configurabilità dell'aggravante con riferimento alla sottrazione, all'interno di una chiesa, di denaro contenuto nella cassetta delle offerte e destinato all'elemosina).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. È oggetto di ricorso la sentenza con cui la Corte d'appello di Firenze ha confermato il provvedimento di primo grado, che ha dichiarato Ca.Sa. responsabile del delitto di furto aggravato dalle circostanze del mezzo fraudolento, della destrezza e della destinazione dei beni alla pubblica reverenza. Secondo l'ipotesi accusatoria e quanto accertato dai giudici di merito, l'imputato si è impossessato, al fine di trarne profitto, di 75 Euro sottraendoli dagli offertori della chiesa di san omissis in M. In particolare, il Ca.Sa. era stato ripreso dalle telecamere del sistema di videosorveglianza della chiesa nell'atto di sottrarre il denaro contenuto all'interno della cassetta delle elemosine, utilizzando un metro in metallo dotato di nastro biadesivo e di una minipila. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente si duole di violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 581 e 585 del codice di rito per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, sulla base dell'erroneo assunto che essi non avessero a oggetto i capi o i punti della decisione impugnata. La difesa osserva che i motivi aggiunti avevano invece stretta attinenza con i capi e i punti della decisione di primo grado, riferendosi, comunque, a profili della decisione già investiti dall'atto di appello originario. Essi, inoltre, concernevano, in generale, la contestazione della responsabilità dell'imputato per il reato ascritto e le ritenute circostanze aggravanti. Per quel che ha riguardo alla pena, la richiesta di rideterminazione della stessa, con applicazione di pena sostitutiva ex art. 20 bis cod. pen., non avrebbe potuto essere proposta con l'atto d'appello, presentato prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. 2.2. Con il secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alle tre circostanze aggravanti dell'ascritto reato. La circostanza della destinazione del bene alla pubblica reverenza non sarebbe sussistente, posto che la cassetta delle offerte, da cui è stato trafugato il denaro, deve ritenersi oggetto meramente strumentale all'esercizio del culto. Si contesta, inoltre, il percorso logico posto alla base della ritenuta circostanza aggravante della destrezza, atteso che la condotta dell'imputato non è stata caratterizzata né da particolare astuzia né da peculiari abilità, né tesa a eludere, con particolari accorgimenti, la sorveglianza. L'imputato si è, infatti, limitato a adoperare un metro adesivo, inserendolo nella cassetta degli attrezzi per trarne monete e banconote, senza neppure curarsi d'esser notato dalle persone presenti in chiesa al momento del fatto. Quanto al mezzo fraudolento, la difesa osserva che l'azione predatoria veniva direttamente notata dal parroco attraverso il sistema di videosorveglianza, come osservato dalla stessa Corte territoriale. 2.3. Col terzo motivo si lamenta la qualificazione del fatto come furto consumato anziché tentato, posto che non vi è stato impossessamento della refurtiva da parte dell'imputato. Il parroco ha controllato in maniera continuativa l'azione dell'imputato, tanto da attivare immediatamente le forze dell'ordine, che sorprendevano il Ca.Sa. ancora all'interno della chiesa con la disponibilità dei 75 Euro, peraltro erroneamente intesi come intero provento della refurtiva. 2.4. Col quarto motivo, si eccepisce violazione di legge in relazione all'art. 20 bis cod pen. per avere la Corte territoriale erroneamente rigettato la richiesta di applicazione della pena sostitutiva - segnatamente, del lavoro di pubblica utilità - ancorando il diniego alla mancanza delle condizioni soggettive richieste dalla norma e a una valutazione prognostica sostanzialmente errata. Nel ritenere che l'imputato non abbia dato segni di resipiscenza e nel sottolineare il mancato risarcimento del danno, la Corte ha di fatto ignorato che, dato il rito prescelto (giudizio abbreviato), l'imputato non avrebbe potuto esprimersi in alcun modo; quanto al risarcimento, non si è considerato che i 75 Euro sono stati sequestrati e la cassetta delle elemosine non è stata in alcun modo danneggiata. 2.5. Col quinto motivo, si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 61, n. 11 quater, cod. pen. e dell'art. 59legge n. 689 del 1981, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'ascritto reato sarebbe stato commesso da soggetto ammesso all'espiazione di una misura alternativa alla detenzione in carcere, e durante il periodo in cui avrebbe dovuto espiarla, ciò che non è conforme rispetto alle risultanze fornite dal casellario giudiziale. 3. All'udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, Aldo Cenniccola, ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso. Il difensore dell'imputato, Avv. Patrizia De Frate, dopo aver rappresentato di aver depositato nota integrativa al ricorso, cui è allegata rimessione di querela con relativa accettazione da parte dell'imputato, ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, con esclusione della contestata circostanza aggravante della destinazione del bene alla pubblica reverenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito illustrati. 1.1. Ragioni di carattere logico e giuridico impongono di esaminare preliminarmente il secondo motivo di ricorso. Esso è fondato nella parte in cui viene contestata la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della destinazione della res furtiva alla pubblica reverenza, di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, ultima parte, cod. pen. Invero, come ricordato dalla difesa, tale circostanza aggravante è stata considerata sussistente soltanto nei casi in cui le cose abbiano "una funzione di culto o di devozione, in quanto rispettate dalla generalità dei consociati per essere espressione del sentimento religioso o di elevati valori civili, non essendo, invece, sufficiente la sola circostanza che esse si trovino in un luogo di culto" (Sez. 6, n. 29820 del 24/04/2012, Pastorelli, Rv. 253174 - 01: nella specie, la Corte ha escluso la configurabilità dell'aggravante con riferimento alla sottrazione, all'interno di un oratorio privato, di un confessionale, una ginocchiera, una nicchia di legno e due ampolle di vetro, in quanto cose che non hanno funzione di culto ma sono solo strumentali ad esso). Nel caso di specie, l'azione furtiva è stata compiuta, sì, all'interno di una chiesa, ma attraverso l'impossessamento di denaro contenuto nella cassetta delle offerte e destinato all'elemosina. Deve, pertanto, ritenersi fondata l'eccezione difensiva, tesa a evidenziare la natura meramente strumentale all'esercizio del culto della cassetta delle offerte, con esclusione che il denaro in essa contenuto ed oggetto di sottrazione da parte dell'imputato possa considerarsi espressione di sentimento religioso e rivestente una funzione di culto. 1.2. Ora, la fondatezza del motivo, nella parte dedicata alla contestazione di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, ultima parte, cod. pen., dispiega un decisivo riflesso sull'intervenuta remissione della querela. Va dato atto, infatti, del tempestivo deposito di copia dell'atto con cui l'Avv. Patrizia Del Frate, in nome e per conto dell'imputato, ha accettato la remissione di querela da parte della persona offesa Za.Do., accettazione formalizzata in data 18 ottobre 2023 presso la Stazione dei carabinieri di S. Se, diversamente, il reato contestato fosse stato correttamente ritenuto aggravato dalla circostanza in parola, esso sarebbe stato perseguibile d'ufficio, col risultato della non decisività della rimessione della querela. Risultando rispettate le formalità essenziali di cui agli artt. 339 e 340 cod. proc. pen., il reato per cui si procede -erroneamente ritenuto aggravato, come illustrato, dalla circostanza di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, ultima parte, cod. pen., e divenuto perseguibile a querela della persona offesa in seguito all'entrata in vigore del D.Lgs. 150 del 2022- deve dichiararsi estinto ai sensi dell'art. 152 cod. pen. Al caso in esame deve quindi applicarsi il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l'estinzione del reato, che prevale su eventuali cause di inammissibilità, e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso - come avvenuto nel caso di specie - sia stato tempestivamente proposto (Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Rv.227681 -01; in seguito, v., ex multis, Sez. 3, n. 9154 del 17/12/2020, dep. 2021, Durante, Rv. 281326). 2.1 restanti motivi di ricorso restano logicamente assorbiti dalla dichiarazione di estinzione del reato. P.Q.M. Esclusa l'aggravante della destinazione della cosa alla pubblica reverenza, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per remissione di querela. Pone le spese del procedimento a carico del querelato. Così deciso in Roma, il 17 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2024.
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